venerdì 24 marzo 2006

una segnalazione di Antonella Pozzi:

citato al giovedì
Repubblica 23.3.06
L'INTERVISTA
Occhetto: a Bertinotti dico che per rifondare la sinistra bisogna andare oltre il suo partito
"Bene Ingrao sul comunismo e ora il Prc sia meno egoista"
"Le parole di Pietro sono significative, si sta arrivando al dato di fondo della svolta"
di Goffredo De Marchis

ROMA - «Sono d'accordo con Ingrao». Achille Occhetto ritrova il vecchio Pietro quindici anni dopo il congresso di Rimini che cancellò il Pci, suggellò la svolta e diede vita al Pds. Allora erano su fronti opposti, uno protagonista della «rivoluzione» ex comunista, l'altro sostenitore della mozione del «no» fino al punto di abbandonare il partito nel 1993. Ma adesso Ingrao dice che «si può rinunciare al comunismo» nel nome di un progetto «innovativo» e di un'unità più larga.
Felice del «pentimento» di Ingrao?
«I pentimenti in politica non contano nulla, fanno parte della sfera psicanalitica. In politica conta il riconoscimento dei processi nuovi e si sta arrivando lentamente al dato di fondo della svolta. Che non era solo l'uscita dal comunismo e dal collettivismo autoritario. Doveva in realtà aprire la strada a una sinistra diversa. L'errore di interpretazione, allora, fu quello di assimilare sinistra e comunismo. Usciti dal Pci si doveva per forza entrare nel salotto buono del neoliberismo. Questo contribuì a un doppio sbaglio: da una parte l'ossificazione della vecchia sinistra e dall'altra una sinistra-marmellata, senza principi, interprete del riformismo moderato».
Se Ingrao e altri l'avessero seguita prima, questi errori si sarebbero potuti evitare?
«Le parole di Ingrao sono significative. Non rappresentano alcuna abiura, così come non era un'abiura la mia. Quindici anni fa, però, una parte della sinistra non ha compreso il valore della svolta e si è concentrata in una battaglia dal carattere prettamente simbolico sul nome. Con il risultato, grottesco e ridicolo, che alle elezioni di aprile correranno più simboli con la falce e martello».
Lei avrebbe voluto già per il 9 aprile una sinistra unita, un Cantiere aperto a varie voci che bilanciasse il riformismo dell'Ulivo. Alcuni dicono che a frenare sia stato Bertinotti.
«Ho apprezzato molti elementi di innovazione introdotti in Rifondazione e gliel'ho anche riconosciuto nel mio libro "Potere e antipotere". Mi riferisco alla fine della concezione leninista del comando, alla nonviolenza, al primato della libertà. Questi, del resto, furono alcuni valori fondamentali della svolta. Ma ho sempre detto che la sinistra non può vivere solo nel vecchio otre. Anche Prc deve mettere le sue idee al servizio di una ricerca nuova e unitaria. Al convegno di ieri con Ingrao e Bertinotti, per esempio, c'erano, in platea e sul palco, prevalentemente ex comunisti. Il problema non è la "rifondazione comunista", ma rifondare la sinistra. E per farlo c'è bisogno di collegarsi a più filoni storici: la sinistra lombardiana incarnata oggi da Foa, il radicalismo cattolico, la tradizione laica risorgimentale fino all'apporto fondamentale dei nuovi movimenti. Fermando questo processo abbiamo tutti perso un'occasione storica. Poteva nascere subito la vera novità di questa campagna elettorale. E adesso rimprovero a Bertinotti di rilanciare il processo unitario tutto dentro l'egemonia di Rifondazione comunista. Quindi dico a Fausto: fai attenzione a non commettere lo stesso errore che fu proprio della cosiddetta "unità socialista"».
Una sinistra nuova avrà come avversario il partito democratico?
«Un difetto della sinistra è partire dai contenitori prima che dai contenuti. Sul partito democratico non ho alcuna preclusione ideologica. Se c'è una vera contaminazione se ne può discutere. Per il momento mi sembra solo un comitato elettorale. Intanto è a sinistra che si può dare vita a una costituente delle idee, a una scelta culturale nuova».

ma anche, in data di oggi:
Liberazione 24.3.06
Occhetto: La sinistra riparta da Riccardo Lombardi

“Se si vuole costruire quanto ancora manca si può e si deve ripartire da Riccardo Lombardi, da quel riformismo forte che si contrappone al riformismo moderato”. Lo dice Occhetto in un’intervista. Che così commenta i lavori dell’assemblea della Sinistra europea. “La presa di distanza dal leninismo e stalinismo fu sempre presente nell’azione di Lombardi”.
ricevuto da Roberto Martina:

un articolo che cita Massimo Fagioli:
Corriere della Sera 24.3.06

Primo applauso, primi dubbi: ma a chi giova?
«Ci si aspettava un’opera anti-premier, ma alla fine la gente è con lui». Ferrara gongola: «Autoironico»
di Paolo Conti


ROMA - La risata di Giuliano Ferrara, seduto a otto file dallo schermo tra Ritanna Armeni e Sandro Curzi, rimbomba nella sala 1 del cinema Barberini. All’Elefantino è piaciuto quel titolo partorito dal produttore Bruno Bonomo, «Maciste contro Freud». Pubblico da gran matinée giornalistico-politica. Inviati di New York Times, Le Monde, Herald Tribune, Variety, delle tv francese, belga, tedesca. Tanti polacchi. La Rai schiera le tre punte Vincenzo Mollica (Tg1), Gianni Gaspari (Tg2), Teresa Marchesi (Tg3) come tre network. Sparsi in sala, tra altri giornalisti e critici, Massimo Fagioli, psichiatra e neo padre-padrone di Left, ex Avvenimenti, Pietrangelo Buttafuoco, Lanfranco Pace, Anselma Dall’Olio in Ferrara. Il rito è officiato da Rita Nobile e Massimo Scarafoni, titolari di un ufficio stampa che ha evitato mille fughe di notizie e infatti non si dissocia dal leggendario odio di Moretti per i giornalisti nostrani, ne è anzi l’ambasciata: «Resistiamo a tutto, anche a certe anticipazioni che ci hanno fatto ridere». Per i Grandi si fa giustamente eccezione, Lietta Tornabuoni è trattata come una sovrana. Il film scorre, sghignazzi sulle nevrosi del produttore, sulla maschera di Michele Placido. Tra i cinefili è gara nello scoprire i camei («ecco Matteo Garrone, ma quello è Virzì, guarda c’è pure Stefano Rulli»). L’applauso finale (unico, nemmeno uno a scena aperta) nasce lento e dura poco, otto-dieci secondi.
Molti capannelli conclusivi. Lidia Ravera dichiara tutto il suo entusiasmo, «mi è piaciuto moltissimo». Marcello Sorgi, perfetto in grigio, come ai faccia a faccia Berlusconi-Prodi su Raiuno: «Ci aspettavamo un film contro Berlusconi, ma troviamo un film sulla sinistra che alla fine dice che il popolo è con Berlusconi». Durante l’intervallo si intravede la sagoma altera di Gianluigi Rondi, gran vecchio della critica, 85 anni portati con la leggerezza con cui indossa la solita sciarpa bianca: «Narrativamente mal costruito. Parte bene con questa idea del produttore squattrinato e della regista esordiente, poi c’è una deriva verso situazioni poco convincenti, e non faccio un discorso sul contenuto ideologico. Purtroppo la polemica politica ha impedito a Moretti di controllare la qualità. Film scricchiolante».
Non te lo aspetteresti ma Ferrara stappa champagne: «Un Moretti delizioso, grottesco, autoironico». Poi sputa l’osso: «In fondo Moretti sposa la tesi del Foglio, ovvero che Berlusconi ha già vinto, qualunque sia l’esito delle elezioni. È la storia di un uomo soggiogato dalla sua immaginazione artistica, dall’eroe negativo, dal cattivo, come un grande cartoon alla Citizen Kane». Ritanna Armeni è lì accanto a lui. Opinione diversa, è fatale: «Non lo definirei un bel film ma un evento. Immaginavo una storia su Berlusconi. In realtà è un film su questa Italia e "anche" su Berlusconi, su un Paese pieno di problemi che resteranno sul nostro groppone anche senza il Cavaliere». Lanfranco Pace dissente da Giuliano Ferrara: «Il film corre su più strati, troppi, non ne risolve nessuno. Meno antiberlusconiano di quanto ti aspetteresti. Debole nelle corde classiche sulla famiglia. Speravo in una specie di "Presa di potere da parte di Luigi XIV". Mi spiace, sono un fan di Nanni...». Sandro Curzi, col cappello contro il dolore al trigemino, reagisce a chi immagina un effetto-boomerang sull’Unione: «Questa sinistra ha paura di tutto. Il film non avrà influenza sul voto e anzi, nel suo pessimismo forse sarà il primo film sul dopo-Berlusconi. Insomma, non è un film su Berlusconi ma una pellicola in cui per la prima volta il premier è una comparsa».
Altro gruppetto. Pietrangelo Buttafuoco si sfoga: «Non ho fatto altro che sbadigliare. Che spreco, un soggetto come Berlusconi ridotto a una commedia di costume riuscita male. Doveva finire in mani migliori. Toccava a Tatti Sanguineti spiegare a Moretti: "lascia stare, regala l’idea a Ciprì e Maresco, ne faranno roba da Oscar"». A questa surreale stroncatura siciliana si affianca la sponsorizzazione senza dubbi né ombre di Danièle Heymann, selezionatrice francese del Festival di Cannes: «È magnifico. Molto meglio di Michael Moore, si vede la mano di un vero regista. A Cannes sarà un trionfo». Nella hall ressa, come da manuale, per le cartelle stampa. Addio aplomb morettiano. Qualcuno (chi?) grida: «Cafoni!». Nemmeno fosse un film di Vanzina-De Sica.

inoltre, ancora sull'uscita de Il Caimano:
(la versione originale del seguente articolo è
qui:)
Puntocomonline 24.3.06

Nanni Moretti, Il Caimano. Un bel favore a Berlusconi
di Francesco Lerner

Difficile non rimanere un po' allibiti dopo aver visto Il Caimano. Allo scoccare dei titoli di coda, nella grande sala del cinema Barberini dove ieri era in programma l'anteprima per i giornalisti dell'ultimo film di Nanni Moretti, qualcuno ci prova pure ad abbozzare un timido applauso. Roba di pochi istanti, però. Non è neanche corretto parlare di delusione: è un senso di spiazzamento generale, piuttosto. Curzio Maltese, ottimisticamente seduto in prima fila, schizza via per primo, Marco Giusti sorride un po' allibito e quasi imbarazzato, Paolo Guzzanti, arrivato forse con la malcelata speranza di essere contestato dagli astanti, se ne va nel silenzio più assoluto.
«E' un film che farà guadagnare tanti, tantissimi voti al centrodestra», vaticina qualche ora dopo il senatore di An Michele Bonatesta, che il film non l'ha visto, ma in compenso ha spiluccato le agenzie tanto bene da farsi un'idea della pellicola. Non ha del tutto torto, purtroppo, Bonatesta, così come non ha torto Il Riformista, con il suo strano gioco della stroncatura preventiva pubblicata ieri. Fallisce sicuramente, Moretti, se l'intento era quello di spostare verso sinistra i voti degli indecisi: il Berlusconi abbozzato non è molto di più che uno squallido figuro capace solo di intrallazzare torbidamente per favorire i propri interessi, arrivando addirittura, in uno slancio fantapolitico, ad aizzare i cittadini alla rivolta violenta contro la magistratura ostile. Berlusconi è anche questo, magari, ma è sottovalutato quando non si coglie il suo talento di capace imprenditore e di abile affabulatore, e sopravvalutato quando lo si dipinge come una sorta di Che Guevara del malaffare.
Anche dal punto di vista artistico, il film lascia perplessi. L'unico espediente possibile trovato da Moretti per evitare di rendere macchietta il personaggio Berlusconi è il film nel film: Silvio Orlando, il protagonista, è un cineasta sfigato che cerca di riscattarsi producendo un'opera che metta in luce tutte le nefandezze del diabolico premier. Mentre scorrono i centododici minuti di pellicola, però, lo spettatore ignaro si chiede se la figura di Berlusconi sia un pretesto buttato lì per dare un po' di sale alla vicenda intimista e delicata che pervade la maggior parte del film o se invece sia questa un pretesto per dare la possibilità al regista di dire al mondo tutto ciò che pensa di Berlusconi, confezionandolo in un lavoro già destinato agli applausi di Cannes. E non è improbabile, peraltro, che Il Caimano, coprodotto da France 3 Cinema, sia destinato a raccogliere maggiori consensi al di là delle Alpi, dove il personaggio di Berlusconi è (comprensibilmente) considerato come poco più che un fenomeno da baraccone e dove non ci si interroga più di tanto se certe mancanze di sfumature possano giovare più alla sinistra o più alla destra.
Quello che noteranno anche in Tibet, però, è la schizofrenica compresenza di registri narrativi diversi, certamente una scelta e non uno scivolone involontario per un perfezionista come Moretti. Se, però, con la "commedia che diventa tragedia" Roberto Benigni è arrivato all'Oscar, in questo caso la "satira di costume che diventa divertissement paradossale che diventa melodramma familiare che diventa invettiva politica dal sapore vagamente onirico" finisce solo per confondere le idee allo spettatore, mettendo un po' nell'angolo l'encomiabile sforzo interpretativo profuso dai vari Michele Placido, Margherita Buy, Jasmine Trinca, oltre al mattatore Silvio Orlando. Le aspettative di chi sanamente confida che l'Italia tra due settimane riesca a sfilarsi dall'incubo Berlusconi sono un po' tradite perché, complice la decisione del regista di promuovere il film in tv, si darà modo al Cavaliere di recitare la parte del martire perseguitato. E sono tradite anche le aspettative di chi sognava un grande film. Ma è sempre difficile stroncare Moretti: troppe volte ha detto lui ciò che solo qualche anno dopo abbiamo pensato noi. Riparliamone tra un po'...

ancora sul Caimano (l'integrale è su "spogli", clicca sul titolo):

Corriere della Sera 24.3.06
Prodi e il Caimano: spero non sia dannoso
Il leader dell’Unione: i film di Moretti si vanno a vedere. Berlusconi: io non lo farò
di Monica Guerzoni
Corriere della Sera 24.3.06
Macaluso: il partito ragionava così Andai in carcere 6 mesi per adulterio
di Antonio Garibaldi

ROMA - Emanuele Macaluso si iscrisse al Pci nel 1941, entrò nella segreteria nazionale e Togliatti c’era ancora. Le gerarchie cattoliche hanno nostalgia del Pci che votava l’articolo 29 sulla famiglia, che ne dice? «Ma non votammo solo l’articolo 29, anche l’articolo 7 che inserì i Patti Lateranensi nella Costituzione».
Furono scelte tattiche?
«Ma no! Basta pensare a ciò che scriveva Gramsci dal carcere, sul ruolo del Vaticano, sulla necessità del rapporto tra contadini del Sud e classe operaia. Il blocco sociale su cui si incentrava la strategia del partito comprendeva le masse popolari cattoliche».
Così si arrivò a demonizzare De Marchi, e la contraccezione.
«Sì, era quella la cultura prevalente nel partito. Negli anni ’50 Berlinguer indicò alle giovani comuniste l’esempio di santa Maria Goretti. Io, intanto, finivo in carcere per la prima volta, anno 1945, perché convivevo con una donna sposata. Condannato a sei mesi, reato di adulterio».
Poi il partito è cambiato.
«Il partito seguì con ritardo i cambiamenti del paese. Tenne in secondo piano i diritti civili, partecipò con cautela ai referendum su divorzio e aborto».
Perché?
«Sempre per il rapporto con le masse cattoliche, per l’attenzione dovuta alla presenza della Santa Sede».
Eppure Avvenire si lamenta.
«Le responsabilità non sono nostre. La famiglia tradizionale è stata spezzata dal passaggio della società agricola a società industriale e ora post-industriale. Non si accorge, la Chiesa, che la nascita di tante famiglie di fatto è uno stimolo per il matrimonio».
I Ds ora sono un partito laico?
«Vedo ancora molta timidezza e la causa è il rapporto con la Margherita. Su questi temi si gioca anche la creazione del Partito Democratico».
due segnalazioni ricevute da Paolo Izzo:

Laicità, etica e diritti
Roma. Manifestazione domenica con Fassino, Melandri, Bettini, Rippa, Severi

Domenica 26 marzo 2006, al teatro Vittoria a Roma (piazza Santa Maria Liberatrice, 8), ore 10,00 - 13,00, manifestazione sul tema Laicità, etica e diritti promossa dalla federazione romana dei Democratici di Sinistra con la collaborazione di Quaderni Radicali, Agenzia Radicale, l’associazione “Amici di Quaderni Radicali”, Minerva, Nessuno Tv, Area, Club delle Donne.
Coordina il Sen. Esterino Montino, Segretario DS Roma
Relazione di Goffredo Bettini, Capolista DS Senato

Interventi: Pierluigi Severi, Coeditore rivista Minerva; Roberta Agostini, Coord. Donne DS Roma; Carlo Flamigni, Ordinario Ginecologia e Ostetricia Università di Bologna e Membro Consiglio Nazionale Bioetica; Giuseppe Rippa, Direttore Quaderni Radicali e Agenzia Radicale
Conclusioni di Giovanna Melandri. Interviene Piero Fassino

da Corriere della Sera Magazine del 23 marzo 2006
Luca Coscioni: lacrime di coccodrillo
di Giulio Giorello

Ricordate l'Aquilone? Pascoli avrebbe le sue difficoltà nel Pakistan di oggi, dove far volare questi simboli di libertà rischia di essere proibito anche per ragioni di sicurezza, poiché nelle gare qualcuno ha avuto la brillante idea di sostituire ai soliti cordini dei taglienti fili di ferro.
Ma la maggiore ostilità al «cervo volante» o alle sue varianti viene dai fondamentalisti (questa volta islamici) che sembrano non gradire tale manifestazione «pagana».
E c'è da chiedersi quale piacere, o gioco, prima o poi non apparirà sacrilego agli occhi del fondamentalista di qualsiasi credo.
Né c'è da stupirsene: il fondamentalista è un tipo che detesta questo mondo e odia la vita.
Per contrasto dedico le righe di questa mia rubrica a una persona che ha saputo, pur tra mille difficoltà, dire sì alla vita e lottare per il miglioramento di questo mondo: Luca Coscioni.
Ho aspettato che si attenuasse l'eco delle celebrazioni ufficiali — anche perché non amo coloro che quando era in vita hanno ostacolato o ignorato le iniziative di Luca e che in morte ne hanno invece lodato «l'impegno», stando bene attenti a non menzionare quale ne fosse la posta in gioco: la rivendicazione della dignità dell'esistenza (che è altra cosa dalla retorica sulla sacralità della vita), la libertà della ricerca, l'apertura a tutti, cittadine e cittadini, dei servizi via via messi a punto dalle conquiste della scienza e della tecnologia. Di qui un monito ai nostri politici (di qualunque schieramento): ai necrologi preferiamo i programmi (possibilmente chiari e brevi).
Ci piaceva di Coscioni quel suo «programma» etico che consisteva, detto in poche parole, nel contrapporre una cultura del coraggio a quella cultura del dolore ancora molto diffusa nel Paese.
Per esempio, a proposito del parto indolore, apprendo (Corriere della Sera, 14 marzo) che ci sono perplessità qui da noi per tecniche che sono invece consentite in Gran Bretagna o negli USA. Se si tratta di argomenti scientifici, che li si dichiari apertamente.
Ma, per favore, basta con i fondamentalisti del «partorirai con dolore».
Che voli alto l'aquilone per Luca, ma senza alcun filo di ferro.
su MAWIVIDEO
oltre alla lezione del 18 marzo del Prof. Massimo Fagioli

sono adesso disponibili anche le lezioni del 17 e del 18 marzo
della Prof.ssa Elena Pappagallo
e del Prof. Andrea Masini

È disponibile anche la registrazione dell'incontro di ieri al Residence Ripetta:
"La cultura cuore della trasformazione"
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QUESTO POMERIGGIO:
Sinistra Romana

MA CHE VITA È?
L'embrione è vita umana?


incontro dibattito su scienza e politica

con:
Giulio Cossu - Maura Cossutta
Elettra Deiana - Loredana De Petris
Luca Gianaroli - Mariella Gramaglia
Raffaella Nicolai - Mirella Parachini
Rosa Rinaldi - Giulia Rodano
Salvatore Bonadonna - Pino Galeota

introduce: Alessandro Cardulli
coordina: Elena Canali

venerdì 24 marzo 2006 dalle ore 17

presso
Casa delle Culture

via S. Crisogono, 46

www.sinistraromana.org

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