martedì 27 aprile 2004

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LA REGISTRAZIONE DEL

TERZO INCONTRO DI RICERCA PSICHIATRICA
2003 - 2004


svoltosi
nella Aula Magna della "Sapienza" di Roma
Sabato 24 Aprile 2004


È DISPONIBILE SUL SITO DI

WWW.MAWIVIDEO.IT
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Le Nuove Edizioni Romane
informano che

il volume Aula Magna 28 febbraio 2004

è disponibile alla LIBRERIA AMORE E PSICHE
e in tutti gli abituali punti di vendita

(a Firenze da STRATAGEMMA)



la violenza contro le donne

La Stampa 27 Aprile 2004
Crescono gli abusi in casa
A Mirafiori storie di ordinari maltrattamenti
di Lodovico Poletto


La violenza sulle donne ha il sapore di una cosa di casa. Si pratica in famiglia e gli «aguzzini» sono mariti o genitori. E quando si parla di violenza non è soltanto una questione di abusi sessuali, ma ci sono le botte e le pressioni psicologiche, che spesso sono così forti da far più male dei lividi. Da lasciare ferite che si rimargineranno con grande fatica.
Mirafiori Nord non è certo il quartiere più violento di Torino. E proprio per questo Il Cirsde (il centro interdisciplinare di ricerca e studi delle donne dell’Università) lo ha scelto come area tipo per una ricerca da titolo «Violenze Urbane», realizzata nell’ambito del progetto Urban sulle periferie in collaborazione con il Comune di Torino. La densità della popolazione in questa zona rispecchia l’andamento urbano, anche se, forse, è un po’ più anziana di altri angoli di Torino. Per tutto il resto Mirafiori Nord potrebbe essere un qualunque angolo periferia: i reati consumati sono nettamente in media con il resto della città, i problemi sono quelli comuni a molte altre zone.
Qui, in un quartiere percepito sostanzialmente come «sicuro», dove la gente non ha paura a camminare sola per strada la sera, lo scorso anno 161 donne hanno denunciato violenze. Lo hanno fatto tra mille difficoltà e ripensamenti, aiutate e convinte spesso da un’amica oppure da una persona loro molto vicina. Le statistiche che i ricercatori del Cirsde, con una certa fatica, hanno stilato raccogliendo le denunce presentate alle forze dell’ordine, ai pronto soccorso, ai Sert, ai consultori e alle strutture di servizio sociale raccontano che su 54 casi di violenza sessuale 38 si sono consumati tra le mura domestiche. Trentadue sono ad opera del coniuge, il resto da parte di un genitore. E non sfuggono a questa regola neppure i maltrattamenti: 84 su 107 hanno avuto come scenario le stanze di casa, e la mano che ha colpito è stata quella del marito.
Dati che fanno riflettere Franca Balsamo, docente universitario e responsabile scientifica del gruppo di ricerca del Cirsde e che dice: «Non c’è più violenza che in passato, ma il numero delle denunce dimostra che, tra le donne, è cresciuta la consapevolezza, è aumentata l’intolleranza verso quelle forme di abuso che prima erano considerate quasi fisiologiche. Subite come eventi inevitabili». E c’è ancora un altro fatto «anomalo»: la percezione della sicurezza. «Se il quartiere è considerato sicuro - dice ancora Franca Balsamo - la casa è quasi considerata uno spazio extraterritoriale. Lì capitano fatti che non rientrano nella vita della zona e le mura domestiche sono viste come uno spazio autonomo».
Riflessioni che, ieri, hanno animato a Torino Incontra il primo dei due giorni di dibattito sulle violenze urbane (si prosegue oggi con gruppi di lavoro a tema e con la partecipazione del coordinamento cittadino contro la violenza alle donne). E che serviranno come spunto anche per indagini future.
Ed è ancora Franca Balsamo a sottolineare un altro aspetto della questione: «I servizi sociali non sono ancora punti di riferimento per le donne, sebbene la loro presenza sul territorio sia molto diffusa. E questo perché sono poco conosciuti. Si sa della presenza di alcuni servizi telefonici, ma non di tutte le altre strutture».
E i violenti, chi sono? L’indagine del Cirsde - che ha interessato anche un campione di di mille donne e 300 uomini, intervistati telefonicamente - non traccia un profilo univoco. Il 24 per cento pensa che siano persone violente di natura; il 13 che siano «poco sani di mente» mentre il 12% li ritiene drogati oppure ubriachi. Di certo, in gran parte, erano familiari: mariti, fratelli, parenti prossimi o addirittura padri. Gli estranei sono una minoranza esigua dal punto di vista statistico. Eppure, nell’immaginario collettivo, sono proprio loro quelli che fanno più paura.

Cina

ricevuto da P.Cancellieri

Mdm/Rs/Adnkronos 26-APR-04 - 13:19
GENERAL MOTORS: LE VENDITE IN CINA SALGONO DEL 70% NEL PRIMO TRIMESTRE


Roma, 26 apr. - (Adnkronos/Marketwatch) - Il colosso statunitense General Motors, primo produttore di auto al mondo, ha annunciato di aver messo a segno un rialzo di quasi il 70% (69,9%) per le vendite di veicoli in Cina. Come si legge in un comunicato stampa pubblicato sul sito web www.gmchina.com, il gruppo ha venduto 122.097 veicoli nei primi tre mesi del 2004 attraverso le numerose joint venture nel paese. L'ottimo risultato dovrebbe aiutare il colosso di Detroit a strappare fette di mercato ai rivali, specialmente alla tedesca Volkswagen, che attualmente domina il mercato cinese con una quota del 33% a fine 2003.
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il manifesto 27.4.04
Viaggio nella Zona economica speciale, cuore del boom economico cinese
La furia domata di Shenzhen

Un modello seguito da tutta la Cina, ormai. Ma Shenzhen resta un luogo straordinario, una frontiera interna dove i tre quarti degli abitanti sono «in transito» e i lavoratori sono tutti giovanissimi, spremuti fino all'osso dalle mille aziende attirate dagli sconti fiscali e poi ributtati nella Cina «vera»
di ANGELA PASCUCCI


SHENZHEN Il suono di un Big Ben si alza a fatica sopra il rumore del traffico, congestionato sin dal primo mattino. Una Tour Eiffel illuminata di rosso, a grandezza quasi naturale, si staglia nella notte insieme a un David di Michelangelo. Eccola qua Shenzhen, dove la nuova Cina all'ennesima potenza si offre con un frullato di immaginario globale che vuol essere accattivante e invece lascia inquieti. Come il «Cafe di Napoli»: dipinti che fanno il verso al Rinascimento italiano, palle e stelle da addobbo di Natale che pendono dal soffitto, musica tirolese, menù dal gazpacho alla pizza margherita, all'apple pie; caffè «come a casa tua» (in italiano). Quale casa? In questa énclave del sud della Cina, scelta a metà degli anni `80 come prima Zona economica speciale e prima sperimentazione di denghismo puro, nessuno dei suoi ormai molti milioni di abitanti (tra i 5 e i 7 a seconda delle statistiche) può dirsi a casa. Perché questa è una città abitata al 95% da immigrati, giunti da ogni parte della Cina: fino a 25 anni fa era solo un piccolo centro di 30mila anime, contadini e pescatori, affacciato sul confine con Hong Kong. Il già allora vecchio Deng puntò qui il dito e decise un esperimento di ingegneria economica e sociale inaudito. L'inizio fu stentato, e nell'89 arrivò Tien Anmen, che parve segnare una battuta d'arresto: invece non fermò niente. Anzi, proprio da quel massacro si capì la determinazione dei leader che lo avevano ordinato ad andare fino in fondo nella strada intrapresa: riforme economiche radicali e apertura alla globalizzazione nascente. Così tutto ripartì di slancio, nel 1992, e il nuovo colpo d'avvio Deng Xiaoping lo sparò proprio da qui, avviando un golden rush da nuova frontiera. Perché questo è Shenzhen, un non-luogo di frontiera, selvaggio East senza storia né identità che proprio per questo coltiva il suo mito di nuova civiltà, «terra dei sogni del futuro».
Provate a parlare con chi ci vive, e ne fa parte integrante, beninteso. Come i cittadini a pieno titolo, poco meno di 1,4 milioni di persone che ottengono la residenza permanente per meriti professionali e politici speciali, per intercessione della compagnia da cui dipendono (che, se paga abbastanza tasse, matura il diritto ad un «pacchetto» di residenze) o perché, se sono dipendenti pubblici, superano un esame che comprende fra l'altro teoria marxista-leninista e materialismo dialettico. E' un drappello di eletti, che accede ai servizi pubblici, sanità, scuola, pagandoli meno dei comuni mortali, detentori solo di un permesso di soggiorno da rinnovare ogni anno. Quanto alla popolazione definita «di passaggio» - un fiume di braccia e menti a prezzi stracciati che arriva e se ne va - ammonta in media a quasi quattro milioni di anime. Ma se si contano i clandestini, numerosi dopo l'allentamento dei controlli alle frontiere che separano Shenzhen dal resto della Cina, si va ben oltre i 5 milioni ufficiali.
La funzionaria del governo municipale di Shenzhen, che accetta di incontrare la giornalista straniera a patto di non farlo nel suo ufficio e restare anonima, anche se non dirà nulla di compromettente, fa parte del primo drappello e si vede. Lavora in un dipartimento cruciale, quello che si occupa di attirare gli investimenti. Quarantenne, stretta nella giacca rosso fiamma che accentua la sua vivacità, racconta la vita di una pioniera che, grazie a buone entrature, è approdata qui fresca di laurea vent'anni fa dal lontano Shaanxi. Il Cafè di Napoli fa da sfondo appropriato al racconto soddisfatto di una vita che, condotta in un luogo concepito per dimostrare all'intera Cina che il nuovo corso era possibile e auspicabile, doveva essa stessa essere un modello. Nessuna nostalgia della provincia natia, dove sarebbe impossibile tornare dopo aver vissuto in una città così straordinaria. La signora adora questa metropoli ambiziosa, esagitata, che vuole battere ogni record, anche se ha una sovranità molto limitata. Ma, si intuisce, già non è più come una volta.
Intanto, non è più così straordinaria. Shenzhen doveva essere il primo sasso gettato nel fiume per attraversarlo, secondo la metafora di Deng, ma ormai tutta la Cina è un unico, enorme ponte di pietre ben più grandi, come la megagalattica Shanghai, che non ha i limiti territoriali di Shenzhen e gode di più favori a Pechino. Così il municipio si arrovella per escogitare nuovi incentivi. Strumento primo restano le tasse, il cui livello, tra esenzioni totali per i primi due anni e tassi ridotti nei successivi, attrae ancora molto, come si evince dalla lunga lista di multinazionali investitrici - tutte quelle che contano tra le 500 di Fortune, soprattutto giapponesi e americane, con scarsa ma qualificata presenza europea. Adesso la parola d'ordine è incoraggiare l'alta tecnologia: elettronica, comunicazione, chips, biotech.
L'obiettivo primario del nuovo piano decennale è attrarre dall'interno e dall'estero 300mila cervelli, tecnici altamente specializzati. Di fatto, arriveranno anche altre ondate di migranti, a calmierare i prezzi della manodopera di base. Per gli operai, la municipalità ha fissato un salario minimo di 600 yuan al mese (poco più di 60 dollari), comunque più alto della media cinese. Perché sono i migliori che si vogliono attirare: «diligente, avventuroso, di mentalità aperta, adattabile a nuovi modi e concetti», è l'identikit del cittadino modello di Shenzhen. La nuova frontiera è già tracciata. La funzionaria, anche per obbligo d'ufficio, sprizza ottimismo. E comunque ha in serbo anche altri orizzonti: suo figlio, 17 anni, sta finendo gli studi superiori in Australia (le scuole australiane vengono in Cina a reclutare nuovi allievi). Ma il sogno del ragazzo, dice, sono gli Stati uniti.
Sono vent'anni che Shenzhen cresce a rotta di collo. Ancora nel `92 c'era un'unica grande strada, la Shennan Lu, costeggiata dai primi grattacieli oltre i quali c'erano solo strade sterrate che finivano in campagna. Oggi intorno a questo cardine originario si è estesa a tempo di record una metropoli immensa che non smette di crescere, anche se presto non avrà più suolo per farlo, visto che dispone di poco più di 2.000 kmq (metà del Molise). L'ombra del limite grava su questa frenesia, aggrappata al sogno di un'eterna transizione, come d'altra parte è oggi tutta la Cina, che nasconde dietro questa parola chiave tutte le storture della sua eccezionale metamorfosi. E chi meglio di una popolazione «in transito» può sostenere una transizione? Anche in questo Shenzhen è un caso unico al mondo. L'età media della sua popolazione è inferiore ai 30 anni. Incontrare per strada un anziano è rarissimo. La mezza età è sporadica, apparentemente invisibile: o è rinchiusa nei posti di comando e nei luoghi della ricchezza o sta nel margine oscuro. Come il gruppo di uomini ben oltre la trentina, che l'aria timida e guardinga segnala come clandestini, che a mezzanotte cominciano a caricarsi pesanti ceste piene di malta sulla schiena per portarle dentro un edificio in ristrutturazione. Ma chi riempie i marciapiedi, i negozi, i locali, in un colpo d'occhio irreale, è una folla immensa di poco più che adolescenti, ingoiati ed espulsi con rapidità dalla «fabbrica del mondo» che ha bisogno in continuazione di sangue e mani giovanissime per continuare a pieno ritmo, per essere sempre più competitiva.
La fabbrica qui è ovunque. Al sesto piano di un edificio in un intrico di strade che costeggia una delle grande arterie c'è la Shenzhen Jingyi Electronic Co. Ltd che produce circuiti integrati. Qui 180 operai (80% donne) si avvicendano in due turni. Volti impenetrabili quasi di bambini, diversi l'uno dall'altro perché le provenienze sono diverse, lavorano chini sui banconi, in lunghe file, e montano gli elementi dei circuiti. Giovani mani armate di lunghe pinze incollano rapide e precise componenti minuscole sui wafer che saranno il cuore elettronico di tutti i nuovi oggetti della nostra vita, dai telefonini ai lettori cd. Fa da sfondo sonoro il tonfo delle presse che stampano i circuiti, 24 ore su 24. Il calcolo sul carico di lavoro degli addetti è presto fatto, anche se il proprietario, signor Jin, 48 anni, parla di otto ore al giorno. Decine di tazze da tè, una diversa dall'altra, in fila su un ripiano parlano ancora di vecchia Cina; e per la verità anche i bagni, già fatiscenti anche se l'edificio non è vecchio. Il salario è di 1.000 yuan (100 dollari più o meno): ma comprende l'assicurazione sanitaria, 300 yuan, e un contributo per il dormitorio. Un letto in cui dormire è parte integrante di questo sistema di produzione basato sui migranti, e tutte le fabbriche ne dispongono. Quando si lascia il lavoro, si perde tutto. Licenziare non è difficile; ma c'è anche chi decide di andarsene di propria volontà, visto che il mercato del lavoro è sempre in movimento. In questo quadro di mobilità spinta, la domanda sulle coperture per la gravidanza, vista l'alta percentuale femminile, viene recepita come un non senso. Nessuna operaia arriva alla gravidanza, risponde il proprietario. Sono tutte troppo giovani, e se ne vanno in fretta: il turn over medio è del 10% al mese.

(1-continua)

il manifesto 27.4.04
TORO SCATENATO


Il vero simbolo di Shenzhen non sono i cartelloni e le statue del «fondatore» Deng, innalzati ai crocevia o nei parchi, ma la scultura di un toro in posizione d'attacco collocato davanti all'attuale sede del municipio, peraltro in via di trasloco verso un edificio più grandioso. E forza e furia non sono mancate alla Zona economica speciale, che nei primi vent'anni, in termini di sviluppo economico, è cresciuta al passo del 32% l'anno. Nel 2003, l'aumento del Pil è stato del 17,3% (quando la Cina nel suo complesso ha vagato intorno all'8%). Sempre nel 2003, questa énclave grande quanto metà del Molise si è piazzata al quarto posto tra le città cinesi per Pil realizzato (poco più di 28 miliardi di dollari) e al terzo come percettrice di investimenti esteri (intorno ai 6 miliardi di dollari), ma al primo posto quanto a valore delle merci esportate (circa 62 miliardi di dollari). Tanto che il suo porto per movimentazione è il quarto nel mondo. Il Pil medio pro capite è di 5.558 dollari. Ma il capolinea pare avvicinarsi. Il suolo utile per lo sviluppo si sta esaurendo: restano poco più di 200 kmq in periferia, e 30 in centro. Con la crescita a dismisura, aumentano i problemi sociali, molto legati alla spropositata percentuale della popolazione fluttuante, circa 4 milioni di persone, più molti «illegali». Lo scorso anno i crimini sono aumentati del 57%, i rapimenti del 75%. I tassisti guidano chiusi dentro gabbie di ferro, le finestre delle abitazioni sono chiuse da sbarre, dal primo all'ultimo piano. La corruzione è endemica anche se ufficialmente negata. Ha fatto scalpore questo mese la proposta di dare ai funzionari pubblici «onesti» una liquidazione da due milioni di yuan (oltre 200mila dollari) come premio a una carriera pulita . Essere «speciali» costa caro.

il manifesto 27.4.04
TERRATERRA
Sviluppo insostenibile sul Mekong
di MARINA FORTI


Sembra un compendio dello «sviluppo in-sostenibile». L'elenco comincia con decine di grandi dighe, continua con il progetto di far saltare una serie di rapide con la dinamite per rendere navigabile il fiume, finisce con la scomparsa delle foreste... Il fiume in questione è il Mekong, che nel suo corso tra l'altopiano del Tibet e il Mar Cinese meridionale tocca sei paesi e forma un bacino abitato da 250 milioni di persone. E il «compendio» del suo degrado è nell'Atlante dell'ambiente della sub-regione del grande Mekong, appena pubblicato dal Programma per l'ambiente delle Nazioni unite (Unep) insieme alla Banca asiatica di sviluppo (gli organismi internazionali vanno pazzi per definizioni come «sub-regione»: nel caso del Mekong è in voga dalla metà degli anni `90, quando Banca Mondiale e Banca Asiatica di Sviluppo hanno cominciato a lanciare grandi progetti di infrastrutture e di sviluppo tra i paesi rivieraschi). Il Greater Mekong Subregion Atlas of Environment raccoglie per la prima volta informazioni sulle risorse naturali e lo stato dell'ambiente lungo tutto il fiume, e in questo senso è un primo esperimento di cooperazione regionale. Dice che il degrado ambientale è il problema più pressante a cui debbano confrontarsi i paesi rivieraschi. L'elenco dunque comincia dalle dighe: ce ne sono decine in cantiere, sul Mekong stesso e sui suoi affluenti. La prima a buttarsi sui grandi progetti idroelettrici è stata la Cina, fin dai primi anni `80, nella più grande discrezione. Nello Yunnan il Mekong scorre tra grandi gole con dislivelli notevoli, si presta bene: così la prima diga è stata ultimata nel `96, la seconda nel 2003, la terza è in cantiere e altre cinque sono in fase di progettazione - le autorità cinesi la chiamano «cascata di dighe». Tutto questo ha provocato apprensione a valle, perché così la Cina potrà controllare in larga misura la portata d'acqua del fiume. Del resto anche il Laos ha costruito le sue dighe su due importanti affluenti, che contribuiscono per circa un terzo dell'acqua che scorre verso la Cambogia e il delta.
Soprattutto, l'Atlante guarda le proiezioni demografiche nella regione, e si allarma. Nel 2015 si attende che la popolazione del Mekong sarà salita a 290 milioni, e questo basta di per sé ad aumentare la pressione sulle risorse naturali. Oggi la maggioranza della popolazione nel bacino del Mekong è rurale (il 70% nella parte bassa, dal Laos e Thailandia a Cambogia e Vietnam), e l'agricoltura è praticata sul 21 percento della terra. Con l'aumento della popolazione e (si spera) del livello di benessere di paesi poverissimi come il Laos e la Cambogia, è ovvio che aumenterà la domanda di cibo. La Thailandia, il paese più sviluppato della regione, potrebbe raddoppiare la sua domanda di materie prime nei prossimi 25 anni. Allo stesso tempo è da attendersi una forte emigrazione verso i centri urbani. I fenomeni di inquinamento urbano e industriale, per ora localizzati, potrebbero diventare gravi.
Non solo: la necessità di produrre più cibo spingerà a prosciugare molte zone umide e acquitrinose attorno al fiume per coltivarle, e a colonizzare le foreste per guadagnare altra terra da arare. Aumenteranno problemi già visibili, dall'erosione di pendici montagnose denudate alla salinizzazione. Il bacino del Mekong, in particolare dal Laos a valle, vive di un ciclo stagionale unico: il fiume si gonfia nella stagione delle piogge e straripa, allagando le pianure su cui lascerà un buonissimo limo. Nonostante l'alluvione il fiume si gonfia a tal punto, la corrente è così impetuosa, che l'acqua comincia a risalire lungo alcuni affluenti: è il caso del Tonle Sap, che inverte la sua corrente e risale fino al lago omonimo. Poi le acque si ritirano, il Tonle Sap si svuota, la corrente torna a scorrere verso valle. I pesci che avevano risalito la corrente appena nati tornano a valle cresciuti: è la stagione migliore per la pesca. E il pesce è la principale se non unica fonte di proteine nella regione, soprattutto per la popolazione rurale - e l'industria peschiera interna, poco contabilizata, è la base della sopravvivenza dell'Indocina intera. Tutto questo è minacciato.

antidepressivi e rischio cardiovascolare

ricevuto da P.Cancellieri

Yahoo! Salute 26.4.04
Antidepressivi e rischio cardiovascolare
da Il Pensiero Scientifico Editore


Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Clinical Pharmacology and Therapy alti dosaggi (superiori a 100mg/dì) dei vecchi farmaci antidepressivi (i cosiddetti triciclici) sarebbero associati a mortalità cardiaca improvvisa. Tale rischio non esisterebbe, invece per gli inibitori del reuptake della serotonina (SSRI), la nuova classe di antidepressivi attualmente disponibili.
La depressione è una condizione patologica, a cui va incontro nel corso della sua esistenza tra il 5 e il 15 per cento degli esseri umani. Essa può insorgere anche del tutto spontaneamente (cioè, può non essere preceduta da alcun evento spiacevole). In altri casi, un evento scatenante c’è, ma la reazione della persona appare sproporzionata, per intensità e/o durata, rispetto all’evento. Il quadro clinico non comprende soltanto la tristezza, ma anche diversi altri aspetti.
Il funzionamento sociale e lavorativo è compromesso in maniera più o meno significativa. Le distrazioni e i viaggi non hanno alcun effetto sullo stato d’animo della persona oppure hanno un effetto molto limitato. Un adeguato trattamento farmacologico e/o psicoterapeutico è in grado invece, nella grande maggioranza dei casi, di migliorare in maniera molto significativa o di risolvere la situazione.
I ricercatori della Vanderbilt University di Nashville (USA), coordinati da Wayne Ray, hanno esaminato il database del Tennesse Medicaid, in cui erano contenuti i dati relativi ai ricoveri occorsi nel periodo compreso fra il 1988 e il 1993. L’obiettivo era quello di indagare la relazione tra uso di antidepressivi e rischio di morte cardiaca improvvisa. Durante il periodo in esame sono state registrate 1487 morti improvvise. I ricercatori hanno osservato che il rischio di mortalità improvvisa aumentava all’aumentare del dosaggio dei farmaci. In particolare per chi assumeva i triciclici tale rischio non aumentava per dosaggi inferiori ai 100 mg giornalieri, mentre raddoppiava per dosi superiori ai 300 mg/dì. "Questi risultati", commentano i ricercatori, "dovrebbero indurre gli specialisti ad adottare cautela nel prescrivere dosaggi particolarmente alti di questi farmaci in pazienti al di sopra dei 65 anni d’età o con preesistenti malattie cardiovascolari".

Bibliografia. Ray WA, Meredith S, Thapa PB et al. Cyclic antidepressants and the risk of sudden cardiac death. Clin Pharmacol Ther 2004;75:234-41.

Paul Auster

una segnalazione di Paolo Izzo

Corriere dela Sera 26.4.04
Auster, se l'irrazionale irrompe nel quotidiano
Il caso è uno dei temi ricorrenti nella sua narrativa Come in «Oracle Night», ispirato al «Falcone Maltese»
ANTICIPAZIONI. Il nuovo romanzo dell'autore di «Trilogia di New York» uscirà in Italia a giugno
di Fernanda Pivano


Quanto tempo è passato, non ricordo neanche più quanto, da quella mattina che Paul Auster è venuto a cercarmi in albergo a New York, e io sono rimasta commossa dalla sua bellezza, con la sua giovinezza silenziosa e insieme esplosiva, con gli occhi verdi, così verdi che sembravano finti, e lui sommesso, quasi timido, che mi parlava di un suo libro che non era ancora uscito, illuminato di speranze inferiori perfino al successo che quel libro ha accolto, come avrebbe accolto tutti gli altri usciti da allora, e sono undici e ormai nessuno ha più problemi a definirli: ormai tutti parlano del suo espressionismo astratto e peggio per chi non capisce che cos'è. Paul Auster continua ad avere i suoi occhi verdi, anche se in una recensione hanno scritto chissà perché che i suoi occhi sono neri, continua a essere l' eroe di Brooklyn, continua a incantare milioni di lettori in tutto il mondo raccontando le sue storie a volte difficili da comprendere con la logica ma sempre facilissime a impegnare emozioni tremanti e paure segrete. La celebrità prorompente gli è venuta col cinema, quando ha fatto la sceneggiatura e ha diretto con il regista cinese Wayne Wang il film Smoke, creando vera sensazione tra lettori e spettatori con un improvviso atteggiamento di apertura alla comprensione; e forse creando una sensazione a se stesso, con quel racconto che sfiorava l' illusione della chiarezza nel costruire una Brooklyn come lui l' ha sognata tutta la vita ma in modo da farla sognare a chiunque la vedesse lì sullo schermo, senza possibili trucchi. Nella leggenda di Smoke ha fatto altri due film, ma poi, chi lo sa, forse il ricordo dello zio Allen Mandelbaum e della sua traduzione della Divina Commedia e del baule di libri che ha affidato in Francia a Paul ragazzo (che però li ha letti), chi lo sa cos'è stato a riportarlo al suo tavolo dove passa tutte le sue giornate a scrivere, cancellare, buttare via fogli strappati, scrivere da capo per cancellare ogni traccia di chiarezza logica; ma qualunque cosa sia stata, eccoci qua tutti attenti alle sue pagine di un libro nuovo che in Italia Einaudi farà uscire il 1° giugno, sbalorditi dal fatto che il libro sia ispirato da uno scrittore tutt' altro che espressionista e tutt'altro che astratto qual è stato Dashiell Hammett, che tra una prigione antifascista e l'altra ha occupato anime e memorie con le sue favole assurde e bellissime. Dashiell Hammett è presente in questo libro con una storia assurda e bellissima, vagamente ispirata al suo Falcone Maltese e al suo protagonista Flitcroft, che ha occupato la mente di Paul Auster dal 1990 quando il regista tedesco Wim Wenders gli ha telefonato all' improvviso e gli ha offerto di collaborare a un film che usava la versione di Hammett come punto di partenza. L'offerta del film è caduta nel nulla, ma per dieci anni Paul Auster ha costruito una biografia sul personaggio di Hammett e gli ha dato un altro nome. Così è nato Sidney Orr, narratore della storia nel romanzo Oracle Night; Sidney Orr che il 18 settembre 1982 alle dieci del mattino ha lasciato l'appartamento dove viveva con la moglie a Brooklyn e ha camminato, camminato, camminato. In quel cambiamento delle sue abitudini il protagonista Orr avvia una serie di avvenimenti che cominciano con l' acquisto di un taccuino azzurro in una cartoleria e finiscono 200 pagine dopo in un terribile atto di violenza che trasforma la sua vita e il suo modo di vedere il mondo. Questa trasformazione Orr la racconta venti anni dopo che è accaduta, mentre è ancora immerso nella frattura della sua vita. E' tipico della scrittura di Paul Auster che il narratore di una storia narri insieme a quella storia anche la storia propria, e qui è su questa storia propria che è basato il personaggio ispirato a Dashiell Hammett. Questa idea della narrazione sopra la narrazione, i lettori di Auster certamente lo ricordano, è tipica della narrativa dell' autore e ci siamo abituati a ritrovarla fin dai suoi primissimi romanzi: sottolinea il metodo stilistico di Auster nella sua serie di romanzi apparentemente realistici ma che sono in realtà racconti irreali. In questo romanzo uno dei personaggi si chiama John Trause, che è un anagramma del nome di Auster, e ha la stessa età di Auster; e mentre ne parla, Paul Auster dice che in realtà né John Trause né Sidney Orr gli somigliano, eppure messi insieme, dice Auster, rappresentano «qualche cosa di me anche se non so precisare che cos' è quel qualche cosa. La maggior parte di quello che faccio è inconscio, non so da dove mi vengono le idee, non so spiegare il lavoro che faccio, ma lo posso difendere, posso soltanto difenderlo. Al di là di questo non so niente». Le sue tendenze postmoderne sono chiare. Auster non perde occasione per insistere che la vita degli individui è governata da interventi casuali del destino, dal caso e dalla coincidenza oltre che dall' educazione del personaggio. «Cerco di rappresentare nei miei racconti il mondo che conosco - dice Paul Auster -, la realtà nella quale ho vissuto e che è così piena di sorprese, del tutto imprevedibile». Ha scritto anche un racconto dove ha cercato di scoprire «se la vita di altre persone era strana come la sua»: tutto questo spiega anche la definizione della sua scrittura come metanarrativa, cioè di uno stile che racconta una storia raccontando insieme il racconto di quella storia. Ma quello che forse bisognerebbe ricordare è la possibile influenza nella sua narrativa di episodi autobiografici. Per esempio nel 1998 il figlio Daniele che ha avuto dalla prima moglie, la poetessa Lydia Davis, è stato condannato a vent'anni di prigione per aver rubato 3.000 dollari da uno spacciatore di droga morto, e si era detto che era stato presente all' uccisione dello spacciatore. Un fatto abbastanza strano è che il terzo romanzo dell'attuale moglie di Paul Auster, Siri Hustved, racconta la storia di una coppia di artisti con un figliastro che rimane inguaiato con l'assassino di un tale: e anche in questo Oracle Night (La notte dell'Oracolo) l'omologo di Auster, John Trause, ha un figlio strano, Jacob, che si presenta nel romanzo come un angelo vendicatore ma è ricoverato in una clinica per nascondersi da spacciatori di droga ai quali deve 5.000 dollari e finisce assassinato. Sicché si può anche leggere l'opera di Paul Auster scoprendovi dei riflessi della sua vita; ma tra gli avvenimenti violenti delle storie ci si deve sempre basare su proposte di sopportazione, di sopravvivenza, di resistenza. Paul Auster, quando parla della madre morta qualche mese prima di questo romanzo, dice: «Ci volevamo molto bene ed è morta all'improvviso, e per qualche tempo mi ha angosciato. Il dolore è qualcosa alla quale nessuno vuole rivolgersi, e occorrono anni, anni, per superare una grande perdita». La vita di Paul Auster non è stata priva di dolori. Il padre ha abbandonato la famiglia ma la sua assenza era stata accettata anche prima della sua morte avvenuta di recente e Paul Auster lo ricorda con tenerezza pensando a gesti gentili che ha fatto per aiutare la povera gente e che lo scrittore ha scoperto quasi per caso. Ma soprattutto lo ha impressionato la scoperta di una sua scatola con ritagli di giornale, che riferiscono l' assassinio del nonno eseguito dalla nonna il 23 gennaio 1919. «Giusto sessant'anni prima che morisse mio padre», dice Paul Auster. Paul Auster fa notare che in quella generazione simili avvenimenti non venivano raccontati, tutti li tenevano chiusi dentro di sé; ed è contro questo senso di totale anonimità che Auster si rivolge quando scrive: ormai è chiaro che scrive all' ombra di dolori e sofferenze e contro la sua stessa mortalità, ricostruendo la vita di personaggi danneggiati dalla sfortuna, da errori, da tragedie incalzanti, al punto che, gli pare, è impossibile ricostruire vite vere che sono state lacerate da circostanze simili. E ora, acclamato scrittore di metanarrativa, di espressionismo astratto, di dolori in realtà inesprimibili, pensa che l'unica ragione per vivere è di vivere la sua vita soltanto come scrittore.
BIOGRAFIA L'autore e il libro Paul Auster è nato nel 1947 a Newark, in New Jersey. Dopo la laurea alla Columbia, dal 1970 trascorre quattro anni in Francia. Al ritorno esordisce, usando lo pseudonimo Paul Benjamin (il suo secondo nome), con la detective story Squeeze Play, ma è la Trilogia di New York ('87) a dargli la celebrità. Gli ultimi suoi testi tradotti in Italia sono Il libro delle illusioni e Leviatano (Einaudi).

Oracle Night edito dalla Henry Holt di New York uscirà il 1° giugno 2004 da Einaudi col titolo: La notte dell' oracolo, tradotto da Massimo Bocchiola (pagine 208, euro 16,50).

Hans Magnus Enzensberger
secondo Alberto Oliverio

Il Messaggero Martedì 27 Aprile 2004
Saggi/ Le riflessioni liriche e in prosa dello scrittore, che guarda alla ricerca come uno dei multiformi aspetti dell’umanesimo
Enzensberger, quanta poesia nella scienza
di ALBERTO OLIVERIO


«LA POESIA della scienza non è palese. Scaturisce da strati più profondi. E’ una questione aperta se la letteratura sia in grado di praticarla alla stessa altezza. Alla fin fine, al mondo può essere indifferente dove si manifesti la forza d'immaginazione della specie, purché continui a restare viva». Così afferma Hans Magnus Enzensberger nel suo ultimo libro, Gli elisir della scienza pubblicato in italiano da Einaudi (245 pagine, 21 euro), che si conclude con l’affermazione che «la poesia è all’opera là dove nessuno l’immagina».
Lo scrittore tedesco ha sempre manifestato un forte interesse per il mondo della scienza e delle tecnologie come testimoniano opere come Mausoleum (che reca il sottotitolo Trentasette ballate tratte dalla storia del progresso , 1979), il visionario La fine del Titanic (1990) o quel fortunatissimo divertimento, solo in apparenza dedicato esclusivamente ai bambini, che è Il mago dei numeri (1997), opera che ha conosciuto una grandissima popolarità grazie alla leggerezza e alla dimensione fantastica con cui tratta un tema apparentemente “arido”, quello appunto dei numeri. Gli elisir della scienza , che ha il sottotitolo indicativo Sguardi trasversali in poesia e prosa , è una raccolta di poesie e interventi in prosa assemblati in modo molto personale: come quando enuclea alcuni brani della testimonianza di Ugo Cerletti, che nel 1938 sperimentò per la prima volta gli effetti dell’elettroshock su un povero paziente di cui vengono raccolte le stupefatte, terrorizzate parole. Ma accanto a questo brano drammatico, centrato sulla disumanità e violenza di quell’intervento psichiatrico la cui giustificazione scientifica «manca purtroppo tuttora» ne figurano altri di grande lirismo, come la cronaca della visita al Cern di Ginevra, la gigantesca struttura dove si studia la fisica delle particelle, i cui «ambienti sotterranei evocano la navata centrale di una cattedrale, anche se erano riti e misteri di tutt’altra natura quelli di cui si occupano i suoi sommi sacerdoti». In questa e in altre grandi imprese della fisica Enzensberger individua una dimensione quasi spirituale, alla pari del grande scrittore svizzero-tedesco Friedrich Dürrenmatt che si chiese se «il Cern non potesse alla fine rivelarsi un istituto di ricerche metafisiche, anzi teologiche».
Per l’autore de Gli elisir della scienza l’impresa scientifica si presenta come il viaggio di Ulisse, l’affannosa ricerca di una dimensione che trascenda l’immediatezza, il tentativo di elevarsi sulla banale quotidianità: «Leggere i segni nelle ossa, nelle stelle, nei cocci,/ per il benessere della comunità, leggere nelle budella/ ciò che è stato e ciò che ci attende/ o Scienza! Che tu sia benedetta,/ benedetto il tuo piccolo lumino,/ un po’ bluff un po’ statistica...» . Ma la scienza, per Enzensberger, deve avere una dimensione aperta, essere caratterizzata dalla provvisorietà, non dalla “arroganza” del definitivo, perché altrimenti prevaricherebbe i valori umani, perderebbe la sua valenza utopica.
Il tema dell’utopia scientifica e della sottile linea di demarcazione che può separare una scienza carica di valori positivi da una in grado di minacciare i valori umani viene sollevato in un capitolo dal titolo indicativo (“Golpisti in laboratorio”) in cui Enzensberger manifesta i suoi dubbi e timori nei confronti delle nuove tecnologie della riproduzione e dell’ingegneria genetica. Non solo teme che il desiderio di utopia possa congiungersi con il desiderio di onnipotenza di scienziati sempre più sciamani e sempre meno razionali, ma anche che la scienza, da strumento illuministico di emancipazione e liberazione dai poteri tradizionali, si trasformi in una fondamentale rotella dell’ingranaggio di controllo e del sistema di potere sopranazionale, malgrado i fautori della “nuova scienza” si appellino a intenti umanitari di cui, «da Campanella a Stalin, ogni progetto utopistico si è sempre vantato». Tra le utopie (negative) citate da Enzensberger non figura quella nazista ma è evidente che lo spettro dell’eugenica hitleriana allunga la sua ombra su molti dei timori che egli manifesta nei confronti delle biotecnologie e della nuova genetica: eppure, malgrado egli consideri queste innovazioni non elisir ma veleni, il suo cuore condivide gli ideali delle grandi imprese scientifiche, uno dei multiformi aspetti dell’umanesimo.

Masako: la principessa depressa

Repubblica 27.4.04
Assente dalla vita pubblica da cinque mesi per problemi di salute e di stress, è rientrata ieri notte quasi in incognito
Masako, la principessa triste torna a palazzo a Tokyo
Le immagini del rientro trasmesse dalle reti televisive mentre teneva in braccio Aiko, la figlia di due anni e mezzo


TOKYO - La principessa è tornata a corte. La moglie del principe ereditario giapponese Naruhito e madre della principessa Aiko, assente dalla vita pubblica da cinque mesi per problemi di salute e di stress, è tornata ieri notte, quasi in incognito, nel palazzo Akasaka di Tokyo.
Le immagini del ritorno a casa di Masako, 40 anni, sono state trasmesse dalle reti tv. La principessa, che teneva in braccio la figlia Aiko, di due anni e mezzo, era su un pullmino a tendine chiuse.
Non ci sono stati ancora annunci dell'Ente della casa imperiale che il 2 aprile scorso aveva ammesso le precarie condizioni di salute della moglie del principe ereditario e predetto un prolungamento della sua assenza dalla vita pubblica. La principessa nel frattempo si era ritirata in una villa segreta nell'altopiano di Karuizawa, 200 chilometri a nordovest di Tokyo, dove è rimasta per un mese e due giorni.
Continua così il mistero sulla natura del "male oscuro" che travaglia la ex diplomatica di carriera, molto amata dalla popolazione, divenuta principessa, oggi quarantenne. Ufficialmente, Masako nel dicembre scorso dovette essere curata per una forma di fuoco di Sant'Antonio, nome popolare per una forma, a volte grave, di infezione da virus dell'herpes zooster, causata sovente da stress e depressione.
"Ci sono alti e bassi nelle sue condizioni fisiche e giorni in cui non si sente bene", aveva detto il 2 aprile scorso il gran ciambellano Hideki Hayashida. Nella villa segreta a Karuiwaza la principessa è stata continuamente assistita dalla madre e ha ricevuto la visita del padre, Hisashi Owada, ex alto funzionario del ministero degli Esteri, ex ambasciatore all'Onu e attualmente giudice del Tribunale internazionale dell'Aja.
A Palazzo Akasaka, la residenza ufficiale del principe ereditario, Masako ritrova il marito Naruhito, 44 anni, ma per poco tempo. Il 12 maggio il principe partirà per un viaggio ufficiale in tre paesi europei, per presenziare alle nozze dei principi ereditari di Danimarca e di Spagna, e per una visita in Portogallo. Masako avrebbe dovuto accompagnare il consorte, ma i piani sono stati annullati da tempo per il perdurare dei suoi problemi di salute psico-fisica.

guerre di religione di cui in Italia non parla quasi mai nessuno

Il Giornale di Brescia 27.4.04
La polizia riprende il controllo di molte zone ma gli scontri interreligiosi continuano
Molucche: situazione sempre tesa


AMBON (Indonesia) Dopo due anni di relativa calma, è tornata ad esplodere la violenza tra musulmani e cristiani nelle Molucche, le isole famose in epoca coloniale per il commercio delle spezie e che dal 1945 fanno parte dello Stato Indonesiano. Ventitré persone sono morte negli ultimi giorni ad Ambon, capoluogo di questo arcipelago tropicale a 2400 km da Giakarta, in scontri furiosi tra le due comunità religiose. In ospedale sono ricoverati un centinaio di feriti. Il vescovo cattolico della città, mons. Petrus Cansius Mandagi, ha detto che la situazione «è molto tesa», anche se in serata sono cessati i colpi d’arma da fuoco e la polizia sembra aver ripreso il controllo della situazione; tutto - ha ricordato il presule - è cominciato l’altro ieri, quando una ventina di cristiani protestanti hanno voluto celebrare, con un corteo strombazzante di automobili, il 54° anniversario dell’effimera Repubblica (cristiana e filo-olandese) delle Molucche del Sud nel 1950. La situazione è degenerata perché gruppi di estremisti musulmani hanno assaltato la manifestazione con sassi e bastoni. Per tutta la giornata - ha riferito mons. Mandagi - si sono udite esplosioni e facinorosi di entrambe le parti si sono affrontati armati di machete e bombe rudimentali. La città, attualmente di circa 400mila abitanti (per metà musulmani e per metà protestanti; i cattolici sono 10mila), era un tempo indicata come un esempio di coesistenza interreligiosa. Ma tutto è cambiato con l’ondata del fondamentalismo islamico che si è propagato nell’ultimo decennio anche nei lembi più estremi del Sud-est asiatico, dove operano ormai anche gruppi legati ad Al Qaeda. Nel 1999 per un banale incidente, una lite su un autobus ad Ambon tra un cristiano e un musulmano, era scoppiata una vera e propria guerra interreligiosa durata fino al 2002. In quei tempi migliaia di integralisti musulmani erano accorsi da Giava (l’isola principale dell’Indonesia, al 90% musulman a) per combattere la Jihad anti-cristiana e circa 700mila persone avevano abbandonato l’arcipelago delle Molucche, dove ora sono rimasti circa 2 milioni di abitanti. «Dopo il 2002 - racconta mons. Mandagi - la situazione sembrava normalizzata; i rapporti tra le due comunità erano tornati ad essere relativamente buoni, un cristiano poteva recarsi in un quartiere musulmano e viceversa senza troppi problemi». «Per il futuro - ammette - non sono in grado di fare previsioni. Sono però convinto - aggiunge - che la maggioranza della popolazione vuole la coesistenza». Certo è che le tensioni interreligiose sono un dato endemico in questa parte di Asia, come dimostra anche la situazione della Thailandia, dove ormai da gennaio, si susseguono scontri e incidenti tra la minoranza musulmana povera del Sud del Paese e le altre componenti religiose, la maggioranza buddhista innanzitutto e gruppi di evangelizzatori.

donne nella storia
l'imperatrice Sissi d'Asburgo (1837-1898)

L'Arena Lunedì 26 Aprile 2004
L’imperatrice, vissuta quanto più lontana poteva dalla Corte asburgica, riprende con il nuovo Museo il suo posto nell’ex palazzo imperiale
Sissi, la verità dietro al mito
Un regalo di Vienna a 150 anni dalle nozze con Francesco Giuseppe


L’imperatrice austriaca Sissi (1837-1898), nella finzione cinematografica adorata dai suoi sudditi ma in realtà vissuta quanto più lontana poteva dalla Corte asburgica, riprende con il nuovo «Museo di Sissi», il suo posto nell’ex palazzo imperiale di Vienna. «La nuova inquilina dell’Hofburg è una donna che non ha lasciato quasi niente, fuorché alcune poesie malinconiche e un mito non creato da lei stessa» ha detto nella presentazione alla stampa lo scenografo teatrale Rolf Langenfass, realizzatore artistico del nuovo museo dedicato alla sovrana asburgica anticonformista.
Il museo apre esattamente 150 anni dopo il matrimonio della 16/enne principessa bavarese Elisabetta con il cugino Francesco Giuseppe, celebrato il 24 aprile 1854. Il nuovo omaggio alla imperatrice dalla fama postuma è ospitato in sei sale della reggia invernale degli Asburgo, accanto agli appartamenti privati della famiglia imperiale, da tempo già aperti al pubblico.
Il logo del museo - una silhouette nera di Sissi- rivela l’intenzione principale di questa nuova attrazione turistica della capitale austriaca: mostrare una personalità che da viva era visibile per i suoi sudditi solo come ombra lontana, sempre vestita di nero (da quando si era suicidato nel 1889 il figlio Rodolfo), nascosta agli sguardi da enormi ventagli e ombrelli, sempre in viaggio, in continua fuga dal cerimoniale di Corte.
Solo dopo l’improvvisa morte dell’infelice Sissi - il 10 settembre 1898 venne assassinata a Ginevra dall’anarchico italiano Luigi Luccheni con una lima anch’essa esposta nel nuovo museo - nacquero i miti sulla sua figura e sul suo grande amore per il marito ’Franzl’, nutriti più dai celebri film degli anni ’50 con la giovanissima Romy Schneider, piuttosto che dagli avvenimenti reali della sua vita. La Schneider ha fatto di lei il personaggio più conosciuto della casa asburgica, spesso accostata a Lady Diana d’Inghilterra.
«Nessuno avrebbe immaginato, 150 anni fa, che al centro dell’interesse ai giorni nostri non ci sarebbe più stato il Kaiser, ma sua moglie», ha detto Wolfgang Kippes, direttore della ’Società per le attività culturali di Schoenbrunn’ che gestisce il nuovo museo. Come dimostrano alcuni articoli dell’ epoca, ora esposti, pubblicati su diversi giornali europei dopo l’attentato mortale contro la sovrana. Al centro dei testi c’è sempre la compassione per Francesco Giuseppe e non per il tragico destino di Elisabetta la quale per tutta la sua vita si era ribellata radicalmente contro il ruolo di moglie, madre e sovrana.
L’accostamento alla personalità dell’imperatrice al di là del mito- dalla radiosa ragazzina alla dama malinconica e inaccostabile- avviene attraverso le poesie personali di Sissi, ispirate al suo idolo Heinrich Heine (1797-1856), il critico radicale della società tedesca dei suoi tempi molto amato anche da Karl Marx. «Mi sono svegliata in un carcere, con ceppi alle mani» oppure «mi sento di marmo», sono alcuni dei versi che accompagnano gli oggetti esposti nella sala dedicata alla vita di corte di Elisabetta. Tra essi il contratto di matrimonio, riproduzioni di gioielli (compresi quelli dell’incoronamento ungherese) e ritratti ad olio dell’imperatrice in abito di gran gala, l’ultimo quando aveva 42 anni. La stravagante Sissi, per restare nella storia come bellezza giovane, dopo i 30 anni non voleva più essere fotografata.
Un’altra sala del museo è dedicata interamente al culto della bellezza- i suoi capelli arrivavano quasi fino a terra e venivano pettinati quotidianamente per due o tre ore- , nonch é all’ossessione per la linea e all’esagerazone nello sport. Tra gli effetti personali dell’eccentrica ed egomane ’First Lady’ asburgica ci sono una vestaglia, la sua bilancia, ricette per creme e altri segreti di bellezza. C’è l’elenco delle sostanze necessarie per una " mascher a" a base di fragole e un’altra che prevedeva braciole di vitello crudo da mettere sulla pelle di Sissi. In mostra anche una pressa per preparare le bevande a base di sangue bollito, una delle diete dell’imperatrice.
Con il passare degli anni Elisabetta diventa sempre più irrequieta e si sente tanto meglio quanto più è lontana da Vienna. «Sono un gabbiano apolide, senza spiaggia per patria, volo da un onda all’altra», ha scritto in un’altra poesia.
Una parte del «Museo di Sissi» è dedicata allo stile dei viaggi della sovrana, appassionata giramondo che per non farsi riconoscere usava lo pseudonimo di " Contessa Hohenems ". In una sala c’è in mostra anche uno " spaccat o" a grandezza naturale del vagone del treno di lusso con cui si spostava in tutta Europa.
Il biglietto per il «Museo di Sissi»- costato per l’allestimento 800mila euro- permette anche l’accesso agli appartamenti imperiali, dove si entra a curiosare non solo nelle camere da letto e nei saloni privati della coppia imperiale, ma anche nella palestra e nel bagno personale di Sissi.