lunedì 19 aprile 2004

LE LEZIONI DI VENERDÌ 16 E SABATO 17
ALL'UNIVERSITÀ DI CHIETI

sul sito di

MAWIVIDEO.IT

sono disponibili


Le lezioni di

Venerdì 16 aprile 2004

- prof. Andrea Masini
- prof.ssa Francesca Fagioli

e quelle di

Sabato 17 aprile 2004

- prof. Andrea Masini
- prof. Massimo Fagioli

quest'ultima soltanto NON scaricabile
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un commento di Franca Nardi su Repubblica

Repubblica 16.4.04
La voce inascoltata delle passioni atee
di Franca Nardi

franca.nardi@esteri.it


A proposito di noi atei, continuamente annullati dai media, banditi, resi inesistenti. Qual è il minimo di presenza per essere considerati? Il 4 per cento come per le elezioni? Anche se non urliamo né utilizziamo provocazioni volgari, nonostante le varie "passion" che fanno scalpore, le diatribe sul crocifisso o sul velo che movimentano province nazionali o internazionali, esiste un discreto numero di persone che è interessata ad avere un telegiornale laico e rifugge temi spacciati come culturali, vertenti su misteri trascendenti o extraterrestri.

il commento è stato un poco tagliato dalla redazione di Repubblica. Il testo originale era il seguente:
Vorrei unirmi “con passione” alla voce di Michele Serra, per parlare di “noi” atei, della nostra esclusione, dell‘impossibile intervento su qualsiasi tema che non ci prevede, di un pubblico che seppur minoritario (ma bisognerebbe contarsi per saperlo!) viene continuamento annullato dai media, bandito, reso inesistente. Qual’è il minimo di presenza per essere considerati? E’ il 4% come per le elezioni dei partiti? Sono convinta che siamo superiori per numero a tale percentuale, anche se non urliamo né utilizziamo provocazioni volgari ed insolenti. Sarebbe interessante aprire un forum sulla questione: sono certa che nonostante le varie “passion” che fanno scalpore, le diatribe sul crocifisso o sul velo, che movimentano provincie nazionali o internazionali, esiste un discreto numero di persone che è interessata ad avere un telegiornale laico, che rifugge temi spacciati come culturali vertenti su misteri trascendenti o extraterrestri, che trova antidemocratica la regalia della sinistra di professori e soldi alla scuola cattolica, ecc. ecc.
Franca Nardi

il prof. Antonino Zichichi, una mail ricevuta

18.4.04, da Pietro Curto

«volevo segnalare delle affermazioni deliranti ascoltate stamattina in TV dall‘esimio scienziato Antonino Zichichi, il quale la domenica mattina, all‘interno del programma di intrattenimento di RAIDUE “In famiglia” condotto da Tiberio Timperi e Adriana Volpe, conduce uno spazio di circa un quarto d‘ora nel corso del quale risponde a domande poste da studenti sui più svariati argomenti scientifici (principalmente di fisica). Egli ha prima affermato che il cervello continua a lavorare anche durante il sonno, continuando a cercare di risolvere i problemi lasciati insoluti durante la veglia (riferendosi esclusivamente a problemi pratici, concreti, tipo lavorativi o scientifici), e ci riesce molto meglio che di giorno, tant’è che spesso, dopo essere andati a dormire con dei problemi in sospeso, il mattino dopo al risveglio, quasi magicamente : “Idea!”. Quindi, per questi motivi, non bisogna turbare assolutamente il sonno di una persona che è andata a dormire concentrata sulla risoluzione di un qualche grattacapo. Dopo tali importanti affermazioni scientifiche, una studentessa gli ha chiesto la sua opinione sui sogni: “I sogni sono solo delle inutili fantasie notturne, roba che non serve assolutamente a nulla”. A quel punto ... ho cambiato canale.»

attualità di Heidegger

Repubblica 19.4.04
HEIDEGGER E I "NEO-CON"
Nelle idee del filosofo singolari sintonie con tesi oggi di moda
l'eterno dibattito sull'adesione al nazismo
la tentazione di lasciare il segno in politica
di ANTONIO GNOLI


NAPOLI. La letteratura heideggeriana - quella potente macchina editoriale che si nutre di testi e pensieri di uno dei maestri più autorevoli (ma anche più discussi) del secolo scorso - non conosce pause né ripensamenti. Molto di quello che in un passato più o meno recente si immaginava avrebbe resistito all´usura del tempo è tramontato. Autori sui quali avremmo scommesso circa la loro capacità di sopravvivere sono inesorabilmente usciti di scena. Qualcuno ha ancora sentore di un Lukàcs, di un Marcuse, di un Sartre? Sarebbe difficile poterlo sostenere. E invece l´ometto dagli occhi arguti e baffi sottili è ancora qui: con la sua capanna, il suo gergo, i suoi libri, i suoi officianti.
È stato rilevato che Heidegger è il filosofo contemporaneo i cui libri hanno avuto e continuano ad avere la più ampia circolazione nel mondo. È anche quello a cui sono stati dedicati il più alto numero di convegni. L´ultimo inizierà stamane all´Università degli studi di Napoli "Federico II". Per tre giorni, nell´aula Altiero Spinelli della facoltà di Scienze politiche, studiosi provenienti da tutto il mondo si confronteranno sul suo pensiero e le prospettive in qualche modo insite nella sua filosofia. "Heidegger a Marburg", questo è il titolo del convegno, vedrà la presenza di specialisti italiani come Mazzarella, Vitiello, Esposito e stranieri quali Courtine, Strube, Kisiel, von Hermann. Il numero dei partecipanti è talmente alto che rinunciamo a elencarli tutti.
Il periodo passato a Marburg, come racconta Franco Volpi qui accanto, è stato per Heidegger filosoficamente straordinario. Se non altro per aver incubato e dato alla luce uno dei grandi capolavori della filosofia del Novecento: Essere e tempo. Anche i non heideggeriani riconoscono a quel testo virtù speculative non indifferenti. C´è l´annosa questione se Essere e tempo sia la prima parte di un discorso filosofico più ambizioso che Heidegger porterà a termine molti anni dopo. Problema di indubbia forza speculativa, ma che rischia di appassionare soprattutto gli specialisti.
C´è un aspetto invece che ha attratto un pubblico più vasto e sul quale gli studiosi si sono ferocemente divisi: si tratta della adesione del filosofo al nazismo. Un´infinità di parole sono state pronunciate per analizzare, capire, condannare o smussare il senso di quella scelta.
Qualcuno ricorderà. Era il 1933. Il nazismo va al potere. Heidegger, che non è insensibile al nuovo corso politico, decide, come rettore appena eletto all´Università di Heidelberg, di pronunciare il discorso su L´autoaffermazione dell´università tedesca (è un testo che oggi si può acquistare nelle edizioni Il Melangolo, con una nota molto puntuale di Carlo Angelino, che lo ha curato).
Provate a rileggerlo oggi. Fa una strana impressione. Dirò fra un momento perché. Prima però fermiamoci su questa enorme pantomima se Heidegger è stato e fino a che punto nazista. E se perfino la sua filosofia ne porti per così dire il segno. La questione, per le sue implicazioni anche drammatiche, ha diviso la comunità filosofica. E sarà difficile, riteniamo, giungere a un verdetto unanime. Gli estremi della vicenda, che coinvolge marcate ideologie e feroci totalitarismi, oscillano tra due modelli. Quello da un lato dello studioso cileno Victor Farias che in una documentata e faziosa ricostruzione ha messo sotto accusa il filosofo; e dall´altro François Fédier, l´interprete francese che ha letto lo Heidegger politico con esibita indulgenza. Dov´è la verità, direte. Non c´è verità che i testi non possano smentire o approvare. E qualunque sia l´esito di questa incerta contesa, rimane il fatto che Heidegger è il Novecento. È quell´immenso sortilegio filosofico che ha incantato, stregato, ipnotizzato le anime che lo hanno attraversato. Non tutte ovviamente si sono lasciate sedurre dal suo pensiero. Se guardassimo al modo in cui certi filosofi analitici hanno ridotto a fumoso gioco concettuale il suo linguaggio - come se Heidegger fosse davvero l´ultimo dei mistagoghi - avremmo più o meno chiara sotto gli occhi che quella che si è combattuta e si continua a combattere è una guerra tutt´altro che rituale.
Ci sono autori i cui pensieri producono effetti al di fuori del loro ristretto mondo speculativo in cui vengono formulati. A imporli su un territorio più vasto non è solo l´intelligenza, l´acume, l´innata capacità di essere concettualmente provocanti. Ma anche una sorta di curioso demone che hanno dentro e che li rende, loro malgrado, personaggi pubblici. Essi hanno parlato a una polis, a una città. Hanno aspirato ad andare oltre. Cercando in quell´oltre un rinnovato e ambizioso equilibrio tra filosofia e politica che la storia si è spesso incaricata di smentire.
Anche Heidegger ha avuto questa tentazione. La prolusione che lesse all´inizio dell´anno accademico 1933-34 è lì a mostraci quanto precaria fosse l´immagine del filosofo chiamato a giustificare i compiti della nuova politica. Ma se quel testo lo si sfronda dalle imbarazzanti affermazioni che parafrasano speranza ed entusiasmo per la politica del Führer, vi si può scorgere qualcosa di sorprendentemente vicino a certe tesi che oggi circolano.
L´autoaffermazione è forse il primo manifesto che a tratti ricorda l´analisi di un neo-conservatore. Certo un neocon sui generis, che matura le proprie idee politiche nella temperie illiberale degli anni Trenta, che ha una concezione del tramonto dell´Occidente diversa da quella che oggi viviamo. E tuttavia quell´appello alla potenza, il riferimento a Clausewitz, l´idea, tra le righe, che un conflitto sia esportabile qualora la propria identità è minacciata, ci suggeriscono un accostamento teorico che meriterebbe di essere approfondito.

Repubblica 19.4.04
Da oggi Un convegno a Napoli
Quegli anni straordinari a Marburgo
Il rapporto con il teologo Bultmann La tormentata relazione con Hannah Arendt
di FRANCO VOLPI


Marburgo, piccola città universitaria nel cuore della Germania, era agli inizi del Novecento la capitale del neokantismo. Vi insegnavano Hermann Cohen, Paul Natorp, poi Ernst Cassirer e Nicolai Hartmann. Nel 1923 vi giunse Heidegger, e la scena cambiò. Già a Friburgo il giovane assistente di Husserl si era conquistato la fama di astro nascente nel firmamento della filosofia tedesca. Benché da anni non avesse pubblicato più nulla, bastò il breve ma folgorante progetto di ricerca con cui si candidò a Marburgo, il cosiddetto Natorp-Bericht, perché la commissione lo preferisse agli altri candidati.
Heidegger rimase a Marburgo fino all´estate del 1928. Cinque intensi anni, che egli stesso definì «i più fecondi della mia vita». Oltre al dialogo con Natorp, alla rivalità con Hartmann, alle dispute sui Greci con l´antichista Paul Friedländer, il geniale filosofo attirò intorno a sé con le sue travolgenti lezioni un´impressionante schiera di allievi: Löwith, Gadamer, Hannah Arendt, Hans Jonas, e altri ancora. Ascoltarlo, ricordano unanimi, era come assistere a uno spettacolo della natura.
Ci fu poi la decisiva amicizia con il teologo protestante Rudolf Bultmann. Nell´esperienza protocristiana dell´esistenza Heidegger vedeva il paradigma per comprendere la vita umana nei suoi tratti genuini. L´incontro con Bultmann lo portò dare forma a tale programma nell´"analitica dell´esistenza" che si ritrova in Essere e tempo. Dal canto suo Bultmann, grazie all´incontro con Heidegger, concepì l´«interpretazione esistenziale» del Nuovo Testamento con cui ridiede vita all´esausta riflessione teologica del tempo.
Ci fu la torturante storia d´amore con Hannah Arendt. Una passione che irruppe nella vita di Heidegger scolvolgendolo nel profondo. Incontri clandestini di rara intensità («Hannah è l´unica che mi abbia veramente capito»), dolorose separazioni, ritrovamenti fugaci e laceranti si accavallarono senza che il filosofo della «decisione» e della «chiamata della coscienza» trovasse la forza per una scelta autentica. Il dramma si intuisce già nell´appassionante interpretazione del racconto biblico del peccato originale che egli presentò nel seminario di Bultmann in concomitanza con la relazione segreta.
C´è soprattutto l´impressionante serie di corsi universitari - in gran parte tradotti (Adelphi, Il melangolo, Mursia) - che consente di toccare con mano come attraverso un profondo scavo della tradizione occidentale, Aristotele e Kant su tutti, Heidegger giunse a concepire Essere e tempo, l´opera che cambiò non solo lo scenario marburghese, ma l´intera filosofia europea. Di questo fulminante capitolo nella storia della filosofia del Novecento discutono a Napoli da oggi al 21 i maggiori "heideggeristi", invitati dal Dipartimento di Filosofia dell´Università Federico II.

crisi del matrimonio, i dati

La Stampa 19.4.04
L’ISTITUZIONE MATRIMONIALE È IN CRISI NON SOLO IN OCCIDENTE, MA DIVORZIARE ALMENO NEL NOSTRO PAESE È UN’IMPRESA DAI COSTI PROIBITIVI
Ieri SPOSI
di Michele Ainis


DICEVA Oscar Wilde: «Il Libro della Vita inizia con l'immagine di un uomo e una donna in un giardino. Termina con l'Apocalisse». Sarà per questo che - secondo una ricerca Eurispes del 2003 - il matrimonio è il tipo di relazione sociale più esposta al delitto. Sarà per questo che in Francia 6 donne al mese vengono uccise dai mariti, che nel Regno Unito circa la metà delle donne assassinate cade per mano del suo partner, che in Giappone la violenza domestica costituisce la seconda causa di divorzio.
Ecco, il divorzio. Offre senza dubbio un'alternativa meno drammatica e cruenta rispetto alle pallottole, però purtroppo costa, e costa caro: tanto che ormai soltanto i ricchi se lo possono permettere. Quantomeno in Occidente, dato che in Cina si celebrano perfino divorzi per incompatibilità «metereologica» (è accaduto nel settembre 2003: la donna non sopportava il clima troppo caldo di Shanghai). Mentre in Kuwait o negli Emirati Arabi un uomo può rompere le nozze inviando alla moglie un Sms dove ripete per tre volte la formula prescritta nella Shari'a («io ti ripudio»), senza scomodare giudici e avvocati, e soprattutto senza pagarne la parcella. Non è un risparmio da poco: per fare un esempio, in Italia la tariffa per un divorzio giudiziale, quando i beni da dividere variano dai 105.000 ai 258.000 euro, viaggia da un minimo di 8.000 euro a un massimo di 17.000. Senza dire dei tribunali ecclesiastici, cui si rivolgono i fedeli per ottenere la dichiarazione di nullità del sacramento del matrimonio: qui le spese legali sono così alte che nel 2003, durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario, il vicario ha solennemente rampognato gli avvocati. Sarà per questo che aumentano i separati in casa, tanto che nel 2000 persino la Corte di cassazione ha dovuto arrendersi al fenomeno, estendendo a tali coppie lo status di quelle separate legalmente. D'altra parte un divorzio significa il raddoppio dell'affitto da pagare, doppie bollette, doppie spese domestiche, doppio arredamento per la casa; per il 55% delle coppie in crisi è un costo troppo alto, e allora tanto vale chiudere gli occhi, tirando avanti in stanze separate. Inoltre per l'uomo rompere il matrimonio equivale quasi sempre a rinunciare ai figli, nonché a una buona parte di quattrini: sempre in Italia, secondo un'indagine Istat del 2000, nell'86% dei casi i figli minorenni sono affidati esclusivamente alla madre, e 95 donne su 100 ricevono l'assegno alimentare dal proprio ex marito. Ma anche negli Usa l'84,1% dei bambini che vivono con un solo genitore sta in casa della madre, e lo stesso accade un po' in tutto il mondo occidentale.
Dove peraltro l'istituto coniugale è logorato da una crisi che parrebbe irreversibile. A Parigi naufraga un matrimonio su 2. Alla data del 2001, in Germania il numero di single aveva quasi raggiunto quello dei maritati. Del pari, negli Stati Uniti i single erano il 17,1% della popolazione nel 1980, sono diventati il 21,1% nel 2000. E perfino tra i settantenni esplodono i divorzi: il 10% delle coppie si lascia infatti dopo 40 o 50 anni di matrimonio. Per agevolare questa pratica, da ultimo vanno sviluppandosi i divorzi online, che in California vengono gestiti dai tribunali dello Stato, e possono costare 50 dollari appena. Contemporaneamente i fiori d'arancio diventano una festa sempre più rara (e più cara: in media 9.400 euro solo per il ricevimento). In Inghilterra nel 2000 sono stati celebrati 267.961 matrimoni, a fronte dei 331.150 avvenuti nel 1990. Anche in Italia nel 2001 i matrimoni hanno toccato il loro minimo storico: 260.904, ossia 20 mila in meno rispetto all'anno precedente; e in media un matrimonio su 3 entra in crisi già nel primo anno. Colpa d'una società che brucia in un attimo gli eventi non meno degli affetti, ma anche colpa di politiche assai poco sensibili alle necessità di chi ha famiglia, benché i cattolici siano largamente rappresentati in ogni schieramento. Tanto che aumentano le separazioni fittizie, stipulate al solo scopo di guadagnare punti in graduatoria per l'assegnazione di una casa popolare, o il posto negli asili pubblici, dove viene preferito chi ha il reddito più basso, e dunque i single, quando marito e moglie lavorano ambedue.
E a proposito di separazioni. Fino al 2002 in Italia hanno divorziato 764.698 coppie, da quando nel 1971 è stato introdotto l'istituto; ma quasi altrettante (562.855) si sono fermate al primo stadio, non hanno mai tradotto la loro separazione in un divorzio. E oltretutto la tendenza è in crescita. Le ragioni? Tante: per esempio la fede, o magari qualcuno sarà rimasto vedovo. Tuttavia la componente economica è forse quella principale: non tutti possono permettersi un secondo giro d'avvocati, dopo quelli già pagati per la separazione; molti temono un ritocco in su degli alimenti; con il divorzio inoltre viene meno il diritto alla pensione di reversibilità, quella che l'Inps versa al coniuge sopravvissuto. E oltretutto le regole non sono affatto chiare, sicché ogni ufficio giudiziario fa a suo modo, come risulta da un'inchiesta diffusa nel 2003 dall'Associazione nazionale magistrati. E così per esempio non c'è un sistema certo per provare la capacità patrimoniale del coniuge tenuto al versamento dell'assegno alimentare: il 48% dei tribunali si limita ad acquisire la dichiarazione dei redditi, ma il 93% se ne discosta allegramente. Anche sulla casa la confusione impera: il 72% degli uffici giudiziari la assegna al coniuge cui restano affidati i figli, ma c'è una minoranza neppure troppo piccola (il 28%) che la pensa all'opposto. Infine c'è la lotteria dei tempi, dato che il procedimento oscilla da 40 giorni a 4 anni, a seconda della città nella quale ha sede il tribunale. Quanto basta per rifarsi una vita e una famiglia, senza attendere la benedizione dello Stato.
Ecco perché in questo contesto (meno matrimoni, più separazioni, più divorzi) anche in Italia sono aumentate le unioni libere: nel 1998 l'Istat le ha stimate in 342.000 unità, ma in tre lustri (dal 1985 al 1999) gli italiani che hanno convissuto almeno una volta sono stati 3 milioni. Tuttavia a loro volta i conviventi hanno più doveri che diritti. Il 20 febbraio 1998 Rosa Gini, insegnante di matematica, e Maurizio Parton, ricercatore universitario, hanno costituito la prima coppia italiana iscritta nel registro delle unioni civili: nella fattispecie a Pisa, che al pari di Bologna, Firenze, Ferrara, nel 1997 aveva varato questa forma di riconoscimento per le coppie di fatto. Ma hanno subito scoperto a proprie spese quanto evanescente fosse la loro condizione: i registri non garantiscono la pensione di reversibilità, non danno titolo per fruire degli aiuti di Stato alle famiglie, non valgono per la successione ereditaria, non danno neppure il diritto d'assistere il compagno se ricoverato in ospedale. Per tutto questo, ci vuole il matrimonio; e tanto peggio per chi canta fuori dal coro. A meno che non abbia la ventura di vivere in Francia, dove una legge del 1999 ha varato il Pacs, il «patto civile di solidarietà»; senza però trovare troppi emuli in giro per il mondo.
E c'è poi il capitolo delle adozioni, senza dubbio quello più dolente. Chi vi ha a che fare sperimenta infatti la stessa sensazione che ciascuno prova dinanzi alle bancarelle d'un mercato, con l'unica differenza che nella fattispecie si commercia in carne umana. E naturalmente ogni bancarella pratica i suoi prezzi, al punto che la Commissione per le adozioni internazionali è stata costretta a fissare dei tetti massimi. Così, se per adottare un bambino dal Marocco si spendono 3.493 euro, un albanese ne costa 5.276, e 9.200 un minore proveniente dall'Honduras. Il paese più caro è tuttavia la Russia, dove il livello di spesa massimo è stato fissato in 9.500 euro; il più a buon mercato la Bielorussia, solo 1.900 euro. Anche i tempi per l'adozione non sono affatto brevi, dato che le liste d'attesa possono raggiungere i 3-4 anni. E di contro la richiesta aumenta. Se nel 1994 le domande di adozione nazionale erano state 7.669 e 6.007 quelle di adozione internazionale, nel 1999 le richieste sono divenute rispettivamente 10.102 e 7.352. Ma solo una minima parte viene poi in concreto soddisfatta: sempre nel 1999, il 10,2% in sede nazionale, il 29,6% all'estero. Inoltre la legge italiana (n. 149 del 2001) non è affatto generosa con le aspirazioni delle coppie di fatto; in compenso essa ha innalzato la differenza di età tra adottante e adottato, con la conseguenza che aspiranti genitori già nonni hanno fatto richiesta d'adozione.
Quale soluzione resta allora alle coppie che vogliono adottare un bambino e però non ci riescono? Se non è quasi mai possibile adottare un minore, ci si può sempre «far adottare». È infatti questa la trasformazione che ha subito il progetto Adopted di una artista tedesca, che da iniziativa artistica è diventata una vera e propria agenzia per le adozioni, da quando a Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso, sono state esposte le immagini di europei tristi e pallidi, nei loro appartamenti o in città. Da allora, circa 100 europei che soffrono di mancanza di legami familiari si sono fatti registrare, e 30 sono partiti per l'Africa. Sarà forse questo l'estremo rimedio per chi ha nostalgia di una famiglia?
micheleainis@tin.it

farmacologia in casi di depressione

PsichiatriaOnline.net Domenica 18 Aprile 2004, 19:17
Depressione resistente al trattamento farmacologico


L’efficacia della Mirtazapina un antidepressivo NaSSA (Noradrenergic and Specific Serotoninergic Antidepressant) è stata valutata nei pazienti con depressione che non rispondeva ad altri trattamenti farmacologici.
I Ricercatori della Division of Mood Disorder della University of British Columbia in Canada hanno analizzato le cartelle cliniche di 24 pazienti con disturbi depressivi maggiori.
Dopo trattamento con Mirtazapina (in media 36,7 mg/die) per 14,1 mesi il 38% (9/24) dei pazienti ha presentato un miglioramento dei sintomi.
Il 21% (5/24) ha sospeso l’assunzione della Mirtazapina a causa del presentarsi di effetti indesiderati, quali senso di stanchezza, aumento di peso e nausea.
Il 21% (5/24) ha assunto un altro antidepressivo oltre alla Mirtazapina.
Questo studio indica che un sottogruppo di pazienti con depressione resistente alla terapia può trarre beneficio dal trattamento con l’antidepressivo Mirtazapina.