citato al Lunedì
Corriere della Sera 10.1.04
Scienziati americani scoprono le basi neurologiche del meccanismo. Ci si può anche allenare alla rimozione?
Dietro la fronte il segreto per cancellare i ricordi sgraditi
Studiata con la risonanza magnetica l'attività cerebrale di 24 persone tra i 19 e i 31 anni
di Adriana Bazzi
A volte sono poco piacevoli, altre volte sono semplicemente troppi. Così il cervello si difende e cancella i ricordi non desiderati. Lo fa grazie a un circuito cerebrale appena scoperto da un gruppo di ricercatori americani dell'Università dell'Oregon nella corteccia prefrontale, dietro la fronte. La capacità del cervello di seppellire nell'inconscio i ricordi sgraditi, non è una novità e richiama alla mente la tesi di Sigmund Freud sull'esistenza di una soppressione volontaria della memoria. È invece una novità il fatto che si siano individuate le basi neurologiche di questi meccanismi e che il cervello possa addirittura essere "allenato a dimenticare". Una possibilità, secondo gli esperti, che potrà servire agli psichiatri per curare pazienti dopo esperienze traumatiche. I ricercatori americani, che hanno pubblicato il loro studio sull'ultimo numero di Science, hanno analizzato, con la risonanza magnetica, l'attività cerebrale di 24 persone tra i 19 e i 31 anni, mentre erano occupate a rimuovere il ricordo di alcune parole. Gli individui che hanno fatto da cavia dovevano ascoltare coppie di parole non correlate tra loro (per esempio vapore-treno oppure mandibola-gengive) e poi dovevano ricordare oppure evitare di pensare a una delle due parole di ogni coppia, mentre guardavano l'altra scritta su un foglio.
Durante la fase di "soppressione" del ricordo, la risonanza ha registrato un aumento dell'attività della corteccia prefrontale, mentre l'ippocampo (l'area del cervello che normalmente lavora quando si cerca di ricordare qualcosa) non mostrava segni di attivazione. In altre parole è l'attivazione della corteccia prefrontale che impedisce all'ippocampo di rievocare memorie indesiderate. "Non c'è dubbio - ha commentato Michael Anderson, coordinatore dello studio - che siamo incappati in qualcosa di molto rilevante per le persone sopravvissute a un trauma e si spiega la tendenza a dimenticare con il tempo le esperienze dolorose".
Oggi, grazie alle tecniche di imaging, il cervello sta svelando tutti i suoi segreti e c'è chi ha già costruito una mappa delle aree che governano le diverse funzioni dell'organismo, dai movimenti alle emozioni, dalla memoria ai sentimenti. Ma siamo ancora ai primi passi. La ricerca americana - commenta Alberto Oliverio, psicobiologo all'Università La Sapienza - fa riferimento a ricordi materiali, che riguardano, per esempio, le parole. Diverso è parlare di rimozione di un ricordo strutturato, cioé della possibilità di dimenticare un avvenimento che ha anche un contenuto emotivo.
Una memoria complessa coinvolge non soltanto la corteccia: la memoria spaziale, per esempio, ha a che fare con l'ippocampo, le emozioni sono concentrate nel sistema limbico, i ricordi visivi e musicali vengono immagazzinati nella corteccia.
"Le ricerche sulla memoria si sono sempre divise in due filoni. Il primo si occupa di ricordi neutri, riferiti a cose, come le parole, senza una particolare rilevanza per la persona - continua Oliverio -. Il secondo studia i ricordi con contenuti emotivi e affettivi".
La ricerca americana potrebbe spiegare il meccanismo attraverso il quale il cervello riesce a difendersi dall'eccesso di informazioni. Non riuscirebbe, invece, a giustificare la capacità del cervello di rimuovere tutte quelle esperienza traumatiche, più complesse, la cui rievocazione costituisce, a partire da Freud, la base di molte psicoterapie. "Spesso i ricordi - aggiunge Oliverio - vengono inconsciamente rimaneggiati a seguito di esperienze successive e una volta rievocati non corrispondono più alla realtà. Alcuni psicoterapeuti mettono anche in guardia dai rischi di riportare alla coscienza le memorie di un passato ormai sepolto".
La Repubblica 10.1.04
LA SCOPERTA
Un test di scienziati Usa prova la validità delle teorie di Freud
Così il cervello rimuove i ricordi spiacevoli
La corteccia cerebrale sa cancellare volontariamente la memoria
In futuro si potranno aiutare le persone a superare eventi traumatici
di KEAY DAVIDSON
È trascorso più di un secolo da quando le idee di Sigmund Freud sulla memoria accesero per la prima volta una disputa. Ora, però, quelle stesse idee sono state almeno in parte avallate dagli esperimenti condotti dall'università di Stanford, grazie ad alcune tecnologie del tutto inimmaginabili ai suoi tempi. Uno dei capisaldi delle teorie di Freud era che gli esseri umani "rimuovono" i ricordi spiacevoli. Tali ricordi - sosteneva Freud - continuano ad annidarsi nel cervello, e in talune occasioni tornano in superficie sotto altre sembianze, per esempio nel simbolismo onirico o in imbarazzanti lapsus. Gli scettici hanno sempre contestato che questa rimozione avesse effettivamente luogo.
Ora, per mezzo di una nuova tecnica, la Fmri, risonanza magnetica funzionale, i ricercatori hanno osservato come agiscono i tessuti cerebrali umani quando rimuovono i ricordi, in questo caso abbinamenti di parole, e hanno riportato le loro scoperte nell'ultimo numero della rivista "Science".
Nonostante la stupefacente abilità che il cervello ha nell'archiviare i ricordi di tutta una vita, una delle sue funzione primarie è, paradossalmente, proprio quella di dimenticare. I nostri organi sensoriali ci inondano letteralmente di informazioni, non sempre gradevoli, e se non rimuovessimo parzialmente tali informazioni non potremmo sopravvivere ad una singola giornata, men che meno alla nostra intera vita.
Nel corso dell'esperimento condotto a Stanford, 24 volontari di età compresa tra i 19 e i 31 anni hanno iniziato a memorizzare abbinamenti di parole quali "vapore-treno", "gengiva-gomma da masticare," e così via. In seguito ognuno di essi si è disteso nello scanner della Fmri, situato nel centro Lucas per la Risonanza Magnetica Spettroscopica di Stanford, e ha letto le parole che apparivano su uno specchio, sul quale si rifletteva lo schermo di un computer.
In un primo tempo è stato chiesto ai volontari all'apparire di una data parola di pensare alla parola associata che avevano memorizzato. In seguito è stato chiesto di dimenticarla. Al termine è stato loro richiesto di ricordare tutti gli abbinamenti mentali e si è scoperto che tutti faticavano a ricordare le parole che poco prima si erano impegnati a dimenticare. Ma la cosa più importante è ciò che è avvenuto nei loro cervelli. Le zone cerebrali che si supponeva utilizzate per rimuovere i ricordi - la corteccia frontale sinistra e destra - erano molto attive, e l'intensità della loro attività era documentata da un maggior flusso di sangue e un maggior consumo di ossigeno. Allo stesso tempo è stata segnalata una minor attività nell'ippocampo, che è invece coinvolto nel processo di memorizzazione.
La scoperta potrebbe incoraggiare la messa a punto di nuovi sistemi che aiutino le persone a superare i ricordi di eventi traumatici che hanno vissuto.
(Copyright La Repubblica - San Francisco Chronicle
Traduzione di Anna Bissanti)
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
sabato 10 gennaio 2004
NORBERTO BOBBIO: illuminismo, neopositivismo, liberalismo
Liberazione 10.1.04
Norberto Bobbio
Il suo pensiero: illuminismo, neopositivismo, liberalismo
Bobbio si avvia allo studio del diritto con un programma dal taglio neoilluministico, metodologico, analitico. Fin dalle prime opere giovanili intraprende una critica delle filosofie irrazionalistiche - ad esempio, ne "La filosofia del decadentismo" (1944) - respinte proprio per la carenza di rigore metodologico. Un altro aspetto si affianca, a partire dal dopoguerra, a quello della chiarezza d'analisi, senza mai abbandonarlo: l'impegno politico. Nelle opere successive ("Teoria della scienza giuridica", 1950; "Studi sulla teoria generale del diritto", 1955; "Teoria della norma giuridica", 1958; "Teoria dell'ordinamento giuridico", 1960; "Il positivismo giuridico", 1961) si approfondisce l'approccio analitico. La scienza giuridica - intesa come un sistema di enunciati rigorosamente concatenati: dai principi del diritto - che non sono veri, ma fissati per convenzione - vanno ricavati con metodo deduttivo tutte le conseguenze logiche. Insieme al formalismo di questi studi, Bobbio porta avanti anche la riflessione politica attraverso numerose opere, tra le quali "Locke e il diritto naturale" (1963), "Da Hobbes a Marx" (1965), "Diritto e Stato nel pensiero di E. Kant" (1969). Il pensiero politico moderno - diviso, secondo il filosofo torinese, tra la concezione organicistica, comunitaria, della società e dello Stato - ascrivibile a Rousseau - e l'individualismo comune ai due fondatori del liberalismo, Hobbes e Locke, al quale Bobbio accorda la propria incondizionata adesione. La sua dottrina ruota attorno al concetto di individuo e di "libertà negativa": non esiste democrazia senza un ordinamento che garantisca la libertà dell'individuo dallo Stato e dagli abusi di potere. Questo legame tra liberalismo e democrazia corrisponde per Bobbio a un vero e proprio nesso logico: poiché il primo contiene l'istanza della competizione tra forze economiche, da questa idea deriverebbe necessariamente il pluralismo di diverse istanze culturali, politiche e sociali che presuppone la democrazia. Ma al tempo stesso, negli anni Cinquanta, Bobbio respinge l'idea che la democrazia debba essere identificata con "l'autogoverno del popolo"; democratica, piuttosto, è l'azione illuminata delle minoranze dirigenti. Soltanto più tardi, recupera l'istanza di una democrazia allargata all'intera società, alla partecipazione attiva dei cittadini. Ma coincide con la fine del dialogo di Bobbio con il Pci. In scritti come "Quale socialismo?" (1976), "Socialismo liberale" (ripubblicato nel '79) e "Se la libertà non è socialista" (1980) recupera l'eredità del pensiero di Carlo Rosselli in contrapposizione al marxismo.
Norberto Bobbio
Il suo pensiero: illuminismo, neopositivismo, liberalismo
Bobbio si avvia allo studio del diritto con un programma dal taglio neoilluministico, metodologico, analitico. Fin dalle prime opere giovanili intraprende una critica delle filosofie irrazionalistiche - ad esempio, ne "La filosofia del decadentismo" (1944) - respinte proprio per la carenza di rigore metodologico. Un altro aspetto si affianca, a partire dal dopoguerra, a quello della chiarezza d'analisi, senza mai abbandonarlo: l'impegno politico. Nelle opere successive ("Teoria della scienza giuridica", 1950; "Studi sulla teoria generale del diritto", 1955; "Teoria della norma giuridica", 1958; "Teoria dell'ordinamento giuridico", 1960; "Il positivismo giuridico", 1961) si approfondisce l'approccio analitico. La scienza giuridica - intesa come un sistema di enunciati rigorosamente concatenati: dai principi del diritto - che non sono veri, ma fissati per convenzione - vanno ricavati con metodo deduttivo tutte le conseguenze logiche. Insieme al formalismo di questi studi, Bobbio porta avanti anche la riflessione politica attraverso numerose opere, tra le quali "Locke e il diritto naturale" (1963), "Da Hobbes a Marx" (1965), "Diritto e Stato nel pensiero di E. Kant" (1969). Il pensiero politico moderno - diviso, secondo il filosofo torinese, tra la concezione organicistica, comunitaria, della società e dello Stato - ascrivibile a Rousseau - e l'individualismo comune ai due fondatori del liberalismo, Hobbes e Locke, al quale Bobbio accorda la propria incondizionata adesione. La sua dottrina ruota attorno al concetto di individuo e di "libertà negativa": non esiste democrazia senza un ordinamento che garantisca la libertà dell'individuo dallo Stato e dagli abusi di potere. Questo legame tra liberalismo e democrazia corrisponde per Bobbio a un vero e proprio nesso logico: poiché il primo contiene l'istanza della competizione tra forze economiche, da questa idea deriverebbe necessariamente il pluralismo di diverse istanze culturali, politiche e sociali che presuppone la democrazia. Ma al tempo stesso, negli anni Cinquanta, Bobbio respinge l'idea che la democrazia debba essere identificata con "l'autogoverno del popolo"; democratica, piuttosto, è l'azione illuminata delle minoranze dirigenti. Soltanto più tardi, recupera l'istanza di una democrazia allargata all'intera società, alla partecipazione attiva dei cittadini. Ma coincide con la fine del dialogo di Bobbio con il Pci. In scritti come "Quale socialismo?" (1976), "Socialismo liberale" (ripubblicato nel '79) e "Se la libertà non è socialista" (1980) recupera l'eredità del pensiero di Carlo Rosselli in contrapposizione al marxismo.
GIORDANO BRUNO
citato al Lunedì
La Repubblica 10.1.04
L'uomo non è affatto il padrone del mondo
l'eredità di un filosofo
Ora disponiamo di riedizioni molto accurate delle opere basate su studi profondi come quello di Nuccio Ordine
Un pensiero controcorrente che in qualche modo anticipava addirittura Darwin per l'evoluzione del corpo
Leggeva la filosofia in chiave comica e la commedia in chiave filosofica
Rifiutava la concezione geocentrica di Tolomeo per liberarsi dai falsi principi
di UMBERTO GALIMBERTI
Ce n'era abbastanza per tagliargli la lingua e bruciarlo vivo a Roma in Campo de' Fiori il 17 febbraio del 1600. Aveva anticipato troppo i tempi, aveva detto verità che solo oggi noi sentiamo familiari. Aveva messo in discussione la centralità dell'uomo nell'universo, si era spinto a negare la trascendenza di Dio. Dubitava che lo sguardo matematico degli scienziati fosse quello idoneo a comprendere la natura, e che lo sguardo teologico dei preti avvicinasse a Dio.
Leggeva la filosofia in chiave comica e la commedia in chiave filosofica per relativizzare tutte le verità che pretendono l'assolutezza. Ai preti, a cui assegnava solo il compito di garantire l'ordine sociale con gli strumenti della fede, preferiva i maghi impegnati a reperire le costanti della natura (i vincoli) e quindi la sua conoscenza. Denunciava le violenze del cristianesimo perpetrate in America Latina da quel «pirata» che era, a suo parere, Cristoforo Colombo, il quale barattava battesimi con oro e argento. Ce n'era abbastanza per tagliargli la lingua e bruciarlo vivo.
Sto parlando di Giordano Bruno (1548-1600) di cui, in occasione dell'anno bruniano, la Utet ha editato le Opere italiane in due volumi per complessive 1856 pagine, già apparse in Francia da Les Belles Lettres e in procinto di essere tradotte in tedesco, spagnolo, svedese, rumeno, giapponese e cinese. L'edizione italiana, che si avvale degli studi di Giovanni Aquilecchia, maestro per cinquant'anni di studi bruniani, è stata curata da Nuccio Ordine, autore di una magistrale, e per me entusiasmante, Introduzione di 200 pagine, che sono parte di un più ampio saggio che, col titolo: La soglia dell'ombra. Letteratura, filosofia e pittura in Giordano Bruno, è stato pubblicato da Marsilio in Italia e da Les Belles Lettres in Francia.
La prima opera in lingua italiana di Bruno è una commedia: Il candelaio, pubblicato a Parigi nel 1582. Ad essa seguirono sei dialoghi filosofici pubblicati a Londra tra il 1584 e il 1585. La commedia Il candelaio non fu ospitata dalla raccolta delle opere di Bruno curata da Giovanni Gentile, perché non ritenuta un'opera filosofica. In realtà Gentile non aveva capito che l'intento di Bruno era di destabilizzare i generi letterari e dimostrare che si poteva parlare comicamente di filosofia e filosoficamente della commedia, per relativizzare tutte le verità credute assolute, a partire dall'ordine cosmologico allora ipotizzato, che fungeva da supporto teologico per affermare la centralità dell'uomo nell'universo e la sua destinazione celeste.
Bruno, che rifiutava la concezione geocentrica di Tolomeo, vuole liberare la terra dalla falsa immobilità e dai falsi principi di una filosofia teologizzante che, ponendo l'uomo al centro dell'universo ne fa il «dominatore e il possessore del mondo» come qualche anno dopo dirà Cartesio.
Ma a Bruno non basta superare Tolomeo, cosa che aveva già fatto Copernico e dopo di lui Galileo e Cartesio. Bruno vuole superare anche l'eliocentrismo copernicano perché, pur avendo ammesso la centralità del sole rispetto alla centralità della terra, Copernico, a parere di Bruno, rimaneva ancorato a una cosmologia tradizionale, chiusa e delimitata, senza approdare a un universo infinito, senza centro e senza limiti, popolato da innumerevoli mondi e difficilmente conciliabile con le esigenze della «ragione calculatoria» tanto cara agli scienziati del suo tempo.
Così dicendo, Bruno si pone contro sia gli scienziati che ritengono la natura indagabile solo con strumenti matematici, sia i teologi che vedono sconvolta l'architettura dell'universo, secondo la quale Dio ha creato un mondo finito, con al centro l'uomo, dominatore della natura e al contempo così bisognoso di salvezza da richiedere la discesa in terra del figlio di Dio.
Questa presa di posizione su entrambi i fronti consente a Bruno di smascherare quella sotterranea parentela che, al di là delle dispute, lega la tradizione cristiana all'agnosticismo scientifico. L'una e l'altro infatti condividono la persuasione che l'uomo, disponendo dell'anima come vuole la religione o della facoltà razionale come vuole la scienza è, tra gli enti di natura, l'ente privilegiato che può sottomettere a sé tutte le cose.
A questa enfatizzazione cartesiana del soggetto (Ego cogito) preparata dalla tradizione giudaico-cristiana (per la quale l'uomo è immagine di Dio e quindi nel diritto di dominare su tutte le cose), Giordano Bruno contrappone un percorso radicalmente diverso da quello che caratterizzerà per secoli il pensiero europeo. Non il primato dell'uomo, ma il primato degli equilibri sempre instabili e sempre da ricostruire tra tutti gli enti di natura che, al di fuori di ogni scala gerarchica, godono tutti di pari dignità, perché la più minuscola pulce è al centro dell'universo allo stesso titolo della più luminosa delle stelle.
Spezzare l'ordine gerarchico significa distruggere la scala dei valori che faceva da sfondo sia alla visione teologica sia a quella scientifica del mondo che, a parere di Bruno vanno sostituite dalla visione magica che non è potere sulla natura, ma scoperta dei vincoli con cui tutte le cose si incatenano, secondo il modello eracliteo dell'«invisibile armonia».
Per questa concezione filosofica, antitetica sia alla scienza matematica che si alimenta della progettualità umana, sia alla religione che, se da un lato subordina l'uomo a Dio, non esita a considerarlo, fin dal giorno della sua cacciata dal paradiso terrestre, dominatore di tutte le cose, Giordano Bruno fu trascurato dagli scienziati del suo tempo che stavano inaugurando il sentiero che sarà poi percorso dal pensiero occidentale, e bruciato vivo a Roma, in Campo de' Fiori, dalla Chiesa che allora, per dire la sua, disponeva di metodi più spicci.
Ma oggi che il potere dell'uomo sulla natura inquieta l'uomo stesso, perché il suo potere di «fare» è enormemente superiore al suo potere di «prevedere» e di «governare» la propria storia, forse è opportuno un ritorno al pensiero di Bruno, per scorgervi, oltre all'anticipatore degli «infiniti mondi» contro il geocentrismo del suo tempo, colui che, proprio in forza degli «infiniti mondi» dubita che l'uomo possa essere pensato come il centro dell'universo e quindi in diritto di disporne secondo i modesti e al tempo stesso terribili schemi della sua acritica progettualità, perché alla legge del Tutto, a cui si volgeva la magia bruniana, impone la legge dell'uomo (occidentale) sul Tutto.
Ma chi è l'uomo per Giordano Bruno? Con un'anticipazione che potremmo dire «darwiniana» l'uomo, al pari di tutti gli animali, è deciso dalla sua conformazione corporea, e la sua superiorità non è dovuta tanto all'anima, alla ragione, alla mente, ma alla forma del suo corpo. A differenza del primate più evoluto, l'uomo infatti ha la mano libera nel cammino, e ciò consente a tutto il suo corpo di liberarsi nella manipolazione del mondo. Questa manipolazione si chiama «lavoro», in cui è la specificità dell'uomo e la sua differenza dall'animale, per cui non Adamo nel paradiso terrestre che oziava nella più assoluta incoscienza di sé, ma Adamo dopo il peccato originale che assume su di sé la «condanna» del lavoro (che a parere di Bruno è l'unica condizione per costruire cultura e civiltà) è la vera immagine dell'uomo.
Non più impiegata come utensile la mano, che due secoli dopo Bruno, Kant definirà: «il cervello esterno dell'uomo», è capace di gesti espressivi che sono negati agli animali, perché questi non disponendo di una mano libera, si trovano nell'impossibilità di esplorare il mondo, con tutte le conseguenze comportamentali e cognitive che, una volta acquisite grazie all'uso della mano, verranno messe in conto all'anima. Se non disponesse di una mano libera infatti, scrive Bruno: «L'uomo in luogo di camminare serperebbe, in luogo d'edificarsi palaggio si caverebbe un pertuggio, e non gli converrebbe la stanza, ma la buca».
Nonostante questo depotenziamento dell'origine dell'uomo, più parente dell'animale che di Dio, Giordano Bruno è un grande umanista che non cade nell'errore in cui, due secoli dopo, sono caduti gli illuministi che, come vuole la denuncia di Rousseau: «Confondono l'uomo di natura con gli uomini che hanno sotto gli occhi. Sanno assai bene cos'è un borghese di Londra e di Parigi, ma non sapranno mai cos'è un uomo».
Di qui la condanna di Bruno ne La cena de le ceneri contro la spedizione di Cristoforo Colombo, contro una «conquista mascherata da scoperta». Le popolazioni ameroinde, scrive Bruno, avevano una loro cultura, una loro lingua, una loro religione. Avevano insomma il diritto di vivere in pace secondo le loro leggi e i loro costumi. Ma la brama spregiudicata del profitto ha trasformato presunti marinai animati dal desiderio di conoscenza in vili pirati assetati di oro e argento che sulle loro navi, scrive Bruno ne Lo spaccio de la bestia trionfante, imbarcarono: «L'abominevole Avarizia, con la vile e precipitosa Mercatura, col disperato Piratismo, Predazione, Inganno, Usura e altre scelerate serve, ministre e circostanti di costoro».
Bruno aveva capito che non basta celebrare l'uomo, come nell'età umanistica si faceva, per conoscere l'uomo. E non si può conoscere l'uomo se lo si pensa, come vuole la religione e la scienza «padrone e dominatore del mondo». Meglio una filosofia che lo riconosce negli «infiniti mondi» e così lo relativizza, armonizzandolo con tutti gli enti di natura, su cui l'uomo non può esercitare il suo incontrastato dominio, ma di cui deve prendersi semplicemente cura. Perché la sorte dell'uomo non è disgiunta dalla sorte dell'altro uomo e neppure dagli enti di natura, come l'acqua, l'aria, gli animali, le piante, la terra, verso cui, soprattutto oggi, abbiamo dei doveri che nessuna morale, ad eccezione di quella bruniana, ha finora contemplato.
L'uomo non è affatto il padrone del mondo
l'eredità di un filosofo
Ora disponiamo di riedizioni molto accurate delle opere basate su studi profondi come quello di Nuccio Ordine
Un pensiero controcorrente che in qualche modo anticipava addirittura Darwin per l'evoluzione del corpo
Leggeva la filosofia in chiave comica e la commedia in chiave filosofica
Rifiutava la concezione geocentrica di Tolomeo per liberarsi dai falsi principi
di UMBERTO GALIMBERTI
Ce n'era abbastanza per tagliargli la lingua e bruciarlo vivo a Roma in Campo de' Fiori il 17 febbraio del 1600. Aveva anticipato troppo i tempi, aveva detto verità che solo oggi noi sentiamo familiari. Aveva messo in discussione la centralità dell'uomo nell'universo, si era spinto a negare la trascendenza di Dio. Dubitava che lo sguardo matematico degli scienziati fosse quello idoneo a comprendere la natura, e che lo sguardo teologico dei preti avvicinasse a Dio.
Leggeva la filosofia in chiave comica e la commedia in chiave filosofica per relativizzare tutte le verità che pretendono l'assolutezza. Ai preti, a cui assegnava solo il compito di garantire l'ordine sociale con gli strumenti della fede, preferiva i maghi impegnati a reperire le costanti della natura (i vincoli) e quindi la sua conoscenza. Denunciava le violenze del cristianesimo perpetrate in America Latina da quel «pirata» che era, a suo parere, Cristoforo Colombo, il quale barattava battesimi con oro e argento. Ce n'era abbastanza per tagliargli la lingua e bruciarlo vivo.
Sto parlando di Giordano Bruno (1548-1600) di cui, in occasione dell'anno bruniano, la Utet ha editato le Opere italiane in due volumi per complessive 1856 pagine, già apparse in Francia da Les Belles Lettres e in procinto di essere tradotte in tedesco, spagnolo, svedese, rumeno, giapponese e cinese. L'edizione italiana, che si avvale degli studi di Giovanni Aquilecchia, maestro per cinquant'anni di studi bruniani, è stata curata da Nuccio Ordine, autore di una magistrale, e per me entusiasmante, Introduzione di 200 pagine, che sono parte di un più ampio saggio che, col titolo: La soglia dell'ombra. Letteratura, filosofia e pittura in Giordano Bruno, è stato pubblicato da Marsilio in Italia e da Les Belles Lettres in Francia.
La prima opera in lingua italiana di Bruno è una commedia: Il candelaio, pubblicato a Parigi nel 1582. Ad essa seguirono sei dialoghi filosofici pubblicati a Londra tra il 1584 e il 1585. La commedia Il candelaio non fu ospitata dalla raccolta delle opere di Bruno curata da Giovanni Gentile, perché non ritenuta un'opera filosofica. In realtà Gentile non aveva capito che l'intento di Bruno era di destabilizzare i generi letterari e dimostrare che si poteva parlare comicamente di filosofia e filosoficamente della commedia, per relativizzare tutte le verità credute assolute, a partire dall'ordine cosmologico allora ipotizzato, che fungeva da supporto teologico per affermare la centralità dell'uomo nell'universo e la sua destinazione celeste.
Bruno, che rifiutava la concezione geocentrica di Tolomeo, vuole liberare la terra dalla falsa immobilità e dai falsi principi di una filosofia teologizzante che, ponendo l'uomo al centro dell'universo ne fa il «dominatore e il possessore del mondo» come qualche anno dopo dirà Cartesio.
Ma a Bruno non basta superare Tolomeo, cosa che aveva già fatto Copernico e dopo di lui Galileo e Cartesio. Bruno vuole superare anche l'eliocentrismo copernicano perché, pur avendo ammesso la centralità del sole rispetto alla centralità della terra, Copernico, a parere di Bruno, rimaneva ancorato a una cosmologia tradizionale, chiusa e delimitata, senza approdare a un universo infinito, senza centro e senza limiti, popolato da innumerevoli mondi e difficilmente conciliabile con le esigenze della «ragione calculatoria» tanto cara agli scienziati del suo tempo.
Così dicendo, Bruno si pone contro sia gli scienziati che ritengono la natura indagabile solo con strumenti matematici, sia i teologi che vedono sconvolta l'architettura dell'universo, secondo la quale Dio ha creato un mondo finito, con al centro l'uomo, dominatore della natura e al contempo così bisognoso di salvezza da richiedere la discesa in terra del figlio di Dio.
Questa presa di posizione su entrambi i fronti consente a Bruno di smascherare quella sotterranea parentela che, al di là delle dispute, lega la tradizione cristiana all'agnosticismo scientifico. L'una e l'altro infatti condividono la persuasione che l'uomo, disponendo dell'anima come vuole la religione o della facoltà razionale come vuole la scienza è, tra gli enti di natura, l'ente privilegiato che può sottomettere a sé tutte le cose.
A questa enfatizzazione cartesiana del soggetto (Ego cogito) preparata dalla tradizione giudaico-cristiana (per la quale l'uomo è immagine di Dio e quindi nel diritto di dominare su tutte le cose), Giordano Bruno contrappone un percorso radicalmente diverso da quello che caratterizzerà per secoli il pensiero europeo. Non il primato dell'uomo, ma il primato degli equilibri sempre instabili e sempre da ricostruire tra tutti gli enti di natura che, al di fuori di ogni scala gerarchica, godono tutti di pari dignità, perché la più minuscola pulce è al centro dell'universo allo stesso titolo della più luminosa delle stelle.
Spezzare l'ordine gerarchico significa distruggere la scala dei valori che faceva da sfondo sia alla visione teologica sia a quella scientifica del mondo che, a parere di Bruno vanno sostituite dalla visione magica che non è potere sulla natura, ma scoperta dei vincoli con cui tutte le cose si incatenano, secondo il modello eracliteo dell'«invisibile armonia».
Per questa concezione filosofica, antitetica sia alla scienza matematica che si alimenta della progettualità umana, sia alla religione che, se da un lato subordina l'uomo a Dio, non esita a considerarlo, fin dal giorno della sua cacciata dal paradiso terrestre, dominatore di tutte le cose, Giordano Bruno fu trascurato dagli scienziati del suo tempo che stavano inaugurando il sentiero che sarà poi percorso dal pensiero occidentale, e bruciato vivo a Roma, in Campo de' Fiori, dalla Chiesa che allora, per dire la sua, disponeva di metodi più spicci.
Ma oggi che il potere dell'uomo sulla natura inquieta l'uomo stesso, perché il suo potere di «fare» è enormemente superiore al suo potere di «prevedere» e di «governare» la propria storia, forse è opportuno un ritorno al pensiero di Bruno, per scorgervi, oltre all'anticipatore degli «infiniti mondi» contro il geocentrismo del suo tempo, colui che, proprio in forza degli «infiniti mondi» dubita che l'uomo possa essere pensato come il centro dell'universo e quindi in diritto di disporne secondo i modesti e al tempo stesso terribili schemi della sua acritica progettualità, perché alla legge del Tutto, a cui si volgeva la magia bruniana, impone la legge dell'uomo (occidentale) sul Tutto.
Ma chi è l'uomo per Giordano Bruno? Con un'anticipazione che potremmo dire «darwiniana» l'uomo, al pari di tutti gli animali, è deciso dalla sua conformazione corporea, e la sua superiorità non è dovuta tanto all'anima, alla ragione, alla mente, ma alla forma del suo corpo. A differenza del primate più evoluto, l'uomo infatti ha la mano libera nel cammino, e ciò consente a tutto il suo corpo di liberarsi nella manipolazione del mondo. Questa manipolazione si chiama «lavoro», in cui è la specificità dell'uomo e la sua differenza dall'animale, per cui non Adamo nel paradiso terrestre che oziava nella più assoluta incoscienza di sé, ma Adamo dopo il peccato originale che assume su di sé la «condanna» del lavoro (che a parere di Bruno è l'unica condizione per costruire cultura e civiltà) è la vera immagine dell'uomo.
Non più impiegata come utensile la mano, che due secoli dopo Bruno, Kant definirà: «il cervello esterno dell'uomo», è capace di gesti espressivi che sono negati agli animali, perché questi non disponendo di una mano libera, si trovano nell'impossibilità di esplorare il mondo, con tutte le conseguenze comportamentali e cognitive che, una volta acquisite grazie all'uso della mano, verranno messe in conto all'anima. Se non disponesse di una mano libera infatti, scrive Bruno: «L'uomo in luogo di camminare serperebbe, in luogo d'edificarsi palaggio si caverebbe un pertuggio, e non gli converrebbe la stanza, ma la buca».
Nonostante questo depotenziamento dell'origine dell'uomo, più parente dell'animale che di Dio, Giordano Bruno è un grande umanista che non cade nell'errore in cui, due secoli dopo, sono caduti gli illuministi che, come vuole la denuncia di Rousseau: «Confondono l'uomo di natura con gli uomini che hanno sotto gli occhi. Sanno assai bene cos'è un borghese di Londra e di Parigi, ma non sapranno mai cos'è un uomo».
Di qui la condanna di Bruno ne La cena de le ceneri contro la spedizione di Cristoforo Colombo, contro una «conquista mascherata da scoperta». Le popolazioni ameroinde, scrive Bruno, avevano una loro cultura, una loro lingua, una loro religione. Avevano insomma il diritto di vivere in pace secondo le loro leggi e i loro costumi. Ma la brama spregiudicata del profitto ha trasformato presunti marinai animati dal desiderio di conoscenza in vili pirati assetati di oro e argento che sulle loro navi, scrive Bruno ne Lo spaccio de la bestia trionfante, imbarcarono: «L'abominevole Avarizia, con la vile e precipitosa Mercatura, col disperato Piratismo, Predazione, Inganno, Usura e altre scelerate serve, ministre e circostanti di costoro».
Bruno aveva capito che non basta celebrare l'uomo, come nell'età umanistica si faceva, per conoscere l'uomo. E non si può conoscere l'uomo se lo si pensa, come vuole la religione e la scienza «padrone e dominatore del mondo». Meglio una filosofia che lo riconosce negli «infiniti mondi» e così lo relativizza, armonizzandolo con tutti gli enti di natura, su cui l'uomo non può esercitare il suo incontrastato dominio, ma di cui deve prendersi semplicemente cura. Perché la sorte dell'uomo non è disgiunta dalla sorte dell'altro uomo e neppure dagli enti di natura, come l'acqua, l'aria, gli animali, le piante, la terra, verso cui, soprattutto oggi, abbiamo dei doveri che nessuna morale, ad eccezione di quella bruniana, ha finora contemplato.
un recente libro su Freud
presentato a Firenze venerdi pomeriggio
una segnalazione di Domenico Fargnoli
La Repubblica 9.1.04 Edizione di Firenze
LEGGERE PER NON DIMENTICRE
Il padre della psicanalisi
Un ritratto del padre della psicanalisi: una nuova lettura del "complesso materno" di Freud e dei rapporti con le donne della sua vita. Uno stretto intreccio tra biografia e storia delle idee. È il libro Freud messo a fuoco messo a fuoco di Roberto Speziale-Bagliacca (Bollati Boringhieri), che l'autore presenta oggi alle 17.30 alla Biblioteca comunale centrale di via Sant'Egidio. Introduce Antonino Ferro. È il primo incontro del 2004 di "Leggere per non dimenticare", il ciclo curato da Anna Benedetti.
Freud e le donne
di SPEZIALE-BAGLIACCA
Le righe scelte offrono la ricostruzione storica della cultura medica agli inizi della psicoanalisi, rivelando pratiche di estrema violenza, soprattutto ai danni di donne e bambini, pratiche che oggi - meno di cento anni dopo - sono attribuite solo a popolazioni con una civiltà in ritardo di millenni.
(pag. 97-103)
«QUANDO subentrano le teorie dei nervi, il corpo viene percepito come percorso da "corde" che possono essere tese al punto da vibrare al minimo stimolo. È a questo punto - alla fine del '700, secondo Shorter - che inizia la fortuna di espressioni come "malato di nervi", "esaurimento nervoso". Queste formule ingloberanno, fino ai nostri tempi, non solo le malattie neurologiche, ma anche i disturbi psichici di competenza della psichiatria.
Questo cambiamento di paradigma modificherà anche gli interventi per sedare l'ansia: ai salassi, rimedi tipici della teoria umorale, lentamente subentra l'antico utilizzo dei bagni termali e l'uso di correnti elettriche. Ma in seguito si interverrà con gli assalti chirurgici. "L'idea fissa di aver bisogno di un intervento chirurgico rappresenta un sintomo psicosomatico", spiega correttamente Shorter. La principessa Marie Bonaparte, fondatrice della psicoanalisi in Francia, esprime questo sintomo. Le pratiche chirurgiche andavano dalla circoncisione ai tagli sul prepuzio nei maschi, all'amputazione, alla circoncisione e alla scarificazione della clitoride nelle femmine, e via via tutte le pratiche pensabili, fino all'infibulazione, che oggi, dimentichi di un passato assai prossimo, consideriamo tipica solamente di popolazioni primitive e incivili.
Tra le operazioni chirurgiche che il professor Halban praticava c'era il riavvicinamento della clitoride al meato uretrale. Sotto pseudonimo, la Bonaparte stende un articolo in cui afferma che Halban aveva operato cinque donne e che aveva ottenuto risultati positivi. In seguito, dopo essersi fatta operare da lui, dovette riconoscere a se stessa che quel tipo d'intervento non comportava orgasmi più facili. Quell'operazione aveva segnato "la fine della luna di miele con l'analisi"; Freud manifestò il suo malumore alla principessa: se non avesse desiderato diventare analista, in un caso come questo avrebbe potuto permettersi una grande libertà, ma non come analista: "l'analisi infatti da un lato libera gli istinti, ma anche consente di dominare gli istinti", riporta sempre la Bertin (frase che, se fosse confermata, dovrebbe lasciare più che stupiti perché esprime ciù che Freud pensa che la psicoanalisi avrebbe dovuto ottenere, non ciò che in realtà era capace di ottenere).
Più tardi, probabilmente depressa perché abbandonata da un amante, decide di farsi operare una seconda volta».
La Nazione 9.1.04
LEGGERE PER NON DIMENTICARE
l'opera di Speziale-Bagliacca
Tutti i tormenti di Freud
"Leggere per non dimenticare", ciclo di incontri a cura di Anna Benedetti, ricomincia oggi [venerdì 9.1.04 ndr] alle 17.30 alla Biblioteca Comunale Centrale in via S.Egidio 21. Oggi tocca a Roberto Speziale-Bagliacca con Freud messo a fuoco. Passando dai padri alle madri (Bollati Boringhieri, 2002). Introduce Antonino Ferro. Roberto Speziale-Bagliacca, psicoanalista milanese, vive da anni nella Riviera Ligure e insegna alla facoltà di Medicina di Genova. In questo suo saggio si dice convinto che chi difende l'opera e la personalità di Freud anche dalle critiche corrette rivela una mancanza di fiducia nella sua capacità di superare il giudizio della storia. Solo intaccando il mito che si è andato costruendo intorno alla sua persona, Freud può emergere autenticamente come una delle figure centrali del dibattito scientifico del ventesimo secolo. Ecco una breve intervista all'autore.
L'interpretazione del titolo del libro è quella della metafora ottica, vale a dire la messa a fuoco di immagini diverse di Freud, oppure allude a qualche altra intenzione?
«L'interpretazione del titolo Freud messo a fuoco (volutamente ambiguo) è lasciata al lettore. C'è chi ha pensato che fosse mia intenzione dare Freud alle fiamme, chi invece ha ricordato che le sue opere furono messe al rogo a Berlino e a Vienna e che lungo tutto il ventesimo secolo ci sono statiripetuti tentativi di bruciarle come testi scientifici. Personalmente d'aver scelto questo titolo pensando a un Freud inquadrato con apparati ottici di portata differente: una sorta di grandangolare per vederlo calato nell'Europa del suo tempo, una sorta di teleobiettivo per poterlo osservare da molto vicino, tra l'altro, mentre analizza i suoi pazienti»
Freud e la sua teoria possono riservare ancora sorprese?
«Freud era un pensatore che ha prodotto una quantità impressionante di modelli e di intuizioni originali - sovente annegate in altre teorizzazioni - che non sempre riuscì a sviluppare. Se non altro per questo motivo, la sua teoria, che pure è per molti versi superatra (la psicoanalisi freudiana è radicalmente cambiata) riserva continue sorprese. Quanto invece a Freud come essere umano, occorre partire dal fatto che intorno a lui è stato creato un mito e che lui stesso contribuì a crearlo. Se uno si prefigge di andare a controllare anche le tessere apparentemente più insignificanti del mosaico che compone quel mito, come ho tentato di fare io, allora scopre una quantità di cose sorprendenti. La principale m'è sembrata il recupero del suo tormentato rapporto con la madre, per lo più negato sia da Freud che dalla maggior parte degli storici»
DAL CATALOGO BOLLATI BORINGHIERI:
Freud messo a fuoco.
Passando dai padri alle madri
di Speziale Bagliacca Roberto
Collana Saggi. Psicologia
Prezzo €24,00
il contenuto
Una prima attrezzatura ottica inquadra la scoperta che Freud ci ha lasciato, le esperienze di coloro che lo precedettero, i ripensamenti che ha avuto e le intuizioni che gli sono sfuggite. Una seconda mette a fuoco momenti della sua vita e del suo lavoro, collegandoli alla teoria e alla pratica da lui iniziate, a loro volta poste a duro confronto con la psicoanalisi moderna, radicalmente diversa da quella delle origini. I molti lati oscuri del rapporto di Sigmund con sua madre, da lui negati, e affrontati con un eccesso di cautela dalla maggior parte degli storici, hanno condizionato la sua visione della psiche umana, influenzando generazioni di analisti. È questa la tesi originale del saggio, che permette di afferrare risvolti inediti sia di quelli che, con l'espressione dell'"uomo dei lupi" sono stati chiamati i "disastri" della psicoanalisi, sia delle lacune iniziali, che i detrattori amano invocare per tentare la pura demolizione della psicoanalisi stessa. In realtà, da alcuni primi analisti mal formati, spesso mandati letteralmente allo sbaraglio, ma dotati di notevole creatività, è nata la disciplina che Freud aveva intuito e solo in parte edificato.
"L'autore si confronta con il "complesso materno" di Freud, in uno stretto intreccio tra biografia e storia delle idee. Il metodo che utilizza è quello dell'onestà intellettuale, senza bisogno di intellettualizzazioni retrospettive, ma sostenuto dalla fiducia costante nella psicoanalisi e nei suoi strumenti trasformativi."
(Simona Argentieri)
l'autore
Roberto Speziale-Bagliacca, psicoanalista milanese, vive da anni nella Riviera Ligure e insegna alla Facoltà di Medicina di Genova. Tra i suoi lavori, tradotti in numerose lingue, "Adultera e Re. Un'interpretazione psicoanalitica e letteraria di "Madame Bovary" e "Re Lear", apparso in questa stessa collana (2000), e "Colpa" (Astrolabio, 1997).
Dello Stesso Autore:
Adultera e re. Un'interpretazione psicoanalitica e letteraria di "Madame Bovary" e "Re Lear", €15,49
La Repubblica 9.1.04 Edizione di Firenze
LEGGERE PER NON DIMENTICRE
Il padre della psicanalisi
Un ritratto del padre della psicanalisi: una nuova lettura del "complesso materno" di Freud e dei rapporti con le donne della sua vita. Uno stretto intreccio tra biografia e storia delle idee. È il libro Freud messo a fuoco messo a fuoco di Roberto Speziale-Bagliacca (Bollati Boringhieri), che l'autore presenta oggi alle 17.30 alla Biblioteca comunale centrale di via Sant'Egidio. Introduce Antonino Ferro. È il primo incontro del 2004 di "Leggere per non dimenticare", il ciclo curato da Anna Benedetti.
Freud e le donne
di SPEZIALE-BAGLIACCA
Le righe scelte offrono la ricostruzione storica della cultura medica agli inizi della psicoanalisi, rivelando pratiche di estrema violenza, soprattutto ai danni di donne e bambini, pratiche che oggi - meno di cento anni dopo - sono attribuite solo a popolazioni con una civiltà in ritardo di millenni.
(pag. 97-103)
«QUANDO subentrano le teorie dei nervi, il corpo viene percepito come percorso da "corde" che possono essere tese al punto da vibrare al minimo stimolo. È a questo punto - alla fine del '700, secondo Shorter - che inizia la fortuna di espressioni come "malato di nervi", "esaurimento nervoso". Queste formule ingloberanno, fino ai nostri tempi, non solo le malattie neurologiche, ma anche i disturbi psichici di competenza della psichiatria.
Questo cambiamento di paradigma modificherà anche gli interventi per sedare l'ansia: ai salassi, rimedi tipici della teoria umorale, lentamente subentra l'antico utilizzo dei bagni termali e l'uso di correnti elettriche. Ma in seguito si interverrà con gli assalti chirurgici. "L'idea fissa di aver bisogno di un intervento chirurgico rappresenta un sintomo psicosomatico", spiega correttamente Shorter. La principessa Marie Bonaparte, fondatrice della psicoanalisi in Francia, esprime questo sintomo. Le pratiche chirurgiche andavano dalla circoncisione ai tagli sul prepuzio nei maschi, all'amputazione, alla circoncisione e alla scarificazione della clitoride nelle femmine, e via via tutte le pratiche pensabili, fino all'infibulazione, che oggi, dimentichi di un passato assai prossimo, consideriamo tipica solamente di popolazioni primitive e incivili.
Tra le operazioni chirurgiche che il professor Halban praticava c'era il riavvicinamento della clitoride al meato uretrale. Sotto pseudonimo, la Bonaparte stende un articolo in cui afferma che Halban aveva operato cinque donne e che aveva ottenuto risultati positivi. In seguito, dopo essersi fatta operare da lui, dovette riconoscere a se stessa che quel tipo d'intervento non comportava orgasmi più facili. Quell'operazione aveva segnato "la fine della luna di miele con l'analisi"; Freud manifestò il suo malumore alla principessa: se non avesse desiderato diventare analista, in un caso come questo avrebbe potuto permettersi una grande libertà, ma non come analista: "l'analisi infatti da un lato libera gli istinti, ma anche consente di dominare gli istinti", riporta sempre la Bertin (frase che, se fosse confermata, dovrebbe lasciare più che stupiti perché esprime ciù che Freud pensa che la psicoanalisi avrebbe dovuto ottenere, non ciò che in realtà era capace di ottenere).
Più tardi, probabilmente depressa perché abbandonata da un amante, decide di farsi operare una seconda volta».
La Nazione 9.1.04
LEGGERE PER NON DIMENTICARE
l'opera di Speziale-Bagliacca
Tutti i tormenti di Freud
"Leggere per non dimenticare", ciclo di incontri a cura di Anna Benedetti, ricomincia oggi [venerdì 9.1.04 ndr] alle 17.30 alla Biblioteca Comunale Centrale in via S.Egidio 21. Oggi tocca a Roberto Speziale-Bagliacca con Freud messo a fuoco. Passando dai padri alle madri (Bollati Boringhieri, 2002). Introduce Antonino Ferro. Roberto Speziale-Bagliacca, psicoanalista milanese, vive da anni nella Riviera Ligure e insegna alla facoltà di Medicina di Genova. In questo suo saggio si dice convinto che chi difende l'opera e la personalità di Freud anche dalle critiche corrette rivela una mancanza di fiducia nella sua capacità di superare il giudizio della storia. Solo intaccando il mito che si è andato costruendo intorno alla sua persona, Freud può emergere autenticamente come una delle figure centrali del dibattito scientifico del ventesimo secolo. Ecco una breve intervista all'autore.
L'interpretazione del titolo del libro è quella della metafora ottica, vale a dire la messa a fuoco di immagini diverse di Freud, oppure allude a qualche altra intenzione?
«L'interpretazione del titolo Freud messo a fuoco (volutamente ambiguo) è lasciata al lettore. C'è chi ha pensato che fosse mia intenzione dare Freud alle fiamme, chi invece ha ricordato che le sue opere furono messe al rogo a Berlino e a Vienna e che lungo tutto il ventesimo secolo ci sono statiripetuti tentativi di bruciarle come testi scientifici. Personalmente d'aver scelto questo titolo pensando a un Freud inquadrato con apparati ottici di portata differente: una sorta di grandangolare per vederlo calato nell'Europa del suo tempo, una sorta di teleobiettivo per poterlo osservare da molto vicino, tra l'altro, mentre analizza i suoi pazienti»
Freud e la sua teoria possono riservare ancora sorprese?
«Freud era un pensatore che ha prodotto una quantità impressionante di modelli e di intuizioni originali - sovente annegate in altre teorizzazioni - che non sempre riuscì a sviluppare. Se non altro per questo motivo, la sua teoria, che pure è per molti versi superatra (la psicoanalisi freudiana è radicalmente cambiata) riserva continue sorprese. Quanto invece a Freud come essere umano, occorre partire dal fatto che intorno a lui è stato creato un mito e che lui stesso contribuì a crearlo. Se uno si prefigge di andare a controllare anche le tessere apparentemente più insignificanti del mosaico che compone quel mito, come ho tentato di fare io, allora scopre una quantità di cose sorprendenti. La principale m'è sembrata il recupero del suo tormentato rapporto con la madre, per lo più negato sia da Freud che dalla maggior parte degli storici»
DAL CATALOGO BOLLATI BORINGHIERI:
Freud messo a fuoco.
Passando dai padri alle madri
di Speziale Bagliacca Roberto
Collana Saggi. Psicologia
Prezzo €24,00
il contenuto
Una prima attrezzatura ottica inquadra la scoperta che Freud ci ha lasciato, le esperienze di coloro che lo precedettero, i ripensamenti che ha avuto e le intuizioni che gli sono sfuggite. Una seconda mette a fuoco momenti della sua vita e del suo lavoro, collegandoli alla teoria e alla pratica da lui iniziate, a loro volta poste a duro confronto con la psicoanalisi moderna, radicalmente diversa da quella delle origini. I molti lati oscuri del rapporto di Sigmund con sua madre, da lui negati, e affrontati con un eccesso di cautela dalla maggior parte degli storici, hanno condizionato la sua visione della psiche umana, influenzando generazioni di analisti. È questa la tesi originale del saggio, che permette di afferrare risvolti inediti sia di quelli che, con l'espressione dell'"uomo dei lupi" sono stati chiamati i "disastri" della psicoanalisi, sia delle lacune iniziali, che i detrattori amano invocare per tentare la pura demolizione della psicoanalisi stessa. In realtà, da alcuni primi analisti mal formati, spesso mandati letteralmente allo sbaraglio, ma dotati di notevole creatività, è nata la disciplina che Freud aveva intuito e solo in parte edificato.
"L'autore si confronta con il "complesso materno" di Freud, in uno stretto intreccio tra biografia e storia delle idee. Il metodo che utilizza è quello dell'onestà intellettuale, senza bisogno di intellettualizzazioni retrospettive, ma sostenuto dalla fiducia costante nella psicoanalisi e nei suoi strumenti trasformativi."
(Simona Argentieri)
l'autore
Roberto Speziale-Bagliacca, psicoanalista milanese, vive da anni nella Riviera Ligure e insegna alla Facoltà di Medicina di Genova. Tra i suoi lavori, tradotti in numerose lingue, "Adultera e Re. Un'interpretazione psicoanalitica e letteraria di "Madame Bovary" e "Re Lear", apparso in questa stessa collana (2000), e "Colpa" (Astrolabio, 1997).
Dello Stesso Autore:
Adultera e re. Un'interpretazione psicoanalitica e letteraria di "Madame Bovary" e "Re Lear", €15,49
Iscriviti a:
Post (Atom)