sabato 11 dicembre 2004

e nel frattempo, Psichiatria Democratica...

ricevuto da Eros Cococcetta

LIBERAZIONE, 11 dic. 2004

Secondo l'Oms, nel 2020 una persona su due potrebbe soffrire di un disagio psichico
Al mercato della sofferenza mentale sempre più Ritalin, Prozac e Tavor
Luigi Attenasio

Giusy Gabriele
Psichiatria Democratica

La conferenza nazionale di Psichiatria Democratica che si tiene oggi è l'occasione per fare il punto sulla situazione nel nostro paese. Il quadro non è per nulla rassicurante. Il primo dato è l'estrema carenza di personale, risultato di una politica di tagli sulla sanità. Il Progetto Obiettivo prevedeva un operatore ogni 1.500 abitanti: ne mancano all'appello 8.000. Il governo e gran parte delle amministrazioni regionali non hanno mai impegnato quel famoso 5% della spesa sanitaria per i Dipartimenti di salute mentale. Il progetto di legge di una esponente di Forza Italia oltre che demagogico sembra teso a distruggere il patrimonio di cultura scientifica e di civiltà prodotto dalla 180. Ormai si conoscono le buone pratiche, i risultati dei servizi di qualità emergono e nessuno apparentemente vuole tornare agli errori/orrori del manicomio. La parola cura per gli operatori impegnati nel cambiamento non è sinonimo di guarigione, la sanatio dei latini, ma ha riacquistato altri significati: gestire, farsi carico di, proteggere i deboli, sollecitudine verso gli altri, trasformare in senso evolutivo più che ridare equilibrio a qualcosa di originario Impressiona che nel 2020, per l'Oms, una persona su due potrebbe soffrire di un disagio psichico. Per questo è particolarmente significativo che Roberto Musacchio, con Giovanni Berlinguer ed altri parlamentari europei del Gue, stia lavorando per costruire con Psichiatria Democratica una "Europa senza manicomi". Dobbiamo rispondere a domande inquietanti: si può immaginare che un fenomeno ritenuto così esteso e di massa sia spiegabile in modo strettamente medico-clinico? Si può delegare la risposta esclusivamente ai tecnici? Possiamo accettare che la malattia, come dice Paolo Vineis, diventi un "depersonalized nowhere", un nessun luogo depersonalizzato? Possiamo subire il prevalere del neoriduzionismo procedurale e che vincano le parole individualismo, autonomia, calcolo, utilità, efficienza, compatibilità? Chi come noi si è formato nelle pratiche e con le straordinarie acquisizioni teoriche di Franco Basaglia risponde no! Se la sofferenza dilaga, l'impegno deve essere collettivo e la politica non può restarne fuori. La miseria non è solo un dato economico. E' anche desertificazione delle relazioni. E' per questo, e Foucault e Basaglia lo hanno ampiamente dimostrato, che esiste un rapporto strettissimo tra questa miseria e la follia. Rivoltare il mondo e sconfiggere la miseria è anche cambiare i destini del "folle". Non si tratta di questioni da specialisti ma dell'assetto del mondo e delle nostre stesse singole esistenze: un impegno da segnare nell'agenda politica. Va discusso ed indagato il senso attuale della normalità, della norma, della normalizzazione. Dobbiamo evidenziare quanto competizione, concorrenza, legge del più forte incidano profondamente sul senso di inadeguatezza, di insicurezza e sulla "depressione" di vasti strati della popolazione e delle donne in particolare. L'analisi delle forme di esercizio del potere è parte integrante di un modo serio, e soprattutto utile, di affrontare la crisi soggettiva delle persone. Spaziando dal piccolo del potere monocratico dei manager delle aziende pubbliche fino all'invasione del modello imposto dalle televisioni nella nostra vita, ci accorgiamo che c'è un riflesso enorme sulla questione sofferenza mentale. Il capitalismo, che nel nostro caso ha la faccia delle grandi multinazionali del farmaco, si organizza e trasforma il dolore in mercato, ci vende pillole per ogni età, di tutti i colori e per ogni problema. Non demonizziamo i farmaci, ma ci piace Mark Twain: «Tutte le scoperte della medicina si possono ricondurre alla breve formula l'acqua, bevuta moderatamente, non è nociva». La parola farmaco è ormai diventata sinonimo di rimedio terapeutico tout court, lasciando in ombra il significato di sostanza tossica, presente nel greco pharmakon o nel latino medicamentum. Ci creano l'illusione della sostanza personalizzata, la "pallottola magica", che risolverebbe tutto miracolosamente quando di fatto non esistono "bersagli" chiari, cioè geni unici responsabili di malattia, tranne qualche rara eccezione. Ecco il Ritalin per i bambini vivaci, con cui non si affronta il problema della scuola e dell'adolescenza, il Prozac per chi si sente triste, il Tavor per chi si sente in ansia. La farmacologia non è il regno del demonio ma vorremmo una ricerca non solo a senso unico, quello della mercificazione dell'umanità e delle sue crisi. Al di là di tutto c'è l'orgoglio, rispetto ad altre nazioni, di un orizzonte quotidiano più ricco di civiltà perché senza manicomi e con al centro le persone, i loro diritti e le loro differenze. Non è utopia immaginare e realizzare un altro mondo dove ciascuno possa esprimere la propria soggettività senza dover impazzire. Per dirla con Cesare Zavattini, vogliamo continuare a spostarci dalla realtà tradizionale non per cercare quello che non c'è ma per cercare quello che c'è e che la realtà tradizionale nasconde.

fecondazione
«dalla Cassazione primo "sì" al referendum»

L'Unità Interni 11.12.04
Fecondazione: dalla Cassazione primo «sì» al referendum
di Mimmo Torrisi

Via libera della Cassazione a tutti i referendum contro la legge sulla fecondazione assistita, la parola passa ora alla Corte costituzionale che dovrà decidere sull'ammissibilità. Se anche la Consulta dirà «sì», si voterà tra la metà aprile e la metà di giugno 2005. La decisione rappresenta un successo per i promotori dei referendum che temevano l'accorpamento di alcuni dei quesiti che chiedono l'abrogazione parziale della legge.

cambia il concetto di malattia

Yahoo! Sanità venerdì 10 dicembre 2004
Il concetto di malattia: come si cambia
Il Pensiero Scientifico Editore
di David Frati

I concetti professionali e culturali di malattia influenzano le decisioni dei singoli pazienti e la gestione della Sanità. Il modello biomedico di malattia, che ha dominato la Medicina nel secolo scorso, non riesce a spiegare compiutamente molte forme patologiche. Nasce allora l’esigenza di un nuovo modello: se ne parla sul British Medical Journal in un lungo editoriale a firma di Derick T. Wade e Peter W. Hallligan.
L’adozione di diversi concetti di malattia può avere conseguenze spettacolari a livello sociale: durante la Prima Guerra Mondiale, per esempio, i soldati che soffrivano di crisi nervose a causa del pesante stress al quale erano sottoposti durante la vita di trincea venivano considerati renitenti e a volte fucilati. Oggi sarebbero considerati vittime e verrebbero loro concessi permessi e pensioni.
Il modello classico di malattia si basa su una serie di assunti: tutti i malesseri e i sintomi sono lo specchio di un’anormalità del corpo, la malattia appunto; tutte le malattie danno sintomi; salute è assenza di malattie; i fenomeni mentali, ad esempio tristezza o dolore, sono separati dagli altri disturbi del corpo; il paziente è vittima delle circostanze ed ha poca o nessuna colpa per la presenza della malattia; il paziente è un recettore passivo della terapia, anche se la sua cooperazione è benvenuta.
Ciononostante, molti pazienti denunciano sintomi che non sono attribuibili chiaramente ad una malattia. I problemi legati alle patologie prive di una causa definibile sono d’altronde ben documentati: sono di solito definite più appropriatamente definite ‘sindromi somatiche’, fortemente influenzabili da fattori psicologici o sociali. Il modello biomedico è fortemente legato ad una concezione primitiva del dualismo mente-corpo: prova ne è il fatto che persino le strutture sanitarie dedicate alla cura dei problemi fisici e mentali sono classicamente distinte.
Appare ormai urgente la creazione e la diffusione di un nuovo modello di malattia, più adatto alle conoscenze attuali e più capace di soddisfare le necessità terapeutiche dei pazienti e quelle organizzative degli enti sanitari. Fa da base di partenza la recente definizione dell’OMS di disabilità, salute ed handicap.
Al nuovo modello di malattia non possono mancare: la visione di ogni stato fisico dal punto di vista soggettivo (l’esperienza del paziente) e oggettive (l’osservazione esterna); la presenza di un fattore umano, la libera scelta, la volontà; una definizione puntuale del contesto personale e sociale.
Il modello proposto suggerisce che la malattia è una disfunzione della persona nel suo ambiente sociale e fisico. È incentrato sulla persona, che interagisce a più livelli con la realtà che lo circonda. Grazie a questo approccio, il mistero delle malattie non-organiche o funzionali non sarà più un mistero per i medici.

Fonte: Wade DT, Halligan PW. Do biomedical models of illness make for good healthcare systems? BMJ 2004; 329:1398-1401.