Il Messaggero Sabato 23 Aprile 2005Tempo e scienza
L’infanzia lunghissima è il segreto della nostra evoluzionedi MASSIMO DI FORTINapoli. PER Dante era il fertile terreno della conoscenza («Che perder tempo a chi più sa più spiace). Per un capitalista è fonte della ricchezza («Il tempo è denaro»).Per Benjamin Franklin era «la sostanza stessa di cui la vita è fatta». Per Hector Berlioz era il serial killer per eccellenza («Il tempo è un grande maestro ma sfortunatamente uccide tutti i suoi allievi»). Il Tempo, in principio, apparteneva agli dei. Poi, gli uomini decisero di impossessarsene e niente fu più come prima. La grande sfida avvenne sulle montagne del Caucaso dove l’orgoglio di Zeus fu ferito per sempre dall’inaudito ardimento di Prometeo. «Consegnando gli uomini alla tecnica», osserva Umberto Galimberti, «Prometeo donò loro una temporalità assolutamente nuova rispetto a quella che regolava cielo e terra secondo destino e necessità. La vicenda umana nasce con questo tempo. Prima non era possibile, perché non c’è inizio e non c’è fine dove il tempo è ciclico, dove è immutabile ripetizione dell’identico». Galimberti, titolare della cattedra di Filosofia della storia a Venezia, nella suggestiva cornice della Chiesa della Croce di Lucca (uno dei gioielli del cuore del capoluogo partenopeo) ha dialogato sul tema del tempo con Edoardo Boncinelli, biologo e genetista del Cnr, per il primo incontro del ciclo “La conoscenza del tempo e il tempo della conoscenza”, organizzato a Napoli dal Centro di Studi Roland Barthes, un viaggio interdisciplinare che coinvolgerà fino a novembre economisti, psicologi, astronomi, storici, artisti, uomini di Chiesa del calibro di Carlo Smuraglia, Massimo Capaccioli, Giuliano Amato, Roberto De Simone, Pietro Rutelli, Ferdinando Bologna, Marco Bellocchio, padre Bartolomeo Sorge, Giuseppe Galasso.
Interrogarsi sul tempo ha sottolineato giustamente Boncinelli significa porsi alcune delle domande più importanti che hanno attraversato la riflessione filosofico-scientifica, fin dalle origini dell’umanità: «Il tempo è ciclico o lineare? E’ un contenitore o una successione di contenuti (gli eventi)? Come si rapporta con lo spazio e con la memoria? Potrebbe esistere senza memoria? Com’è che io so di essere quello di ieri? E se non sappiamo bene che cosa è, come è possibile che lo si sappia misurare con tanta precisione?» e infinite altre.
Insomma, ha detto Galimberti, avevano ragione i greci (che non usavano una sola parola per dire “tempo” ma molte) a evidenziarne la complessità : una complessità bisogna aggiungere oggi ancor più ampliata da un autentico big bang di conoscenze scientifiche, che ha spinto i due protagonisti dell’incontro a privilegiarne alcuni aspetti essenziali. E, così, il filosofo monzese si è soffermato sulle distinzioni tra tempo ciclico, progettuale ed escatologico; mentre il biologo ha analizzato le interrelazioni tra tempo delle cose (la fisica), della vita (la biologia) e dell’anima (la psicologia), come suggerisce il titolo di un suo saggio pubblicato due anni fa da Laterza.
Il tempo ciclico quello antecedente l’ oltraggio di Prometeo scorreva come un eterno ritorno . «Esprimeva», ha affermato Galimberti «la pura e semplice regolarità del ciclo, dove nulla può accadere e nulla può avvenire se non con-formandosi al già avvenuto. Non c’era futuro che non fosse la ripresa del passato che il presente ribadiva. Non c’era nulla da attendere, se non ciò che doveva ritornare». Il tempo progettuale-prometeico (quello in cui si trova immersa la modernità) è, ovviamente, tutt’altra cosa. E’ una intenzionalità madre del fuoco e della tecnica, che non si realizza nella ripetizione del passato ma nella scoperta del futuro , che non si appaga nella contemplazione di un destino ma persegue il raggiungimento di uno scopo. E’ una nuova decisiva tappa dell’ambizione umana a conseguire uno status quasi divino.
Ecco perché, last but not least , il tempo escatologico si presenta, secondo Galimberti, come un Giano bifronte di fondamentale importanza: «in versione religiosa, è il tempo di Dio; in versione atea, è quello dell’utopia e della rivoluzione, di un passaggio dal tempo del male a un tempo del bene». Lo spirito utopico della scienza segna l’ultimo atto (almeno fino a questo punto della storia) della sfida tra creatura e Creatore, dal momento che «conoscere significa non più contemplare , come quando il tempo era ciclico, ma dominare ». L’alleanza tra scienza e tecnica ha infatti come obiettivo (ma Nietzsche avrebbe parlato di “illusione”) il dominio della natura, il raggiungimento di un potere assoluto sulla realtà...
Se le riflessioni del filosofo non potevano evitare di evidenziare le contraddizioni della dialettica dell’illuminismo, quelle del biologo (i cui studi sullo sviluppo embrionale e sulla corteccia cerebrale hanno ormai fatto scuola) si sono concentrate sulla condizione paradossale dell’homo sapiens sulla scena dell’evoluzione. Ha detto a chiare lettere, Boncinelli: quella umana, da un punto di vista biologico, è una presenza assolutamente eccentrica, siamo un vero “lapsus” evolutivo. Infatti come aveva intuito il grande anatomista danese Louis Bolk siamo animali caratterizzati da una lunghissima infanzia, siamo una forma incompiuta sul piano istintuale, a differenza delle altre specie viventi. Ma è stata proprio questa qualità “aperta” a consentire all’uomo di creare una cultura, di forgiare strumenti, di sviluppare (grazie alla sua lentissima crescita) un cervello capace di compiere autentici prodigi. Il tempo biologico di questa infanzia “infinita” è stato la ragione della nostra grandezza. Sì, ancora una volta, è stato il Tempo a decidere.
Il Messaggero Sabato 23 Aprile 2005 Gli occhi strabici del dio Tempodal nostro inviato MASSIMO DI FORTIstorici, artisti, uomini di Chiesa del calibro di Carlo Smuraglia, Massimo Capaccioli, Giuliano Amato, Roberto De Simone, Pietro Rutelli, Ferdinando Bologna, Marco Bellocchio, padre Bartolomeo Sorge, Giuseppe Galasso.
Interrogarsi sul tempo ha sottolineato giustamente Boncinelli significa porsi alcune delle domande più importanti che hanno attraversato la riflessione filosofico-scientifica, fin dalle origini dell’umanità: «Il tempo è ciclico o lineare? E’ un contenitore o una successione di contenuti (gli eventi)? Come si rapporta con lo spazio e con la memoria? Potrebbe esistere senza memoria? Com’è che io so di essere quello di ieri? E se non sappiamo bene che cosa è, come è possibile che lo si sappia misurare con tanta precisione?» e infinite altre.
Insomma, ha detto Galimberti, avevano ragione i greci (che non usavano una sola parola per dire “tempo” ma molte) a evidenziarne la complessità : una complessità bisogna aggiungere oggi ancor più ampliata da un autentico big bang di conoscenze scientifiche, che ha spinto i due protagonisti dell’incontro a privilegiarne alcuni aspetti essenziali. E, così, il filosofo monzese si è soffermato sulle distinzioni tra tempo ciclico, progettuale ed escatologico; mentre il biologo ha analizzato le interrelazioni tra tempo delle cose (la fisica), della vita (la biologia) e dell’anima (la psicologia), come suggerisce il titolo di un suo saggio pubblicato due anni fa da Laterza.
Il tempo ciclico quello antecedente l’ oltraggio di Prometeo scorreva come un eterno ritorno . «Esprimeva», ha affermato Galimberti «la pura e semplice regolarità del ciclo, dove nulla può accadere e nulla può avvenire se non con-formandosi al già avvenuto. Non c’era futuro che non fosse la ripresa del passato che il presente ribadiva. Non c’era nulla da attendere, se non ciò che doveva ritornare». Il tempo progettuale-prometeico (quello in cui si trova immersa la modernità) è, ovviamente, tutt’altra cosa. E’ una intenzionalità madre del fuoco e della tecnica, che non si realizza nella ripetizione del passato ma nella scoperta del futuro , che non si appaga nella contemplazione di un destino ma persegue il raggiungimento di uno scopo. E’ una nuova decisiva tappa dell’ambizione umana a conseguire uno status quasi divino.
Ecco perché, last but not least , il tempo escatologico si presenta, secondo Galimberti, come un Giano bifronte di fondamentale importanza: «in versione religiosa, è il tempo di Dio; in versione atea, è quello dell’utopia e della rivoluzione, di un passaggio dal tempo del male a un tempo del bene». Lo spirito utopico della scienza segna l’ultimo atto (almeno fino a questo punto della storia) della sfida tra creatura e Creatore, dal momento che «conoscere significa non più contemplare , come quando il tempo era ciclico, ma dominare ». L’alleanza tra scienza e tecnica ha infatti come obiettivo (ma Nietzsche avrebbe parlato di “illusione”) il dominio della natura, il raggiungimento di un potere assoluto sulla realtà...
Se le riflessioni del filosofo non potevano evitare di evidenziare le contraddizioni della dialettica dell’illuminismo, quelle del biologo (i cui studi sullo sviluppo embrionale e sulla corteccia cerebrale hanno ormai fatto scuola) si sono concentrate sulla condizione paradossale dell’homo sapiens sulla scena dell’evoluzione. Ha detto a chiare lettere, Boncinelli: quella umana, da un punto di vista biologico, è una presenza assolutamente eccentrica, siamo un vero “lapsus” evolutivo. Infatti come aveva intuito il grande anatomista danese Louis Bolk siamo animali caratterizzati da una lunghissima infanzia, siamo una forma incompiuta sul piano istintuale, a differenza delle altre specie viventi. Ma è stata proprio questa qualità “aperta” a consentire all’uomo di creare una cultura, di forgiare strumenti, di sviluppare (grazie alla sua lentissima crescita) un cervello capace di compiere autentici prodigi. Il tempo biologico di questa infanzia “infinita” è stato la ragione della nostra grandezza. Sì, ancora una volta, è stato il Tempo a decidere.