Repubblica 23.10.04
I capolavori degli ultimi anni di vita
Diciotto tele del maestro ed altre cinque che ora gli vengono attribuiti da grandi critici
Da oggi a Napoli un'esposizione con le opere dipinte tra il 1606 e il 1610
PAOLO VAGHEGGI
NAPOLI. Fare cultura, ripartire dalla cultura. E´ questa l´idea da cui nasce Caravaggio. L´ultimo tempo 1606-1610 che apre questa sera nelle sale di Capodimonte, all´interno del percorso museale, dedicata agli ultimi quattro anni di vita e di lavoro del grande artista, «spirito più agitato che non il mare di Messina con le sue precipitose correnti», come ebbe a scrivere il suo biografo Francesco Susinno. Quattro anni tumultuosi ricostruiti attraverso diciotto dipinti di mano del maestro, segnati da angoscianti luminazioni cariche di ombre e di luci - da La cena in Emmaus alla Flagellazione, dall´ Amorino dormiente a due versioni di Salomè con la testa del Battista, ai tre dipinti siciliani riuniti insieme per la prima volta - a cui vanno aggiunte cinque nuove proposte, cinque tele attribuite a Caravaggio da Mina Gregori, sir Denis Mahon e Ferdinando Bologna, nonché cinque copie antiche di opere perdute.
E´ un viaggio nella fuga di un Caravaggio consciamente o inconsciamente alla ricerca di una salvazione resa palpabile dall´ombra, che diventa materia e simbolo dell´approssimarsi della morte, in quel tempo trascorso tra Napoli, Malta e la Sicilia dopo che, nell´estate del 1606, per avere ucciso in una lite di gioco Ranuccio Tomassoni, suo compagno di strada, era stato costretto a fuggire da Roma.
Nicola Spinosa, soprintendente al polo museale napoletano, curatore di questa mostra che andrà avanti fino al 23 gennaio e che dalla primavera sarà trasferita alla National Gallery di Londra, avverte con foga e passione: «E´ una vera esposizione di studi sull´ultimo periodo dell´artista, per mettere a fuoco i rapporti con l´area mediterranea, Napoli, Malta e la Sicilia, luoghi che trasformarono completamente il suo modo di fare arte, il suo punto di vista rispetto allo spazio, alla luce, all´essere e all´esistere dell´uomo».
Fu così forte e determinante l´incontro con l´area mediterranea, è così diverso l´ultimo Caravaggio?
«Ci fu un cambiamento profondo, completo. Fino all´arrivo a Napoli era ancora legato a una visione fortemente rinascimentale e in qualche modo umanistica. L´incontro con Napoli e l´area mediterranea progressivamente sconvolse una concezione che fino ad allora era stata, tutto sommato, classica e composta. L´impatto con una città densamente affollata dove la vita si svolgeva in vicoli stretti e bui con squarci di luce improvvisi trasformò il suo modo di fare arte. Per capirlo basta guardare Le opere della misericordia dove tutto avviene in un piccolo vicolo. Cambia il concetto di spazio che si dilata sempre più ma che non è misurabile in termini reali, geometricamente o prospetticamente definibile, perché la misura è data dall´uomo e dal tempo dell´azione dell´uomo, dal gesto. In questo senso il dipinto più significativo è il Martirio di Sant´Orsola dove lo spazio apparentemente quasi non esiste, è dato dal movimento del tiranno che scocca la freccia, dalla donna ferita, dalla mano di un uomo che cerca di bloccare il dardo senza riuscirci. E´ un frenetico susseguirsi di eventi ma neppure un gesto d´amore riesce a fermare il destino. Solo il fare arte si pone sopra il tempo estremamente limitato dell´esistere».
Il fare arte è la chiave di lettura dell´ultimo Caravaggio?
«Il fare arte è l´unico strumento che lo può riscattare, che prevarica il tempo dell´uomo, la condizione effimera della vita. E negli ultimi anni Caravaggio dipinse moltissimo, in quattro anni non meno di quaranta quadri anche se ne sono arrivati a noi la metà. In poche settimane a grande velocità eseguì opere di grandissime dimensioni: a Napoli, Le opere della Misericordia, a Malta la Decollazione del Battista, a Siracusa il Seppellimento di Santa Lucia, a Messina la Resurrezione di Lazzaro, a Palermo la Natività e poi torna a Napoli... Ha una grande voglia di fare perché il fare pittura è l´unico strumento che lo riscatta, che lo fa sentire capace di andare al di là delle contingenze umane. Questo fino al momento in cui seppe da Scipione Borghese che forse stava per essere perdonato dal Papa. Non arrivò a Roma ma ancora una volta riaffermò il potere dell´arte. Sulla feluca aveva tre dipinti che voleva donare a Scipione Borghese: il San Giovannino che ora è alla galleria Borghese, presente in mostra, una Maddalena di cui si sono perse le tracce di cui esponiamo una copia, un San Giovannino alla sorgente che forse abbiamo identificato e che è tra le nuove proposte dell´esposizione di Capodimonte. Proviene dalla Svizzera. Altra cosa importante è il confronto con Tiziano».
Tiziano?
«Quando andò a Genova dai Doria, Caravaggio vide il Cristo alla colonna di Tiziano. A lungo dato per perduto è stato ritrovato da Ferdinando Bologna. Lo esponiamo accanto alla Flagellazione di Caravaggio. Fu il suo precedente più illustre».
Il San Giovannino, Tiziano...ma non sono troppe le attribuzioni?
«Nelle prime sale presentiamo le opere certe mentre la seconda parte è riservata alle nuove proposte che finalmente si trovano a confronto con autentici capolavori. Da questo confronto si potranno capire molte cose. Il San Giovannino potrebbe essere davvero di Caravaggio, dipinto rapidamente con una pittura molto essenziale».
Ci sono nuove ipotesi anche sulla morte di Caravaggio?
«No. Caravaggio frequentava le osterie, il popolo, la realtà più vera e cruda. Fu ferito durante una rissa in un´osteria e non guarì mai. Quando durante il ritorno verso Roma fu fermato a Palo e fu costretto a tornare a piedi verso Porto Ercole morì. Forse per la fatica, forse per la malaria che lo colpì nelle paludi che attraversò. Ma aveva già consumato la sua esistenza, il fare arte e nel Martirio di Sant´Orsola aveva scritto il suo testamento: anche l´amore non blocca un destino di morte».
Repubblica 23.10.04
IL GRAN PITTORE DI CRUDE REALTÀ
Quando il maestro salpò sulla feluca che lo portò all'appuntamento con la morte, aveva con sé una "Maddalena" e due "San Giovanni"
Nell'ottobre del 1606 Caravaggio è a Napoli dove riceve una pioggia di commissioni che gli fanno accelerare i suoi già rapidi tempi di esecuzione
Capolavori. Questa è una rassegna di eccezionale intensità per come documenta gli ultimi quattro anni
La tecnica. L´artista rinunciò allo splendore cromatico della maturità in favore di un linguaggio più scarnificato
Tutti quadri eseguiti da quando il pittore fuggì precipitosamente da Roma per sottrarsi ad una condanna per omicidio
ANTONIO PINELLI
Napoli. Mettiamo subito le cose in chiaro. Quella che si apre in questi giorni a Napoli non è una mostra che pronuncia il nome di Caravaggio invano. Non è, in altre parole, una delle tante rassegne occasionali, che in mezzo ad uno stuolo di quadri eseguiti da comprimari e comparse, introducono un paio di tele del grande pittore lombardo, per potersi fregiare del suo nome nel titolo e sfruttarne l´irresistibile capacità di richiamo sul pubblico. Questa è, al contrario, una rassegna imperdibile e di eccezionale intensità, perché non divaga dal suo assunto, che è quello di documentare al meglio gli ultimi quattro anni di vita di Caravaggio, e lo fa nel modo più concreto, asciutto ed eloquente, e cioè esibendo, uno accanto all´altro, una ventina di suoi capolavori autografi: tutti quadri eseguiti durante quel breve, angoscioso ma incredibilmente fecondo periodo, che ebbe inizio il 28 maggio 1606, quando il pittore fuggì precipitosamente da Roma per sottrarsi ad una condanna per omicidio. Quattro anni vissuti febbrilmente tra Napoli, Malta, Siracusa, Messina, Palermo, e poi ancora Napoli, in un alternarsi sempre più concitato di luci e di ombre, proprio come nei suoi quadri, che si fanno sempre più vuoti e cupi, ma sferzati da lampi che fendono il buio e incendiano i colori. Quattro anni in fuga, conclusisi tragicamente in quel torrido luglio del 1610, quando il pittore fu ghermito dalla morte sul malarico litorale della Maremma, dov´era sbarcato in attesa di una grazia papale, che sarebbe beffardamente arrivata quando ormai non serviva più.
Le venti tele caravaggesche in mostra costituiscono praticamente l´intero catalogo tardo dell´artista giunto fino a noi, tranne poche eccezioni che si possono contare sulle dita di una mano, come il San Girolamo e la Decollazione del Battista di Malta, o la Natività, che purtroppo non è più ricomparsa da quando fu trafugata, più di trent´anni fa, privando della sua gemma più preziosa quel meraviglioso scrigno del Barocco siciliano che è l´Oratorio di San Lorenzo a Palermo.
A questa eccezionale concentrazione di capolavori, la mostra napoletana aggiunge un prezioso gruppo di antiche copie, che surrogano l´assenza di alcuni originali di cui si è persa la traccia, e cinque tele, che rappresentano altrettante nuove proposte attributive al catalogo delle opere estreme dell´artista. Proposte che innescheranno senza dubbio il consueto, vivace dibattito tra gli specialisti, ma che comunque possiedono tutti i crismi per essere prese in seria considerazione.
Passiamoli allora velocemente in rassegna questi quattro ultimi anni di vita di Caravaggio, con l´aiuto delle opere in mostra. Siamo nel maggio 1606: Caravaggio, trentacinquenne, è all´apice della fama, ma il suo carattere turbolento lo tradisce ancora una volta. Durante il «gioco della racchetta», per un futile diverbio su un fallo si accende una rissa, nel corso della quale l´artista ferisce a morte Ranuccio Tomassoni. Il mattino dopo il pittore fugge, trovando riparo tra Zagarolo, Paliano e Palestrina, feudi di quel Marzio Colonna che è imparentato con Costanza Sforza Colonna, feudataria del paese lombardo da cui il pittore proviene e trae il soprannome. Forte di queste protezioni, in poche settimane Caravaggio dipinge una Maddalena svenuta, che è probabilmente la stessa che portava con sé nel suo ultimo, tragico viaggio alla volta di Roma, e di cui restano un numero considerevole di repliche, nessuna delle quali è però riuscita ad imporsi come l´originale autografo senza sollevare corpose obiezioni da più parti. Risale probabilmente a questo periodo anche il S. Francesco in meditazione di Carpineto, di cui le indagini scientifiche hanno confermato l´autografia, degradando a copia il dipinto di identico soggetto che è nella chiesa romana dei Cappuccini.
L´altra opera in mostra che risale a questi mesi trascorsi nel Basso Lazio è la Cena in Emmaus di Brera, che qui a Napoli può essere confrontata con il dipinto londinese di egual soggetto, che Caravaggio aveva dipinto qualche anno prima. Un paragone illuminante per constatare la progressiva economia di mezzi conquistata dall´artista, che presto rinunciò allo splendore cromatico e al nitore illusivo del suo stile maturo, in favore di un linguaggio più scarnificato, che riduce all´osso la forma.
Ai primi di ottobre del 1606 Caravaggio è a Napoli, dove riceve una pioggia di commissioni, cui fa fronte accelerando i suoi già rapidi tempi di esecuzione. In otto mesi escono dal suo pennello la pala con le Sette Opere di Misericordia, sconvolgente esempio di sintesi spaziale e di concentrato realismo, in cui l´artista infonde tutta l´urgenza morale di un sentimento della fede imperniato sulla pietà per gli umili e sulla concretezza di una misericordia corporale di schietta impronta lombarda. Seguono la Flagellazione per S. Domenico Maggiore, forse conclusa durante il secondo soggiorno napoletano (come suggerisce F. Bologna), e la Crocifissione di S. Andrea, tela che alcuni preferiscono posticipare al secondo periodo napoletano.
Ma è tempo per il pittore di mettersi di nuovo in viaggio, questa volta per Malta, dove sbarca nel luglio 1607. Segue poco più di un anno di relativa serenità e colmo di soddisfazioni. Il Gran Maestro Alof de Wignacourt si serve del pittore come artista di corte e ottiene la deroga papale per ammetterlo nell´Ordine. Caravaggio dipinge una serie di capolavori, tra cui spicca la Decollazione del Battista, un´opera cupa e opprimente, di violenta intensità emotiva, che il pittore ha voluto firmare ricavando il proprio nome dalla pozza di sangue che sgorga dal tronco del Santo decollato. Risale al periodo maltese anche un San Giovannino alla fonte, di cui la mostra propone due versioni, una sola delle quali, a mio parere, può aspirare ad essere ritenuta autografa: quella che si concentra sul busto del santo, che si protende nell´atto di abbeverarsi.
Ma ancora una volta, nell´agosto 1608, il pittore partecipa ad una rissa, è imprigionato e, senza attendere la sentenza che lo espellerà dall´Ordine, fugge con una corda dal carcere e approda avventurosamente a Siracusa. Per un anno circa il pittore sosta in Sicilia, lasciando a Siracusa, Messina e Palermo tele in cui ormai il buio dilaga, inghiottendo gran parte della scena, e l´azione si condensa in un unico, intensissimo attimo, bloccata come in un fotogramma, dove volti, corpi, espressioni sono colti di sorpresa da sciabolate di luce battente: la realtà rivelata nella sua nuda e attimale fenomenicità, nel suo accadere «qui e ora», sorpresa in flagrante.
Ma è tempo ormai di tornare a Napoli, dove nell´ottobre del 1609 il pittore subisce una misteriosa aggressione in un´osteria, ma senza che questo pregiudichi più di tanto la sua prodigiosa fertilità creativa: nascono, una dopo l´altra, opere come l´Annunciazione di Nancy, il David e il Battista Borghese, note da tempo, ed altre che sono state acquisite dagli studi solo di recente, come la Negazione di Pietro, venuta in prestito dal Metropolitan di New York o Il martirio di Sant´Orsola. Tele che erano ancora fresche di vernice, quando Caravaggio, portando con sé una Maddalena e due San Giovanni Battista, salpa sulla feluca che lo porterà all´ultimo, fatale appuntamento con la morte sul litorale di Port´Ercole. Un epilogo amarissimo, cui non mancherà neppure il sinistro volteggiare degli avvoltoi, perché i rapaci protettori del pittore si disputeranno senza risparmio di colpi quei suoi tre ultimi quadri.