sabato 18 giugno 2005

con questa legge
chi distinguerà i gruppi "religiosi" dagli "pseudoreligiosi", forse Ruini?

Il Messaggero - 17.6.05
Un disegno di legge
Sette religiose, il Senato vuole ripristinare il reato di plagio

ROMA - L'aula del Senato inizia l'esame del ddl che prevede il ripristino nel nostro Codice del reato di plagio e subito l'orizzonte si allarga a uno dei temi più drammatici, in sede sociale e anche giuridica, quello delle sette "pseudoreligiose" e dei relativi “lavaggi del cervello” di tanti giovani che incappano nelle maglie di questi gruppi sempre più presenti nella nostra società. Tanto da spingere il relatore del provvedimento, Guido Ziccone (Fi), a parlarne immediatamente in aula. «Nel corso di questi ultimi mesi - ha detto infatti - sono pervenuti decine di messaggi di associazioni e centinaia, se non migliaia, di altri messaggi di persone e famiglie che, incappate in questa situazione, invocano un rapido esame da parte del Senato. Spero che il Senato voglia approvare questo ddl prevedendo anche quelle eventuali modifiche che possano ulteriormente sconfiggere il pericolo di possibili vagli di illegittimità costituzionale». Il provvedimento ha preso il via in aula. Il tema rilevante ha destato l'interesse dei senatori. Quello che ha attirato di più l'attenzione è proprio la norma “anti-lavaggio del cervello” da parte di sette o gruppi pseudoreligiosi. Infatti, se il fatto è commesso nell'ambito di un gruppo che promuove attività che abbiano per scopo o per effetto di creare o sfruttare la dipendenza psicologica o fisica delle persone che vi partecipano, le pene già previste sono aumentate di un terzo. Critiche sono venute in aula dal Verde Giampaolo Zancan e da Massimo Brutti, senatore dei Ds.

curiosità
l'Istituto Cattaneo ha analizzato il voto referendario

http://brunik.altervista.org/20050614212951.html
14 giugno 2005
ANALISI DELL'ISTITUTO CATTANEO
GLI ELETTORI SI SONO COMPORTATI COME HANNO CHIESTO I PARTITI E LA CHIESA


Gli elettori si sono comportati come hanno chiesto i partiti e la chiesa. Il tasso di partecipazione registrato il 12 e 13 giugno è praticamente identico a quello che ci si sarebbe potuto attendere ipotizzando che tutti gli elettori avrebbero seguito le indicazioni delle loro organizzazioni di riferimento. I sostenitori del sì non hanno perso il 12 e 13 di giugno ma nel momento stesso in cui hanno deciso di promuovere i referendum
Con questa analisi ci proponiamo di misurare lo scarto tra il tasso di partecipazione al voto che è stato registrato nella consultazione referendaria del 12 e 13 giugno e il tasso di partecipazione che ci si sarebbe dovuti attendere se tutti gli elettori avessero seguito le indicazioni delle loro organizzazioni di riferimento.
Prima di tutto, però, dobbiamo stimare il tasso «naturale» di astensione. Il tasso di astensione cioè che si sarebbe verificato comunque, indipendentemente dagli stimoli dei leader politici ed ecclesiali. Lo abbiamo calcolato, regione per regione, sommando al tasso di astensione registrato alle ultime politiche, la media del tasso di "astensionismo aggiuntivo" (che si verifica normalmente ai referendum rispetto alle elezioni politiche precedenti) che fu registrato nei referendum del 1993 e del 1995. I referendum del 1993 e del 1995 sono dei buoni termini di riferimento da questo punto di vista perché sono gli unici referendum tenuti negli ultimi 15 anni in cui nessun partito o gruppo abbia fatto esplicita propaganda astensionista. Nel 1993, sia i propugnatori che i contrari al sistema maggioritario, così come, nel 1995, sia i propugnatori che i contrari alla legge Mammì o alla privatizzazione della Rai, decisero infatti di contarsi nelle urne.
La prosecuzione dell'esercizio è complicata in primo luogo dal fatto che, in merito ai referendum sulla procreazione assistita, la dirigenza di alcuni partiti non ha preso una posizione univoca, attenendosi formalmente alla formula della «libertà di coscienza». Va inoltre considerato che gli elettori sono stati sollecitati ad andare o a non andare a votare sia dai leader politici sia dalle gerarchie ecclesiastiche che, come è noto, hanno attivamente propagandato l'astensione attraverso i mezzi di comunicazione di massa, la rete delle associazioni ecclesiali e delle parrocchie.
Dobbiamo quindi innanzitutto distinguere gli elettori cattolici praticanti dagli altri elettori (per stimare il tasso di cattolici entro gli elettorati di ogni partiti abbiamo utilizzato i dati Itanes riferiti al 2001). Per elaborare il nostro parametro di riferimento, assumiamo quindi che gli elettori i cui leader (politici e/o ecclesiali) hanno dato indicazioni univoche si siano comportati tutti nel modo indicato dai leader stessi. Assumiamo invece che i gruppi di elettori che hanno ricevuto indicazioni contraddittorie o che non hanno ricevuto alcuna indicazione «ufficiale» dai loro partiti di riferimento siano andati per metà a votare e per metà si siano invece astenuti. Questo vale per un verso, ad esempio, per gli elettori Ds cattolici praticanti, i quali avevano indicazioni contraddittorie (i leader del loro partito gli dicevano di votare sì, i leader della loro confessione religiosa gli dicevano di astenersi). Per un altro verso lo stesso vale per gli elettori non praticanti o non cattolici di An, della Margherita o di Fi, i quali non avevano alcuna indicazione «ufficiale» da parte dei loro leader di riferimento. La tabella che segue riporta in maniera schematica alcuni esempi del modo in cui abbiamo calcolato il tasso di partecipazione attesa in base alle indicazioni dei leader politici ed ecclesiastici. Questo calcolo lo abbiamo fatto naturalmente dopo aver scontato il tasso di astensionismo referendario «naturale».

vedi tabella1: http://brunik.altervista.org/20050614212951.html

La tabella 2 mette invece a confronto il tasso di partecipazione «atteso» sulla base del nostro modello di simulazione e il tasso di partecipazione effettivamente registrato il 12 e 13 giugno. I dati sono riportati per aree geografiche. Il risultato del confronto è piuttosto impressionante e segnala che, nella maggior parte dei casi, gli elettori si sono comportati come gli hanno suggerito i loro leader di riferimento. La validità del modello è confermata dal fatto che è stato perfettamente in grado di stimare anche le differenze territoriali.

vedi tabella2: http://brunik.altervista.org/20050614212951.html

I sostenitori dell'astensione sono riusciti a convincere la gran parte dei propri «seguaci» a disertare le urne. Si potrebbe sostenere che il loro lavoro sia stato più facile rispetto a quello dei promotori del referendum, i quali hanno dovuto convincere i loro elettori a fare la fatica di andare a votare, pur nella consapevolezza che il loro sforzo avrebbe avuto il significato di una pura testimonianza. Sta di fatto che, a giudicare dai dati, né gli uni né gli altri sono riusciti a mobilitare (o smobilitare) quote significative di elettori del campo avverso.
Il risultato del nostro esercizio fa apparire del tutto ingiustificata l'enfasi posta da quasi tutti i mezzi di comunicazione pubblica sulla «dimensione» della sconfitta dei promotori dei referendum. La dimensione è perfettamente il linea con attese basate su un semplicissimo modello di previsione. Questo dato d'altro canto non toglie nulla alla loro «sconfitta», di cui portano giustamente il peso, ma non tanto per le «dimensioni» registrate dal tasso di partecipazione, quanto per il fatto stesso di avere messo in moto una macchina che non poteva non condurre a un tale esito. Sin dal 1999 è del tutto evidente che il quorum è tecnicamente irraggiungibile quando una pur piccola minoranza decide di usare lo strumento dell'astensionismo strategico, che si somma all'astensionismo «naturale», progressivamente incrementato del resto dal fallimento dei referendum precedenti. Era del tutto ovvio che il quorum sarebbe stato tanto più irraggiungibile laddove il referendum avesse riguardato una legge approvata da una larga maggioranza parlamentare: da partiti cioè che non potevano non difendere, con il metodo per loro più efficace, le posizioni assunte in Parlamento.