giovedì 2 dicembre 2004

USA:
corsi federali di astinenza sessuale per milioni di giovani

Corriere della Sera 2.12.04
Denuncia all'amministrazione Bush che sostiene il progetto
Usa, le falsità nei corsi per l'astinenza sessuale
«L'aborto può portare al suicidio e alla sterilità, toccare i genitali può portare alla gravidanza». Milioni i ragazzi coinvolti
Un malato di Aids (Ansa)

ROMA - L'astinenza sessuale, l'ultima ossessione americana contro gravidanze indesiderate, Aids e malattie varie. A tal punto che l'amministrazione Bush ha istitutito, a questo scopo, dei corsi per i giovani. Non proprio ordotossi, però, vista la denuncia che appare sull'autorevole quotidiano Washington Post.
L'aborto può portare al suicidio e alla sterilità; metà dei gay americani hanno l'Aids; toccare i genitali «può portare alla gravidanza»: sono alcune delle 'perle' insegnate nei corsi per educare i giovani all'astinenza sessuale, fortemente sostenuti dall'Amministrazione Bush.
LA DENUNCIA - La denuncia è contenuta in uno studio commissionato da un membro del Congresso Usa, secondo quanto ha scritto giovedì il Washington Post online. Il rapporto, diffuso mercoledì, afferma che queste e altre affermazioni sono esempi della «informazione falsa, fuorviante o distorta» contenuta nei materiali didattici di molti di questi programmi. Lo studio, presentato dal parlamentare democratico Rep. Henry Waxman, della California, ha passato in rassegna i 13 programmi di insegnamento più usati nei progetti che mirano a prevenire gravidanze e malattie sessuali fra adolescenti. L'amministrazione del presidente George W. Bush, con l'appoggio del Congresso a maggioranza repubblicana, ha stanziato 170 milioni di dollari l'anno scorso per finanziare gruppi che predicano l'astinenza come unico modo di prevenire gravidanze precoci e malattie sessuali. Milioni di giovani, fra i nove e i 18 anni, hanno partecipato a qualcuno degli oltre 100 corsi federali sull'astinenza istituiti a partire dal 1999. Fra le altre informazioni sotto accusa, c'è che un feto di 45 giorni è «una persona pensante»; o che l'Hiv, il virus dell'Aids, può essere trasmesso dal sudore o dalle lacrime.

Bertinotti intervistato da Le Monde
e criticato
(lividamente) dal professor Giorello

Liberazione 2.12.2004
Bertinotti al quotidiano "Le Monde"
"NON SOLO CONTRO BERLUSCONI MA PER CAMBIARE POLITICA"
di Jean-Jacques Bozonnet

Lei ha contribuito alla caduta del governo Prodi nel 1998. Oggi, in vista del ritorno di Prodi siete di nuovo alleati. Che cosa è cambiato?
La situazione politica del paese si è radicalmente modificata. È per questo che non parlo di ritorno, ma di arrivo di Prodi in un nuovo contesto. In Italia si è sviluppata una grande corrente di critica alla globalizzazione e abbiamo visto crescere il movimento pacifista più importante d'Europa. C'è anche stata la rinascita delle grandi rivendicazioni sociali, testimoniata dallo sciopero generale del 30 novembre. Se il centrosinistra del primo governo Prodi era relativamente omogeneo, oggi si è dissolto in una grande alleanza che esprime un'ampia diversità. A sinistra l'alternativa non si limita più a Rifondazione comunista. C'è anche il Correntone, i Verdi e altre organizzazioni.
L'unico programma dell'opposizione sembra essere l'antiberlusconismo. Arriverete a un programma comune di governo?
Non sono d'accordo. Le proposte dei sindacati e dei movimenti sociali possono servire da base del programma. Così possiamo raggiungere una posizione comune sulla pace e sul ritiro delle truppe italiane dall'Iraq. L'opposizione ha presentato degli emendamenti alla finanziaria che, pur non costituendo un programma di politica economica, danno degli orientamenti chiari, ad esempio in materia fiscale. Anche sull'ambiente, la giustizia e le riforme la nostra è un'opposizione qualitativa. Non ci battiamo solo per cacciare Berlusconi ma per cambiare politica.
Come conciliare le aspirazioni moderate e riformiste del centrosinistra con le vostre posizioni più radicali?
Per vincere un'elezione non è sufficiente avere un programma articolato: bisogna proporre alle persone di aderire a un'idea, a un'ideologia. Se Bush ha vinto è perché esprime una realtà popolare profonda. Uno stato come l'Ohio, con il 30% di disoccupati non avrebbe votato per lui senza una grande operazione ideologica. In Italia per battere le politiche liberal-populiste di Berlusconi bisogna contrapporgli una grande idea che rappresenti un progetto alternativo di società.


Magazine (Corriere della Sera) 2.12.2004
BERTINOTTI, CHE FAI: SCAMBI MARX PER POPPER?
di Giulio Giorello

Genova nei giorni «terribili» del G8: alla repressione «il movimento - dalla suora in preghiera alle tute bianche che forzavano la zona rossa - ha risposto con un comportamento di massa non violento». Così Fausto Bertinotti nel suo intervento in Non violenza (Le ragioni del pacifismo. Fazi Editore). Questo multicolore affresco dimentica le divise nere dei Black Bloc (quando qualcuno è «più a sinistra di te» bollalo come provocatore!). Questi tuttavia sono dettagli: Fausto è tutto preso nel compito di «cambiare il mondo rinunciando per sempre a ogni violenza». Non rinuncia però al «comunismo», riletto come l'aspirazione «a una società aperta». Che voglia operare una sostituzione del mitico Karl: non più Marx, ma Popper? I compagni non tremino: il comunismo resta il Movimento Reale che «dovrebbe abbattere lo stato di cose esistente». Ovviamente, in modi non violenti - con buona pace (è proprio il caso di dirlo) di Lenin e di Trotzkij. La giaculatoria bertinottiana mira comunque alla «rifondazione» del movimento, non a una specifica linea di condotta: non entra mai nei particolari di come attuare il suo «progetto», ma è generosa nel criticare il passato e stigmatizzare il «terrorismo»
Non è chiaro, però, in che misura «terrorismo» e «violenza» coincidano: il Nostro usa il secondo termine in una accezione piuttosto ampia. Nella «modernizzazione violenta, squilibrante e distruttiva» imposta dal capitalismo attuale rientra infatti un «assoluto dominio della scienza e della tecnica» e a tal dominio «tutti sono sottoposti in una catena e in una consequenzialità che si spinge fino alla manipolazione del gene». Al pacifismo impotente Fausto sposa così la demonizzazione dell'impresa scientifica in particolare delle biotecnologie - senza pensare che il lasciar fare alla Natura è solo una fuga dalla responsabilità di interventi che potrebbero efficacemente combattere fame e sofferenza. Altro che Goodbye Lenin!: l'eroe della Rivoluzione d'Ottobre, almeno, confidava nelle possibilità offerte dalla scienza. La pace di Bertinotti, invece, mi pare quella del camposanto.

Renato Caccioppoli

Liberazione 2.12.2004
Un libro sul matematico napoletano
IL FASCINO DI CACCIOPPOLI
di Tonino Bucci

Nipote dell'anarchico Bakunin, bambino prodigio, geniale matematico, raffinato artista, uomo di cultura, musicista, eccentrico, protagonista di aneddoti più o meno corroborati da prove storiche, compagno di strada del Pci napoletano. Ci sono tutti gli ingredienti per ricomporre il ritratto di una personalità carismatica e affascinante nel caso di Renato Caccioppoli, reso celebre al grande pubblico da un film di Mario Martone del 1992, "Morte di un matematico napoletano", e ora, nell'anno del centenario della nascita, riproposto nelle librerie da un volume di Roberto Gramiccia (Editori Riuniti, pref. di Abdon Alinovi, pp. 200, euro 12,00).
Probabilmente è proprio la ricchezza del profilo dell'uomo ad affrancare chiunque si cimenti nella sua biografia dall'obbligo di limitarsi al Caccioppoli matematico. Non che manchi il materiale per una ricostruzione scientifica del suo pensiero: a chi fosse provvisto della necessaria volontà si offrirebbe il vasto, non occorrerebbe far altro che affrontare il corpo delle originali ricerche sulla teoria delle funzioni di variabili reali e sull'analisi funzionale (prese in esame in due appendici finali di Ennio De Giorgi e Carlo Sbordone). Sarebbe perciò un errore di distorsione ottica far prevalere gli aspetti eccentrici del personaggio di Caccioppoli a discapito della produzione matematica, oscurandone il profilo di scienziato.
Il libro di Gramiccia - un non specialista delle matematiche, equamente diviso tra la professione di medito e l'interesse della critica d'arte, esercitata sulle pagine di "Liberazione" - non cade nelle due opposte tentazioni: l'una, quella di enfatizzare il racconto aneddotico di un viveur strambo come Caccioppoli (che fu, tra l'altro, anche un personaggio tragico, come dimostra la morte per suicidio); l'altra, quella di rinunciare alla biografia esistenziale a vantaggio dell'aspetto scientifico-matematico. Né l'uno né l'altro, il risultato è una scrittura che si mantiene a metà strada, semmai sempre orientata a interrogarsi su come fosse possibile questo binomio di dionisiaco e apollineo, di indole artistica e spirito scientifico, di intuizione e sistematicità all'interno di un'unica personalità. "Sono rimasto folgorato - spiega lo stesso autore - dalla genialità e multiformità del suo carattere. Era un periodo della mia vita in cui sempre più frequentemente mi capitava di riflettere, a partire dall'esperienza della mia professione di medico, sulle insidie della cultura tecnocratica divisa in blocchi di pensiero specialistici e non comunicanti. E' facile intuire quanto potesse felicemente sorprendermi in quel momento la figura del matematico napoletano".
Chi si aspetta un'opera scientifica, un saggio tradizionale, resterà deluso. E' un Caccioppoli visto soprattutto come una mente esuberante, anarcoide, sempre oltre i confini degli specialismi quello che emerge dalla lettura del libro - un Caccioppoli quasi adulato, al di là persino del personaggio storico, come una sorta di modello, di figura idealtipica al cui potere fascinatorio e seducente l'autore non si sottrae.
Qualunque sia l'aspetto biografico indagato - l'insegnamento universitario, l'arte, la politica, le donne, gli amici - il lettore avvertirà nelle parole l'irrompere di un sentimento di identificazione con questa personalità niente affatto scontata, elevata a maestro del disordine.
"Il disordine è contro la stagnazione. E' democratico, antidogmatico, antidispotico. E' un vaccino contro le milizie e le tirannidi. E' affine al riso e all'ironia. E, finalmente, alla disobbedienza. E' dionisiaco, libero e giustamente pericoloso". Ma la fascinazione non si ferma agli aspetti caratteriali, si estende anche alle suggestioni intellettuali. Quasi per associazione libera dell'autore al nome di Caccioppoli si legano filosofi, pensatori e letterati che con il matematico napoletano non hanno avuto alcun contatto reale. Su questo piano di affinità simboliche scorrono, nella terza parte del volume, i nomi di Paul K. Feyerabend, Cesare Pavese, Giordano Bruno, Evariste Galois e Arthur Rimbaud.
Di aneddoti la vita di Caccioppoli - dalla nascita a Napoli nel 1904 sino al suicidio, il 9 maggio 1959, con un colpo esploso da una Beretta - è piena. C'è il gesto individuale di ribellione nella città visitata da Hitler nel '38, quando intona la "Marsigliese" in un ristorante, che gli costerà il ricovero in manicomio. C'è la maniera del tutto originale di vivere la politica, come quella volta in cui, al posto di un comizio sulla pace, si mise a suonare il pianoforte indispettendo i dirigenti del Pci. Ma c'è anche l'epilogo tragico del suicidio del quale "non è permesso a nessuno liquidarne la solennità e il mistero con spiegazioni accattone e miserabili".

un libro su Gramsci

Il manifesto.it 1 dicembre 2004
Antonio Gramsci in salsa Le Carré
«Antonio Gramsci. Storia e mito» di Luigi Nieddu per Marsilio. Una rilettura di alcuni tratti della biografia dell'intelletuale sardo non di rado forzata da pregiudizi ideologici. All'ombra, vecchia e sempre utile, dell'«oro di Mosca» sui comunisti italiani dell'«Ordine Nuovo»
GUIDO LIGUORI

Molti aspetti della biografia gramsciana non sono oggettivamente facili da chiarire. Alcuni di essi sono stati e sono al centro di controversie storiografiche più o meno fondate. Negli ultimi anni ha preso corpo una corrente interpretativa che si è lanciata in letture che si vogliono innovative, ma che spesso non sono fondate su documenti nuovi e fatti accertati, quanto su congetture e ipotesi sostanzialmente arbitrarie. Riletture a volte ingenue, a volte malevoli, contraddistinte quasi sempre da intenzionalità aprioristicamente polemiche. Ovviamente è bene che il dibattito storiografico sia articolato, variegato, assolutamente libero dalle ipoteche di partito che in tempi ormai lontani condizionarono la ricerca. A volte però si passa il segno, e lavori che pure si presentano come dettati solo da spirito di studio, finiscono per approdare a risultati che ricordano da vicino le più discutibili operazioni di propaganda «storiografica» anticomunista, ancora nei ruggenti anni ottanta. È il caso di un volume di Luigi Nieddu da poco in libreria, Antonio Gramsci. Storia e mito (Marsilio, pp. 250, € 21): scritto in apparenza con taglio aideologico e non privo di qualche «scoperta» di archivio, sia pure non rilevante, il libro è in realtà una rilettura di alcuni tratti della vicenda biografica di Gramsci talmente forzata da denunciare un palese pregiudizio politico.
I tratti della biografia gramsciana più discussi - come è noto - sono quelli del rapporto col padre, degli esordi nella stampa e nel partito socialisti, degli anni della lotta contro Bordiga, i contrasti del 1926, la lettera di Grieco del `28, l'opposizione alla «svolta» e le reazioni da parte del partito e dell'Internazionale, il ruolo dei familiari russi, i sospetti del recluso, le circostanze della morte. C'è chi su questi punti ha già ricamato, forzando indizi e circostanze, pur in assenza di un qualunque riscontro oggettivo. Nieddu non solo riprende e ripete e rafforza tutte le ipotesi più malevoli, ma ne introduce di nuove. Ad esempio, avevate mai saputo che l'Ordine Nuovo del 1919-'20 era diretta emanazione del Comintern, che non solo il giornale era pagato dall'Internazionale, ma che i maggiori articoli gramsciani ivi comparsi sono stati in realtà scritti o dettati da emissari di Mosca in Italia? Il maggiore quotidiano italiano - forse per un residuo di pudicizia - evita di riprendere quest'ultima esilerante notizia, buttandosi però senza perplessità sull'ennesima riedizione della vecchia e sempre utile storia dell'«oro di Mosca».
A questo proposito, forse non è inutile ricordare che proprio sulla questione della situazione finanziaria dell'Ordine Nuovo si erano soffermati - in una conversazione con Gianni Bosio di fine anni sessanta - Pia Carena e Alfonso Leonetti, rievocando certo la penuria di risorse, il lavoro volontario o pochissimo retribuito, le sinergie (diremmo oggi) con la stampa socialista, che permettevano di non pagare la sede del settimanale e tante altre spese. Ma non facendo cenno a sostanziosi «interventi esterni». Che - se di omissione volontaria si trattasse - sarebbe fatto strano, sia perché i due erano spiriti liberi e non certo comunisti ortodossi e fedelissimi del Pci, come è chiaro a chiunque conosca un minimo le loro biografie, sia e soprattutto perché - nel contesto del movimento comunista internazionale post-rivoluzione russa - non poteva essere motivo di vergogna ricevere quell'aiuto «internazionalista» ipotizzato da Nieddu. Il problema oggi è però un altro, sul piano storiografico-politico: o si ritrovano e si esibiscono documenti nuovi che comprovano certe affermazioni, oppure ha poco senso avventurarsi in ipotesi e congetture che lasciano, o dovrebbero lasciare, il tempo che trovano. E che subito innescano invece - ma non sorprende - la malizia di certa stampa.
Ma torniamo al libro. Gramsci è dunque «uomo di Mosca» fin dal 1919, ma nella lotta contro Bordiga saranno poi le figure di Togliatti e Scoccimarro quelle che sembrano a Nieddu le più rilevanti. Il comunista sardo è manovrato ora dagli uni ora dagli altri, ora da Tasca, ora da Bordiga, ora dagli agenti di Lenin, ora da «Scocci» e Togliatti, ininterrottamente dal 1914 al '26: un vero e proprio «pupazzo», un uomo di paglia. Resta solo da scoprire - questo il vero scoop che chiediamo a Nieddu - chi sia il vero autore dei Quaderni: certo non può essere un imbelle come Gramsci... Non si capisce infatti, seguendo il libro, come in carcere il comunista sardo sia divenuto capace di lottare contro tutto e contro tutti: probabilmente - essendo con le lettere del '26 divenuto (per Nieddu) nei fatti antisovietico e forse anticomunista - questo solo evento è capace, come la cresima per i primi cristiani, di rifornirlo di tutte le virtù dello spirito che prima gli erano negate. Dopo essere stato per anni alquanto meschino e debole e ingenuo, gli viene ora riconosciuta come per incanto una inedita dirittura morale, oltre che indubbie doti intellettuali.
Tutti gli altri protagonisti, in compenso, sono cattivi fino in fondo. Le sorelle Schucht, va da sé, sono tutte agenti dei «servizi» sovietici. Il nostro autore, a cui evidentemente piacciono i romanzi spionistici alla Le Carrè o i film di 007, le chiama addirittura ripetutamente «allodole»: comuniste disposte a tutto, anche ad andare «a letto con il nemico» (e a sposarselo e a farci un paio di figli...), per obbedire a Lenin prima e a Stalin poi. Gramsci è costantemente spiato da tutti, più che «l'uomo di Mosca» ne sembra il nemico o il prigioniero. A Vienna è isolato, gli aprono la corrispondenza, vive circondato da bordighisti o da protostalinisti. Sono Togliatti & co. che ovviamente, con subdola manovra, lo fanno condannare, altrimenti il Tribunale fascista non avrebbe avuto prove... Tania resta in Italia per sorvegliarlo e ogni sua mossa dipende dagli ordini rigidi che le vengono dati dall'ambasciatore sovietico o da Piero Sraffa, che l'autore chiama ripetutamente, sempre usando un gergo alla Le Carrè, «il controllore». Addirittura la morte di Gramsci sarebbe stata procurata dai suoi compagni e amici, e in primis da Sraffa e da Tania, che ostacolandone il ritorno in Sardegna lo avrebbero fatto irritare e avrebbero procurato un fatale «sbalzo di pressione», probabile «concausa della rottura di un vaso sclerotizzato e intasato per giunta da un trombolo o da un embolo».
Ciliegia sulla torta, Nieddu avanza ripetutamente, e neanche tanto surrettiziamente, la tesi che quel buon uomo di Mussolini, ogni volta che poteva far qualcosa per aiutare il vecchio amico «di corrente», interventista come lui nel `14, la faceva in meno di ventiquattro ore, purché non si violassero leggi e regolamenti carcerari: il fascismo, è noto, è stata la massima espressione del legalitarismo, mentre da Nieddu gli Arditi del popolo vengono definiti «squadristi rossi».
Per sostenere tutte queste sciocchezze, l'autore deve volutamente ignorare i lavori di Spriano e Giuseppe Fiori, di Pistillo, di Vacca, di Giacomini, ecc. Deve ignorare soprattutto episodi e situazioni, fatti avvalorati da decine di testimonianze: dal ruolo di primo piano svolto da Gramsci a Torino nel «biennio rosso» a quello nel '23-'24 per la ricostruzione del «centro» antibordighista, dai tentativi per liberarlo dal carcere fascista che lo uccideva, dall'irrilevanza della nota lettera di Grieco del '28 ai fini processuali, alle problematiche condizioni di salute di Tania, che causarono alcuni periodi di lontananza dal recluso, all'indefessa opera di Sraffa, verso cui del resto Gramsci riponeva una fiducia senza limiti. Si tace delle persecuzioni carcerarie, dell'assistenza medica inesistente, dell'insonnia notturna indotta, prima che dai dubbi sugli amici, dalle ispezioni delle guardie in cella nel mezzo della notte. Insomma, per Nieddu carcerieri e assassini di Gramsci furono in primo luogo i suoi falsi amici, gli odiosi comunisti, russi o italiani che dir si voglia.
Un libro di fantasia, un romanzo di spionaggio da guerra fredda, anche se sicuramente meno avvincente dei capolavori di Le Carré? Più che altro - avrebbe detto Gramsci - un esempio di «lorianismo», di scempiaggine intellettuale, pur tanto utile alla creazione di un «senso comune» che deve essere portato a vedere in tutto ciò che sa di comunismo qualcosa di abietto, riprovevole e corrotto.

week end
Alberto Giacometti a Ravenna

Corriere della Romagna giovedì 2 dicembre 2004
Giacometti, la scultura come negazione della vita
di Enzo Dall’Ara

Il Museo d’Arte della città di Ravenna organizza in collaborazione con la Fondation Maeght di Saint-Paul de Vence e la Fondazione Mazzotta di Milano una grande mostra dedicata ad Alberto Giacometti. Il progetto espositivo, ampio e articolato, darà conto di Giacometti, assoluto protagonista della scultura contemporanea, ma anche straordinario pittore così comefine disegnatore e incisore di rara sensibilità. Si tratta della più vasta mostra mai realizzata prima in Italia dedicata all’artista svizzero, grazie ai numerosi prestiti eccellenti, a partire dal nucleo centrale delle opere della Fondation Maeght, dalla Kunsthaus di Zurigo e a numerosi lavori provenienti da collezioni private. Le oltre cento opere scelte dai curatori permettono di ricostruire il percorso di Giacometti attraverso sculture, dipinti, disegni fornendo un completo quadro dellacomplessa personalità espressiva di un artista che come pochi altri ha suscitato l’interesse di filosofi e scrittori quali Jean-Paul Sarte, Simone de Beavouir, Samuel Beckett.

la mostra delle opere di Alberto Giacometti resterà aperta fino al 20 febbraio 2005
per infomazioni e per la prevendita dei biglietti ci si può collegare al seguente indirizzo:
http://www.museocitta.ra.it/mostre/giacometti.htm


Scorre un filo rosso fra Rodin, Bourdelle e Giacometti: essi formano una trilogia di transizione formativa che, nelle diverse personalità, si svolge su un simbolismo scultoreo dipanato nel segno della memoria. Se Rodin supera il tradizionale concetto di monumento per concentrare l’attenzione sul particolare della statua singola, Bourdelle riprende l’aspirazione monumentale, seguendo una stilizzazione formale evocante gli archetipi arcaici della scultura greca e romana. Giacometti torna a definire una netta avversione per il monumentale, volgendosi alla statuaria primitiva, in una semplificazione estrema, elementare e simbolica della forma. La tensione a ridurre l’opera d’arte alla scarna essenzialità di una lastra, modulata soltanto da accennata concavità e convessità, esprime l’anelato superamento della materia, per rivelare la pura componente intangibile dell’essenza. Per l’artista risulta fondamentale la percezione di uno spazio non astratto, non assoluto, ma determinato dalla presenza umana e quindi dischiuso ad ogni eventualità. Nella sua arte sembra affermarsi la convinzione di Medardo Rosso, secondo cui la statua è avvertita come “espressione della negazione della vita”. La splendida mostra, attualmente dedicata al grande artista svizzero dal Museo d’Arte della Città di Ravenna e puntualmente allestita alla Loggetta Lombardesca, percorre l’intero iter creativo di Giacometti scultore, pittore, disegnatore e incisore. Gli esordi più significativi avvengono secondo esperienze cubiste e astratte, permeate di suggestioni dell’arte africana, in particolare dell'etnia Dogon, o di fascinazioni della civiltà preellenica e, più precisamente, cicladica. Quando, nel 1930, lo scultore si volge all'avanguardia surrealista, le opere si caricano, invece, di visionarie evocazioni dell'inconscio e di sottese ma veementi indicazioni erotiche. La rottura col gruppo dei surrealisti, nel 1934, causa un lungo e critico periodo di isolamento, in cui l'artista realizza alcuni considerevoli dipinti e trova nel disegno, sempre considerato parametro fondamentale nell’opera d’arte, la potenzialità di assegnare forma concreta all’immagine. Alle opere pittoriche e disegnative, incentrate sui ritratti delle persone più care, sul luogo delle origini e sull'interno del suo studio, Giacometti affida valori di intimo colloquio, di confessione affettiva di sentimenti mai sopiti.Anche le opere litografiche di “Paris sans fin”, realizzate dal 1959 in poi, costituiscono una raccolta imperniata sulla narrazione evocativa di zone e ambienti parigini del ricordo, delineati, come di consueto, in un intreccio convulso di linee immediate che s’addensano o si dilatano nell’illusione di vincere con la presenza dell’immagine il senso della finitezza e della mancanza. In ambito scultoreo, già dal 1940 le opere iniziano a essere costrette in dimensioni sempre più ridotte, perfino di pochi centimetri, coagulate in autentiche miniature dell’introspezione e della sparizione iconica. L’artista, con tensione esistenzialista, s’interroga sul significato della vita, sulla condizione umana, che avverte come gabbia del vuoto e del nulla, in una verità scultorea ardua, tesa a coniugare realtà e rappresentazione. A metà del XX secolo, egli giunge, pertanto, a definire, in verticalità filiformi ancorate alla terra, figure ossificate, incorporee, solitarie o in gruppo, quasi scheletri ruvidi di entità morte, ormai immobilizzate in litica sofferenza interiore. Bloccata in uno ieratico e solenne dolore o rappresa in uno spasmodico movimento allucinato, l’entità umana si dibatte nel silenzio di una dimensione escatologica che accomuna tutta l’umanità. Torna il ricordo di un archetipo artistico etrusco, “L’ombra della sera”, insieme a quello di alcune sottili figure femminili di Picasso dei primi anni Trenta. Ma nelle opere di Giacometti la materia subisce continui processi costruttivi e distruttivi, di tortura e di rinascita, per esprimere le ansie, gli affanni e gli incubi dell’esistenza contemporanea. Il rovello del creare s’indirizza, ossessivamente, sull’ineludibile volontà di “scolpire la testa”, perché all’illustre scultore urge l’esclusiva modellazione dell’essenza, dell’entità individuale, speculare di quella collettiva. Ma al riguardo, l’artista afferma di essere “uno scultore mancato”, poiché incapace di raggiungere l’anelata oggettivazione iconica della sua realtà percepita. Non volendo confutare tale convinzione, va comunque rimarcato che egli è stato un artista insostituibile, unico nel riuscire a testimoniare l’opprimente, destabilizzante e macerante verità esistenziale dell'uomo d’oggi. Giacometti, quindi, come Bacon.

i maschi tedeschi...

TG.com
Preservativi, occhio alla taglia
Germania: molti uomini sbagliano misura

Secondo un'inchiesta condotta recentemente in Germania, a cui non si può certo imputare scrupolosità e precisione, i maschi tedeschi tra i tanti problemi che li affliggono, dovranno d'ora in poi annoverare anche la spiccata inettitudine nella scelta dei preservativi. Sembra, infatti, che per manifesta "mania di grandezza", i giovani leoni tedeschi pecchino di superbia e acquistino immancabilmente profilattici troppo grandi di misura.
L'indagine è avvenuta in occasione della Giornata dell'Aids. E' stato chiesto a 2.500 uomini, in un asettico linguaggio burocratico-sanitario al limite della pedanteria, di verificare a tutti gli effetti la misura del proprio pene in posizione eretta, in base alla constatazione che "si conosce perfettamente la taglia delle proprie scarpe, ma molto meno la misura del proprio membro", ha spiegato Jan Vinzenz Krause della Vinico, la società demoscopica incaricata del sondaggio.
Del resto le aziende produttrici di condom avevano lamentato da tempo la carenza di una letteratura in proposito a cui ricorrere per la produzione in massa del prodotto che, dati alla mano, è secondo solo al fazzoletto come prodotto igienico di largo consumo.
Ebbene, se la matematica non è un'opinione e la lunghezza media del pene-tipo tedesco è di 14,7 cm, solo il 18% del campione sceglierebbe la taglia giusta a fronte di un "imbarazzato" 34% che opterebbe - sapendo di sbagliare - per il tipo magnum extra-large. Conclusione della ricerca: la maggior parte delle aziende di profilattici vendute in Germania devono quindi correre ai ripari, facendo corrispondere meglio la produzione alle esigenze reali dei consumatori

neuroscienze americane
scoperto il perché delle allucinazioni...?

La Repubblica Salute 2.12.04
Allucinazioni e ritmi nervosi

LE CELLULE nel cervello deputate al controllo dello scambio di informazioni con l'ambiente circostante, quindi alla formazione delle cosiddette "impressioni mentali" sono meno attive nei malati di schizofrenia. Questo almeno è quello che ha potuto osservare uno studio americano coordinato da Robert Mccarley dell'Harvard Medical School e pubblicato sull'ultimo numero di "Proceedings of the National Academy of Sciences", la rivista ufficiale dell'Accademia nazionale delle scienze Usa.
Secondo i ricercatori sarebbe questa diminuita attività neurofisiologica quello che spiega il formarsi delle allucinazioni e il pensiero sconnesso che affligge i soggetti sofferenti di schizofrenia.
L'esperimento è stato condotto su un campione di 20 pazienti (confrontato con 20 individui sani) sottoposti a un questionario basato sull'osservazione di alcune immagini mentre sul loro cervello veniva effettuato un elettroencefalogramma che registrava continuamente l'attività cerebrale. E' stata cosi rilevata una corrispondenza abbastanza significativa tra la frequenza con cui oscilla in modo sincrono l'attività dei neuroni del cervello e il tempo di reazione del soggetto.
Gli schizofrenici hanno una frequenza di oscillazione neuronica e tempi di reazioni più bassi rispetto agli individui sani.
Il team di ricercatori ha anche scoperto che i neuroni caratterizzati da una frequenza di oscillazione più bassa davano i sintomi clinici peggiori nel soggetto, incluso le allucinazioni appunto.
Ciò suggerisce che una scarsa sincronia neurale tra le diverse parti del cervello porta a percezioni disordinate tipiche degli schizofrenici. Le "oscillazioni" neurali sono localizzate nell'area visiva, zona occipitale del cervello ecco perché, spiegano i ricercatori, gli schizofrenici hanno le allucinazioni visive. Lo studio quindi collega le disfunzioni dei circuiti neurali alla schizofrenia e dimostrerebbe la possibilità di diagnosticarla attraverso un'esame encefalografico sulla frequenza di oscillazione dei neuroni nella zona dell'occipite. (s. j. s.)

teorie sulla depressione...

Repubblica edizioe di Torino 2.12.04
Lo psichiatra Crosignani: in questi casi si decide di scegliere la morte anche per chi si ama di più
"Il gesto di una depressione senza confini"
L´intervista
L'analisi. Questa è una malattia, grave però curabile. Nasconderla è pericoloso
di MARCO TRABUCCO

Annibale Crosignani è uno dei più noti psichiatri torinesi. Per anni primario alle Molinette, ha una lunga esperienza di casi di depressione.
Professore cosa spinge una madre a uccidere la propria figlia e poi a tentare il suicidio come è accaduto ieri a Volpiano?
«Sulla base dei dati finora noti, la tragedia di Volpiano sembra un caso classico di una donna che agisce in questo modo perché soffre di una grave forma di depressione. Che è, non bisogna stancarsi di ripeterlo, una malattia terribile che dà dolore e sofferenze indicibili, quel "dolore morale" che è molto più forte di qualsiasi sofferenza fisica».
Che tipo di dolore?
«La persona depressa vede davanti a sé solo buio. Non vede spiragli di luce ed è convinta che questa non sia una malattia, ma un modo di essere, una condizione esistenziale. In più vive questa situazione con forti sensi di colpa. Da qui l'idea del suicidio come unica possibile via di uscita. E nel suo delirio di annientamento il depresso coinvolge nel suo dolore anche le persone più care e ritiene quindi sia giusto togliere la vita anche a loro per sottrarle a questa situazione terribile. Per questo in genere prima uccide e poi si suicida. I casi di madri con bambini piccoli sono i più frequenti perché il legame simbiotico che si crea è fortissimo».
La depressione è una malattia gravissima. Ma si può intuirne l´insorgere, ha sintomi evidenti?
«La depressione endogena è una malattia gravissima che non dipende da fattori esterni, ma dal malfunzionamento di meccanismi cellulari. È una malattia genetica, tra le malattie psichiatriche è quella in cui più ci sono casi di ereditarietà. E dà sintomi, non sempre facili da captare, anche perché il soggetto se ne vergogna e tende a nasconderli. Ma che, per chi vive con il depresso sono visibili».
Quali?
«Sintomi precoci sono l'insorgere dell'insonnia, magari lieve: ma il soggetto non riesce più a dormire come prima. Poi insorge una disattenzione, disaffezione verso le attività che la persona fino a poco tempo prima svolgeva con entusiasmo, con amore. Viene a mancare lo slancio vitale, il soggetto non vede più le cose come prima, rallenta il suo ritmo di attività. È un processo lento che può andare avanti quindici giorni, un mese e che l'interessato cerca di nascondere. Ma se si osserva lentamente si capisce».
La depressione grave è curabile?
«Assolutamente sì. La si cura con psicofarmaci e con una opportuna terapia psicologica di sostegno. E si guarisce. È vero che ha un andamento ciclico, ma se il malato supera la crisi, ricomincia a vedere la vita con positività e riesce e riprendere la vita normale. Purtroppo in molti casi non viene riconosciuta, dai familiari, ma anche dai medici: perché la parola depressione è troppo comune, è vissuta come un fatto normale. Tutti siamo un po´ depressi. Ma qui si parla di un'altra cosa, lo ripeto, di una malattia. Vera, grave e curabile».

psichiatria...

Università.it 2.12.04
1904-2004 Cento anni di legislazione psichiatrica in Italia
Il prossimo 3 dicembre è in programma a Gallarate una Giornata di Studio sul tema “1904-2004. Cento anni di Legislazione Psichiatrica in Italia”
Codice: 19644 Rubrica: Università
Università dell'Insubria

Il prossimo 3 dicembre è in programma a Gallarate una Giornata di Studio sul tema “1904-2004. Cento anni di Legislazione Psichiatrica in Italia”, organizzata dal Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica dell’Università degli Studi dell’Insubria e dall’Azienda Ospedaliera S. Antonio Abate di Gallarate, con l’intervento di esperti in campo storico, psichiatrico e medico-legale.
Il complesso cammino della psichiatria nell’ambito clinico, legislativo ed organizzativo, a cento anni dalla legge 36 del 14 febbraio 1904 “Disposizioni sui manicomi e sugli alienati” (che disciplinava, con norme generali ed omogenee i principi organizzativi relativi all’assistenza psichiatrica sul territorio nazionale), ha fatto evolvere significativamente la condizione dei sofferenti. Dalla custodia e cura dei soggetti nei manicomi, fondata sul concetto di pericolosità e di incompatibilità sociale, si è acquisito un progressivo riconoscimento dei diritti relazionali e sociali all’interno della cura della malattia mentale.
La nuova prospettiva ha inserito la Psichiatria nel Servizio Sanitario nazionale e negli Ospedali Generali e l’assistenza viene svolta nell’ambito territoriale di appartenenza mediante rapporti collaborativi con tutti i soggetti istituzionali e sociali prossimi.
Nel corso della giornata di studio gli esperti esamineranno le tematiche più rilevanti del percorso dalla legge 36/1904 alla legge 431/1968 (Legge Mariotti sulle provvidenze per l’assistenza psichiatrica), alla legge 238/1976 (sull’autonomia della psichiatria universitaria), alle leggi di riforma 180 e 833 del 1978, sino ai recenti progetti nazionali e regionali.

L’incontro si svolgerà a Villa Sironi – P.zza Giovine Italia 2 - Gallarate, a partire dalle ore 14.30.
La partecipazione è libera e gratuita.

una lettera a Repubblica

Repubblica Lettere 2.12.04
Gad, disturbo d'ansia
generalizzato
Riccardo Bentsik, Psichiatra, Roma

Caro direttore, le invio una piccola curiosità sul dibattito intorno al nome dell'alleanza del centrosinistra. Al di là di ogni altra considerazione sull'opportunità di una sigla pomposa ed autoreferenziale come G. A. D., aggiungo che in psichiatria tale sigla sta per generalized anxiety disorder, cioè "disturbo d'ansia generalizzato".

quelli del professor Cassano
con la complicità del Ministero

http://www.fondazioneidea.it/giornata%20salute.htm
Giornata nazionale della Salute Mentale

La nostra Fondazione è stata incaricata dal Ministero della Salute di curare l’organizzazione della Prima Giornata Nazionale della Salute Mentale, che avrà luogo il 5 dicembre p.v.
Questa giornata darà il via ad un importante campagna nazionale di comunicazione che proseguirà per tutto il 2005 e che si articolerà in diverse iniziative volte a sensibilizzare l’opinione pubblica (quali la messa in onda di uno spot, la realizzazione di locandine e manifesti, la creazione di un sito, la produzione di materiale informativo rivolto alla popolazione e agli operatori sanitari, l’organizzazione di conferenze stampa e di eventi di piazza) alla cui realizzazione hanno contribuito alcune tra le Associazioni di settore più rappresentative sul territorio nazionale (ARAP, DIAPSIGRA, FONDAZIONE IDEA, UNASAM) e due tra le maggiori Società Scientifiche di Psichiatria (S.I.P. e S.I.N.P.F.)
Il 5 dicembre, in numerose piazze d’Italia, Volontari e Operatori Sanitari saranno a disposizione della popolazione per distribuire materiale e dare informazioni
L’obbiettivo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi relativi alla salute mentale fornendo alla popolazione un’informazione chiara e corretta sui disturbi mentali, sulle cure oggi disponibili, sull’organizzazione dei servizi, sulle Associazioni che da anni sono impegnate in questo settore
Questa Giornata rappresenta un’opportunità unica per promuovere una nuova cultura della solidarietà, e per combattere i pregiudizi e la disinformazione che ancora oggi rappresentano i principali ostacoli alla prevenzione e alla cura di queste patologie e ci sentiamo onorati ed orgogliosi del fatto che il Ministero abbia pensato a noi.

da non perdere:
Evgenij Kissin a Roma

Repubblica 2.12.04
SALA SANTA CECILIA
L'integrale dei concerti da sabato 4 a mercoledì 8
Giovane talento al piano Kissin suona Beethoven
Trentatré anni di successi: a 17 il debutto a Londra Il feeling con Abbado
di LANDA KETOFF

L'Hotel de Russie non porta questo nome per caso. In tempi lontani fu l´albergo dei nobili russi che venivano a Roma in vacanza e di artisti quali Diaghilev, Rimskij, Stravinsky. Ora questo luogo mitico ospita di nuovo molti artisti russi. E questa volta vi abbiamo incontrato il pianista Evgenij Kissin, 33 anni (ma ne dimostra dieci di meno), moscovita, ora cittadino del mondo con casa anche a New York e a Londra, e con una passione istintiva per la musica e per il pianoforte che in famiglia più d´uno suona. Ci ha raccontato che cominciò a esibirsi in patria da bambino e appena adolescente uscì fuori dalla Russia, prima nell'Europa dell'Est, poi in Giappone e a 17 già debuttava a Londra con la London Symphony diretto da Gergiev e in dicembre a Berlino con i Berliner Philharmoniker diretti da Karajan in un mitico Concerto di Capodanno diffuso in tutto il mondo. Da allora si è esibito con le maggiori orchestre internazionali e con i più grandi direttori. Il suo debutto negli Stati Uniti avvenne a 19 anni con la New York Philharmonic diretta da Zubin Mehta. E nel 2001 Abbado (col quale Kissin dice di trovarsi in perfetta sintonia) lo portò a Roma per quel formidabile ciclo con i Berliner che presentava le Sinfonie e i Concerti per pianoforte di Beethoven. A lui toccò il Terzo. E sarà ancora Beethoven, questa volta diretto dall'inglese Jan Latham-Koenig, che interpreta all'Auditorium di Roma. Un impegno pesante anche per chi, come Kissin, è ben preparato: esegue tutti i cinque Concerti, di cui i primi tre sabato 4 dalle 18 in poi, il quarto e quinto il 6 alle 21 con replica l'8 alle 19.30. Il Quarto è considerato non solo una novità per l'epoca ma anche un capolavoro nel genere del pianoforte concertante. Magnifico anche il Quinto chiamato "L´Imperatore": una sorta di splendida realizzazione delle premesse del Quarto.

Auditorium, sala Santa Cecilia, viale Pietro del Coubertin, Info: 06.8082058. Biglietti da 46 a 16 euro.