La Stampa 9.9.04
Secondo alcuni studiosi l’emergere della violenza religiosa dai taleban ai nuovi jihadisti sarebbe il sintomo di un mondo nel quale il sesso femminile diventa protagonista
Ne «Il velo strappato» l’ex cognata di Bin Laden mette alla berlina l’Arabia Saudita che nega loro la patente e le costringe in pubblico sotto pesanti cappe nere senza accorgersi che in privato si truccano e affilano l’intelligenza
DONNE e ISLAM Conflitto sotto il velo
L’iraniana Farian Sabahi «Con il ruolo dei sessi cambia l’interpretazione del Libro e decade il dovere di protezione»
Nel versetto 228 della Sura della Vacca e nel 34 della Sura delle donne il Corano sancisce la superiorità del maschio ma anche il dovere di proteggere le sue compagne
IL SEQUESTRO DELLE DUE ITALIANE SEGNA UNA SVOLTA NELLA CULTURA MUSULMANA
JASUS
Spie. La rivendicazione online del gruppo Ansar El Zawahri non mostra pietà per le «due Simone», sequestrate martedì pomeriggio a Baghdad. Spie occidentali. Pericolose, benché donne. Come verranno trattate? I genitori palpitano in ansia, gli accademici consultano le Scritture cercando una risposta nel Profeta Maometto. «Le pacifiste di “Un ponte per..” sono tali e quali agli uomini per i terroristi. Forse peggio perché occidentali, una specie di prostitute», azzarda Massimiliano Hamza Boccolini, convertito all’Islam nel ‘96 e responsabile fino a pochi mesi fa della moschea di Napoli Zayd ibn Thabit. «Se questi criminali fossero credenti come dicono, le ragazze sarebbero al sicuro», ribatte Asmae Dascian dell’Associazione donne musulmane d’Italia, citando i passi del Corano che sanciscono la superiorità del maschio, ma anche il dovere di proteggere le compagne, il versetto 228 della Sura della vacca e il 34 di quella delle donne. Le ipotesi sulla sorte delle volontarie italiane si dividono come la società musulmana: mariti custodi della tradizione e mogli che forzano le mura domestiche, conservazione e spinta al rinnovamento. Secondo alcuni studiosi l’emergere della violenza religiosa, dai taleban ai nuovi jihadisti, sarebbe proprio il sintomo di un mondo in rapida trasformazione nel quale le donne, storiche vittime sacrificali, hanno il ruolo di protagoniste.
Le cronache raccontano le vedove nere di Beslan e trascurano invece la rivoluzione in atto che suggerisce come l’Islam moderato, partner ambìto dell’Occidente contro lo scontro delle civiltà, possa avere i lineamenti delicati e i muscoli guizzanti delle atlete in gara ai Giochi di Atene. Danah Al Nasrallah, la kuwaitiana più veloce sui 100 metri. Sanaa Bkheet, della striscia di Gaza. L’algerina Nouria Benida, medaglia d’oro a Sidney nei 1500 metri. Velociste capaci di correre oltre i tempi. L’allungo più difficoltoso è in patria, eppure, l’allenamento comincia a rendere. L’Arabia Saudita che nega la patente alle automobiliste, finisce alla berlina nel libro di una di loro, Carmen bin Laden, ex moglie di Yeslam e cognata dello sceicco fondatore di Al Qaeda. «Il velo strappato», pubblicato da Piemme, apre una finestra sulla gabbia dorata del regno wahabita, dove le donne sono recluse sotto pesanti cappe nere ma nel privato del gineceo affilano l’intelligenza e tingono le labbra di rossetti vivaci. La polizia islamica, muttawa, usa picchiare le acquirenti all'uscita dei negozi di biancheria, rigorosamente gestiti da commessi maschi. Lo Yemen intanto, nomina la giornalista Amat Al Aleem Alsoswa ministro per i Diritti umani e in Marocco, dove la danza del ventre è ormai un business, re Mohammed VI adotta un Codice di famiglia che consacra l’eguaglianza dei sessi. L’Afghanistan di Karzai non siede ancora tra le democrazie, ma, nella capitale, la trentenne Saba indossa il velo sul kimono e apprende l’arte del karate, in attesa di votare, cittadina per la prima volta, il prossimo 9 ottobre. Donne pericolose per i fondamentalisti dell’Islam. Come le trenta ragazze di Kabul ospiti un anno fa a Torino con un programma dell’Onu. L’organizzazione aveva predisposto una mediatrice di choc culturali per accompagnare il salto dal medioevo dei taleban alla città post moderna. Bastava guardare Latifa, Nasima, Rabia, impegnatissime tra una seduta dal parrucchiere per le meches e un appuntamento con la sociologa Chiara Saraceno, bombardata di domande sul divorzio in Italia, per capire cosa temono davvero i kamikaze del jihad.
L’altra metà del mondo musulmano non brucia reggiseni in piazza come nei nostri anni ‘70, pena il carcere a vita. Combatte però, con analoga determinazione, nei tribunali, nelle università, nelle organizzazioni tipo «Un ponte per...» e «Intersos», dove insieme a Simona Pari e Simona Torretta lavorava Mhanaz, l’irachena rapita con le volontarie italiane, primi ostaggi donna della seconda guerra del Golfo dopo la giapponese Nahoko Takato, rilasciata in una settimana. L’emancipazione femminile è parte importante nella degenerazione dei costumi occidentali che il fanatismo misogino dei mullah contrasta con la spada e con l’ijtihad, l’interpretazione del Corano. L’Europa e gli Stati Uniti farebbero bene ad ascoltare la voce femminile dell’Islam. Forse perché forzate nell’invisibilità, le musulmane incalzano, devote al proprio credo eppure, senza contraddizione, bramose di libertà. Due giovani studiose, Irshad Manji e Asma Gulf Hasan, denunciano nei loro saggi («The trouble with Islam» e «Why I am a muslim») il rischio di soffocarne la spinta tra l’integralismo della fede e quello della ragione. L’esempio è il contestato divieto del governo francese d’indossare a scuola l’hijab, il foulard. Un fumetto della cartoonist iraniana Marjane Satrapi intitolato «Doppia punizione» mostra una ragazza dalla chioma fluente additata dai parenti come sgualdrina. Nella striscia successiva la stessa giovane, emigrata in Europa, indossa il velo e viene derisa dai compagni, «fondamentalista, fanatica».
L’Iran del presidente riformatore Khatami rappresenta, forse più di altri Paesi islamici, questo mondo vicino all’implosione. La segregazione muove il romanzo di Azar Nafisi «Leggere Lolita a Theran», dove il controllo dei guardiani della fede, guidati dall’ayatollah Khamenei, si traduce nell’umiliazione del corpo femminile, reale o fantasioso come nel libro censurato di Nabokov. «Il racconto della Nafisi si ferma al 1997, ora le mie connazionali girano con pantaloni alla pescatora e soprabiti stretch», spiega l’iraniana Farian Sabahi, autrice della «Storia dell’Iran». Sono figlie della delusione rivoluzionaria seguita alla dittatura di Khomeini, eredi del premio Nobel Shirin Ebadi, che ha pagato con la galera l’infatuazione per l’Islam politico. Donne minacciose per i custodi della dottrina rigorosa. Continua la Sabahi: «E’ cambiato il ruolo dei sessi e le interpretazioni del Corano si sono adeguate. Se le donne studiano, vestono la divisa militare, contribuiscono all’economia nazionale, diventano pericolose e il dovere di protezione del buon musulmano viene meno». Da alcuni mesi gli imam predicatori d’odio pronunciano fatwe che giustificano l’omicidio di donne e bambini, impensabile nel passato. I loro nemici pregano adesso per la vita di ostaggi che si chiamano Simona, Simona, Mhanaz. «Spie» occidentali e simbolo d’emancipazione come le compagne musulmane, chiamate a rispondere anche di questa eresia davanti ai loro sequestratori.
Repubblica edizione di Bologna 9.9.04
I rapitori Quella gente non obbedisce più a nessuna autorità religiosa
la violenza Io penso che in Iraq si sia oltrepassata una soglia di disumanità
MICHELE SMARGIASSI
«
Se servisse, prenderei io stesso un aereo per Bagdad, adesso. Ma quella gente non ascolta più nessuna voce ragionevole, non obbedisce a nessuna autorità religiosa». Radwan Altounji ha riunito martedì sera nella sede di villa Pallavicini il direttivo della comunità islamica bolognese di cui è presidente. Sgomento, angoscia per le due rapite. «
Non conosco Simona Pari, la ragazza bolognese, ma ne ho sentito parlare in passato da amici. Una persona stimabile, impegnata per la pace. Spero che lei e la sua amica tornino presto alle loro famiglie».
Nessun documento, nessun appello?
«
C´è un documento di solidarietà e di condanna diffuso ieri dall´Unione delle comunità islamiche in Italia, a cui noi aderiamo. In quel documento ci riconosciamo pienamente, parla per tutti noi».
Non c´è anche un po´ di sfiducia?
«
Vede, l'Islam è un mondo vasto. Non ci sono solo sciiti e sunniti, ci sono mille differenze, visioni, atteggiamenti. E non esiste un´autorità riconosciuta. Anche un appello dell´imam del Cairo non vale nulla se i rapitori pensano di essere nel giusto».
Possono pensarlo?
«
Io penso che in Iraq si sia oltrepassata una soglia di disumanità. La violenza chiama violenza, la violenza è come una droga: più ne consumi, più devi aumentare la dose. Hanno cominciato coi militari, sono passati ai paramilitari, ai giornalisti, ora agli operatori umanitari e non sembrano volersi fermare. Tutto questo è disumano».
Pensa che ogni iniziativa umanitaria o politica sia inutile?
«
Penso che siamo nelle mani di Dio. Io cerco di conservare un barlume di ottimismo: se nei cuori di quegli uomini c´è ancora una traccia di fede, non possono non sapere che per la nostra religione la donna è sacra, inviolabile, e questo mi rende leggermente più tranquillo. Spero, credo che le due ragazze saranno risparmiate e restituite ai loro cari».
Se le avessero rispettate, non le avrebbero rapite.
«
Hanno solo scelto il bersaglio più facile, forse perché non riescono ad attaccare obiettivi militari. Spero che sia solo un modo per farsi pubblicità, che non osino arrivare fino in fondo».
Anche in Italia c´è chi soffia sul fuoco dello scontro fra religioni e civiltà. A Bologna la comunità islamica risente di questo clima pesante?
«
No. La città ha cominciato a capire come stanno le cose. Siamo qui da tanti anni, ormai ci conosciamo. I bolognesi sanno che siamo buoni musulmani, che intendiamo vivere pacificamente la nostra fede ed essere cittadini rispettosi di questa comunità».
Accetterete di partecipare a manifestazioni di solidarietà?
«
Siamo tutti, di cuore, vicini alle famiglie delle due rapite. Lo dico a nome della comunità e mio personale. Io però continuo a pensare che dovremmo tutti cercare di dare meno spazio e risalto alle imprese criminali di quelle bande. Gli appelli non servono a convincerli, ma l´amplificazione dei media li aiuta a raggiungere i loro scopi disumani».