sabato 12 marzo 2005

sinistra
Fiat come Renault?

Apcom 11/03/2005 - 19:12
FIAT
BERTINOTTI: SCIOPERO UN SUCCESSO, ORA PARLI LA POLITICA

"Crisi finora sottovalutata. Il Paese non può restare a guardare"

Roma, 11 mar. (Apcom) - "Ora tocca alla politica". Fausto Bertinotti chiama in causa l'esecutivo: "Il successo dello sciopero e della manifestazione sulla Fiat - dichiara il segretario di Rifondazione - costituisce un contributo importante per la messa all'ordine del giorno nella politica del paese del caso che riguarda la crisi della più grossa industria automobilistica italiana. Era uno sciopero difficile, con la loro partecipazione i lavoratori della Fiat, i sindacati metalmeccanici hanno dato il loro forte contributo alla soluzione di un problema drammatico.
"La crisi della Fiat - lamenta Bertinotti - è stata fin qui incredibilmente sottovalutata. Il governo se ne è sostanzialmente disinteressato. Lo scioglimento del patto con la General Motors ha incoraggiato pelosi ottimismi. In realtà la situazione della Fiat, come confermano tutti i dati riferiti al numero di lavoratori in cassa integrazione, all'andamento delle vendite, all'indebitamento dell'azienda, parlano di una situazione di pre-crisi".
"Il Paese - prosegue il leader del Prc - non può stare a guardare. In Francia come in Germania lo Stato interviene per difendere i campioni nazionali perchè è in gioco l'occupazione e il futuro del paese. Il futuro della Fiat interroga la politica, chiede la definizione di una strategia industriale per il paese e la definizione di nuovi strumenti di interventi pubblici in economia. La convocazione immediata di un vero dibattito parlamentare sulla Fiat sarebbe - conclude - la prima dimostrazione che le istituzioni prestano attenzione ai problemi dei lavoratori".

Il Tempo 11.3.05
Compriamo la Fiat: se vinciamo la nazionalizzo
Fiat pubblica, Fausto ricatta l’Unione
Pa. Zap.

È sempre stato un suo cavallo di battaglia, un chiodo fisso, durante tutti i momenti di difficoltà che negli ultimi anni ha attraversato la Fiat. Ma fino a ieri Bertinotti l’idea di un salvataggio pubblico dell’azienda torinese l’aveva tenuta negli stretti confini dell’ideologia di Rifondazione. Ieri, parlando a un convegno, ha invece strattonato tutta la coalizione di Prodi ancora un po’ più a sinistra, annunciando che quella sulla Fiat deve diventare una grande occasione di mobilitazione. E, guarda caso, lo ha fatto proprio il giorno prima della manifestazione nazionale del Gruppo Fiat e componentistica Auto che si svolgerà a Roma promossa dalla Cgil, Cisl e Uil. «Dobbiamo tutti riflettere, nell'Unione, per vedere come far diventare terreno di iniziativa politica la questione della Fiat. La coalizione trasformi il caso Fiat in un caso politico nazionale». Il nuovo ricatto a Prodi e alleati è servito. Ma qual è l’idea di Bertinotti? La Fiat avrà la possibilità di uscire dalla crisi solo con un intervento delle banche e con un ruolo per il pubblico. «La discussione deve diventare pubblica — ha spiegato durante un convegno sulla Fiat — e deve investire le sedi istituzionali come le regioni e il Parlamento. Siamo di fronte a una questione nazionale che è la cartina di tornasole di questioni strategiche che riguardano gli assetti dell'apparato produttivo del Paese. Senza un ruolo strategico della grande impresa non esiste il futuro di un paese come l'Italia. Il contesto è grave: la Fiat sta male, ma il contesto ne peggiora lo stato di salute. E questo perché in Italia è inesistente una politica industriale attiva». Secondo Bertinotti serve dunque una strategia di uscita dalla crisi affinché la crisi non produca un costo sociale disastroso. Se dunque l'obiettivo è quello di rilanciare il settore auto e l'azienda, per il segretario di Rifondazione sono necessarie tre condizioni: «Ci vuole una straordinaria mobilitazione di risorse e quindi, in primo luogo, il coinvolgimento dell'impresa e della proprietà, Fiat Spa. Ma questo non è sufficiente. Sono essenziali la mobilitazione delle banche e l'intervento del pubblico». «Serve — ha continuato — la creazione di una cabina di regia di tutte le politiche industriali del Paese, diversa da quella che si sta determinando spontaneamente al ministero dell'Economia. È essenziale la costruzione di un elemento di programmazione che dal potere centrale guardi all'Unione europea e anche alle regioni, come attori possibili dello sviluppo della politica industriale». Ovvio che il pensiero di Bertinotti vada anche ai lavoratoti della Fiat. «Stanno proponendo una questione nazionale, la Fiat è a rischio, un rischio molto serio, e con lei sono a rischio i lavoratori. Viene alla luce che questo Paese non ha una politica industriale, viene alla luce che la Fiat ha fatto quello che ha voluto, liberandosi di quelli che considerava lacci e lacciuoli, soltanto che è andata a sbattere in un rischio di fallimento». Il più solerte a rispondere al grido di battaglia di Fausto Bertinotti è stato il candidato alla Regione Lazio Piero Marrazzo che, esprimendo la sua solidarietà ai lavoratori della Fiat di Cassino che oggi manifestano a Roma, si è impegnato addirittura, in caso di vittoria elettorale a procedere a «nuovi investimenti e nuovi modelli a forte innovazione tecnologica». «Importanti imprese — ha affermato — hanno deciso di delocalizzarsi lasciando i lavoratori senza soluzioni o alternative solide».

«Ma non deve essere un salvataggio»
«Meglio una partecipazione azionaria come ha fatto la Volkswagen»
Per Cesare Salvi sarebbe sbagliato aiutare il Lingotto a saldare i debiti
di LAURA DELLA PASQUA

«NON VA demonizzato l’intervento pubblico per salvare la Fiat. Nessuno vuole un aiuto di Stato ma si può ragionare sull’ipotesi di una presenza strategica magari sotto forma di partecipazione azionaria». Cesare Salvi (Ds) non si stupisce più di tanto delle parole di Fausto Bertinotti. Il leader di Rifondazione ieri ha di nuovo chiesto al centrosinistra di prendere un’iniziativa forte pwer far diventare un caso nazionale la difficoltà dell’azienda torinese e ha ribadito la necessità di un intervento pubblico. E Salvi non solo condivide in pieno questa posizione ma va oltre fino a prospettare un ingresso dello Stato nell’azionariato Fiat. «Non è un’eresia prospettare un intervento pubblico. Bertinotti non parla di nazionalizzare la Fiat». Ma non è anacronistico tornare a parlare di intervento pubblico? «La situazione della Fiat è drammatica, può l’Italia accettare di perdere l’auto? Quanto alle misure da adottare è evidente che lo Stato non può stare a guardare». Lei prospetta un intervento pubblico sotto forma di partecipazione azionaria. Bruxelles che direbbe? «Non avrebbe nulla da obiettare. Due delle maggiori industrie automobilistiche europee, la Renault e la Volkswagen, hanno l’azionista pubblico. Nella Volkswagen una quota azionaria è detenuta dal Land che ha anche una golden share sulle decisioni. Un’ipotesi di questo tipo non mi sento di escluderla per la Fiat. Sia ben chiaro: l’ingresso azionario non vuol dire pagare a piè di lista i debiti del gruppo. Non parlo di misure distorsive della concorrenza». Ma non sarebbe preferibile l’alleanza con un gruppo estero? «Le due cose non si escludono a vicenda. Ci può essere l’alleanza con un partner e un intervento pubblico». Non c’è il rischio che si comincia con l’aiuto alla Fiat e si finisce con una nuova Iri? «No. Io non dico di tornare alla seconda fase dell’Iri con la politica di salvataggio ma di riaffermare un più forte ruolo pubblico di coordinamento, di programmazione e di politica industriale di cui una nazione non può fare a meno. C’è stato in questi anni un eccesso di liberismo. È sbagliato pensare che tutto debba seguire la pura logica del profitto. La logica del profitto da sola non crea sviluppo, non porta lavoro dove non c’è». Questo vuol dire che lei è contrario alle privatizzazioni? «Bisogna distinguere i settori dove si vuole privatizzare. Non c’è una ricetta valida per tutti i campi. Ad esempio l’acqua non si può pensare di privatizzarla mentre nel caso dei beni patrimoniali è possibile seguire una strategia di dismissioni». Sempre procedendo per esempi, lei privatizzerebbe le Poste? «Non ho elementi per fare una valutazione. So solo che c’è stata una dichiarazione di principio da parte del presidente del Consiglio Berlusconi a cui non ha fatto seguito un orientamento concreto».