Yahoo! Notizie Sabato 29 Maggio 2004, 14:25
Cautela nell'uso dei farmaci antidepressivi per il possibile rischio di suicidio
Di PsichiatriaOnline.net
(Xagena) - Il disturbo depressivo maggiore che colpisce i giovani pazienti di età inferiore ai 18 anni è una grave condizione patologica per la quale esistono poche opzioni farmacologiche.
Negli Usa solo la Fluoxetina (Prozac) è stata approvata nel trattamento della depressione in pazienti pediatrici.
L’FDA (Food and Drug Administration) ha appena completato una revisione, preliminare, di 8 farmaci antidepressivi: Citalopram, Fluoxetina, Fluvoxamina, Mirtazapina, Nefazodone, Paroxetina, Sertralina e Venlafaxina.
Dai dati in possesso all’FDA non si evince una chiara associazione tra l’impiego di questi farmaci antidepressivi e l’ideazione suicidaria o i tentativi di suicidio da parte dei pazienti in età pediatrica.
Il 19 giugno 2003, la Paroxetina (in Usa: Paxil; in Italia: Sereupin, Seroxat) era stata oggetto di un “talk paper” da parte dell’FDA.
L’Agenzia Federale Usa sul controllo dei farmaci aveva avvisato di aver dato inizio ad un esame dei dati sull’impiego della Paroxetina nei pazienti d’età inferiore ai 18 anni, affetti da disturbo depressivo maggiore.
L’FDA in mancanza di dati certi sul possibile presentarsi di ideazione suicidaria o tentativi di suicidio tra i pazienti con depressione che fanno uso di farmaci antidepressivi, richiama i medici ed i pazienti alla massima cautela nell’uso di questi farmaci, sia negli adulti che nei bambini. (FDA - Xagena)
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
sabato 29 maggio 2004
«il modello riduzionista in biologia riceve un altro duro colpo»
il manifesto 29.5.04
notiziario
La lunga strada dell'evoluzione umana
La sequenza completa del genoma umano aveva fatto emergere, tra gli altri, un risultato sorprendente: la sostanziale identità genetica tra esseri umani e scimpanzé. I due organismi sono diversissimi per capacità, comportamenti e fisiologia, ma hanno Dna simili al 98-99%. Tuttavia, uno studio pubblicato sull'ultimo numero della rivista «Nature» mostra che le conseguenze biologiche di queste differenze genetiche anche minime sono molto più complesse di quanto speculato finora. Gli studiosi hanno comparato il cromosoma 22 di uno scimpanzé con la sua controparte umana, il cromosoma 21. Confrontando 231 geni simili tra loro, l'83 per cento presenta differenze sostanziali, e il 20 per cento dà luogo a esiti strutturali completamente diversi. Se questa scoperta valesse per tutti i cromosomi entrerebbe in crisi l'ipotesi che le funzioni cognitive tipiche dell'essere umano siano riconducibili a poche diversità genetiche chiave ben individuabili. Capire quali sono i cambiamenti che ci hanno impedito di rimanere scimmie è da oggi più arduo, ma possibile. E il modello riduzionista in biologia riceve un altro duro colpo.
notiziario
La lunga strada dell'evoluzione umana
La sequenza completa del genoma umano aveva fatto emergere, tra gli altri, un risultato sorprendente: la sostanziale identità genetica tra esseri umani e scimpanzé. I due organismi sono diversissimi per capacità, comportamenti e fisiologia, ma hanno Dna simili al 98-99%. Tuttavia, uno studio pubblicato sull'ultimo numero della rivista «Nature» mostra che le conseguenze biologiche di queste differenze genetiche anche minime sono molto più complesse di quanto speculato finora. Gli studiosi hanno comparato il cromosoma 22 di uno scimpanzé con la sua controparte umana, il cromosoma 21. Confrontando 231 geni simili tra loro, l'83 per cento presenta differenze sostanziali, e il 20 per cento dà luogo a esiti strutturali completamente diversi. Se questa scoperta valesse per tutti i cromosomi entrerebbe in crisi l'ipotesi che le funzioni cognitive tipiche dell'essere umano siano riconducibili a poche diversità genetiche chiave ben individuabili. Capire quali sono i cambiamenti che ci hanno impedito di rimanere scimmie è da oggi più arduo, ma possibile. E il modello riduzionista in biologia riceve un altro duro colpo.
violenza in famiglia contro le donne
il caso di Verona
L'Arena sabato 29 Maggio 2004
Dal primo luglio il Comune attiverà una linea telefonica
La violenza colpisce in casa Vittima una donna su cinque
L’assessore: «Fenomeno trasversale, interessa anche i ceti alti»
(p.col.)
La violenza è di casa in casa. Una drammatica realtà si cela dietro il facile gioco di parole. Al punto che l’assessorato comunale alle Pari opportunità ha ritenuto di prestare la necessaria attenzione «a un fenomeno trasversale che oggi nella nostra città interessa anche i ceti medio-alti», precisa l’assessore (nonché avvocato) Stefania Sartori. I pochi dati disponibili sulla violenza domestica sono datati (si riferiscono a un’indagine svolta nel 1994 dal Comune e dall’Ulss 20 in collaborazione con l’istituto di Statistica dell’Università), ma purtroppo rischiano di essere sottostimati. Allora, il 20% di tremila donne intervistate ammise di aver subito violenza sessuale nel corso della propria vita (il 17,1% in casa, il 10,4% sul luogo di lavoro), mentre il 14,4% dichiarò di aver subito percosse e maltrattamenti fisici (di queste, l’84% li aveva subiti, ripetutamente, in famiglia). Aspetto rilevante della questione, il 50% delle donne vittime di violenza sessuale e il 62% delle vittime di maltrattamenti non aveva parlato con nessuno del suo dramma personale. Quanto all’uomo violento, nella maggior parte dei casi è un uomo "normale", non affetto da patologie psichiatriche o dipendenze, ha un livello culturale medio e un lavoro regolare. L’alcol, in certi casi, può però peggiorare la situazione. Oggi le cose non vanno diversamente, se è vero - come spiega Laura Castagna, presidente di Telefono Rosa, «è minima la percentuale di donne che chiedono sostegno e consulenza alla nostra associazione».
Non mancano i motivi, dunque, per alzare il livello di guardia e mettere in atto una strategia contro la violenza domestica. «Un tema molto delicato», puntualizza l’assessore Sartori, «che esplode anche in ambienti insospettabili e che, purtroppo, poche donne sono decise a denunciare». «Siano esse casalinghe», conferma Castagna di Telefono Rosa, «o professioniste laureate». In tutte, scatta il blocco psicologico, conseguenza del lavaggio del cervello di cui il partner le fa oggetto: sei una cattiva madre, una pessima moglie. Se dici qualcosa ti porto via i bambini...
Ricatti dai quali è difficile liberarsi. «Ma dobbiamo provarci, dobbiamo offrire alle donne vittime di violenza un’opportunità», dice l’assessore alle Pari opportunità. La risposta si chiamerà progetto Petra, che sta per «pratiche, esperienze, teorie, relazioni antiviolenza». «Il primo luglio», conferma l’assessore Sartori, «verrà aperto un centro cui le donne veronesi che vivono situazioni d violenza potranno rivolgersi per avere ascolto, consulenza legale e psicologica, affiancamento e sostegno nell’identificazione di un proprio percorso di uscita dal disagio. Al centro, di cui non forniremo l’indirizzo per garantire la riservatezza delle donne, si accederà previo appuntamento, che sarà preso chiamando il numero verde 800392722 ».
«Il progetto Petra», puntualizza l’assessore, «è rivolto alla donna veronese in difficoltà in genere, non è mirato alla donna immigrata. Ma qualora emergessero numerosi casi anche nelle famiglie straniere, siamo pronti a rimodulare le risposte per essere in grado di superare anche le differenze culturali e religiose».
Il progetto Petra è stato ieri oggetto di un corso di formazione per assistenti sociali e volontari all’Ater.
© Copyright 2003, Athesis Editrice S.p.A. - Tutti i diritti riservati -
Dal primo luglio il Comune attiverà una linea telefonica
La violenza colpisce in casa Vittima una donna su cinque
L’assessore: «Fenomeno trasversale, interessa anche i ceti alti»
(p.col.)
La violenza è di casa in casa. Una drammatica realtà si cela dietro il facile gioco di parole. Al punto che l’assessorato comunale alle Pari opportunità ha ritenuto di prestare la necessaria attenzione «a un fenomeno trasversale che oggi nella nostra città interessa anche i ceti medio-alti», precisa l’assessore (nonché avvocato) Stefania Sartori. I pochi dati disponibili sulla violenza domestica sono datati (si riferiscono a un’indagine svolta nel 1994 dal Comune e dall’Ulss 20 in collaborazione con l’istituto di Statistica dell’Università), ma purtroppo rischiano di essere sottostimati. Allora, il 20% di tremila donne intervistate ammise di aver subito violenza sessuale nel corso della propria vita (il 17,1% in casa, il 10,4% sul luogo di lavoro), mentre il 14,4% dichiarò di aver subito percosse e maltrattamenti fisici (di queste, l’84% li aveva subiti, ripetutamente, in famiglia). Aspetto rilevante della questione, il 50% delle donne vittime di violenza sessuale e il 62% delle vittime di maltrattamenti non aveva parlato con nessuno del suo dramma personale. Quanto all’uomo violento, nella maggior parte dei casi è un uomo "normale", non affetto da patologie psichiatriche o dipendenze, ha un livello culturale medio e un lavoro regolare. L’alcol, in certi casi, può però peggiorare la situazione. Oggi le cose non vanno diversamente, se è vero - come spiega Laura Castagna, presidente di Telefono Rosa, «è minima la percentuale di donne che chiedono sostegno e consulenza alla nostra associazione».
Non mancano i motivi, dunque, per alzare il livello di guardia e mettere in atto una strategia contro la violenza domestica. «Un tema molto delicato», puntualizza l’assessore Sartori, «che esplode anche in ambienti insospettabili e che, purtroppo, poche donne sono decise a denunciare». «Siano esse casalinghe», conferma Castagna di Telefono Rosa, «o professioniste laureate». In tutte, scatta il blocco psicologico, conseguenza del lavaggio del cervello di cui il partner le fa oggetto: sei una cattiva madre, una pessima moglie. Se dici qualcosa ti porto via i bambini...
Ricatti dai quali è difficile liberarsi. «Ma dobbiamo provarci, dobbiamo offrire alle donne vittime di violenza un’opportunità», dice l’assessore alle Pari opportunità. La risposta si chiamerà progetto Petra, che sta per «pratiche, esperienze, teorie, relazioni antiviolenza». «Il primo luglio», conferma l’assessore Sartori, «verrà aperto un centro cui le donne veronesi che vivono situazioni d violenza potranno rivolgersi per avere ascolto, consulenza legale e psicologica, affiancamento e sostegno nell’identificazione di un proprio percorso di uscita dal disagio. Al centro, di cui non forniremo l’indirizzo per garantire la riservatezza delle donne, si accederà previo appuntamento, che sarà preso chiamando il numero verde 800392722 ».
«Il progetto Petra», puntualizza l’assessore, «è rivolto alla donna veronese in difficoltà in genere, non è mirato alla donna immigrata. Ma qualora emergessero numerosi casi anche nelle famiglie straniere, siamo pronti a rimodulare le risposte per essere in grado di superare anche le differenze culturali e religiose».
Il progetto Petra è stato ieri oggetto di un corso di formazione per assistenti sociali e volontari all’Ater.
© Copyright 2003, Athesis Editrice S.p.A. - Tutti i diritti riservati -
«abusi contro i minori, l'inferno è in casa»
il caso di Lecce
La Gazzetta del Mezzogiorno 29.5.04
Un'indagine della Fondazione Semeraro, presentata ieri in un convegno, ha fotografato il mondo dei maltrattamenti nel Leccese
Abusi sui minori, l'inferno è in casa
Il 98,31 per cento delle violenze fisiche e morali ha per teatro le mura domestiche
di Daniela Pastore
Picchiati, violentati, abbandonati a se stessi: nell'87,11 per cento dei casi dai genitori biologici, da chi li ha messi al mondo. Nel 98,31 per cento dei casi tra le pareti domestiche, nelle loro camerette, in quello che dovrebbe essere il loro nido, la protezione del mondo esterno. Un inferno che riguarda 1703 bambini salentini.
La cruda fotografia, rilevata da un'indagine di «Solidarietà Salento» della Fondazione Rico Semeraro, è stata presentata ieri all'hotel Tiziano, nell'ambito del convegno «Minori e disagio». Una ricerca realizzata assieme all'Istituto degli innocenti di Firenze ed al Cismai, il coordinamento italiano dei servizi all'infanzia, che ha scandagliato gli 80 servizi sociali dei comuni salentini ed i 46 consultori familiari (23 della Asl Le 1 ed altrettanti della Asl Le 2). Due anni di lavoro, tra il 2002 ed il 2003, per mettere assieme centinaia di questionari compilati dagli operatori sanitari e comunali, e delineare così il quadro del disagio dei minori in provincia di Lecce.
Su una popolazione di 158.646 minori, i bambini presi a carico dai consultori familiari sono 1241, mentre dai servizi sociali 462: un tasso di violenza rispettivamente del 7,8 su mille e del 2,9 su mille (la media italiana è del 2,5, quella europea del 6 per mille). Il totale dei maltrattamenti è però 4.657: ciò significa che in media un bambino su tre subisce più tipi di violenze. Tra i maltrattameni, i più diffusi sono la trascuratezza (ossia il lasciare il bambino abbandonato a se stesso): ne risulta vittima il 59 per cento dei minori seguiti dai consultori e l'82 per cento di quelli seguiti dai servizi sociali; ed il maltrattamento psicologico (il 64 per cento rilevato dai consultori ed il 55 per cento dai servizio sociali). Le sevizie fisiche riguardano il 6 per cento delle segnalazioni dei consultori ed il 10 per cento dei servizi sociali. Subisce abusi sessuali il quattro per cento dei bambini seguiti dai consultori ed il tre per cento di quelli assistiti dai servizi sociali. Tra i maltrattamenti vi è anche l'ipercura, ossia l'eccessiva protettività, che crea disagi nel 24 per cento dei piccoli seguiti dai consultori e nel 19 per cento di quelli seguiti dai servizi sociali. Infine, il 79 per cento dei casi segnalati dai consultori ed il 44 per cento dai servizi sociali riguardano minori a rischio di maltrattamento, che vivono in situazioni di disagio familiare, ed un 65 per cento (66 nei servizi sociali) riguarda bambini che hanno assistito a violenze all'interno della casa.
E' la casa il teatro privilegiato dei maltrattamenti: nel 98,31 per cento dei casi percosse, violenze sessuali ed umiliazioni avvengono tra le pareti domestiche. I maltrattamenti extradomestici rappresentano appena lo 0,64 per cento, mentre per l'1,05 per cento dei bambini avvengono sia in casa che all'esterno.
Al padre il triste primato di «orco cattivo» rispetto a cinque tipologie di violenza: maltrattamento psicologico (nel 63 per cento dei casi, la madre nel 30), incuria (nel 53 per cento dei casi, nel 45 la madre), maltrattamento fisico (nel 50 per cento dei casi, la madre nel 40). L'ipercura, l'eccessiva protezione, è invece esercitata dalla madre in più del 65 per cento dei casi (dal padre nel 23 per cento). Per la violenza sessuale l'«orco cattivo» è invece più frequentemente una persona esterna al nucleo familiare (nel 30 per cento dei casi). Ci sono poi gli zii (23 per cento), il padre (20 per cento) ed il genitore adottivo o il convivente della madre (12 per cento).
Il rischio di maltrattamento è poi dovuto nel 70 per cento dei casi al comportamento violento del padre contro un 32 per cento dovuto alla madre. Le problematiche del contesto familiare in cui avvengono le violenze riguardano nel 72 per cento dei casi conflitti fra i coniugi e nel 62 per cento il reddito precario, insufficiente o del tutto assente. Seguono l'isolamento sociale della famiglia (47 per cento), gravi interferenze dei parenti dei genitori nella vita familiare (34 per cento), condizioni abitative molto degradate (33 per cento). Ed ancora, convivenze difficili sotto lo stesso tetto con parenti o estranei (31 per cento), consumo di alcol (23 per cento), pendenze penali (22 per cento), patologie psichiatriche (20 per cento), consumo di stupefacenti (15 per cento).
Nell'87,11 per cento dei casi sono i genitori biologici a maltrattare i figli, valore che scende al 5,64 per cento nelle famiglie monoparentali. Il 5 per cento delle violenze avviene nelle famiglie ricostituite, lo 0,32 nelle famiglie affidatarie, e l'1,69 nelle famiglie con nonni o parenti che vivono nella stessa casa.
Le fonti delle segnalazioni? Nella maggioranza dei casi (47,86 per cento) sono la Procura ed il Tribunale dei minori, seguono gli operatori dei servizi sociali (13,78 per cento), i genitori (11,39) e la scuola (5,72 per cento).
«Dati che fanno riflettere - commenta Valeria Vicanolo, direttore della cooperativa Solidarietà Salento - è infatti grave che la violenza sui bambini si consumi tra le pareti domestiche, che venga perpetrata soprattutto dai genitori. Quello che invece è confortante è che crescono le denunce e le segnalazioni: ciò significa che il fenomeno viene pian piano a galla ed è dunque più facile intervenire, aiutare il minore a venire fuori dall'incubo».
L'ultima giornata del convegno, oggi, a partire dalle 9, con gli interventi di psicologi, neuropsichiatri e magistrati.
Un'indagine della Fondazione Semeraro, presentata ieri in un convegno, ha fotografato il mondo dei maltrattamenti nel Leccese
Abusi sui minori, l'inferno è in casa
Il 98,31 per cento delle violenze fisiche e morali ha per teatro le mura domestiche
di Daniela Pastore
Picchiati, violentati, abbandonati a se stessi: nell'87,11 per cento dei casi dai genitori biologici, da chi li ha messi al mondo. Nel 98,31 per cento dei casi tra le pareti domestiche, nelle loro camerette, in quello che dovrebbe essere il loro nido, la protezione del mondo esterno. Un inferno che riguarda 1703 bambini salentini.
La cruda fotografia, rilevata da un'indagine di «Solidarietà Salento» della Fondazione Rico Semeraro, è stata presentata ieri all'hotel Tiziano, nell'ambito del convegno «Minori e disagio». Una ricerca realizzata assieme all'Istituto degli innocenti di Firenze ed al Cismai, il coordinamento italiano dei servizi all'infanzia, che ha scandagliato gli 80 servizi sociali dei comuni salentini ed i 46 consultori familiari (23 della Asl Le 1 ed altrettanti della Asl Le 2). Due anni di lavoro, tra il 2002 ed il 2003, per mettere assieme centinaia di questionari compilati dagli operatori sanitari e comunali, e delineare così il quadro del disagio dei minori in provincia di Lecce.
Su una popolazione di 158.646 minori, i bambini presi a carico dai consultori familiari sono 1241, mentre dai servizi sociali 462: un tasso di violenza rispettivamente del 7,8 su mille e del 2,9 su mille (la media italiana è del 2,5, quella europea del 6 per mille). Il totale dei maltrattamenti è però 4.657: ciò significa che in media un bambino su tre subisce più tipi di violenze. Tra i maltrattameni, i più diffusi sono la trascuratezza (ossia il lasciare il bambino abbandonato a se stesso): ne risulta vittima il 59 per cento dei minori seguiti dai consultori e l'82 per cento di quelli seguiti dai servizi sociali; ed il maltrattamento psicologico (il 64 per cento rilevato dai consultori ed il 55 per cento dai servizio sociali). Le sevizie fisiche riguardano il 6 per cento delle segnalazioni dei consultori ed il 10 per cento dei servizi sociali. Subisce abusi sessuali il quattro per cento dei bambini seguiti dai consultori ed il tre per cento di quelli assistiti dai servizi sociali. Tra i maltrattamenti vi è anche l'ipercura, ossia l'eccessiva protettività, che crea disagi nel 24 per cento dei piccoli seguiti dai consultori e nel 19 per cento di quelli seguiti dai servizi sociali. Infine, il 79 per cento dei casi segnalati dai consultori ed il 44 per cento dai servizi sociali riguardano minori a rischio di maltrattamento, che vivono in situazioni di disagio familiare, ed un 65 per cento (66 nei servizi sociali) riguarda bambini che hanno assistito a violenze all'interno della casa.
E' la casa il teatro privilegiato dei maltrattamenti: nel 98,31 per cento dei casi percosse, violenze sessuali ed umiliazioni avvengono tra le pareti domestiche. I maltrattamenti extradomestici rappresentano appena lo 0,64 per cento, mentre per l'1,05 per cento dei bambini avvengono sia in casa che all'esterno.
Al padre il triste primato di «orco cattivo» rispetto a cinque tipologie di violenza: maltrattamento psicologico (nel 63 per cento dei casi, la madre nel 30), incuria (nel 53 per cento dei casi, nel 45 la madre), maltrattamento fisico (nel 50 per cento dei casi, la madre nel 40). L'ipercura, l'eccessiva protezione, è invece esercitata dalla madre in più del 65 per cento dei casi (dal padre nel 23 per cento). Per la violenza sessuale l'«orco cattivo» è invece più frequentemente una persona esterna al nucleo familiare (nel 30 per cento dei casi). Ci sono poi gli zii (23 per cento), il padre (20 per cento) ed il genitore adottivo o il convivente della madre (12 per cento).
Il rischio di maltrattamento è poi dovuto nel 70 per cento dei casi al comportamento violento del padre contro un 32 per cento dovuto alla madre. Le problematiche del contesto familiare in cui avvengono le violenze riguardano nel 72 per cento dei casi conflitti fra i coniugi e nel 62 per cento il reddito precario, insufficiente o del tutto assente. Seguono l'isolamento sociale della famiglia (47 per cento), gravi interferenze dei parenti dei genitori nella vita familiare (34 per cento), condizioni abitative molto degradate (33 per cento). Ed ancora, convivenze difficili sotto lo stesso tetto con parenti o estranei (31 per cento), consumo di alcol (23 per cento), pendenze penali (22 per cento), patologie psichiatriche (20 per cento), consumo di stupefacenti (15 per cento).
Nell'87,11 per cento dei casi sono i genitori biologici a maltrattare i figli, valore che scende al 5,64 per cento nelle famiglie monoparentali. Il 5 per cento delle violenze avviene nelle famiglie ricostituite, lo 0,32 nelle famiglie affidatarie, e l'1,69 nelle famiglie con nonni o parenti che vivono nella stessa casa.
Le fonti delle segnalazioni? Nella maggioranza dei casi (47,86 per cento) sono la Procura ed il Tribunale dei minori, seguono gli operatori dei servizi sociali (13,78 per cento), i genitori (11,39) e la scuola (5,72 per cento).
«Dati che fanno riflettere - commenta Valeria Vicanolo, direttore della cooperativa Solidarietà Salento - è infatti grave che la violenza sui bambini si consumi tra le pareti domestiche, che venga perpetrata soprattutto dai genitori. Quello che invece è confortante è che crescono le denunce e le segnalazioni: ciò significa che il fenomeno viene pian piano a galla ed è dunque più facile intervenire, aiutare il minore a venire fuori dall'incubo».
L'ultima giornata del convegno, oggi, a partire dalle 9, con gli interventi di psicologi, neuropsichiatri e magistrati.
psichiatria britannica
Yahoo! Notizie Venerdì 28 Maggio 2004, 15:15
Psichiatria: i pazienti raramente commettono atti di violenza
Londra, 28 mag. (Adnkronos Salute) - Al contrario di quanto si creda, raramente i pazienti psichiatrici dimessi da strutture di salute mentale commettono atti di violenza. Lo sottolineano i ricercatori dell'istituto di Psichiatria di Londra diretti da Anthony Maden, in uno studio pubblicato sul British Medical Journal. Nell'indagine sono stati raccolti e confrontati i dati relativi a 957 pazienti dimessi da unità di media sicurezza in Inghilterra e Galles tra il '97 e il '99. Ebbene, nei due anni successivi solo il 6% dei soggetti aveva commesso un atto violento. Un tasso cosi' basso, commentano i ricercatori, che non c'è molto spazio di miglioramento. Mentre sarebbe utile riuscire ad indentificare i pazienti a più alto rischio. Si è visto, infatti, che l'abuso di sostanze stupefacenti e una storia di abusi sessuali sono associati a un maggior rischio di aggressivita'. (Mal/Adnkronos Salute)
Psichiatria: i pazienti raramente commettono atti di violenza
Londra, 28 mag. (Adnkronos Salute) - Al contrario di quanto si creda, raramente i pazienti psichiatrici dimessi da strutture di salute mentale commettono atti di violenza. Lo sottolineano i ricercatori dell'istituto di Psichiatria di Londra diretti da Anthony Maden, in uno studio pubblicato sul British Medical Journal. Nell'indagine sono stati raccolti e confrontati i dati relativi a 957 pazienti dimessi da unità di media sicurezza in Inghilterra e Galles tra il '97 e il '99. Ebbene, nei due anni successivi solo il 6% dei soggetti aveva commesso un atto violento. Un tasso cosi' basso, commentano i ricercatori, che non c'è molto spazio di miglioramento. Mentre sarebbe utile riuscire ad indentificare i pazienti a più alto rischio. Si è visto, infatti, che l'abuso di sostanze stupefacenti e una storia di abusi sessuali sono associati a un maggior rischio di aggressivita'. (Mal/Adnkronos Salute)
le affermazioni della "farmacologia psichiatrica"
a proposito di schizofrenia e di "disturbo bipolare"...
ItaliaSalute.it 27.5.04
SCHIZOFRENIA E DISTURBO BIPOLARE: 1 SU 3 PUÒ USCIRNE
Oggi si gioca la carta genetica per bloccare la trasmissione ereditaria della schizofrenia e del disturbo bipolare.
Disordini mentali e comportamentali affliggono circa il 10% della popolazione adulta mondiale. Una famiglia su quattro ha dovuto fare l’esperienza di gestire un congiunto psicotico o nevrotico. Tra 250 e 600 mila persone in Italia soffrono di schizofrenia. L’oscillazione dei dati statistici è dovuta al fatto che, come sempre, si conteggiano solo i numeri dei casi portati all’attenzione del sistema sanitario e si stimano quelli che appartengono a un sommerso diagnostico più o meno visibile. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il numero di nuovi casi per anno sono tra 7 e 14 per 100 mila abitanti, in età tra i 15 e i 54 anni.
Purtroppo è una malattia che colpisce gente giovane, ma oggi non è più una malattia inguaribile. Una persona su tre ne può uscire sostanzialmente guarita; un’altra avrà bisogno di cure e di tempo e subirà una parziale limitazione della cosiddetta vita normale; solo la terza purtroppo si cronicizzerà e avrà difficoltà crescente nel mantenersi sulla soglia di un normale sistema di relazioni sociali. La malattia che “sottrae dieci anni di vita” a chi ne è colpito ha un indice di mortalità attorno al 10% e spesso la morte è dovuta a suicidio. Costituisce un problema importante e comporta costi notevoli per il sistema sociale: tra costi diretti e perdita di produttività, negli Stati Uniti – dove questo aspetto è stato meglio approfondito – il costo della schizofrenia è superiore ai 65 miliardi di dollari l’anno.
Schizofrenia e disturbo bipolare sono indagati contestualmente per capire se è fondato il dubbio su una sorta di continuità tra questi due gravi disturbi psichiatrici, o se invece, nonostante i numerosi punti di contatto tra le due patologie, siano prevalenti gli elementi di discontinuità. Se studi farmacologici e di neurobiologia stanno a indicare che la schizofrenia e il disturbo bipolare non costituiscono un’unica patologia, sia pure con differenze, le alterazioni neuroanatomiche riscontrate sono invece identiche nell’uno e nell’altro caso. Recenti studi di genetica hanno consentito di identificare collegamenti tra cromosomi, che in alcuni casi sembrerebbero coinvolti nell’una e nell’altra patologia. Del resto, coincidenze nel malfunzionamento dei neurotrasmettitori interessati erano già state individuate, offrendo un sostegno all’ipotesi di una continuità tra i due disturbi. Sul piano terapeutico, alcuni farmaci di recente impiego hanno mostrato una sorta di bivalenza su entrambi i fronti.
I ricercatori si muovono dunque oggi su tre percorsi: a) disturbo bipolare e schizofrenia presentano un grado elevato di trasmissibilità genetica e certi marker di suscettibilità risultano collocati su gli stessi cromosomi; b)entrambi i disturbi presentano similitudini per quanto concerne le alterazioni dei neurotrasmettitori; c) molti antipsicotici di nuova generazione, approvati inizialmente per il trattamento della schizofrenia, si sono dimostrati efficaci anche nel trattamento del disturbo bipolare. E’ tuttavia da questo parallelismo imperfetto dei dati della ricerca che ci si attendono risposte importanti per la prevenzione e per la cura, che resta solidamente fondata sulle risorse farmacologiche. Al Congresso della Sinpf verranno presentate le più recenti acquisizioni sulle opzioni terapeutiche del disturbo bipolare.
L’efficacia del trattamento antipsicotico continuativo è stata confermata da ricerche sul rapporto tra esito e trattamento farmacologico, con criteri di valutazione clinici, derivati dall’osservazione diretta dei pazienti da parte degli psichiatri e da valutazioni delle annotazioni presenti sulle cartelle cliniche. Fino all’inizio degli anni ‘90 l’efficacia del trattamento antipsicotico continuativo dei disturbi schizofrenici è stata valutata attraverso ricerche sui sintomi positivi (98%) e sui sintomi negativi (19%); ma il punto di vista soggettivo del paziente o dei suoi familiari è stato preso poco in considerazione, solamente nel 13% degli studi controllati. È indubbio quindi che le esperienze soggettive delle persone affette da disturbi schizofrenici durante il trattamento farmacologico antipsicotico vengono raramente riportate nelle ricerche e vengono raramente utilizzate per valutare l’efficacia e la tollerabilità di un farmaco antipsicotico. In particolare, le esperienze soggettive delle persone affette da disturbi schizofrenici durante il trattamento farmacologico vengono raramente utilizzate per valutare la compatibilità del trattamento farmacologico con gli interventi riabilitativi, con la possibilità di un funzionamento sociale autonomo e di un’accettabile qualità della vita.
Non esiste, attualmente, una cura specifica per il disturbo bipolare. Un trattamento adeguato, tuttavia, permette di ridurre i tassi di morbilità e di mortalità ad esso associati. Gli obiettivi generali del trattamento del disturbo bipolare consistono nel valutare e trattare le esacerbazioni acute, prevenire le recidive, migliorare il funzionamento interepisodico e fornire assistenza, informazioni e supporto al paziente e alla sua famiglia.
Oggi gli obiettivi del trattamento farmacologico, alla luce delle esperienze sempre più diffuse di “community psychiatry” vanno oltre la riduzione del rischio di riacutizzazioni sintomatologiche. Si punta piuttosto alla riduzione della severità degli episodi di riacutizzazione e al progressivo miglioramento delle caratteristiche del decorso. I progressi compiuti nella integrazione tra interventi farmacologici ed interventi psicosociali rendono inevitabile la ricerca di ulteriori obiettivi, che sono: una interazione favorevole con gli interventi riabilitativi, un progressivo miglioramento del funzionamento sociale e della capacità lavorativa e, conseguentemente, una auspicata riduzione dei costi diretti ed indiretti della malattia.
Al XIV Congresso Nazionale della SINFP, a Bologna, 1- 4 giugno, un corso speciale affronterà il tema: “Schizofrenia e Disturbo bipolare: continuità o discontinuità?”
SCHIZOFRENIA E DISTURBO BIPOLARE: 1 SU 3 PUÒ USCIRNE
Oggi si gioca la carta genetica per bloccare la trasmissione ereditaria della schizofrenia e del disturbo bipolare.
Disordini mentali e comportamentali affliggono circa il 10% della popolazione adulta mondiale. Una famiglia su quattro ha dovuto fare l’esperienza di gestire un congiunto psicotico o nevrotico. Tra 250 e 600 mila persone in Italia soffrono di schizofrenia. L’oscillazione dei dati statistici è dovuta al fatto che, come sempre, si conteggiano solo i numeri dei casi portati all’attenzione del sistema sanitario e si stimano quelli che appartengono a un sommerso diagnostico più o meno visibile. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il numero di nuovi casi per anno sono tra 7 e 14 per 100 mila abitanti, in età tra i 15 e i 54 anni.
Purtroppo è una malattia che colpisce gente giovane, ma oggi non è più una malattia inguaribile. Una persona su tre ne può uscire sostanzialmente guarita; un’altra avrà bisogno di cure e di tempo e subirà una parziale limitazione della cosiddetta vita normale; solo la terza purtroppo si cronicizzerà e avrà difficoltà crescente nel mantenersi sulla soglia di un normale sistema di relazioni sociali. La malattia che “sottrae dieci anni di vita” a chi ne è colpito ha un indice di mortalità attorno al 10% e spesso la morte è dovuta a suicidio. Costituisce un problema importante e comporta costi notevoli per il sistema sociale: tra costi diretti e perdita di produttività, negli Stati Uniti – dove questo aspetto è stato meglio approfondito – il costo della schizofrenia è superiore ai 65 miliardi di dollari l’anno.
Schizofrenia e disturbo bipolare sono indagati contestualmente per capire se è fondato il dubbio su una sorta di continuità tra questi due gravi disturbi psichiatrici, o se invece, nonostante i numerosi punti di contatto tra le due patologie, siano prevalenti gli elementi di discontinuità. Se studi farmacologici e di neurobiologia stanno a indicare che la schizofrenia e il disturbo bipolare non costituiscono un’unica patologia, sia pure con differenze, le alterazioni neuroanatomiche riscontrate sono invece identiche nell’uno e nell’altro caso. Recenti studi di genetica hanno consentito di identificare collegamenti tra cromosomi, che in alcuni casi sembrerebbero coinvolti nell’una e nell’altra patologia. Del resto, coincidenze nel malfunzionamento dei neurotrasmettitori interessati erano già state individuate, offrendo un sostegno all’ipotesi di una continuità tra i due disturbi. Sul piano terapeutico, alcuni farmaci di recente impiego hanno mostrato una sorta di bivalenza su entrambi i fronti.
I ricercatori si muovono dunque oggi su tre percorsi: a) disturbo bipolare e schizofrenia presentano un grado elevato di trasmissibilità genetica e certi marker di suscettibilità risultano collocati su gli stessi cromosomi; b)entrambi i disturbi presentano similitudini per quanto concerne le alterazioni dei neurotrasmettitori; c) molti antipsicotici di nuova generazione, approvati inizialmente per il trattamento della schizofrenia, si sono dimostrati efficaci anche nel trattamento del disturbo bipolare. E’ tuttavia da questo parallelismo imperfetto dei dati della ricerca che ci si attendono risposte importanti per la prevenzione e per la cura, che resta solidamente fondata sulle risorse farmacologiche. Al Congresso della Sinpf verranno presentate le più recenti acquisizioni sulle opzioni terapeutiche del disturbo bipolare.
L’efficacia del trattamento antipsicotico continuativo è stata confermata da ricerche sul rapporto tra esito e trattamento farmacologico, con criteri di valutazione clinici, derivati dall’osservazione diretta dei pazienti da parte degli psichiatri e da valutazioni delle annotazioni presenti sulle cartelle cliniche. Fino all’inizio degli anni ‘90 l’efficacia del trattamento antipsicotico continuativo dei disturbi schizofrenici è stata valutata attraverso ricerche sui sintomi positivi (98%) e sui sintomi negativi (19%); ma il punto di vista soggettivo del paziente o dei suoi familiari è stato preso poco in considerazione, solamente nel 13% degli studi controllati. È indubbio quindi che le esperienze soggettive delle persone affette da disturbi schizofrenici durante il trattamento farmacologico antipsicotico vengono raramente riportate nelle ricerche e vengono raramente utilizzate per valutare l’efficacia e la tollerabilità di un farmaco antipsicotico. In particolare, le esperienze soggettive delle persone affette da disturbi schizofrenici durante il trattamento farmacologico vengono raramente utilizzate per valutare la compatibilità del trattamento farmacologico con gli interventi riabilitativi, con la possibilità di un funzionamento sociale autonomo e di un’accettabile qualità della vita.
Non esiste, attualmente, una cura specifica per il disturbo bipolare. Un trattamento adeguato, tuttavia, permette di ridurre i tassi di morbilità e di mortalità ad esso associati. Gli obiettivi generali del trattamento del disturbo bipolare consistono nel valutare e trattare le esacerbazioni acute, prevenire le recidive, migliorare il funzionamento interepisodico e fornire assistenza, informazioni e supporto al paziente e alla sua famiglia.
Oggi gli obiettivi del trattamento farmacologico, alla luce delle esperienze sempre più diffuse di “community psychiatry” vanno oltre la riduzione del rischio di riacutizzazioni sintomatologiche. Si punta piuttosto alla riduzione della severità degli episodi di riacutizzazione e al progressivo miglioramento delle caratteristiche del decorso. I progressi compiuti nella integrazione tra interventi farmacologici ed interventi psicosociali rendono inevitabile la ricerca di ulteriori obiettivi, che sono: una interazione favorevole con gli interventi riabilitativi, un progressivo miglioramento del funzionamento sociale e della capacità lavorativa e, conseguentemente, una auspicata riduzione dei costi diretti ed indiretti della malattia.
Al XIV Congresso Nazionale della SINFP, a Bologna, 1- 4 giugno, un corso speciale affronterà il tema: “Schizofrenia e Disturbo bipolare: continuità o discontinuità?”
«farmacologia repressiva»
Ticino.News.ch 29.5.04
(una lettera ricevuta dal quotidiano online svizzero)
MODERNA REPRESSIONE IN PILLOLE E CONTENZIONE FISICA
alla Clinica Psichiatrica Cantonale
Si potrebbe dire che la “moderna” psichiatria sia oramai divenuta una tecnica raffinata della repressione dei Diritti dell’Uomo tramite l’uso e abuso dei farmaci, pur continuando con la repressione e degradazione tramite la contenzione fisica (oltre 400 l’anno solo alla Clinica Psichiatrica Cantonale). Da questo punto di svolta siamo di fronte ad un capolavoro.
Ma allora a che serve togliere la camicia di forza, quando si continuano ad usare strumenti simili ed affini seppur diversi? Perché ostinarsi tanto nell’usare la contenzione sui letti con cinghie, quando oggi bastano forti dosi di psicofarmaci tramite una buona siringa?
La psichiatria illuminata ha preso sul serio questa seconda domanda e le ha dato una risposta. Diversi psichiatri, con buone PR, hanno conquistato troppo facilmente la fama di antipsichiatri e di democratici per il sol fatto di aver eliminato letti di contenzione e camicie di forza. Hanno etichettato la loro pratica quale psichiatria moderna, dopo aver lievemente criticato quella del passato affermando che “ora la psichiatria si era evoluta”..
Un’affermazione sin troppo gratuita, perché la psichiatria nella sua sostanza è una tecnica di repressione dei comportamenti e degli elementari Diritti dell’Uomo. Non saranno certamente l’abbandono di uno strumento antiquato e l’avvento di un ambiente più “sociale” e più “pulito”, insieme a psichiatri sorridenti, a stabilire se ci troviamo di fronte ad una reale evoluzione. Non vi è nessuna sostanziale evoluzione.
Ancora oggi si ricoverano coattamente in Ticino centinaia di persone ogni anno, circa il 60% dei ricoveri presso la Clinica Psichiatrica Cantonale avvengono tramite il ricovero coatto.
Una buona percentuale di questi vengono legati al letto (costrizione fisica); è un fatto che alla Clinica Psichiatrica Cantonale di Mendrisio (e sicuramente non solo) esistono ancora letti predisposti con le cinghie di contenzione.
Oggi, il progresso della farmacologia repressiva rende del tutto inutile, e tra l’altro faticoso, l’uso della contenzione fisica sul soggetto inquieto. L’uso della violenza fisica è un approccio appariscente e più rumoroso. È sempre possibile che venga considerato dai familiari o dalla stampa come qualcosa di barbaro e di scandaloso, appartenente ad epoche passate.
Ecco perchè preferibile una tecnica farmacologica, silenziosa, praticamente incontrollabile, facile da metabolizzare socialmente (…). Anche più assimilabile come auto-pratica: è molto più facile convincere qualcuno a prendere una manciata di pillole psichiatriche , che farsi legare a un letto.
Una contenzione farmacologica è un traguardo molto più semplice e socievole (…), un po’ come mettere il profumo di rose dentro la candeggina. Risultato? L’odore sgradevole resta ben nascosto.
Lucio La Chimia
info@kulturapop.com
www.kulturapop.com
(una lettera ricevuta dal quotidiano online svizzero)
MODERNA REPRESSIONE IN PILLOLE E CONTENZIONE FISICA
alla Clinica Psichiatrica Cantonale
Si potrebbe dire che la “moderna” psichiatria sia oramai divenuta una tecnica raffinata della repressione dei Diritti dell’Uomo tramite l’uso e abuso dei farmaci, pur continuando con la repressione e degradazione tramite la contenzione fisica (oltre 400 l’anno solo alla Clinica Psichiatrica Cantonale). Da questo punto di svolta siamo di fronte ad un capolavoro.
Ma allora a che serve togliere la camicia di forza, quando si continuano ad usare strumenti simili ed affini seppur diversi? Perché ostinarsi tanto nell’usare la contenzione sui letti con cinghie, quando oggi bastano forti dosi di psicofarmaci tramite una buona siringa?
La psichiatria illuminata ha preso sul serio questa seconda domanda e le ha dato una risposta. Diversi psichiatri, con buone PR, hanno conquistato troppo facilmente la fama di antipsichiatri e di democratici per il sol fatto di aver eliminato letti di contenzione e camicie di forza. Hanno etichettato la loro pratica quale psichiatria moderna, dopo aver lievemente criticato quella del passato affermando che “ora la psichiatria si era evoluta”..
Un’affermazione sin troppo gratuita, perché la psichiatria nella sua sostanza è una tecnica di repressione dei comportamenti e degli elementari Diritti dell’Uomo. Non saranno certamente l’abbandono di uno strumento antiquato e l’avvento di un ambiente più “sociale” e più “pulito”, insieme a psichiatri sorridenti, a stabilire se ci troviamo di fronte ad una reale evoluzione. Non vi è nessuna sostanziale evoluzione.
Ancora oggi si ricoverano coattamente in Ticino centinaia di persone ogni anno, circa il 60% dei ricoveri presso la Clinica Psichiatrica Cantonale avvengono tramite il ricovero coatto.
Una buona percentuale di questi vengono legati al letto (costrizione fisica); è un fatto che alla Clinica Psichiatrica Cantonale di Mendrisio (e sicuramente non solo) esistono ancora letti predisposti con le cinghie di contenzione.
Oggi, il progresso della farmacologia repressiva rende del tutto inutile, e tra l’altro faticoso, l’uso della contenzione fisica sul soggetto inquieto. L’uso della violenza fisica è un approccio appariscente e più rumoroso. È sempre possibile che venga considerato dai familiari o dalla stampa come qualcosa di barbaro e di scandaloso, appartenente ad epoche passate.
Ecco perchè preferibile una tecnica farmacologica, silenziosa, praticamente incontrollabile, facile da metabolizzare socialmente (…). Anche più assimilabile come auto-pratica: è molto più facile convincere qualcuno a prendere una manciata di pillole psichiatriche , che farsi legare a un letto.
Una contenzione farmacologica è un traguardo molto più semplice e socievole (…), un po’ come mettere il profumo di rose dentro la candeggina. Risultato? L’odore sgradevole resta ben nascosto.
Lucio La Chimia
info@kulturapop.com
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