domenica 15 febbraio 2004

lobbying cattolico sull'Europa
le lunghe mani dell'Opus Dei

Le Monde Diplomatique (ed.italiana)
L'unione europea nel pantano
Sotto la pressione delle Chiese

La lobby del Vaticano e delle organizzazioni cattoliche quali l'Opus Dei, benché più discreta di quelle dei grandi interessi industriali e finanziari di Bruxelles, non è però meno efficace. In conflitto con la laicità dell'Ue, ha ottenuto che le Chiese beneficino di una menzione specifica nel progetto costituzionale; eppure queste erano già citate in un articolo riguardante «le associazioni rapprentative e la società civile».
di Christian Terras


Due sono le disposizioni del progetto di Trattato costituzionale europeo che mettono in gioco i principi laici: il riconoscimento del «retaggio religioso dell'Europa» contenuto nel preambolo, e l'articolo 51, con il quale si riconosce alle religioni un ruolo di partner delle istituzioni europee. Queste innovazioni - che hanno suscitato l'opposizione di parlamentari europei e creato divisioni all'interno degli stati membri (1) - sono in parte il risultato di un'attività di lobbying delle istituzioni religiose, segnatamente cattoliche, in seno alle istituzioni europee.
Un'attività che si pone come obiettivo il riconoscimento della dimensione religiosa della costruzione europea, affinché la Chiesa possa avere voce in capitolo sui grandi orientamenti dell'Unione. Queste attività si sono sempre più intensificate dopo la conferenza delle Nazioni unite sulla popolazione e lo sviluppo (Il Cairo, 1994) e quella di Pechino sui diritti delle donne (1995): due temi che fanno parte delle preoccupazioni prioritarie delle Chiese.
Il Vaticano è la punta di lancia in questa lotta, in ragione della sua duplice dimensione di stato e di vertice della Chiesa cattolica.
Fin dal 1988 Giovanni Paolo II ha rivolto un pressante invito ai deputati affinché non escludessero il cristianesimo dal dibattito pubblico europeo. Il suo discorso aveva il tono di una vera e propria messa in guardia: «La vocazione del cristianesimo - ha detto il papa - è di essere presente in tutti i campi dell'esistenza. È perciò mio dovere insistere su quanto segue: se un giorno si arrivasse a mettere in discussione i fondamenti cristiani di questo continente, sopprimendo al tempo stesso ogni riferimento all'etica, si farebbe molto di più che respingere il retaggio europeo (2)». Noi o il caos! Noi o l'apocalisse! Per molti cattolici, l'idea di fare del cristianesimo l'elemento unificatore e strutturante della politica e dell'opinione pubblica europea è una vera ossessione. La Santa Sede non fa parte dell'Unione europea, ma gode in seno ad essa di un semplice status di osservatore. Di fatto, la Santa Sede non ha mai veramente pensato di aderire all'Unione, anche perché in questo caso avrebbe l'obbligo di accettare compromessi politici che rifiuta categoricamente in conformità alla sua concezione del potere spirituale. Frattanto però essa si impegna con incomparabile zelo affinché l'Unione europea riconosca la Chiesa cattolica come unica società religiosa perfetta - cosa che le permetterebbe di soppiantare tutte le altre religioni. Tuttavia la Santa Sede è integrata nell'Ue dal punto di vista finanziario, nella misura in cui gode, nei vari stati membri, di uno status particolare, che consente alla Chiesa di ricevere doni e sovvenzioni (3). E cerca innanzitutto di imporre all'Unione la sua filosofia delle «societates perfectae»: i principi dettati dalla Chiesa devono governare i rapporti dei pubblici poteri con il mondo associativo (4).
Nel marzo 1996, nell'ambito della preparazione del Trattato di Amsterdam, fu consegnata agli ambasciatori dell'Unione, accreditati presso il Vaticano, una nota con la quale la Santa Sede si prefiggeva i seguenti obiettivi: sottolineare i contributi della Chiesa e dei culti allo sviluppo dell'Europa; assicurare il mantenimento delle relazioni Chiesa-stato esistenti in seno agli stati membri dell'Unione europea; radicare le relazioni Chiesa-stato nel diritto comunitario; premunirsi contro ogni discriminazione delle Chiese e dei culti rispetto ad altri movimenti sociali, già apprezzati a livello comunitario; tutelare le competenze degli stati membri nelle loro attuali relazioni con le Chiese e i culti (5).
Un reticolo di lobby Il suddetto documento non venne preso in considerazione dal Consiglio europeo del ministri, in quanto la Santa Sede non faceva parte dell'Unione europea. All'epoca, Parigi aveva ritenuto che un riferimento ai valori religiosi non fosse accettabile, poiché avrebbe sollevato in Francia questioni politiche e costituzionali. A quanto pare, oggi il problema non si pone più...
Lanciati così in questa lotta senza quartiere per salvaguardare i loro antichi privilegi, gruppi di pressione reazionari si organizzano per trasformare l'Europa cristiana in realtà. Italia e Polonia postulano una menzione precisa del retaggio cristiano, e non soltanto religioso.
Nella sua attività di lobbying, il Vaticano si avvale dell'appoggio del Consiglio delle conferenze episcopali europee (Ccee), che dispone a Bruxelles, presso la Comunità europea, di un ufficio politico: la Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece).
La suddetta Commissione ha rivendicato, nel quadro della Convenzione europea, l'istituzionalizzazione di un dialogo strutturato con le istituzioni europee, e ha chiesto in particolare che vengano indette regolari sessioni di lavoro e una «consultazione prelegislativa».
Poiché a livello europeo non esiste uno statuto ufficiale delle associazioni, la Comece fa valere la propria competenza attraverso la creazione di gruppi quali Migreurope, che costituisce una rete informale di associazioni, prevalentemente cristiane, per i problemi dell'asilo e dell'emigrazione (6). Nel 1992 Jacques Delors, allora presidente della Commissione europea, creò un gruppo informale (la Forward Studies Unit) costituito da consulenti, uno dei quali era specificamente incaricato delle questioni religiose. Sotto le presidenze di Jacques Santer e di Romano Prodi, questo gruppo ha preso il nome di Gopa (Group of Policy Advisors).
Per Romano Prodi, le religioni giocano un ruolo importante nello sviluppo dell'Unione (7). I membri del Gopa sarebbero in maggioranza cattolici praticanti.
Frattanto, un'altra organizzazione va tessendo discretamente la sua tela nell'Unione europea: il Fce (Foyer catholique européen), fondato all'inizio degli anni 60 da funzionari e dipendenti cattolici delle istituzioni europee. Il Foyer è innanzitutto un centro spirituale con sede a Bruxelles, gestito da gesuiti, con un suo luogo di preghiera, la cappella Saint Benoît, ove ogni giorno si celebrano messe per i collaboratori dell'Unione europea. Questo centro spirituale serve però anche come sede delle riunioni di diversi gruppi di riflessione, incaricati di definire soluzioni per i problemi politici ed economici europei.
L'Fce si presenta come una sorta di borsa delle idee. È un luogo di scambi e di incontri per i responsabili politici europei di area cattolica. Ogni anno, il nunzio apostolico presso le istituzioni europee - una carica che peraltro non è mai stata oggetto di una decisione ufficiale da parte dell'Unione europea - presiede un incontro di tutti gli organismi collegati all'Fce. Questa riunione costituisce un efficace mezzo di informazione sulle attività, in seno alle organizzazioni dell'Unione europea, della lobby cattolica, che cerca di introdurre qualche suo rappresentante in ciascuno dei programmi dell'Unione.
Gli obiettivi delle diverse componenti della «famiglia cattolica» sono di vario tipo. La Santa Sede cerca soprattutto di stringere alleanze con gli uomini politici favorevoli alla dottrina morale del papa e alla militanza per la rievangelizzazione dell'Europa.
Il grosso del lavoro è portato avanti dal pontificato, in collegamento con la prelatura personale dell'Opus Dei. I membri soprannumerari o simpatizzanti dell'organizzazione segreta sono assai ben rappresentati in seno al consiglio della famiglia.
I problemi della contraccezione e dello status della famiglia sono affrontati segnatamente in occasione dei dibattiti sui programmi di aiuti ai paesi del Sud. Per il resto, la Chiesa collabora con l'Unione e ha modo di diffondere i suoi punti di vista attraverso la rete degli organismi e delle associazioni di aiuti allo sviluppo: Caritas Europa, Cooperazione internazionale per lo sviluppo e la solidarietà (Cidse) - sezione europea, Conferenza europea Giustizia e Pace, Federazione europea delle associazioni nazionali di aiuto ai senzatetto (Feantsa). Le pressioni esercitate dalla Chiesa nell'ambito dei dibattiti legislativi suscitano reazioni crescenti da parte dei parlamentari. Nel febbraio 2002, 53 deputati europei di tutti i partiti hanno denunciato pubblicamente le «ingerenze della Santa Sede in materia di matrimonio e di divorzio (8)». Numerose associazioni laiche europee hanno criticato il progetto di Trattato costituzionale, denunciando il «diritto di ingerenza» che si vuol concedere alle religioni (9). Innanzitutto, riconoscendo il retaggio religioso dell'Europa si apre un credito alle religioni nell'ambito dello spazio pubblico europeo, e si introduce inoltre una discriminazione tra credenti e non credenti.
Secondo il focoso deputato radicale europeo Maurizio Turco, eletto in Italia, «si tratta di sapere se l'Unione debba fondarsi su convincimenti religiosi, se debba costituire il frutto inesorabile della nostra storia, e non invece l'espressione di una libera scelta dei suoi cittadini, attraverso un contratto sociale evolutivo. Noi escludiamo che nel XXI secolo le istituzioni politiche si possano fondare su credenze religiose, ancorché maggioritarie (10)».
Una presenza capillare di simpatizzanti nel cuore delle istituzioni europee consente alle iniziative di ispirazione ecclesiale di ottenere aiuti e sovvenzioni. Nel 1998 ad esempio un centro finlandese denominato Interculture - European Training Center ha ricevuto un sussidio di 10.000 ecu (pari alla stessa cifra in euro) nell'ambito del programma europeo «Un'anima per l'Europa». Il suo progetto iniziale era di finanziare un seminario sui valori etici e spirituali dell'integrazione europea. A priori, nulla da eccepire - tranne il fatto che questo centro è una creazione dell'Opus Dei, particolarmente bene insediato in Finlandia e nei paesi baltici.
Finanziamento dell'Opus Dei Il centro di formazione fu fondato nel 1998, un anno dopo la comparsa di quest'organizzazione in Finlandia. Il suo principale animatore, Mons. Philippe Jourdan, membro soprannumerario dell'Opus Dei, era incaricato di sviluppare il tema delle «radici spirituali dell'Unione europea». È quanto meno incredibile che un programma europeo servisse a finanziare un'organizzazione la cui filosofia è diametralmente opposta agli obiettivi a suo tempo definiti da Jacques Delors e Jacques Santer: «tolleranza e pluralismo», «reciproco rispetto e accettazione delle differenze di genere e di religione», «solidarietà con i più bisognosi» e «libertà d'espressione».
Su espressa richiesta di Roma, l'Opus Dei ha inserito l'Europa tra le sue priorità. Già nel 1993, a chi gli chiedeva se la Santa Sede avesse incaricato l'Opus Dei di una missione particolare, il portavoce della sua centrale romana, Giuseppe Casigliano, rispondeva esclamando: «Sì, l'Europa!» Quest' impegno si manifesta essenzialmente nei settori legati alla sessualità (aborto, regolazione delle nascite). Anche qui l'Opus Dei opera in senso contrario agli obiettivi dell'Unione europea - grazie ai fondi ottenuti dalle istituzioni della stessa Ue! Nel 1994 Mons. Javier Etchevarria, responsabile dell'Opus Dei a Roma, invitava i membri dell'organizzazione a erigere una linea Maginot contro l'imperversare dell'«edonismo» nell'Europa occidentale. Parallelamente, varie associazioni lavorano nell'ombra per infiltrare i governi e le istituzioni attraverso contatti con militanti e organizzando numerose conferenze.
L'Unione europea ha finanziato inoltre vari progetti sostenuti essenzialmente da organizzazioni legate all'Opus Dei. La raccolta di fondi è stata assicurata dalle fondazioni Limat (Svezia) e Reno-Danubio (Germania), così come dall'Istituto italiano di cooperazione universitaria (Icu).
Queste tre fondazioni sono strettamente collegate tra loro. Dato che operano attraverso l'intermediazione di molteplici organizzazioni, è difficilissimo per i responsabili europei sapere quali di esse lavorano per l'Opus Dei (11). Può dunque accadere che attraverso il gioco dei diversi tramiti le organizzazioni dell'Opus Dei siano finanziate addirittura più volte, senza che nessuno se ne accorga! Un buon esempio è quello fornito dall'Icu, che ha i suoi uffici a Roma, a Bruxelles, a Beirut, a Hong Kong e a Manila. Si tratta di una fondazione di importanza cruciale per il finanziamento delle attività dell'Opus Dei. L'Icu organizza o sponsorizza i «Congressi annuali degli alunni e degli studenti», nel cui ambito l'Opus Dei cerca di reclutare nuovi membri per inviarli a Roma. Anche i progetti dell'Icu sono finanziati dall'Unione europea (12).
La fondazione Reno-Danubio, la Limat e l'Icu cooperano su scala internazionale, in particolare nelle Filippine, dove nel 1995 hanno creato l'università dell'Asia e del Pacifico (University of Asia and the Pacific/UA&P), sempre grazie alle sovvenzioni dell'UE (12).
Ma anche al di fuori delle iniziative dirette dell'Opus Dei, accade che l'Unione europea finanzi a sua insaputa progetti nazionali portati avanti da organizzazioni che le sono vicine, quali ad esempio il centro romano Elis (Educazione, Lavoro, Istruzione e Sport), la Fondazione Residenze Universitarie Internazionali (Frui) o l'Associazione (belga) per la Cooperazione culturale, tecnica e formativa (Actec), che nel 1996 ha ottenuto una somma di 795.163 franchi belgi (pari a circa 20.000 euro). È urgente esigere una maggiore trasparenza nell'attribuzione delle sovvenzioni europee, e vigilare sul rispetto della separazione laica tra il potere politico e le diverse opzioni spirituali o confessionali.
note:

(1) Le Monde, 2 dicembre 2003. 185 associazioni di tutta Europa hanno rivolto una petizione alla Convenzione europea per chiedere la soppressione dell'articolo 51. www.catholics for freechoice.org
(2) Discorso dell'11 ottobre 1988 davanti al Parlamento europeo http://www.cef.fr/catho/endit/europe/index.php.
Si veda altresì, sullo stesso sito, l'esortazione apostolica post-sinodale «Ecclesia in Europa» del 28 giugno 2003.
(3) In Germania, la Chiesa è il secondo datore di lavoro del paese, e beneficia di deroghe alle leggi sul lavoro.
(4) Leggere François Houtart, «Giovanni Paolo II, un papa moderno per un progetto reazionario», Le Monde diplomatique/il manifesto, giugno 2002.
(5) Fédération européenne humaniste, www. humanism.be
(6) Leggere «Preserving Power and Privilege», www.catholicsforchoice.org/new/preserelease/100103EuroReport.htm
(7) Discorso davanti alla Fondazione Don Tonino Bello, 13 giugno 2003.
(8) www.europe-et-laicité-.org/archives2002/ parlementaires.html
(9) Fédération humaniste européenne, www. humanism.be
(10) Lettera aperta alla Convenzione europea pubblicata dal Reseau Voltaire, www.réseauvoltaire.fr
(11) Leggere Juan Goytisolo, «La milizia virile di un santo fascista» , Le Monde diplomatique/il manifesto, ottobre 2002.
(12) Altro segnale di influenza: nel settembre 1998 il Consiglio d'Europa ha consegnato il Premio europeo dei Diritti umani a Chiara Lubich, fondatrice del grande mvimento cattolico dei Focolari e strenua oppositrice dell'aborto e del riconoscimento delle coppie omosessuali.

(Traduzione di E. H.)

il racconto di una "strega"

Repubbica ediz. di Firenze 15.2.04
Sesso e diavoli, folle racconto

Dal libro "Gostanza da Libbiano" di Paolo Benvenuti, alcune righe di Laura Caretti che raccontano il meccanismo aberrante dell'interrogatorio inquisitoriale e il graduale crollo delle difese psichiche di Gostanza fino all'autoaccusa di stregoneria
Pag. 10-11


«Il talento affabulatorio di Gostanza è davvero straordinario. Una volta avviata sulla strada del viaggio notturno dalla domanda dell´inquisitore ("Interrogata se lei è mai ita la nocte a torno con altre donne che fanno la medesima professione come lei"), dopo un primo diniego, che le procura il supplizio della corda, il suo immaginario prende il volo e comincia a narrare di un paese fantastico che appartiene alla sua giovinezza dove "si ballava et cantava et mille feste", dove il diavolo "stava in una sedia bellissima" e intorno "li demoni parevano persone come noi, belli bellissimi et bene a ordine che non è alcuno di questo mondo". Comincia così a delinearsi, nelle sue parole, la mirabile "Città del diavolo", figurazione cangiante di un luogo di delizie, capovolgimento dell´immagine di un inferno di eterne pene e tormenti. Poi lo scenario si precisa, si accende di luci dorate, di colori variopinti, e prendono forma i palazzi di questa città "più bella che Firenze". Dapprima Gostanza sembra guardare da fuori le azioni di altre donne diverse da lei (sono vecchie, vengono da paesi lontani, sono loro che compiono sacrilegi, portando al diavolo delle "hostie grandi" ecc.), ma a un certo punto è lei ad entrare in scena da protagonista, giovane e bella, accanto al Diavolo Maggiore, sua favorita, appoggiata a una colonna tutta d´oro, in quel mondo dove tutto si può godere in grande abbondanza: il cibo, il denaro, il sesso. La confessione diventa sempre più "racconto" e gli inquisitori si fanno ascoltatori curiosi, avidi di sapere tanto da costringere la narratrice a ripetersi o a ribadire che già ha "detto altre volte", che già "tutto è scritto nelle carte", che già "ha raccontato ("Dettoli che seguiti di raccontare tutte le attioni che si facevano alla Città del Diavolo rispose che, come si era fatto quanto vi ho raccontato, si mangiava et si beveva, et si sollazzava et si stava allegramente")." Le sue battute si allungano progressivamente, e il viaggio nel regno del Diavolo Maggiore si carica di accenti blasfemi e di sfida alle "verità" della chiesa. E allora "falsa" diventa paradossalmente proprio quella confessione che le hanno estorto e lei è guidicata "fuora di cervello et impazzita"».

San Miniato, 1594. Gostanza, contadina e guaritrice, è accusata di stregoneria. Tali sono le torture da rinunciare a proclamarsi innocente. A questa vicenda il regista Paolo Benvenuti ha dedicato un film la cui genesi è raccontata nel libro Gostanza da Libbiano curato da Laura Caretti (Ets) che sarà presentato domani alla Biblioteca comunale centrale (v. Sant´Egidio 21, 17.30) nell´ambito di «Leggere per non dimenticare» insieme al saggio di Franco Cardini Gostanza la strega di San Miniato (Laterza): intervengono gli autori, Silvia Nannipieri, Marilena Lombardi; Lucia Poli leggerà pagine dal libro di Benvenuti. Proiezione di sequenze dal film.

sofferenza e cristianesimo nel Medioevo
e madre Teresa di Calcutta

La Gazzetta del Mezzogiorno 15.2.04
Dolore e sofferenza com'erano percepiti nel medioevo?
di Giuseppe Dimiccoli


Se un'eredità del medioevo - e dunque del suo cristianesimo - è particolarmente viva, è perché non uno iota del suo orizzonte mentale è mutato nell'approccio a quel terribile statuto della condizione umana che è il dolore, o la sofferenza. Con i dovuti tradimenti. Del messaggio di san Francesco, per esempio. Infatti nell'incontro con il «lebbroso protervo», questi, devastato dalla sofferenza, rigetta la misericordia altrui e, bestemmiando Cristo e Madonna, a Francesco augurante pace, replica: «Che pace posso io avere da Dio, che m'ha tolto pace e ogni bene, e hammi fatto tutto fracido e putente»? E il santo: «Ciò che tu vorrai, io farò». E l'uomo: «Che tu mi lavi tutto quanto, imperò ch'io puto sì fortemente, ch'io medesimo non mi posso patire». Solo allora, lavato e risanato, cede al colloquio.
Mai più il medioevo capirà che solo dopo la cancellazione della sofferenza fisica e dopo la restituzione del malato alla dignità d'uomo può aprirsi varco a valori o sentimenti. A fine Duecento il grande predicatore fra Giordano da Pisa ammoniva: «Il fuoco cresce per le legna. Le legna sono gli afflitti e i bisognosi. Il fuoco è l'amore e la pietà del santo, che veggendo la miseria del prossimo si muove a compassione. Vedi dunque come sono necessari i poveri e gli afflitti. Se questi cotali mali non avesse Iddio fatti, tutti questi beni non sarebbono. Se i poveri non fossero, non sarebbe chi facesse misericordia o virtù o pietà».
In una società il cui assetto era voluto da Dio, non c'era humus per idee di miglioramento. Dolore e orrore facevano parte dell'insondabile giudizio divino e andavano sopportati. Il dolore, non riconosciuto come tale, non era una realtà negativa da debellare a ogni costo, ma qualcosa di assolutamente positivo, un valore modellizzante, che non solo doveva essere consumato con doma sottomissione come scotto per espiare i peccati e giungere più rapidamente in Paradiso, ma addirittura abbracciato e vantato come segno di predilezione divina nell'assimilare l'uomo all'Uomo dei dolori. In tutta l'iconografia dei martiri la ferocia dei carnefici è speculare all'impassibile straniamento delle vittime.
Chiara Frugoni, medievista attenta a non sterilizzare la storia, nota quanto l'ideario esemplare del medioevo nutra tuttora la santità cristiana: madre Teresa di Calcutta, distributrice di conforto per i singoli miserabili del moderno carnaio indiano, non ha mai investito il riconosciuto potere del suo carisma per cambiare l'orrenda realtà sociopolitica da cui spurga questo disonore dell'umanità. [...]

il più grande poeta arabo vivente

La Gazzetta del Sud 15.2.06
INCONTRO AL RHEGIUM JULII
Il nuovo libro di versi del siriano Adonis
Senza poesia non c'è futuro
di Gualtiero Canzoni

«Immagino il mio amore come significato e forma
del significato: unità della rivelazione
e dell'occultamento dell'oggetto – si eleva e
discende, scompare
e ricompare, viene e va come luce, aria e colore,
respira col polmone dell'oggetto come l'oggetto
porta nelle
sue labbra la nostra assenza e sussurra attorno a
sé i suoi misteri
come fanno il vento e il sole quando
strappano l'abito del giorno dal corpo della terra.
Assenza
che si addentra nelle soglie della presenza
e come il mistero vive nel cuore della terra
e nell'oscurità delle radici ».
Questi versi di Ali Ahmad Sai' Œd Esber (Adonis), forse il più grande poeta di lingua e cultura arabe del '900 (nato a Damasco nel 1930) contenuti nella raccolta "Cento poesie d'amore", hanno dato l'incipit alla conversazione tenuta, nell'ambito dei Martedì del Rhegium Julii, da Stefano Mangione, con introduzione di Giuseppe Casile. Un'opera da cui emerge, nella visione, nell'interpretazione e nella maniera di vivere, l'amore in Adonis, con il corredo di metafore e di significati interni, che rimandano sempre ad altro: l'amore che è la donna. Per il siriano, ha evidenziato Stefano Mangione, nel testo poetico si debbono scontrare frammenti della storia e del mondo; incontrare i tempi e i luoghi, l'antico e il moderno, la scienza e il sogno e la poesia si deve concentrare sempre più sul desiderio e sul piacere: Simile a un mare che raccoglie tutti i fiumi e trasporta le loro acque, questo sarà la poesia: colmo di desiderio, di piacere, il testo poetico diverrà trasgressione. E, pertanto, simile alla testa di Orfeo, navigherà sul fiume Universo, interamente contenuto nel corpo del linguaggio. Notazioni, queste, che possono tranquillamente essere trasferite sulle sue concezioni dell'amore e della poesia d'amore, con l'asserzione oracolare e di veggenza, da redivivo Rimbaud: il futuro appartiene alla poesia, è la poesia. Senza poesia non ci sarà futuro. Il tempo che vedrà morire la poesia sarà anch'esso un'altra morte. La poesia non ha tempo: è il tempo. Una presa di distanze da Hegel, secondo il quale l'arte è divenuta una faccenda del passato. Al di là delle notazioni polemiche, le "Cento poesie d'amore", rivelano una visione particolare che permette di mettere a fuoco e diradare, sciogliere il banco opaco del mondo esteriore, di udire e ascoltare ciò che normalmente non è percepibile dai sensi, di vedere, forse l'invisibile. Ciò attraverso il recupero della poesia araba, precedente all'Islam, in sintesi con la tradizione religiosa (in sostanza tradizione storica) e culturale che ha origine dall'avvento di Maometto e giunge ai nostri giorni. Più che l'anima, nelle poesie di Adonis, protagonista è il corpo (le mani, le braccia, il seno, le cosce, l'ombelico, il volto, gli occhi – che esprimono il desiderio) ma anche il percorso del tempo, inteso quale vissuto e che rende incancellabili, non soltanto i tratti della mutua storia, fra amante e amato, ma salvaguarda anche i luoghi, dalle modificazioni del presente. Emerge una poetica delle cose, sulle quali scorrono tutte le vicende di ogni tempo. Il letto, ovviamente assume un valore particolare, non soltanto, in quanto luogo di realizzazione dell'amore, ma quale sicuro porto e ara, altare pagano ove l'amore recupera la propria libertà e viene consacrato a qualche misteriosa divinità, che ne assicuri la totale intangibilità.

percezione visiva e arte

Libertà 15.2.04
Macaluso: «La percezione visiva è parente dell'arte»
Stamane l'oculista in conferenza alla Ricci Oddi su “Colore, occhio e cervello”
di LUIGI GALLI


Stamane alle 10.30, presso l'aula didattica della Galleria Ricci Oddi, si terrà la prima conferenza della rassegna "Incontri d'Arte". Sarà protagonista il professor Claudio Macaluso, docente presso la Clinica Oculistica dell'Università di Parma. Ricercatore di fama, egli studia la percezione del colore nell'occhio e nel cervello, al confine tra scienza ed arte della pittura. S'introduce l'argomento intervistando lo stesso Macaluso. Professore, che rapporto esiste tra la scienza della visione ed il lavoro di un artista? «Sono più vicini di quanto si potrebbe pensare. Il modo con cui un pittore si relaziona “visivamente” col mondo, influenza senza dubbio le sue opere d'arte. Vede, più d'un artista ha subito il fascino del “perché” si vede ed ha proposto teorie su alcuni aspetti della percezione visiva, oltre a sperimentare nuove tecniche pittoriche. Il tema del colore ha sempre suscitato interesse, a volte una vera e propria dedizione, tra artisti e scienziati nel corso dei secoli». Citi un esempio, per cortesia. «Leonardo da Vinci, che approfondì la questione e scrisse, tra tutti i colori, i più piacevoli esser quelli che s'oppongono. Se vuole, trattasi d'una teoria che spiegava, allora, l'azione del colore sulla psiche. Si potrebbe parlare anche di Monet, di Seurat…» Ed oggi, dopo secoli? «Be', cominciamo a scoprire i meccanismi neurofisiologici che probabilmente sono alla base della “forza” d'alcuni accostamenti cromatici. Oltre a rivelarci molti fenomeni straordinari che avvengono in ogni istante nei nostri occhi e nel nostro cervello, la scienza della visione ci aiuta a comprendere quali fattori, ambientali e sociali, possono aver condizionato l'evoluzione dei meccanismi di percezione del colore, nei primati e nell'uomo». L'arte deve dir grazie all'evoluzione, allora? «Il piacere di contemplare un'opera d'arte non è, sicuramente, da annoverarsi tra i fattori che possono aver spinto l'evoluzione a premiare lo sviluppo d'un sistema visivo in grado d'analizzare i colori in modo così dettagliato, ma potremmo considerarlo un gradito “effetto collaterale”».

depressione nell'adolescenza

Virgilio Notizie 14/02/2004 - 19:42
Sanita': un'adolescente su 4 soffre di episodi di depressione
Tra maschi 1 su 10, piu'a rischio chi fuma e non ha supporto


(ANSA) ROMA,14 FEB - Una ragazza su 4 tra i 16 e i 19 anni e un ragazzo su 10 tra i 12 e i 19 anni soffrono di episodi di depressione. Lo rivela un'indagine canadese. L'Università di Alberta (Canada) sottolinea che la probabilita' di soffrire di momenti di depressione sale del 40% tra i giovanissimi fumatori e cresce anche tra coloro che sentono la mancanza di un supporto sociale. Ed e' anche emerso che piu' i ragazzi crescono piu' aumentano gli episodi di depressione forse per il moltiplicarsi dei fattori scatenanti.

copyright @ 2004 ANSA

il film di Theo Angelopoulos presentato a Berlino
"La sorgente del fiume"

L'Unità 12.02.2004
Angelopoulos, magnifico storico
di Lorenzo Buccella


BERLINO L'affresco liturgico di una calligrafia che striscia sui fondali della grande storia. Dopo cinque anni di attesa, Berlino si fa lavagna per accogliere lo svolazzo visionario di una grande firma del cinema europeo. Theo Angelopoulos e il suo ultimo film che ieri ha calamitato per ben tre ore l'attenzione del concorso. "La sorgente del fiume", primo tomo di una trilogia che vuole scandire il diagramma di un bilancio storico e personale del secolo appena trascorso. Il novecento greco perlustrato attraverso la chiave drammaturgica di un legame d'amore che sboccia nel 1919, con l'esodo da Odessa causato dall'invasione dell'Armata Rossa per poi attraccare in un'America contemporanea. Sono le biografie individuali ad attorcigliarsi come edere al grande telaio della storia greca, scorticandosi nei suoi strappi drammatici, tra ritardi e accelerazioni. Il davanti e il dietro di una messinscena filmica che raccoglie singoli passi umani, li trasforma in modelli brechtiani, per poi farli inciampare nel bagno collettivo di conflitti e sopraffazioni. E così nella semplicità ossea, soltanto apparente, di questo viaggio che procede a stazioni, s'innesta una costellazione di referenze in grado di girare gli angoli alle immagini con risvolti sociali e politici.
Dopo la fuoriuscita da Odessa, nell'accampamento paludoso stanziato sull'estuario di un grande fiume, i profughi Heleni (l'italo-greca Alexandra Aidini) e Alexis (Nikos Poursanidis) potrebbero amarsi, se non fosse per il padre del ragazzo che, rimasto vedovo, s'invaghisce della stessa ragazza, pretendendola in sposa. L'ossessione del padre è tale da obbligare i due amanti a una fuga verso Salonicco ed è proprio su questo nuovo contesto urbano che calano le ombre degli sconvolgimenti degli anni '30. Unica consolazione per Alexis, il talento della sua fisarmonica che gli permette di campare con quattro soldi, tra altri musicisti costretti a usare un teatro come loro abitazione. Ma il morso più stringente della crisi che addenta il paese e la nascita di due figli imporranno alla coppia una separazione. Mentre un treno fa slittare orizzontalmente vagoni carichi di fascisti greci che sbeffeggiano Mussolini, lui salperà per l'America dei sogni, lei si sobbarcherà il peso di una guerra imminente. Invasioni e resistenze per una solitudine che col passare degli anni verrà traumaticamente acuita dalla perdita di tutte le persone a lei più care. E se Alexis, arruolatosi nell'esercito americano, muore a Okinawa, i due figli soccombono alla guerra civile, combattendo su fronti opposti con la divisa di un altro colore. Il dolore finale deborderà nell'urlo straziato di Heleni in cui viene risucchiata la coda tragica del film. E non è un caso, visto che la sintassi del film tira l'elastico di un destino, rintracciando il proprio archetipo nella tragedia classica.
Dall'Edipo Re ai Sette contro Tebe.
E se i sentieri narrativi sono la lingua sotterranea del film, come sempre, la bocca di Angelopoulos preferisce parlare per immagini. Una galleria di quadri in movimento che sotto un cielo grigio come il coperchio di una pentola alterna il «coro» di masse silenziose vestite in nero a filari di candide lenzuola. Grappoli di pecore impiccate a un albero e stanze chiaroscurali alla Rembrandt. E ancora abiti nuziali non consumati che rimangono nella profondità di paesaggi sommersi dalle acque di un'inondazione. Un vero e proprio palcoscenico visivo che per la sua natura ambulante storpia convenzioni spaziali e lascia scorrere dai pori un alito onirico. È un cinema che si fa visionario, adagiandosi all'interno di una scacchiera che moltiplica i suoi riflessi sugli specchi d'acqua e nei vetri delle finestre per andare ad abbattere le pareti della verosimiglianza. Con Angelopoulos si cammina lentamente, ma si viaggia lontano. Il tempo dilatato diventa la pancia di un cucchiaio che raccoglie e modella gli sguardi. A partire dai lunghi piani-sequenza che scivolano come eleganti lumache sullo schermo misurando i millimetri e portandosi dietro il guscio-mondo di un intero panorama. Simmetrie euclidee e giostre compositive per una punteggiatura che trova nella musica una nuova stampella d'appoggio. Più degli scarni dialoghi, sono proprio i violini e le fisarmoniche dei musicisti da strada a innervare le tappe del viaggio, disegnando gli zigomi a questa lunga e sofisticata elegia sul destino dell'uomo.

tre opere sul mondo islamico

Gazzetta di Parma 15.2.04
Libri sull'Islam, molte novità in pochi giorni
I sentieri del Profeta


L'Islam, nelle sue molteplici sfaccettature, rappresenta oramai un fenomeno editoriale assodato. Se fino a poco tempo fa il tema sembrava ristretto a pochi, ora - nel protrarsi dell'effetto dell'11 settembre - le case editrici mandano in libreria volumi che, anche come ristampe, sembrano avere un buon pubblico al di là degli specialisti. Solo nelle ultime settimane ne sono usciti molti: tra questi si può cominciare da un libro della Feltrinelli (pp.445; 14 euro) di Edward Schulze «Il mondo islamico nel XX secolo», prima edizione nel 1998. Un libro che «prende in considerazione la storia del mondo islamico del Novecento come fase specifica dell'epoca moderna mondiale».
Schulze non separa e non ritiene opposti i due mondi, bensì ritiene che il passaggio dei valori laici dall'Occidente all'Oriente, e il loro relativo impatto, costituisca la spiegazione degli avvenimenti della storia moderna del mondo musulmano.
L'Einaudi manda invece in libreria i primi due volumi della «Storia del mondo islamico»: il primo, di Claudio Lo Jacono, è dedicato a «Il vicino Oriente. VII-XVI secolo» (pp.470; 22 euro) ed esamina in particolare la componente araba dell'Islam, dalle vicende correlate all'attività politica di Maometto allo sviluppo dei vari califfati nel Vicino e Medio Oriente islamico e nella penisola iberica. L'autore mostra come Europa cristiana e Oriente Islamico abbiano fatto insieme «un lungo tragitto comune». Nel secondo libro «Il mondo iranico e turco. VII-XVI secolo» (pp.341; euro 18.00), di Michele Bernardini, lo sguardo si amplia al restante mondo musulmano con le componenti persiana e turca di Iran, Anatolia e Asia centrale.
«Sociologia dell'Islam» di Enzo Pace (Carocci; pp.250; euro 14.80). Già il titolo indica chiaramente l'intento dell'autore, ovvero studiare l'Islam partendo da un approccio sociologico, così come è avvenuto per il Cristianesimo o l'Induismo.