Corriere della Sera 2.7.05
Sul quotidiano di Rifondazione comunista un articolo dello scrittore sul «piacere anale rivoluzionario» crea scandalo
Sesso e politica, polemica a «Liberazione»
Ranieri Polese
Titolo: «L’ano tra sesso e rivoluzione». Sottotitolo: «Che cosa si nasconde dietro la negazione del piacere anale? Si può relegare a un fatto solo privato? La vera rivoluzione diceva Parinetto passa da qui, suscitando anche le ire del comunismo ortodosso». Domenica 26 giugno, nelle pagine «Queer» di Liberazione , il quotidiano di Rifondazione comunista diretto da Piero Sansonetti, è apparso un articolo dello scrittore Aldo Nove dedicato alle teorie del filosofo Luciano Parinetto (1935-2002) di cui recentemente l’editore Unicopli ha ripubblicato una raccolta di saggi nel volume Marx perverso-diverso . Ad apertura di articolo, Nove cita una frase di Parinetto che dice esattamente così: «La rivoluzione proletaria passa anche attraverso il buco del culo». Questo è bastato - il resto dell’articolo, una colta disamina del rapporto fra analità e accumulazione del capitale che chiama in causa Marx, ovviamente, Freud, Max Weber, Deleuze & Guattari e il Vangelo apocrifo di Tommaso, è apparso «oscuro» a una parte dei lettori - per scatenare una settimana di polemiche, puntualmente registrate nella pagina delle lettere. Qui si sono scontrati due schieramenti inconciliabili: gli irritati (articoli così, dicono in sintesi Beatrice Giavazzi, Maria R. Calderoni, Giancarlo Lannutti, Irene Bregola, umiliano il giornale di cui invece loro sentono l’orgoglio di essere lettori e sostenitori) e gli entusiasti (come Lea Melandri, l’artista Vladimir Luxuria, la giornalista Carla Cotti) che applaudono il coraggio di chi, come Nove, affronta temi apparentemente «non strutturali» gettando scompiglio tra vecchi e nuovi moralisti.
Aldo Nove è uno scrittore che non ha paura della provocazione. Pochi mesi fa, ad aprile, una sua stroncatura sempre su Liberazione di Con le peggiori intenzioni dell’esordiente Alessandro Piperno, caso letterario di questa stagione («un incrocio tra un servizio del Tg1 su Ranieri di Monaco e l’epopea imborghesita di un’Elisa di Rivombrosa»), aveva già attirato ire e insulti a non finire. Confinati, è vero, tra gli addetti ai lavori, ma proprio per questo carichi di micidiali veleni. Ora, con la rivoluzione che passa attraverso il buco del culo ha creato il caos nella sinistra estrema, in quelli che non vogliono mescolare Marx con l’analità, e che non ritengono sia quello del piacere il primo problema da affrontare in questo momento. Qualcuno dei critici di Nove fa anche qualche battuta (la citazione d’inizio? è un incipit «penetrante»; «adesso finalmente sappiamo dove ha inizio il processo rivoluzionario. Ma certo, che sbadati, e pensare che ce lo portiamo sempre dietro»), che rivela l’insofferenza verso chi parla di «differenza sessuale» invece di perseguire l’obiettivo della «unità di classe».
Un dialogo tra sordi, che neppure la risposta di Aldo Nove del 29 giugno è riuscita a sbloccare. Anche perché, nonostante l’urgenza della crisi attuale, quello che si manifesta nel dibattito in corso è la totale dimenticanza di quello che si leggeva, scriveva, discuteva a sinistra negli anni Settanta. Anni in cui, non a caso, si diceva che il privato è politico. Quando i movimenti di liberazione (femminile prima, poi quella omosessuale) procedevano almeno agli inizi sui binari di una teoria marxista-rivoluzionaria, eterodossa quanto si vuole, ma appunto sempre marxista. Il filosofo Parinetto era proprio uno di quegli eretici che, partito dagli scritti del vecchio padre Karl, aveva rivisitato luoghi, figure, momenti della storia proibita dell’Occidente. Ovvero, le streghe, la rivolta dei contadini nella Germania del ’500, Giordano Bruno arso sul rogo, Nietzsche. E quindi il corpo negato, la sessualità rimossa, la diversità, la devianza. Già allora i suoi scritti non riscuotevano incondizionati riconoscimenti, prova ne sia il rifiuto dei grandi editori, che obbligò il filosofo a pubblicare presso piccolissime sigle per finire nei Millelire delle Edizioni Alternative di Marcello Baraghini.
Fin qui il caso di Aldo Nove. Ex scrittore cannibale, irregolare con vocazione vera per la poesia, che ricordando i suoi anni di apprendistato a Viggiù diceva: «Mi sono formato con il Gruppo 63 e la pornografia. Era un modo per conoscere il mondo, per imparare le cose della vita». Resta aperto, comunque, il caso della sinistra, di quella dura e di quella light. Che in materia di sesso (soprattutto anale) a volte non si è mostrata proprio illuminata, comprensiva delle diversità. Inutile risalire al dramma di Pasolini «processato» dal Pci nel Friuli post-1948. Arriviamo ad anni più vicini, al 1999, quando per l’episodio di un coito a tergo (fra un uomo e una donna) s’interruppe la brillante carriera di Fabrizio Rondolino, consigliere per la comunicazione dell’allora capo del governo Massimo D’Alema. Nel suo romanzo, Secondo avviso (Einaudi), tra varie posizioni d’amore generosamente descritte c’era pure «il membro di Giovanni arrossato piantato in mezzo alle chiappe di Beatrice». Quel passo del libro, anticipato dai giornali, fece gridare allo scandalo. E Rondolino perse il posto. Subito circolò la battuta che lo scrittore era rimasto vittima della dietrologia.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
sabato 2 luglio 2005
riparte la crociata sull'aborto
Repubblica 2 LUGLIO 2005
La nuova crociata sull'aborto
MIRIAM MAFAI
FU L'ONOREVOLE Buttiglione per primo a proporre, all´inizio di questa legislatura, la revisione della legge 194 sulla interruzione volontaria di gravidanza. Provocò riserve e proteste anche tra esponenti della CdL e fu costretto a rinunciare alla iniziativa.
Ma, diciamo la verità, Buttiglione aveva visto lungo. Era soltanto in anticipo sui tempi. Oggi, a quattro anni di distanza da allora la sua proposta di revisione della legge 194, è ripartita alla grande. Con una novità. In prima linea oggi non c´è soltanto la Chiesa, che da anni conduce una sua vigorosa battaglia sull´argomento, ma anche quello schieramento di "laici devoti " altrimenti detti "teocon" che, contro i referendari, hanno difeso ad oltranza la nostra pessima legge sulla fecondazione assistita in nome del principio della sacralità dell´embrione, già persona fin dall´inizio e quindi intangibile, meritevole di completa protezione. Anche a danno della salute della donna? Sì, anche a danno della salute della donna.
Va ricordato subito che la nostra legge sulla interruzione volontaria della gravidanza, approvata dal parlamento nel 1978 e confermata dal referendum del 1981 non ignorava certo il valore della vita dell´embrione e del feto, ma, anche sulla base di una sentenza della Corte Costituzionale, realizzava un bilanciamento tra i due interessi, quello della salute della madre, che è già persona, e quello della tutela dell´embrione che persona deve ancora diventare.
L´aborto non è e non è mai stato un diritto da esercitare a piacimento. È un trauma, una sofferenza, fisica e psicologica che nessuna donna affronta con leggerezza. Secondo la nostra legge la donna può farvi ricorso, entro i primi novanta giorni della gravidanza solo quando "la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comportino un serio pericolo per la sua salute" (art.4) e, dopo i primi novanta giorni solo in casi rari e drammatici in cui sia a rischio non solo la sua salute ma la sua vita, o quando siano accertati processi patologici, "o gravi malformazioni del nascituro che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna" (art.6).
È una legge equilibrata, una delle migliori in Europa, che ha cancellato la vergogna e la sofferenza degli aborti clandestini, e ridotto notevolmente quello degli aborti praticati nei nostri ospedali, numero che potrebbe essere ancora minore se nei confronti dei giovani venisse promossa una seria, massiccia campagna di informazione per il ricorso agli anticoncezionali. Non la si fa perché la Chiesa, come noto, è contraria anche all´uso della pillola e il ministro Sirchia prima e oggi il ministro Storace sono più sensibili ai richiami delle gerarchie che alla esigenza di difendere la salute delle nostre adolescenti.
La campagna che oggi si annuncia contro la legge 194 è una campagna contro la dignità, la libertà, la moralità delle donne, contro il loro diritto a decidere, responsabilmente, della propria vita. Sento riemergere nei toni dei suoi promotori il fondo misogino, mai del tutto sconfitto, della nostra società. La donna come immagine paurosa, titolare del diritto di vita e di morte sull´embrione e dunque su ognuno di noi, uscito dal suo ventre. La donna che non sarebbe degna del nome di madre quando rifiutasse di mettere al mondo un essere gravemente malformato e di accudirlo, in silenzio, per la vita. Solo chi non conosce questa sofferenza (qualcuno di noi la conosce) può condannare, dal punto di vita etico, una madre che, ricorrendo all´aborto terapeutico, vi si sottrae.
In altro modo, mi sembra si riproporrà, anche in questo caso, attorno alla figura della donna e della maternità, quel contrasto tra pensiero laico e cattolico che ha contrassegnato, almeno in parte e talvolta contro la stessa volontà di alcuni dei promotori, la campagna per la revisione della legge sulla fecondazione assistita. Con la conseguenza, inevitabile, di approfondire i contrasti ed esasperare le divisioni. Mentre una buona politica vorrebbe, su temi controversi e delicati come quelli proposti dalla insorgenza della bioetica, la ricerca paziente del compromesso possibile tra le diverse culture presenti nel paese. Ma c´è chi trova il compromesso disdicevole e adora il furore delle crociate. Prepariamoci dunque, anche questa volta, al peggio.
La nuova crociata sull'aborto
MIRIAM MAFAI
FU L'ONOREVOLE Buttiglione per primo a proporre, all´inizio di questa legislatura, la revisione della legge 194 sulla interruzione volontaria di gravidanza. Provocò riserve e proteste anche tra esponenti della CdL e fu costretto a rinunciare alla iniziativa.
Ma, diciamo la verità, Buttiglione aveva visto lungo. Era soltanto in anticipo sui tempi. Oggi, a quattro anni di distanza da allora la sua proposta di revisione della legge 194, è ripartita alla grande. Con una novità. In prima linea oggi non c´è soltanto la Chiesa, che da anni conduce una sua vigorosa battaglia sull´argomento, ma anche quello schieramento di "laici devoti " altrimenti detti "teocon" che, contro i referendari, hanno difeso ad oltranza la nostra pessima legge sulla fecondazione assistita in nome del principio della sacralità dell´embrione, già persona fin dall´inizio e quindi intangibile, meritevole di completa protezione. Anche a danno della salute della donna? Sì, anche a danno della salute della donna.
Va ricordato subito che la nostra legge sulla interruzione volontaria della gravidanza, approvata dal parlamento nel 1978 e confermata dal referendum del 1981 non ignorava certo il valore della vita dell´embrione e del feto, ma, anche sulla base di una sentenza della Corte Costituzionale, realizzava un bilanciamento tra i due interessi, quello della salute della madre, che è già persona, e quello della tutela dell´embrione che persona deve ancora diventare.
L´aborto non è e non è mai stato un diritto da esercitare a piacimento. È un trauma, una sofferenza, fisica e psicologica che nessuna donna affronta con leggerezza. Secondo la nostra legge la donna può farvi ricorso, entro i primi novanta giorni della gravidanza solo quando "la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comportino un serio pericolo per la sua salute" (art.4) e, dopo i primi novanta giorni solo in casi rari e drammatici in cui sia a rischio non solo la sua salute ma la sua vita, o quando siano accertati processi patologici, "o gravi malformazioni del nascituro che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna" (art.6).
È una legge equilibrata, una delle migliori in Europa, che ha cancellato la vergogna e la sofferenza degli aborti clandestini, e ridotto notevolmente quello degli aborti praticati nei nostri ospedali, numero che potrebbe essere ancora minore se nei confronti dei giovani venisse promossa una seria, massiccia campagna di informazione per il ricorso agli anticoncezionali. Non la si fa perché la Chiesa, come noto, è contraria anche all´uso della pillola e il ministro Sirchia prima e oggi il ministro Storace sono più sensibili ai richiami delle gerarchie che alla esigenza di difendere la salute delle nostre adolescenti.
La campagna che oggi si annuncia contro la legge 194 è una campagna contro la dignità, la libertà, la moralità delle donne, contro il loro diritto a decidere, responsabilmente, della propria vita. Sento riemergere nei toni dei suoi promotori il fondo misogino, mai del tutto sconfitto, della nostra società. La donna come immagine paurosa, titolare del diritto di vita e di morte sull´embrione e dunque su ognuno di noi, uscito dal suo ventre. La donna che non sarebbe degna del nome di madre quando rifiutasse di mettere al mondo un essere gravemente malformato e di accudirlo, in silenzio, per la vita. Solo chi non conosce questa sofferenza (qualcuno di noi la conosce) può condannare, dal punto di vita etico, una madre che, ricorrendo all´aborto terapeutico, vi si sottrae.
In altro modo, mi sembra si riproporrà, anche in questo caso, attorno alla figura della donna e della maternità, quel contrasto tra pensiero laico e cattolico che ha contrassegnato, almeno in parte e talvolta contro la stessa volontà di alcuni dei promotori, la campagna per la revisione della legge sulla fecondazione assistita. Con la conseguenza, inevitabile, di approfondire i contrasti ed esasperare le divisioni. Mentre una buona politica vorrebbe, su temi controversi e delicati come quelli proposti dalla insorgenza della bioetica, la ricerca paziente del compromesso possibile tra le diverse culture presenti nel paese. Ma c´è chi trova il compromesso disdicevole e adora il furore delle crociate. Prepariamoci dunque, anche questa volta, al peggio.
Marx e Heidegger
L'Unità 2 Luglio 2005
FILOSOFIA
Londra dice sì a Marx
Parigi no a Heidegger
Bruno Gravagnuolo
Karl Marx superstar, Martin Heidegger nella polvere. Le due «notizie» filosofiche del mese trascorso sono queste. La prima è ormai ben nota a chi bazzica il web i fuori dai confini nazionali, e risale al 5 giugno, Eccola: l’autore del Capitale è in testa con largo margine in una sfida sui grandi filosofi bandita dalla Bbc inglese (ma si vota ancora). E a decretarlo sono stati migliaia di frequentatori del sito www bbc.uk/ radio4. Marx stacca Wittgenstein e Hume con largo margine, lasciando al palo gente come Platone e Kant, Nietzsche, Popper, Mill, Sartre. Ed è la seconda volta in sei anni che il barbone di Treviri si prende la soddisfazione di essere incoronato « massimo pensatore del millennio», visto che già nel 1999 la radio pubblica inglese aveva messo in palio il titolo on line.
E la seconda notizia? Colpisce al cuore Heidegger, o meglio ci riprova, perché anche stavolta la notizia non è poi nuovissima. Ovvero: il pensatore dell’Essere fu talmente intimo col nazismo al punto che potrebbe addirittura aver scritto alcuni discorsi di Hitler nel 1933-1934. E al segno d’aver fatto largo uso di concetti come quelli di «razza ebraica», ebrei come « nemico asiatico», «necessità di purificazione della Germania», «essere per la razza». Le accuse, più forti di quelle già elevate contro Heidegger da Hugo Ott e Viktor Farias, stanno in un libro di Emmanuel Faye, Heidegger, l’introduzione del nazismo nella filosofia (edito da Albin Michel) che sta già dividendo la cultura francese.
In Italia il libro non è ancora arrivato e c’è da credere che non solleverà tanto scalpore. Al più scalpore filologico, per chi volesse dedicarsi alla disamina dell’attendibilità documentale dei «seminari inediti» risalenti al periodo 1933-37( appunti? Resoconti di uditori?). Oltre che alla ricognizione degli indizi antisemiti presenti nella produzione heideggeriana anteriore a quegli anni. Che cosa si vuol dire? Nient’altro che questo: la querelle Heidegger/ nazismo è sostanzialmente risolta. Sia dal punto di vista storiografico che «teoretico». E almeno in Italia quel nervo non è poi così scoperto e sensibile, come in Francia e in Germania. Mentre infatti nella cultura francese Heidegger è una sorta di caposaldo identitario ed «esistenziale» della filosofia, almeno dal dopoguerra ad oggi (e in chiave anticartesiana), in Germania la questione interseca direttamente il tema della colpa e delle omissioni tedesche ( e Heidegger è un caso emblematico a riguardo). Ebbene, niente di paragonabile da noi, malgrado le assonanze con la vicenda Gentile. In Italia per fortuna è possibile ancora distinguere tra nuclei filosofici genuini e compromissioni politiche, senza la necessità di dover sposare per intero un pensiero oppure di doverlo buttare perché inquinato. E senza rimozione di aspetti ignobili ed equivoci, della vita e delle idee dei pensatori compromessi. Nel merito: Heidegger aderì a modo suo al nazismo. Con tutta evidenza nel 1933, al tempo del Rettorato a Friburgo e anche a partire dal 1928, prima del Rettorato. «A modo suo» significa che egli vedeva nel nazismo un movimento antinichilista e anticapitalista (romantico) da cavalcare e indirizzare: a) verso la rinascita della nazione tedesca b) verso la custodia e il governo della Tecnica moderna c) verso la tutela del rapporto millenario con l’Essere, al fine di non smarrire il filo con la percezione greca dell’Originario.
E tuttavia, dalla seconda metà degli anni 30, consumata l’impossibilità di un legame organico con la politica dopo le dimissioni da rettore, Heidegger rovescia la sua prospettiva. E, passando attraverso Nietzsche e Juenger, giunge a ravvisare nel nazismo una delle forme epocali della macchinazione totale e dell’imperialismo della tecnica. Talché «Razza», «regime», «mobilitazione totale» e «guerra» diventano il segno del trionfo nichilistico della Potenza che annienta l’Essere divinizzando l’ente, tramite la sua continua e folle manipolazione. Insomma, Heidegger nazista teoreticamente pentito, benché reticente e incapace di autocritica esistenziale. Chiaro che a questo punto anche le accuse di Faye, diventano una nota a piè pagina di tutto l’affaire, al più la spia di un percorso abbastanza chiaro.
E Marx? Beh, finalmente un po’ di soddisfazione postuma per lui, dopo la damnatio del post- 89. Previde la globalizzazione, scoprì l’anatomia del Capitale e resta una chiave imprescindibile delle scienze sociali. A proposito: torna nei tascabili Newton Il Capitale a cura di Eugenio Sbardella e tradotto da Ruth Meyer («I Mammut», pp 1428, euro 14,90). Mammut tascabile. Ma vivo e vegeto.
FILOSOFIA
Londra dice sì a Marx
Parigi no a Heidegger
Bruno Gravagnuolo
Karl Marx superstar, Martin Heidegger nella polvere. Le due «notizie» filosofiche del mese trascorso sono queste. La prima è ormai ben nota a chi bazzica il web i fuori dai confini nazionali, e risale al 5 giugno, Eccola: l’autore del Capitale è in testa con largo margine in una sfida sui grandi filosofi bandita dalla Bbc inglese (ma si vota ancora). E a decretarlo sono stati migliaia di frequentatori del sito www bbc.uk/ radio4. Marx stacca Wittgenstein e Hume con largo margine, lasciando al palo gente come Platone e Kant, Nietzsche, Popper, Mill, Sartre. Ed è la seconda volta in sei anni che il barbone di Treviri si prende la soddisfazione di essere incoronato « massimo pensatore del millennio», visto che già nel 1999 la radio pubblica inglese aveva messo in palio il titolo on line.
E la seconda notizia? Colpisce al cuore Heidegger, o meglio ci riprova, perché anche stavolta la notizia non è poi nuovissima. Ovvero: il pensatore dell’Essere fu talmente intimo col nazismo al punto che potrebbe addirittura aver scritto alcuni discorsi di Hitler nel 1933-1934. E al segno d’aver fatto largo uso di concetti come quelli di «razza ebraica», ebrei come « nemico asiatico», «necessità di purificazione della Germania», «essere per la razza». Le accuse, più forti di quelle già elevate contro Heidegger da Hugo Ott e Viktor Farias, stanno in un libro di Emmanuel Faye, Heidegger, l’introduzione del nazismo nella filosofia (edito da Albin Michel) che sta già dividendo la cultura francese.
In Italia il libro non è ancora arrivato e c’è da credere che non solleverà tanto scalpore. Al più scalpore filologico, per chi volesse dedicarsi alla disamina dell’attendibilità documentale dei «seminari inediti» risalenti al periodo 1933-37( appunti? Resoconti di uditori?). Oltre che alla ricognizione degli indizi antisemiti presenti nella produzione heideggeriana anteriore a quegli anni. Che cosa si vuol dire? Nient’altro che questo: la querelle Heidegger/ nazismo è sostanzialmente risolta. Sia dal punto di vista storiografico che «teoretico». E almeno in Italia quel nervo non è poi così scoperto e sensibile, come in Francia e in Germania. Mentre infatti nella cultura francese Heidegger è una sorta di caposaldo identitario ed «esistenziale» della filosofia, almeno dal dopoguerra ad oggi (e in chiave anticartesiana), in Germania la questione interseca direttamente il tema della colpa e delle omissioni tedesche ( e Heidegger è un caso emblematico a riguardo). Ebbene, niente di paragonabile da noi, malgrado le assonanze con la vicenda Gentile. In Italia per fortuna è possibile ancora distinguere tra nuclei filosofici genuini e compromissioni politiche, senza la necessità di dover sposare per intero un pensiero oppure di doverlo buttare perché inquinato. E senza rimozione di aspetti ignobili ed equivoci, della vita e delle idee dei pensatori compromessi. Nel merito: Heidegger aderì a modo suo al nazismo. Con tutta evidenza nel 1933, al tempo del Rettorato a Friburgo e anche a partire dal 1928, prima del Rettorato. «A modo suo» significa che egli vedeva nel nazismo un movimento antinichilista e anticapitalista (romantico) da cavalcare e indirizzare: a) verso la rinascita della nazione tedesca b) verso la custodia e il governo della Tecnica moderna c) verso la tutela del rapporto millenario con l’Essere, al fine di non smarrire il filo con la percezione greca dell’Originario.
E tuttavia, dalla seconda metà degli anni 30, consumata l’impossibilità di un legame organico con la politica dopo le dimissioni da rettore, Heidegger rovescia la sua prospettiva. E, passando attraverso Nietzsche e Juenger, giunge a ravvisare nel nazismo una delle forme epocali della macchinazione totale e dell’imperialismo della tecnica. Talché «Razza», «regime», «mobilitazione totale» e «guerra» diventano il segno del trionfo nichilistico della Potenza che annienta l’Essere divinizzando l’ente, tramite la sua continua e folle manipolazione. Insomma, Heidegger nazista teoreticamente pentito, benché reticente e incapace di autocritica esistenziale. Chiaro che a questo punto anche le accuse di Faye, diventano una nota a piè pagina di tutto l’affaire, al più la spia di un percorso abbastanza chiaro.
E Marx? Beh, finalmente un po’ di soddisfazione postuma per lui, dopo la damnatio del post- 89. Previde la globalizzazione, scoprì l’anatomia del Capitale e resta una chiave imprescindibile delle scienze sociali. A proposito: torna nei tascabili Newton Il Capitale a cura di Eugenio Sbardella e tradotto da Ruth Meyer («I Mammut», pp 1428, euro 14,90). Mammut tascabile. Ma vivo e vegeto.
Marco Bellocchio a Pesaro
Il Mattino 2.7.05
«Il mio film comicamente folle»
Andrea Santini. Pesaro. «”Il regista di matrimoni” racconta una storia bizzarra, tanto che il padrone della casa in cui abbiamo svolto parte delle riprese, ironizzando, mi ha detto che avrei dovuto chiamarlo ”Il regista di manicomi”». Marco Bellocchio parla per la prima volta del suo nuovo e atteso film con Sergio Castellitto. Ospite della Mostra del nuovo cinema di Pesaro, che gli dedica l'Evento speciale, il regista piacentino rompe a sorpresa il silenzio e, durante un'intervista alla trasmissione radiofonica «Hollywood Party», svela particolari finora inediti del progetto, che è in fase di montaggio. «È un film comicamente folle - spiega - che affronta situazioni familiari molto realistiche, ma con un registro assolutamente lontano dalla realtà». Ambientato e girato in gran parte in Sicilia, il film è prodotto, tra gli altri da Rai Cinema, in collaborazione con la francese Filmtel. Al centro della vicenda è il personaggio interpretato da Castellitto, che torna a lavorare con Bellocchio a tre anni da «L'ora di religione». L'attore interpreta un regista di professione che, in crisi perché la figlia ha sposato un fervente cattolico catecumenale e perché gli tocca girare l'ennesima versione dei «Promessi Sposi», decide di mollare tutto e fugge in Sicilia. È qui che rimane sentimentalmente conivolto da una giovane donna che sta per sposarsi e «come uno dei Bravi di Don Rodrigo - rivela il regista - tenta di impedire con ogni mezzo il matrimonio, convinto che per la ragazza si tratti di un suicidio. ”Il regista di matrimoni” non si discosta idealmente dall’”Ora di religione” - continua Bellocchio - ma mentre quel film attaccava, provocava e denunciava l'ipocrisia di certe manovre, questo non avrà come oggetto la Chiesa cattolica». Il film - rivela ancora il regista - non potrà essere pronto in tempo per partecipare alla Mostra del cinema di Venezia: «Castellitto è dovuto volare in Cina dove si gira ”La stella che non c'è” di Amelio e io ho in sospeso ancora una settimana di riprese a ottobre». Bellocchio stasera parteciperà alla cerimonia di chiusura della manifestazione, dove presenterà in anterprima assoluta uno spezzone di 5 minuti tratto dal film. L’altro ieri, invece, ha impresso l'impronta delle mani nella prima mattonella della «Walk of Fame» pesarese, che collegherà via Rossini a Piazza del Popolo. «Certo non basta un'impronta nel cemento per restare nella storia del cinema - ha scherzato - ma è un gesto curioso e gentile, e sarebbe stato scortese da parte mia non partecipare al rito». Breve la cerimonia, con un buffo fuoriprogramma: Bellocchio aveva appena affondato le dita nel cemento quando il suo cellulare ha cominciato a suonare, senza poter ricevere risposta. Nel pomeriggio di ieri, poi, il regista è stato ospite della Galleria Franca Mancini, dove ha inaugureto la mostra «Marco Bellocchio-Quadri. Il pittore, il cineasta», realizzata dall'Associazione culturale «Il Teatro degli Artisti» in collaborazione con il Comune di Pesaro, la Mostra internazionale del nuovo cinema, l'assessorato alla Cultura della Regione Marche e Solares fondazione culturale. Fino al 10 luglio saranno esposti i bozzetti preparatori ai suoi film, compresi quelli inediti de «Il regista di matrimoni». Oggi, infine, la giornata-Bellocchio prevede anche una tavola rotonda al mattino (con Bruno Torri e Adriano Aprà, curatore dell' Evento Speciale), alla quale parteciperanno il regista e molti dei suoi collaboratori (Pier Giorgio Bellocchio, Barbora Bobulova, Gabriele Cavagoni e altri).
Il Messaggero Sabato 2 Luglio 2005
Pesaro gli rende omaggio e l’autore svela per la prima volta il suo ultimo mistero
«Io, comicamente folle»
Bellocchio parla del suo nuovo film, “Regista di matrimoni”
di CLAUDIO SALVI
PESARO - Uno spezzone di pellicola contenente cinque minuti del suo ultimo film Il regista di matrimoni . E’ questo l’omaggio che Marco Bellocchio ha voluto fare alla quarantunesima edizione della Mostra internazionale del nuovo cinema. Il festival pesarese, che alla produzione del cineasta ha dedicato quest’anno il suo diciannovesimo “Evento speciale”, premierà stasera il maestro piacentino con una cerimonia pubblica. Sarà sullo schermo della centralissima Piazza del Popolo che scorreranno in anteprima le immagini del film ancora in fase di lavorazione. Al centro della storia un regista di professione, interpretato da Sergio Castellitto, che entra in crisi con il suo lavoro e decide di mollare tutto per andare a vivere in Sicilia dove nasce una storia d’amore con una giovane donna già prossima al matrimonio. Parlando a sorpresa del suo ultimo lavoro (altri interpreti Donatella Finocchiaro, Sami Frey, Gianni Cavina, Maurizio Donadoni, Bruno Cariello), Bellocchio rompe la sua proverbiale riservatezza e ironizza: «E’ un film comicamente folle, che affronta situazioni familiari molto realistiche, ma con un registro lontano dalla realtà». Il regista, però, non vuole fare molte anticipazioni: «Ho trovato l’ispirazione vedendo uno di quegli operatori di matrimoni lavorare in spiaggia. Questo nuovo lavoro che si ricollega idealmente all’ Ora di religione è una storia bizzarra - dice - tanto che qualcuno mi ha già consigliato di intitolarla Il regista di manicomi ». E poi aggiunge che con ogni probabilità parteciperà alla Mostra di Venezia: «Non ci sono i tempi tecnici. Manca infatti ancora una settimana al termine dele riprese, mentre Sergio Castellitto è dovuto volare in Cina dove è impegnato nella lavorazione della Stella che non c’è di Gianni Amelio. E poi c’è da ultimare il montaggio».
Il regista è stato il protagonista di un’altra simpatica cerimonia. Una “Walk of fame” pesarese con il calco della mani imprese nel cemento a formare la prima mattonella di un percorso di nomi illustri che collegherà via Rossini a Piazza del popolo. Nell’occasione Bellocchio ha elogiato la rassegna pesarese: «Un festival di grande vitalità al quale sono molto riconoscente». Il cineasta piacentino doveva presentare proprio a Pesaro nel 1965 il suo celeberrimo I pugni in tasca . Non fu possibile allora ed oggi la mostra ideata da Lino Miccichè gli dedica una retrospettiva “minuziosa e di grande precisione”, oltre ad un volume di 300 pagine, entrambi curati da Adriano Aprà.
«Il mio film comicamente folle»
Andrea Santini. Pesaro. «”Il regista di matrimoni” racconta una storia bizzarra, tanto che il padrone della casa in cui abbiamo svolto parte delle riprese, ironizzando, mi ha detto che avrei dovuto chiamarlo ”Il regista di manicomi”». Marco Bellocchio parla per la prima volta del suo nuovo e atteso film con Sergio Castellitto. Ospite della Mostra del nuovo cinema di Pesaro, che gli dedica l'Evento speciale, il regista piacentino rompe a sorpresa il silenzio e, durante un'intervista alla trasmissione radiofonica «Hollywood Party», svela particolari finora inediti del progetto, che è in fase di montaggio. «È un film comicamente folle - spiega - che affronta situazioni familiari molto realistiche, ma con un registro assolutamente lontano dalla realtà». Ambientato e girato in gran parte in Sicilia, il film è prodotto, tra gli altri da Rai Cinema, in collaborazione con la francese Filmtel. Al centro della vicenda è il personaggio interpretato da Castellitto, che torna a lavorare con Bellocchio a tre anni da «L'ora di religione». L'attore interpreta un regista di professione che, in crisi perché la figlia ha sposato un fervente cattolico catecumenale e perché gli tocca girare l'ennesima versione dei «Promessi Sposi», decide di mollare tutto e fugge in Sicilia. È qui che rimane sentimentalmente conivolto da una giovane donna che sta per sposarsi e «come uno dei Bravi di Don Rodrigo - rivela il regista - tenta di impedire con ogni mezzo il matrimonio, convinto che per la ragazza si tratti di un suicidio. ”Il regista di matrimoni” non si discosta idealmente dall’”Ora di religione” - continua Bellocchio - ma mentre quel film attaccava, provocava e denunciava l'ipocrisia di certe manovre, questo non avrà come oggetto la Chiesa cattolica». Il film - rivela ancora il regista - non potrà essere pronto in tempo per partecipare alla Mostra del cinema di Venezia: «Castellitto è dovuto volare in Cina dove si gira ”La stella che non c'è” di Amelio e io ho in sospeso ancora una settimana di riprese a ottobre». Bellocchio stasera parteciperà alla cerimonia di chiusura della manifestazione, dove presenterà in anterprima assoluta uno spezzone di 5 minuti tratto dal film. L’altro ieri, invece, ha impresso l'impronta delle mani nella prima mattonella della «Walk of Fame» pesarese, che collegherà via Rossini a Piazza del Popolo. «Certo non basta un'impronta nel cemento per restare nella storia del cinema - ha scherzato - ma è un gesto curioso e gentile, e sarebbe stato scortese da parte mia non partecipare al rito». Breve la cerimonia, con un buffo fuoriprogramma: Bellocchio aveva appena affondato le dita nel cemento quando il suo cellulare ha cominciato a suonare, senza poter ricevere risposta. Nel pomeriggio di ieri, poi, il regista è stato ospite della Galleria Franca Mancini, dove ha inaugureto la mostra «Marco Bellocchio-Quadri. Il pittore, il cineasta», realizzata dall'Associazione culturale «Il Teatro degli Artisti» in collaborazione con il Comune di Pesaro, la Mostra internazionale del nuovo cinema, l'assessorato alla Cultura della Regione Marche e Solares fondazione culturale. Fino al 10 luglio saranno esposti i bozzetti preparatori ai suoi film, compresi quelli inediti de «Il regista di matrimoni». Oggi, infine, la giornata-Bellocchio prevede anche una tavola rotonda al mattino (con Bruno Torri e Adriano Aprà, curatore dell' Evento Speciale), alla quale parteciperanno il regista e molti dei suoi collaboratori (Pier Giorgio Bellocchio, Barbora Bobulova, Gabriele Cavagoni e altri).
Il Messaggero Sabato 2 Luglio 2005
Pesaro gli rende omaggio e l’autore svela per la prima volta il suo ultimo mistero
«Io, comicamente folle»
Bellocchio parla del suo nuovo film, “Regista di matrimoni”
di CLAUDIO SALVI
PESARO - Uno spezzone di pellicola contenente cinque minuti del suo ultimo film Il regista di matrimoni . E’ questo l’omaggio che Marco Bellocchio ha voluto fare alla quarantunesima edizione della Mostra internazionale del nuovo cinema. Il festival pesarese, che alla produzione del cineasta ha dedicato quest’anno il suo diciannovesimo “Evento speciale”, premierà stasera il maestro piacentino con una cerimonia pubblica. Sarà sullo schermo della centralissima Piazza del Popolo che scorreranno in anteprima le immagini del film ancora in fase di lavorazione. Al centro della storia un regista di professione, interpretato da Sergio Castellitto, che entra in crisi con il suo lavoro e decide di mollare tutto per andare a vivere in Sicilia dove nasce una storia d’amore con una giovane donna già prossima al matrimonio. Parlando a sorpresa del suo ultimo lavoro (altri interpreti Donatella Finocchiaro, Sami Frey, Gianni Cavina, Maurizio Donadoni, Bruno Cariello), Bellocchio rompe la sua proverbiale riservatezza e ironizza: «E’ un film comicamente folle, che affronta situazioni familiari molto realistiche, ma con un registro lontano dalla realtà». Il regista, però, non vuole fare molte anticipazioni: «Ho trovato l’ispirazione vedendo uno di quegli operatori di matrimoni lavorare in spiaggia. Questo nuovo lavoro che si ricollega idealmente all’ Ora di religione è una storia bizzarra - dice - tanto che qualcuno mi ha già consigliato di intitolarla Il regista di manicomi ». E poi aggiunge che con ogni probabilità parteciperà alla Mostra di Venezia: «Non ci sono i tempi tecnici. Manca infatti ancora una settimana al termine dele riprese, mentre Sergio Castellitto è dovuto volare in Cina dove è impegnato nella lavorazione della Stella che non c’è di Gianni Amelio. E poi c’è da ultimare il montaggio».
Il regista è stato il protagonista di un’altra simpatica cerimonia. Una “Walk of fame” pesarese con il calco della mani imprese nel cemento a formare la prima mattonella di un percorso di nomi illustri che collegherà via Rossini a Piazza del popolo. Nell’occasione Bellocchio ha elogiato la rassegna pesarese: «Un festival di grande vitalità al quale sono molto riconoscente». Il cineasta piacentino doveva presentare proprio a Pesaro nel 1965 il suo celeberrimo I pugni in tasca . Non fu possibile allora ed oggi la mostra ideata da Lino Miccichè gli dedica una retrospettiva “minuziosa e di grande precisione”, oltre ad un volume di 300 pagine, entrambi curati da Adriano Aprà.
scontro sulla psichiatria
Brooke Shields vs. Tom Cruise:
La Provincia 2.7.05
la star Brooke Shields contro Cruise: «Sulla depressione lui farnetica»
L'attrice Brooke Shields ha respinto ieri come «ridicole farneticazioni», in un articolo pubblicato dal New York Times, le critiche di Tom Cruise per avere preso medicinali per combattere la sua depressione post-parto. «Provo a indovinare: il signor Cruise probabilmente non ha mai sofferto questo problema - scrive l'attrice con tono ironico - I suoi commenti danneggiano tutte le madri. Suggerire che è sbagliato prendere medicinali per combattere la depressione e che invece avrei dovuto prendere vitamine e fare esercizi, mostra una totale mancanza di comprensione sulla depressione post-parto». L'attrice aveva raccontato in un libro la sua lotta contro la depressione, dopo la nascita della figlia Rowan Francis due anni fa, che l'aveva spinta sull'orlo del suicidio. Tom Cruise aveva criticato l'attrice per avere fatto ricorso agli antidepressivi. L'attore è un seguace della Scientologia, una religione che sostiene che la psichiatria è una pseudoscienza. In una recente intervista televisiva per il lancio del film la Guerra dei mondi Cruise era tornato alla carica contro l'attrice gelando le obiezioni del suo interlocutore con un perentorio «Tu non conosci la storia della psichiatria, io sì». Nell'articolo di ieri Brooke Shields racconta la sua grave crisi depressiva e l'aiuto ricevuto dai medici.
la star Brooke Shields contro Cruise: «Sulla depressione lui farnetica»
L'attrice Brooke Shields ha respinto ieri come «ridicole farneticazioni», in un articolo pubblicato dal New York Times, le critiche di Tom Cruise per avere preso medicinali per combattere la sua depressione post-parto. «Provo a indovinare: il signor Cruise probabilmente non ha mai sofferto questo problema - scrive l'attrice con tono ironico - I suoi commenti danneggiano tutte le madri. Suggerire che è sbagliato prendere medicinali per combattere la depressione e che invece avrei dovuto prendere vitamine e fare esercizi, mostra una totale mancanza di comprensione sulla depressione post-parto». L'attrice aveva raccontato in un libro la sua lotta contro la depressione, dopo la nascita della figlia Rowan Francis due anni fa, che l'aveva spinta sull'orlo del suicidio. Tom Cruise aveva criticato l'attrice per avere fatto ricorso agli antidepressivi. L'attore è un seguace della Scientologia, una religione che sostiene che la psichiatria è una pseudoscienza. In una recente intervista televisiva per il lancio del film la Guerra dei mondi Cruise era tornato alla carica contro l'attrice gelando le obiezioni del suo interlocutore con un perentorio «Tu non conosci la storia della psichiatria, io sì». Nell'articolo di ieri Brooke Shields racconta la sua grave crisi depressiva e l'aiuto ricevuto dai medici.
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