mercoledì 25 febbraio 2004

MASSIMO FAGIOLI
sul Venerdì di Repubblica

segnalato da Roberto Giorgini, Tonino Scrimenti e da un altro compagno

Il Venerdì di Repubblica 20.2.04
CASI DIVERSI
I DESTINI INCROCIATI DI DUE RIVENDITE
A Napoli i libri gay sono nei guai, a Roma spopola Freud omosex
di a.co.


[l'articolo è corredato da una foto di Massimo Fagioli, una di Freud, una della copertina di "La Sindrome di Eloisa" (Nutrimenti, pp.160, euro 14), e da un paio d'altre. Ndr]

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Si sa, per le piccole librerie non è un periodo d'oro. Se poi la libreria, oltre a essere piccola è anche gay, anzi «l'unica libreria a tematica gay e lesbica del Meridione» i guai crescono. Così la Mercurio di Napoli ha rischiato di chiudere, il 15 gennaio scorso. Il libraio Michele Esposito, che l'ha aperta nel 2001, non riusciva più a tirare avanti. Pochi giorni prima del 15 perù, un cliente ha diffuso un appello su Internet da cui è nata una sottoscrizione: la libreria è salva, almeno per due mesi. A Roma intanto, una libreria che gay non è punta molto, in vetrina, su un testo, La sindrome di Eloisa di Gianna Serra, in cui ci si diffonde sugli scambi epistolari «passionali e conturbanti» di Freud con Wilhelm Fliess e Romain Rolland. Perché tanto interesse? Forse perché la libreria, Amore e Psiche, è nell'orbita dello psichiatra Massimo Fagioli, che non ha ancora deciso se prendersela di più con Freud, già definito «vecchio sadico imbecille» o con l'omosessualità, bollata come «annullamento» e considerata «legata alla pulsione di morte». Pensate che soddisfazione avere le prove che Freud era gay...

la Cina a Firenze
cinema e spettacolo

una segnalazione di Simona Maggiorelli

Institut Français de Florence

Giovedì 26 febbraio ore 17.30 e 20.45


Anno della Cina in Francia


SCHERMI D’ORIENTE
La Cina di ieri e di oggi attraverso il suo cinema



Nell’ambito de "La Cina è un aquilone", rassegna dedicata alla cultura cinese ed ospitata all’Istituto Francese di piazza Ognissanti - in occasione dell’Anno della Francia in Cina - giovedì 26 febbraio doppio appuntamento con Schermi d’oriente, la Cina di ieri e di oggi attraverso il suo cinema.

Il programma, a cura di Anna Maria Gallone - fondatrice tra l’altro del prestigioso festival del cinema africano di Milano - prevede giovedì 26 febbraio ore 17.30 Il nipotino americano (Taiwan 1991) per la regia di Ann Hui - la più amata regista e attrice cinese che con "Boat People" (1982), opera di impegno civile sul Vietnam, ha ottenuto un notevole successo di critica e di pubblico e nel 2002 ha diretto "July Rhapsody" - . Protagonista del film è Ku, un anziano musicista di Shanghai, la cui tranquilla esistenza viene rivoluzionata dall'arrivo del nipotino dagli Stati Uniti. (Versione cinese con sottotitoli in italiano)

Giovedì 26 febbraio ore 20.45 Una ragazza di nome Xiao Xiao (Cina,1986), regia di Ulan Xie Fei, tratto dal romanzo XIAO XIAO di Shen Congwen. Xiao Xiao, una adolescente di 12 anni, per ragioni di clan e antiche tradizioni, viene sposata con un bimbo di soli due anni. Con il passare del tempo la ragazza, ormai diventata donna, finisce per cedere all'amore di un giovane fattore, ma le leggi del clan prevedono per le adultere la pena di morte: Xiao Xiao, incinta, tenta la fuga. (Versione doppiata in italiano).

Fino al 28 febbraio è ancora possibile visitare la mostra sugli oggetti dell’infanzia in Cina, abbinata alla proiezione di una serie di cartoni animati cinesi (La leggenda del re scimmiotto, I girini cercano la mamma, ecc) per piccoli e grandi (orario: lunedì/venerdì 9.30/12.30 e 14.30/18 e sabato 9.30/12.30).

Il gran finale è previsto per sabato 28 ore 11.00
con lo Spettacolo tradizionale cinese
allestito dall’Istituto di Wushu della città di Firenze in Piazza Ognissanti


Un progetto realizzato dall’Assessorato alla Pubblica Istruzione del Comune di Firenze
in collaborazione con Istituto Francese di Firenze, Kenzi e Cospe.

Ingresso libero – Fino ad esaurimento posti

Institut Français de Florence - Piazza Ognissanti 2 - 50123 Firenze

Info 055 2718801 – Info stampa 055 2718820 – 348 6106610

Institut Français de Florence
Piazza Ognissanti 2 / 50123 Firenze
tel 055 2718801 / fax 055 217296

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contestata la nomina del nuovo coordinatore
dell'area psichiatrica del Lazio

Corriere della Sera 25.2.04
La scelta della Regione criticata da associazioni di malati
Psichiatria, è bufera
Cantelmi nominato coordinatore. «Troppi soldi ai privati»


La Regione nomina Tonino Cantelmi dirigente responsabile dell’area psichiatrica, ma le associazioni dei parenti dei malati e Giulia Rodano, consigliere regionale Ds, criticano il provvedimento e accusano la politica della giunta regionale sulla salute mentale di avere «assegnato troppi finanziamenti alle cliniche private e danneggiato quelle pubbliche, dove mancano 250 letti per malati acuti». Marco Verzaschi, assessore regionale alla Sanità, replica: «È un attacco pretestuoso: se criticano Cantelmi vuole dire che abbiamo scelto bene. Bisogna spendere di più per dare ai pazienti quello che aspettano da 20 anni, soprattutto i soggetti con pluripatologie».

Corriere della Sera 25.2.04
Critiche le associazioni. L’assessore: attacco pretestuoso
Psichiatria, polemica sul neocoordinatore «Rivuole i manicomi»
La Regione nomina Tonino Cantelmi
di Francesco Di Frischia


Tonino Cantelmi sta per essere nominato responsabile dell’area psichiatrica della Regione. La conferma viene dall’assessorato regionale alla Sanità, ma le associazioni dei parenti dei malati e Giulia Rodano, consigliere regionale Ds, criticano la nomina e accusano la politica regionale sulla salute mentale di avere «favorito le strutture private e danneggiato quelle pubbliche». Marco Verzaschi, assessore regionale alla Sanità, replica: «È un attacco pretestuoso: se criticano Cantelmi vuole dire che abbiamo scelto bene. Bisogna spendere di più per dare ai pazienti quello che aspettano da 20 anni, soprattutto i soggetti con pluripatologie». E la Regione ha imposto ai manager delle Asl di creare, entro un anno, almeno 125 letti sui 250 che mancano nei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura (Spdc) del Lazio. Il provvedimento su Cantelmi, arrivato al termine di un bando pubblico dopo che il posto era rimasto vacante per due anni, diventerà ufficiale nei prossimi giorni. Il medico, esperto di psichiatria del Nuovo Regina Margherita, è uno dei promotori del disegno di legge «Burani Procaccini» all’esame del Parlamento per modificare la «Basaglia», la normativa del 1978 che ha abolito i manicomi. Proposta che, secondo associazioni e esponenti del centrosinistra, «vuole di fatto riaprire i manicomi - taglia corto Giulia Rodano - Questa è la ciliegia sulla torta della politica della giunta Storace, dopo la decisione di fare ricoveri per acuti anche in 13 cliniche neuropsichiatriche private. In cambio, ovviamente, le case di cura hanno incassato l’aumento delle rette per 50 euro al giorno».
Vanni Pecchioli, segretario regionale dell’associazione «Psichiatria democratica», aggiunge: «Non abbiamo nulla contro il medico Cantelmi, ma da tempo siamo preoccupati per le scelte della Regione». Secondo Pecchioli «il processo di riconversione stabilito dalla giunta con le cliniche ha tempi lunghi. E poi non sono state colmate le gravi carenze di letti e organici delle Asl che devono anche controllare l’assistenza nelle case di cura. Da Roma i malati finiscono per essere ricoverati fuori provincia». Il grido d’allarme viene condiviso da Maria Luisa Zardini, presidente di un’altra associazione, l’Arap: «Viviamo una situazione disastrosa da 25 anni: non vogliamo riaprire i manicomi, ma servono al più presto spazi adeguati per non lasciare i pazienti a carico delle famiglie». Considerazioni condivise da Maria Teresa Milani, responsabile del settore psichiatrico di «Cittadinanza attiva»: «L’accordo della Regione con le cliniche private rischia di innescare un circolo vizioso, senza promuovere percorsi terapeutici alternativi, necessari per reinserire malati nella società».
L’assessore Verzaschi respinge le accuse e precisa: «Le Asl dovranno controllare le cure su ogni paziente nelle 13 cliniche da riconvertire. E per i finanziamenti non c’è stato alcun aumento folle alle strutture private: abbiamo adeguato le tariffe, ferme da 10 anni, incrementando solo i rimborsi per la fase delle acuta, che è limitata ad un massimo di 10 giorni di ricovero. In cambio le cliniche dovranno aumentare il personale e la qualità dell’assistenza». E sull’accordo Verzaschi aggiunge: «Chi lo critica, chieda ai malati che non trovano risposta ai loro bisogni cosa ne pensano».

la religione degli americani /5

Repubblica 25.2.04
DIO NON È UN PADRE
la religione degli americani/5. intervista a Toni Morrison

Il suo vero nome è Chloe Anthony Wofford. È stata la prima donna di colore ad essere insignita, nel 1993, del premio Nobel per la letteratura
I miei rapporti con il cattolicesimo si sono interrotti dopo il Concilio Vaticano II
Come me Cechov, Joyce, Tolstoj non hanno mai lasciato in pace il Padreterno
NEW YORK
di ANTONIO MONDA


Toni Morrison è nata settantatre anni fa a Lorain, una cittadina dell´Ohio, con il nome di Chloe Anthony Wofford. E´ stata lei stessa a scegliere il soprannome Toni, quando si è stancata del modo in cui veniva storpiato il nome con cui è stata battezzata. Prima di essere stata la prima donna di colore (e la ottava in assoluto) ad essere insignita nel 1993 del Nobel per la letteratura «per la vita che riesce a dare ad aspetti essenziali dell´esistenza americana in romanzi caratterizzati da una forza visionaria e da una imprescindibile valenza poetica», è stata per ventanni la più apprezzata e rigorosa editor della Random House, ha vinto il premio Pulitzer nel 1988 per Beloved, e la prima donna di colore a diventare Chair in una università del prestigio di Princeton. Mi chiede di incontrarla nel suo appartamento di New York, situato all´interno di un palazzo che fino a pochi mesi fa ospitava una centrale della polizia. E´ una donna dal portamento maestoso, uno sguardo che mette soggezione, i capelli annodati in lunghissime trecce grigie, ed una voce che rivela appena la cadenza del sud di cui erano originari i suoi genitori. Si rende subito conto del mio stupore per la strana architettura del palazzo nel quale campeggiano ancora simboli e bandiere, ma mi invita a vederne la grandiosità, e a riflettere su come siano stati mal utilizzati fino ad allora gli spazi. «Se dobbiamo parlare del rapporto con Dio, immagino che dobbiamo cercarlo in ogni cosa» mi dice scherzosamente prima di invitarmi a cercare un ristorante dove riflettere in maniera rilassata su un tema che non avrebbe mai immaginato di discutere pubblicamente.
Di questi tempi i politici e le istituzioni parlano costantemente di Dio...
«Io ritengo che quello che fanno è semplicemente una strumentalizzazione, se non una bestemmia. La situazione in cui ci ha portato questo presidente è disperata, e sono terrorizzata quando lo sento parlare del suo Dio. Gli sono state attribuite frasi come "non negozierò mai con me stesso", ma negoziare con se stesso è quello che normalmente è chiamato "pensare". Il suo assolutismo religioso è stupefacente. Non riesco a capire con quale autorità morale citi il Padreterno e si definisca poi "presidente di guerra". A me sembra che fondi il proprio potere sulla paura».
Mi parli del suo atteggiamento rispetto a Dio. Lei crede?
«Credo in una intelligenza interessata in quello che esiste e rispettosa di quanto ha creato».
In cosa differisce questa definizione dal Dio delle religioni?
«Il fatto che ogni religione finisce per definirlo e quindi rimpicciolirlo. La mia idea di Dio è quella di una crescita infinita che scoraggia le definizioni ma non la conoscenza. Credo in un´esperienza intellettuale che intensifica le nostre percezioni e ci allontana da una vita egocentrica e predatoria, dall´ignoranza e dai limiti delle soddisfazioni personali. Più è grande la conoscenza e più Dio diventa grande. Perfino la Bibbia, questo libro meraviglioso scritto da straordinari visionari, è piccola e riduttiva rispetto alla grandezza di Dio».
Lei parla di una definizione che crea un limite. Tuttavia la fede non pretende di definire...
«E´ vero, ma rifletto anche sul fatto che la ricerca è sempre più importante della conclusione, e a volte la conclusione è già nel viaggio».
Mi parli del suo intimo viaggio all´interno della religione.
«Ho ricevuto una educazione cattolica, nonostante mia madre, che era molto religiosa, fosse protestante. Da bambina ero affascinata dai riti del cattolicesimo, ed ho subito la forte influenza di una cugina, che era una fervente cattolica».
Quando si sono interrotti i suoi rapporti con il cattolicesimo?
«Non so identificarlo con certezza. Forse la stupirà sapere che un momento di crisi l´ho avuto in occasione del Concilio Vaticano II. All´epoca ebbi l´impressione che si trattasse di un cambiamento di superficie, e soffrii molto per l´abolizione del latino, che vedevo come il linguaggio unificante e universale della chiesa. Tuttavia trovo ancora folgorante la rivoluzione dell´amore che sostituì l´idea di giustizia. Si tratta di qualcosa di estremamente moderno, e forse di eterno, che qualcuno ha portato nell´umanità».
Per chi crede quel "qualcuno" è il figlio di Dio.
«Se non lo è, stiamo parlando certamente di un genio. E´ l´amore che ci distingue dagli animali. E in questa rivoluzione diventa centrale l´attenzione al più debole e al più piccolo».
Lei parla della rivoluzione cristiana con commozione, eppure oggi crede in un´entità intelligente...
«Non credo in un Dio padre: anche quella mi sembra una limitazione, oltre che una semplificazione. E contesto l´immagine di Dio come il genitore protettivo...: se mi sforzo di intuirne l´essenza, e penso ad esempio all´infinità del tempo mi perdo con un misto di sgomento ed eccitazione. Intuisco l´ordine e l´armonia che suggeriscono un´intelligenza, e scopro, con un po´ di tremore, che il mio stesso linguaggio diventa evangelico».
Su questo stesso problema Derek Walcott ha riflettuto pensando alla Nostalgia dell´infinito, il famoso quadro di De Chirico esposto al MoMA.
«E´ il dilemma perfetto: il più grande ed eterno. Ci sentiamo unici, e per molti versi lo siamo, ma sentiamo di appartenere a qualcosa di più grande, rispetto alla quale non possiamo che provare nostalgia». Coloro che credono sono a suo avviso degli illusi?
«No, anzi: provo nei loro confronti il massimo rispetto, e certamente non sono io la persona che può giudicarli. Tuttavia penso che la mente cerca sempre di proteggere se stessa, e che è molto umano l´atteggiamento di chi trova un sistema in cui credere. Mi ha sempre divertito la tendenza ad umanizzare la divinità: penso agli uomini che ne esaltano l´aspetto guerriero o alle monache cattoliche che si dichiarano spose di Cristo. O coloro che lo identificano con il loro medico... soldato, marito, dottore: sono esempi abbastanza evidenti di esigenze umane».
Il suo approccio intellettuale sembra nascere dall´"intellego ut credam".
«Mi voglio fermare al termine "Intellego", anche perchè so bene che esiste da sempre un anelito di Dio. Tutto ciò che la mente può fare è imparare, e il momento in cui la mente si ferma coincide con la morte».
Cosa significa per lei la morte?
«Nei momenti di depressione la vedo come una liberazione, ma normalmente rappresenta qualcosa di inconcepibile: viviamo nel paradosso di non accettare la più ovvia e inevitabile delle nostre condizioni».
La sua tesi universitaria tratta del tema della morte, ed in particolare del suicidio in Faulkner e Virginia Woolf.
«La morte è un fatto inaccettabile con il quale tuttavia dobbiamo confrontarci: scelsi quel tema per riflettere sul fatto che in Assalonne Assalonne, l´americano Faulkner descrive il suicidio come un atto di debolezza, mentre in Mrs.Dalloway l´inglese Woolf lo trasforma in un gesto eroico di libertà».
I suoi libri hanno dei riferimenti religiosi persino nei titoli.
«E´ vero, ma devo dirle che sia Song of Solomon che Paradise sono titoli suggeriti dall´editore. Pensi che il titolo di quest´ultimo libro, nel quale tutti i personaggi sono dei credenti, era War. Per quanto riguarda Beloved è tratto da una citazione di San Paolo ai Corinzi, ma è anche un modo per rapportarsi a qualcosa di profondamente intimo e imprescindibile».
Uno dei suoi temi ricorrenti è la schiavitù. Ritiene che si tratti solo di una condizione fisica?
«No, assolutamente. L´abominio di un essere umano messo in catene è una delle più grandi tragedie dell´umanità, ma so bene che esistono schiavitù psicologiche ed ideologiche».
Ritiene che la religione sia presente nell´arte moderna?
«Meno di quanto si possa pensare, e spesso è utilizzata con fini commerciali. Pensi ad esempio a questi filmacci pretenziosi dove compaiono gli angeli come deus ex machina o agli artisti figurativi che utilizzano l´iconografia religiosa con l´unico intento di creare uno scandalo: non c´è nulla di serio, si tratta di una religione da supermercato, una Disneyland spirituale di falso timore e piacere». Ma nell´arte la religione è un limite o una opportunità?
«Credo che sia un dato neutro: ci sono scrittori e poeti che non credevano ed hanno realizzato delle meravigliose opere con soggetti religiosi».
Quali sono gli scrittori che hanno trattato temi religiosi che ammira maggiormente?
«Joyce, in particolare le opere giovanili, e Flannery O´Connor, una grandissima artista che ancora non ha ricevuto l´attenzione dovuta». Mi ha citato due irlandesi...
«Sono gli scrittori che mi vengono immediatamente in mente, ma non si possono dimenticare i russi: Dostoevskj, Tolstoj e perfino Cechov non hanno mai lasciato in pace il Padreterno».

Boncinelli a Firenze
questo pomeriggio

Repubblica, edizione di Firenze 25.2.04
LEGGERE PER...
Boncinelli alla Biblioteca comunale una ricerca fra scienza e filosofia


FISICO di fama, dedicatosi nel tempo a studi di genetica e biologia molecolare degli animali superiori e dell´uomo, Edoardo Boncinelli è l´ospite di oggi del ciclo «leggere per non dimenticare» a cura di Anna Benedetti, che rinnova il suo appuntamento alla Biblioteca Comunale Centrale in via Sant´Egidio 21 (ore 17.30). Dove l´attuale direttore della Scuola internazionale superiore di studi avanzati di Trieste nonché apprezzato divulgatore presenta il suo lavoro più recente Tempo delle cose, tempo della vita, tempo dell´anima, un importante saggio pubblicato da Laterza, nel quale Boncinelli affronta una delle questioni più rilevanti - forse la più rilevante - che l´uomo si pone e nella quale filosofia, scienza, religione e vita quotidiana si intrecciano in modo indissolubile, a volte misterioso, affascinante sempre. L´introduzione dell´incontro è a cura di Paolo Rossi.

"vertenza spettacolo":
Marco Bellocchio vi aderisce

Repubblica edizione di Roma 25.2.04
Domani al Capranica attori, registi, musicisti: "Siamo trascurati"
La protesta fa spettacolo
di Francesca Giuliani

 
Lo spettacolo sotto i riflettori: attori, registi, danzatori, cantanti, mucisti insieme per chiedere attenzione a un mondo che conta 200mila addetti e muove ogni anno miliardi di euro, ed è troppo trascurato dalle istituzioni. La "vertenza spettacolo" dell´Agis apre domani mattina alle 11 al cinema Capranica con un incontro-kermesse che sta mobilitando tutti gli addetti ai lavori. Una protesta concreta e su punti precisi che ricorda già le proteste degli Intermittants che hanno messo a ferro e fuoco l´estate dei festival francesi. Hanno dato la loro adesione Alessandro Gassman, Carlo Verdone, Raffaele Paganini, Giuliana De Sio, Giuseppe Fiorello, ma anche Oreste Lionello, Mariangela Melato, Marco Bellocchio, Massimo Ghini e Serena Autieri. Salvatore Accardo ha inviato un testo scritto, dice: «C´è bisogno di investire sui giovani, per svincolare l´effimero allo spettacolo e farlo diventare cultura». Il resto sarà un fuori copione: il mondo dello spettacolo dà al governo sessanta giorni di tempo per avere risposte concrete.

la depressione
secondo la Sopsi

La Stampa 25 Febbraio 2004
IL CONGRESSO DELLA SOCIETÀ DI PSICOPATOLOGIA
«Un italiano su cinque è depresso
Primo sintomo, il dolore fisico»


Un italiano su cinque soffre di depressione, e molti malati sono giovani. Milano e Bergamo sono le città più colpite. Spesso i sintomi confondono i medici di famiglia che non riescono a spiegare certi tipi di mal di testa, mal di schiena, mal di stomaco. L’allerta viene dagli specialisti riuniti a Roma per il congresso della Sopsi (Società italiana di psicopatologia).
I depressi sono considerati dalla famiglia e dagli amici come malati immaginari ma gli psichiatri smentiscono questo luogo comune: la loro sofferenza, che è reale, può avere origine ed essere amplificata dallo stato depressivo. Il dolore fisico, affermano gli esperti, rappresenta molte volte un primo importante campanello d’allarme che non va sottovalutato.
«Non esiste il malato immaginario - spiega il presidente della Sopsi, Paolo Pancheri - nessuno s’inventa un dolore, tranne un simulatore». La depressione, osserva Riccardo Torta, docente di Psicosomatica all’università di Torino, «non è solo una malattia della psiche ma anche del corpo, lo dimostra il fatto che i depressi si ammalano e muoiono di più. Il dolore è la spia che segnala un forte disagio emotivo». Lo psichiatra Mauro Mauri, dell’università di Pisa, aggiunge: «È frequente che manifestazioni di dolore apparentemente senza causa mascherino forme di depressione, la prova è che spesso, curando il disturbo, anche il dolore fisico scompare. L’amplificazione dei sintomi dolorosi indica una richiesta di aiuto da parte del depresso».
Ma quali sono i dolori fisici più diffusi che possono nascondere uno stato depressivo? Nel quaranta per cento dei casi si tratta di dolori lombari, cefalee e crampi addominali. A ciò si accompagna un calo del desiderio sessuale, difficoltà di concentrazione, crisi di pianto e una perdita di interesse per le attività abituali.
La depressione, sottolinea Mauri, si comporta «come una malattia ricorrente: si può guarire da un episodio depressivo ma la vulnerabilità si mantiene». Ogni crisi successiva, però, aggrava le condizioni del soggetto e per questo, avvertono gli esperti, è importante prevenire le ricadute.
Se le cure sono adeguate il 70 per cento dei pazienti riesce a uscire dal tunnel. Il problema, però, è che metà dei depressi non rispetta le cure o le interrompe. Da evitare, avvertono gli psichiatri, atteggiamenti paternalistici (genere: «Fatti coraggio che passa»). Ciò che serve è «una maggiore consapevolezza e il ricorso a cure adeguate e tempestive».

LIBERTA' 25.2.04
La depressione provoca anche mal di stomaco
di Gian Ugo Berti


ROMA «Le analisi per il mio mal di stomaco sono tutte negative, dottore. Cosa può essere allora?». «Forse è depressione» risponde il medico. Strano ma vero, è il volto più nuovo della depressione (ne soffre in media un italiano su cinque). Il dolore fisico capace cioè di mascherare un disturbo psicologico, così come una emicrania o un mal di schiena. Da qui l'invito al medico di base di sospettare uno stato depressivo in quei soggetti che denunciano dolori fisici e non trovano una spiegazione nonostante le sofisticate indagini. Lo sostengono i professori Giovanni Biggio, Mauro Mauri, Enrico Smeraldi e Riccardo Torta dell'Università di Cagliari, Pisa, Milano e Torino. Hanno messo in evidenza infatti che in un depresso si verifica un calo di due neurotrasmettitori, noradrenalina e serotonina. Questi due neurotrasmettitori hanno un ruolo anche nel controllo del dolore. Quindi riducendosi l'azione in un depresso, si amplifica la sensibilità al dolore fisico. Preziosa è poi l'azione della venlafaxina che ha la proprietà di andare ad agire contemporaneamente proprio sui due neurotrasmettitori e dunque, curando la depressione, combatte ed elimina il dolore fisico ad essa associato. Sono diciassette su cento gli italiani che soffrono oggi in media di depressione. Ma c'è una realtà variegata: secondo il professor Marcello Nardini dell'Università di Bari le ricerche indicano il 13% nell'area di Bologna, fra il 13 e il 15% in quella di Udine, in Puglia e in Sardegna. Ogni anno si verificano 250 casi in più ogni diecimila abitanti. Preoccupante - si è detto infine - è il tempo che intercorre fra l'insorgenza della depressione e il ricorso alle cure: ben otto anni. Nel caso poi della psicosi si arriva fino anche a dodici anni. Ultimo dato emerso dalla Assise di Roma che si conclude domani: fra quanti soffrono di depressione, la metà non ha avuto la diagnosi relativa alla malattia. La metà di quelli che hanno avuto la diagnosi non riceve invece cure adeguate. La metà di chi ha ricevuto cure adeguate non ha un'aderenza al trattamento prescritto.

(c) 1998-2002 - LIBERTA'

Repubblica ed. di Firenze
MERCOLEDÌ, 25 FEBBRAIO 2004
LO STUDIO
Isolamento affettivo fra le cause
Più depressi in Toscana tra anziani e bambini
Placidi: "Sono migliorate le capacità di dignosi"


Aumentano i depressi in Toscana. Una crescita, comune a tutta Italia, sospinta dai casi di donne e giovani che si ammalano sempre di più. Recenti casi di cronaca, come il suicidio di sabato dell´infermiera quarantenne in lotta da anni con la depressione, hanno riportato di attualità la pericolosità di questo problema. «Da noi - spiega Gian Franco Placidi, ordinario di psichiatria all´Università di Firenze - vediamo più frequentemente casi di depressione anche perché sono migliorate le conoscenze e le capacità di diagnosi sia da parte degli specialisti che dei medici di famiglia. Purtroppo però l´aumento è dovuto anche alla diminuzione dell´età di esordio della malattia, che cresce negli adolescenti ma anche nei bambini. Preoccupa il disagio dei nostri giovani: più elevati sono infatti i fattori di rischio quali fra gli altri il consumo di sostanze stupefacenti. La depressione può anche essere in alcuni casi difficile da diagnosticare qualora si associno agitazione, irrequietezza motoria e disperazione: situazione ad alto rischio di suicidio. La rete di servizi psichiatrici che abbiamo in Toscana è buona ma va potenziata proprio per assistere di più gli adolescenti e i minorenni. Importante è anche una sensibilizzazione della famiglia e insegnanti su questa problematica, al fine di identificare precocemente i soggetti più vulnerabili e a rischio».
La nostra è una regione anziana, dove si fa sempre più ampio il disagio della terza età: «Sempre più spesso - aggiunge Placidi - i nostri anziani reagiscono con la depressione alla perdita di ruolo sociale e al loro isolamento affettivo». Per curare questa malattia ci sono farmaci di nuova generazione. «Si fa largo un nuovo approccio al problema - prosegue il professore - Ci stiamo rendendo conto che a volte sintomi fisici dolorosi persistenti e che non riconoscono una base organica, possono essere in realtà la spia di una depressione latente. Curando la depressione, il dolore lentamente scompare. Farmaci come la venlafaxina sono efficaci e hanno anche una buona azione ansiolitica. Il problema è curare l´episodio depressivo per tutta la durata, protraendo talora la terapia anche per un anno, un anno e mezzo dall´inizio dei primi sintomi».

Yahoo! Notizie
Martedì 24 Febbraio 2004, 18:30
Depressione infantile e adolescenziale: i primi segni già a 10 anni
Di Italiasalute.it


La depressione non è appannaggio esclusivo dell'età adulta bensì interessa anche bambini e adolescenti anche se i sintomi mentali, emotivi e comportamentali nei bambini spesso sono sottovalutati o addebbitati superficialmente a problemi "della crescita". Un bambino troppo spesso triste può essere ammalato, ma di frequente non si conosce abbastanza a fondo il mondo dei bambini, ed è comune pensare che essi non abbiano stress e problemi tale da indurre una modificazione dell'umore in senso patologico. Al contrario la depressione in un bambino è un fatto serio che, quando venga trascurato può provocare lunghe assenze da scuola se non addirittura il suo abbandono.Ma anche uso e abuso di alcol o droghe e, spesso il suicidio.
Il primo ambiente in cui vanno ricercate le cause di un malessere è la famiglia. Un ragazzo che ha problemi di socializzazione scolastica, di relazione o altro ha di certo alle spalle un rapporto in qualche modo non risolto con i genitori.
Ci sembra apparentemente assurdo che un ragazzo si tolga la vita, o tenti di farlo, a causa magari di un brutto voto a scuola, ma si spiega meglio se pensiamo che quel voto è la goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo di quelli che sono i più comuni sentimenti che affliggono il depresso: sentimenti di colpa, di mancanza di autostima, convinzione di non meritare di essere amato, visione negativa e catastrofica degli eventi, delirio di rovina, percezione di non poter essere né capiti né aiutati e un progressivo ripiegamento su se stessi che crea una barriera insormontabile.I bambini con depressione possono sviluppare delle strategie per superare gli impegni quotidiani e le loro piccole responsabilità, ma hanno difficoltà a stare con gli altri, tendono ad isolarsi e soffrono per la scarsa stima che hanno di loro stessi.
Questi casi hanno spesso alcuni fili conduttori comuni: ragazzini "perfetti", che non hanno mai dato problemi, studiosi e ben integrati nei vari contesti di relazione. Poi, un giorno, qualcosa si rompe. Non possiamo generalizzare, ma si tratta spesso di bambini eccessivamente responsabilizzati, trattati come adulti, iperstimolati e che sentono sulle spalle un forte carico di aspettative e pressioni da parte dei genitori e dell'ambiente. Si sono costruiti un "falso sé", una facciata "compiacente" perfetta che però nasconde grandi vuoti e carenze. Una facciata troppo debole, che si incrina e porta a un disagio insostenibile.
I segni della depressione spesso includono: tristezza che non li lascia mai, mancanza di speranza, perdita di interesse nelle attività abitualmente piacevoli, cambiamenti nelle abitudini legate al cibo o al sonno, scarso rendimento scolastico o perdita di giorni di scuola, pensieri legati alla morte e al suicidio, il giovane si veste preferibilmente di nero, scrive poesie o racconti malinconici e di stampo intimista, sceglie una musica che racconti temi realistici od esistenziali, guarda tutta la notte la televisione perché ha disturbi del sonno, non riesce ad alzarsi al mattino per andare a scuola, dorme durante il giorno, ha poca motivazione ed energia, perde interesse nello studio, colleziona una o più bocciature, esce poco, rimane spesso chiuso ore nella sua stanza, ha pochi amici, esce poco solo di notte, perde appetito, si alimenta poco e male nelle ragazze possono apparire sintomi di anoressia o bulimia, pensa e parla spesso della morte e rimane colpito dal decesso di persone che conosce.
Tra i segni distintivi più frequenti, e spesso non decifrati dai genitori, c'è il dolore, quello che non migliora nonostante i trattamenti. Un bambino depresso usa in modo massiccio il canale somatico per esprimere il proprio disagio. Il dolore fisico, apparentemente senza spiegazioni, dunque, e' spesso una spia importante che deve spingere i genitori ad intervenire.
I bambini cominciano a presentare i primi segni della patologia, il piu' delle volte attraverso il dolore fisico, gia' al di sotto dei 10 anni. Psichiatri ed esperti riuniti a Roma per il IX Congresso della Societa' Italiana di Psicopatologia avvertono: la soglia d'eta' dell'insorgenza di questa malattia si sta abbassando in maniera preoccupante. La depressione infantile è ormai riconosciuta come entità ben definita nell'ambito della psicopatologia del bambino.
''Non esistono stime numeriche - ha sottolineato lo psichiatra Mauro Mauri dell'universita' di Pisa - poiche' e' solo negli ultimi anni che si sta focalizzando l'attenzione sul disturbo depressivo tra i bambini, mentre si stima che tra gli adolescenti la depressione colpisca il 15-17% dei ragazzi''. Negli Stati Uniti pero', ha affermato Mauri, si sta conducendo uno studio epidemiologico sulla diffusione della malattia mentale tra i bambini, ed i risultati sono attesi per il prossimo anno, mentre secondo alcune stime la depressione infantile e giovanile é un fenomeno largamente sottostimato e, sempre negli Stati Uniti, ne sarebbe affetto 1 bambino su 33, circa il 3% della popolazione infantile. Tuttavia, cio' che e' certo, sulla base dell'esperienza degli psichiatri, ha sottolineato l'esperto, e' che ''i primi sintomi della patologia depressiva si osservano, in vari casi, gia' al di sotto dei 10 anni di eta'''. Quanto alle ragioni per le quali i bambini sono oggi sempre piu' depressi, molto e' imputabile allo stile di vita. Oggi, ha sottolineato Mauri, ''i piu' piccoli sono molto piu' stimolati di prima: giocano di meno e da loro ci si aspetta troppo, caricandoli di impegni ed aspettative eccessivi. Aumentano dunque - ha affermato l'esperto - le condizioni di stress che facilitano l'insorgere del disturbo depressivo''.
Il piu' delle volte pero', avvertono gli esperti, la depressione non viene riconosciuta, e anche quando lo e' si pone un problema etico tutt'ora aperto: e' giusto curare i bambini con dei farmaci? Ma c'e' anche un altro elemento da non trascurare: la diagnosi di depressione in un bambino, hanno concluso gli psichiatri, ''e' vissuta il piu' delle volte con un forte senso di colpa da parte dei genitori; ecco perche', spesso, si tende a non riconoscere tale patologia''.

Rita Levi Montalcini al Mart di Rovereto

L'Adige 25.2.04
La vera lezione di Rita Levi Montalcini al Mart:
«Giovani, fate funzionare il cervello»
Poi racconta la sua battaglia in favore delle donne africane
Di CORONA PERER


E´entrata sul palcoscenico dell´Auditorium Melotti da sola, quasi in punta di piedi come chi voglia passare inosservata. Minuta e ossuta com´è, è sembrato che l´applauso partito dalla platea potesse travolgerla. E allo stesso tempo sorprenderla. Si è così fermata salutando amabilmente il pubblico, quasi imbarazzata da tanto calore.
In realtà è stata lei a sorprendere il pubblico con il suo umorismo e la sua simpatia dall´alto di 95 anni portati splendidamente, con una classe e un´eleganza invidiabili.
Per la verità gli anni di Rita Levi Montalcini sono ancora 94 (è nata il 22 aprile del 1909) ma alle sue 95 primavere ha voluto lei stessa fare un esplicito riferimento a circa metà del suo intervento, un´ora abbondante nella quale ha parlato a braccio. Riferendosi ad un secolo di vita nel quale ha dovuto fare i conti anche con l´ostracismo delle leggi razziali, ha provocato uno scrosciante secondo applauso.
«Non è un merito - si è subito schernita - è solo un privilegio avere 95 anni. Ho molte difficoltà alla vista a causa di una maculopatia: fate conto che non vedo nemmeno le diapositive che vi sto proiettando, ma non ho l´Alzheimer! E questo perché faccio funzionare il cervello. Morirò d´altro, ma non di Alzheimer!» ha aggiunto il Premio Nobel che ha poi rivolto ai giovani un accorato invito. «Sapete cosa dico sempre? Fate lavorare il vostro cervello, utilizzatelo al meglio, fatelo lavorare al massimo, ma non per il potere! Quando piuttosto per la gioia immensa di fare funzionare questa macchina meravigliosa. Io ho lavorato con tale gioia e passione che non mi preoccupavo affatto di quello si stava dicendo in giro per l´Europa sulla inferiorità della mia razza».
Rita Levi Montalcini, nata a Torino, dove si laureò nel 1936 in Medicina e Chirurgia per poi proseguire gli studi come ricercatrice in neurobiologia e psichiatria, fu infatti costretta nel 1938 a lasciare l´Università a causa della promulgazione del manifesto della razza. Continuò le sue ricerche in un piccolo laboratorio casalingo e poi fu costretta a lasciare l´Italia. Fu la Svizzera ad offrirle per prima l´opportunità di pubblicare quegli studi che l´avrebbero portata anni dopo, negli Stati Uniti, a scoprire il fattore della crescita, per gli addetti ai lavori l´NGF. Grazie a questi studi le arrivò da Stoccolma il conferimento del Premio Nobel per la medicina. Era il 1986. Ci arrivò studiando un embrione di pollo nel quale era stato trapiantato il tumore di un ratto adulto.
«Fu in quegli anni che potei capire ed apprezzare l´ospitalità degli americani grazie ai quali ebbi la fortuna di studiare come funzionava il sistema nervoso. Vedete, noi parliamo oggi di fuga di cervelli. Ma il problema è che qui non si va avanti per merito, qui si va avanti solo appartenendo a gruppi di potere». E ha poi aggiunto altre interessanti valutazioni. La ricerca in Italia? «Eccellente. Quando sono ritornata dopo 30 anni di Stati Uniti sono rimasta stupita dall´impegno dei giovani, malgrado la differenza che esiste nei mezzi a disposizione. L´Italia ha eccellenti ricercatori, quello che mancano sono i finanziamenti. E´ importante credere nella ricerca. Anche le imprese devono crederci. Due anni fa grazie alla Ambrosetti sono riuscita ad aprire un centro a Roma nel quale tento solo di far tornare i cervelli italiani. In Italia quello che manca è premiare il merito. Le imprese farmaceutiche andavano bene qualche anno fa, ma anche loro hanno perso fiducia e c´è poca sinergia con il mondo universitario. Spero che le industrie si rendano conto di quanto importante sia investire nello human capital».
Rita Levi Montalcini ha poi raccontato in un appassionante affresco che abbracciava un secolo di lavoro e di ricerca, quanto sognasse allora di tornare in Italia. Ma solo in America si potevano fare studi sul cervello. «Il ´900 è stato il secolo dello studio sul cervello. Oggi sappiamo molto, eppure è ancora molto poco ciò che conosciamo dell´organo più importante del nostro corpo. Le neuroscienze hanno enormi possibilità se si dà la possibilità ai giovani di tornare in Italia» ha detto il premio Nobel ,che ha ribadito come i giovani siano oggi il suo capitolo di lavoro più importante.
«Sono parecchi i giovani ai quali io come studiosa devo dire grazie. Ora che non posso più continuare a fare ricerche e che la mia vita non mi consente più di stare tra i banchi mi dedico alle due uniche grandi missioni della mia vita: aiutare il rientro in Italia di chi ha capacità e aiutare le donne del continente africano ad avere un´istruzione. Oltre alla piaga dell´infibulazione e dell´Aids, a loro non è concesso studiare, ma ci sono molte donne che hanno qualità eccellenti e che con la formazione a distanza possono aiutare il mondo con il loro sapere».
Rita Levi Montalcini ha lasciato ammutolita la platea quando ha fatto capire che malgrado tante ricerche e anche tante soddisfazioni in realtà sono proprio queste le due cose più importanti tra quelle realizzate nella sua vita. Il suo è stato un autentico appello. «Dico sempre: bastano 5 euro per far studiare una donna africana. Il mio sogno è che queste donne umiliate, private del diritto allo studio e oppresse nel continente africano, possano studiare».
Una lectio magistralis di vera umanità giunta alla fine di un intervento durato oltre un´ora, tutto a braccio e in piedi, dall´ambone sul quale era steso il drappo del Rotary Distretto 2060 al quale si deve indubbiamente il merito di aver regalato ieri a Rovereto due ore di grande scienza. E una grande lezione di umanità.

Luigi Cancrini sulla cocaina

Il Messaggero Martedì 24 Febbraio 2004
No, nessuna illusione: la cocaina rovina cuore e cervello
di LUIGI CANCRINI


LA ASL della città di Milano ha effettuato negli ultimi mesi del 2003 una ricerca sul consumo di droga da parte dei giovani. Gli intervistati, di età compresa fra i 18 e i 25 anni, erano scelti a caso fra i frequentatori delle scuole di guida della città. Il risultato, sconcertante, è quello per cui una percentuale di poco superiore al 14% di questi soggetti aveva già consumato cocaina almeno una volta nella vita. Un fatto che non risultava, ovviamente, dai referti medici che accompagnavano la loro richiesta di esame per la patente. Un fatto che dà l'idea della diffusione impressionante di questa droga tra i giovani del nostro paese. Come confermato dai dati relativi ai sequestri (320 kg nel 1987, 2.143 kg nel 1998) e da quelli forniti dal telefono Linea verde droga per cui il 50% dei contatti avvengono ormai per problematiche connesse al consumo di cocaina.
Droga a tutti gli effetti pesante , la cocaina sta cominciando ad incidere fortemente anche sulle casistiche dei servizi. Nelle carceri, che sono sempre le prime ad intercettare i nuovi casi, la cocaina è droga di riferimento per il 50% delle persone con problemi di dipendenza. Nei Sert e nelle comunità terapeutiche, cui si accede un po' più tardi, lo è per una cifra oscillante fra il 20 e il 25%. Molti sono però i casi che vengono trattati fuori della rete dei servizi, perché il livello sociale delle persone che sviluppano una dipendenza da cocaina è abbastanza alto, spesso tale da consentire la ricerca di cure in ambiente privato o all'estero.
Le conseguenze più gravi della dipendenza da cocaina sono abbastanza diverse da quelle tradizionalmente descritte per l'eroina. La cocaina non dà dipendenza fisica e non viene iniettata, se non eccezionalmente, con siringhe. Rari sono, ugualmente, i casi in cui l'utente va incontro ad una overdose. Gran parte dei guai si manifesta invece a livello della vita psichica. A piccole dosi, la conseguenza più rilevante è il senso di grandiosità direttamente collegato all'euforia prodotta dalla sostanza che produce errori, a volte drammatici, di valutazione delle proprie reali possibilità: quando si è per esempio alla guida di una moto o di un'auto. A dosi medie, il problema diventa spesso quello legato alla quantità di soldi necessari per mantenere l'abitudine, all'indifferenza manifestata nei confronti delle regole, delle leggi e degli affetti da parte di chi comincia a considerare indispensabile la possibilità di "farsi". A dosi alte, il problema è quello della rovina economica, che coinvolge spesso interi nuclei familiari, della violenza e della perdita del controllo quando quelli che insorgono sono quadri di vera e propria psicosi acuta.
Dal punto di vista terapeutico, il problema più grave da affrontare oggi riguarda l'insieme delle risposte che i servizi pubblici e del privato sociale debbono dare a questi loro nuovi utenti. La gran parte delle risposte utili agli eroinomani non servono a nulla con le persone che hanno come droga di riferimento la cocaina. Non ha alcun senso, per loro, l'uso di farmaci sostitutivi, mentre da ripensare appaiono anche molti programmi residenziali di comunità terapeutica. Centrale si presenta qui il lavoro basato su strumenti di livello psicoterapeutico, utilizzati da professionisti capaci di raggiungere fin dall'inizio le persone che hanno rapporti affettivi con la persona in difficoltà. Lavorando con la famiglia di origine e/o con la coppia, cioè, ma prendendo contatto con tutte le persone che colludono, sul piano economico e comportamentale, con chi usa cocaina. Illusorio e debole si presenta infatti, abitualmente, il tentativo di basare il proprio intervento sul rapporto a due fra terapeuta o servizio e utente.
Anche di queste cose si dovrebbe discutere oggi se il nostro fosse davvero un paese serio. Le persone che hanno problemi di dipendenza vanno curate, non solo processate. Difficile pensare che di questo ci si renda conto mentre le elezioni incombono, ma il modo migliore di affrontare l'emergenza cocaina nel nostro paese è quello di chiedere ai politici di non parlare di cose che non conoscono. I governi, nazionale e regionali, hanno il dovere di creare condizioni in cui i servizi possano lavorare bene, smettendo di fare tagli alle spese e attacchi alla dignità degli operatori. Sta nel potenziamento dei servizi, non nel rinnovamento delle leggi, la possibilità di far fronte in modo ragionevole ai problemi proposti dalla diffusione della cocaina.