domenica 22 maggio 2005

la ricerca sulle staminali embrionali

Liberazione 21.5.05
Mezza Europa apre alla ricerca sulle staminali
Dopo l'esperimento di Seul la Germania è pronta a varare una legge sulla clonazione. E la Spagna fa lo stesso. In Inghilterra clonati i primi embrioni umani
CM

La scienza, come scriveva sul "Corriere" Edoardo Bonicelli, corre davvero più veloce della politica. Per lo meno di quella nostrana. L'ultimo esperimento di Seul ha aperto alla possibilità di nuove frontiere per la ricerca. E l'Europa accelera verso una visione laica, aperta a tutte le possibilità consentite dal progresso. Tutto ciò che in sostanza vieta la nostra legge 40. E' di ieri l'annuncio che Gerard Schroeder intenderebbe liberalizzare la ricerca sulle cellule staminali in Germania. La notizia è riportata in prima dal quotidiano "Frankfurter Allgemeine Zeitung".
Secondo il giornale di Amburgo, proprio il successo ottenuto dai ricercatori sudcoreani nella clonazione di cellule staminali su misura avrebbe consolidato nel Cancelliere la convinzione di modificare gradatamente le norme restrittive attualmente in vigore in Germania. E sempre il "Frankfurter" anticipa inoltre che probabilmente Schroeder in occasione del ricevimento di una laurea honoris a Gottinga si pronuncerà a favore della «clonazione terapeutica» e di una ricerca senza più vincoli. Allo stesso pensa la Spagna di Zapatero. E' in via di approvazione la legge che regola la ricerca sugli embrioni umani che contempla la selezione genetica a fini terapeutici anche se proibisce la clonazione a fini riproduttivi. E' tornato a dirlo il ministro della sanità spagnolo Salgado. Ma non basta. Un team dell'università di New Castle - è sempre di ieri la notizia - è riuscito nella clonazione dei primi tre embrioni umani. Un altro passo in avanti verso la ricerca scientifica. L'Inghilterra è l'unico paese in Europa che ha autorizzato la pratica della clonazione non solo a scopo riproduttivo ma anche di ricerca. La stessa che portò già nel '97 alla clonazione della pecora Dolly. Del resto, proprio l'Inghilterra è stato il primo paese ad aver approvato sin dal 2002 la clonazione umana. Ammessa da una legge del parlamento inglese fin dal 2002.
E in Italia? Il dibattito nostrano sembra fermarsi all'"astensionismo". Del merito non si discute. E non solo per colpa di un "black out" televisivo. Persino i leader dei partiti delle opposizioni - vedi Rutelli - tentennano ad esprimersi sui prossimi referendum. Anche se in ballo ci sono altre questioni oltre che quelle squisitamente politiche. Uno dei tanti limiti che impone la legge 40 è proprio sulla ricerca scientifica. Ma qualcosa, come si dice, si muove. Ieri su invito di Pannella a pronunciarsi sul referendum ha replicato Fassino che dalla platea del consiglio nazionale della Quercia ha confermato il pieno sostegno per i "quattro sì" ai quesiti referendari. Sottolineando anche, nella sostanza, che «il mancato quorum non potrebbe in nessun caso considerarsi politicamente e giuridicamente equivalente ad una vittoria del "no"». «Una battaglia - ha aggiunto il leader Ds - anche parlamentare per la revisione della legge che non potrà essere evitata evocando un pronunciamento referendario che non c'è stato». E un altro monito è giunto da Luana Zanella (Verdi): «E' inutile trincerarsi in una isola di divieti e tabù, come pretendono gli oppositori al referendum o quanti invitano all'astensione. Il progresso scientifico non lo permette». E proprio questo al contrario corre e vola verso nuove frontiere chiuse, e proprio per colpa di una legge nefasta, al nostro paese.

un libro:
"I comunisti in Cina. Dalla Fondazione della Repubblica Popolare Cinese al dopo Deng"

Liberazione 21.5.05
Un studio di Aldo Bronzo che aiuta a ripercorrere le radici dell'attuale situazione cinese.
Dalla rivoluzione del '49 al Grande balzo fino al massacro di Tienanmen che apre la strada al rilancio del capitalismo
Storia dei comunisti in Cina, per capire il colosso di domani
Salvatore Cannavò

La Cina è oggi all'attenzione di tutti i commentatori dell'economia mondiale. L'occidente guarda con stupore ai tassi di crescita altamente positivi del grande paese asiatico, ne teme le ripercussioni sull'economie capitalistiche occidentali e prova una punta di invidia per come quel sistema, che pur si richiama ufficialmente al comunismo, riesce ad estorcere profitti dai lavoratori. Quello odierno è un modo di funzionamento del colosso asiatico completamente diverso da quelli di alcuni decenni fa, eppure in quell'enorme paese non è caduto nessun muro, non ci sono stati mutamenti di rilievo improvvisi nei modi della gestione politica del potere. Come è potuto accadere tutto ciò? E' evidente che la risposta non può venire che da una puntigliosa analisi storica delle vicende politiche sociali ed economiche cinesi. A questo arduo compito certamente contribuisce l'opera di uno studioso serio, attento, puntiglioso, cioè di Aldo Bronzo, capace di delineare in un prezioso volume - "I comunisti in Cina. Dalla Fondazione della Repubblica Popolare Cinese al dopo Deng" edito alla fine dello scorso anno da Pagano Editore - una spiegazione lineare dell'evoluzione storica della Cina di mezzo secolo. Che non si tratti di un'opera affrettata è dimostrato dalle oltre mille citazioni e dall'enorme bibliografia, la maggior parte della quale su testi cinesi. Il volume, più che una lettura richiede uno studio, ma chi avrà avuto la pazienza di arrivare alla fine avrà certamente la soddisfazione di poter approcciare le problematiche attuali con la lente giusta.
La storia inizia da una data di importanza epocale: il primo ottobre del 1949, cioè più di mezzo secolo fa. Quel giorno dalla piazza Tienanmen Mao Ze Dong annunciava ad un mondo distratto, intento alla ricostruzione postbellica ma già timoroso di nuovi e più disastrosi conflitti, la nascita della Repubblica Popolare Cinese. Delle radici storiche di tale evento Bronzo fa un breve riepilogo che certamente non può che rimandare ad un altro studio: quello del trentennio precedente, trattata dallo stesso autore più di venti anni fà, in due volumi, intitolata "I comunisti in Cina. Dalle origini alla presa del potere" (Nuove Edizioni Internazionali, 1983). Tornando allo storico 1949, il paese che i comunisti si impegnavano a governare era in terribili condizioni di arretratezza economica, sociale e culturale; eppure in tali condizioni non si tralasciano questioni sociali fondamentali come la riforma del matrimonio decretando la piena protezione degli interessi delle donne e dei figli, o la riforma agraria del '50 che toglie le terre ai latifondisti per darle ai contadini senza terra. Il decreto ovviamente non risolve i problemi: la questione agraria rimase a lungo un cantiere aperto alla sperimentazione e le varie forme cooperative trovarono attuazione senza le tragedie dell'estremismo staliniano del 1928. Leggendo il libro si capisce la particolare dinamica dell'evoluzione sociale ed economica cinese che fino alla rivoluzione culturale metteva insieme direttive verticistiche, verifica sul campo, rettifiche e controrettifiche cercando di trovare soluzioni empiriche anche senza mai ammettere gli errori precedenti. E' indubbio che una rivoluzione non può non commettere errori, ma è il modo in cui si ricercano le soluzioni che fa progredire un processo; spesso la direzione politica cinese ha praticato una logica burocratica a volte anche con sacrifici umani pesanti. Ma come analizzare un processo rivoluzionario senza incorrere in atteggiamenti assurdi da grillo parlante che agita testi classici senza accorgersi delle specificità di luogo e di tempo? Da questo punto di vista Bronzo ha innanzitutto il merito di fornire dati per poi avanzare, ma solo dopo, giudizi che sono sempre cauti e ponderati.
E' indubbio che l'analisi degli avvenimenti cinesi non può prescindere dall'intreccio di fenomeni nazionali ed internazionali e la rottura delle relazioni politiche, diplomatiche ed economiche con l'Urss all'inizio degli anni sessanta, produsse con l'isolazionismo, gravi conseguenze dei rapporti interni alla direzione politica cinese. Anche la politica estera risentì della lotta di potere in Cina (su questo punto il libro però non si cimenta).
Alla analisi delle trasformazioni sociali si sovrappone la ricostruzione degli scontri interni del gruppo dirigente come il tentativo nel 1971 di Lin Piao, delfino preindividuato al IX congresso, di un colpo di mano bonapartista per contrastare la rimonta di Ciu En Lai che, allo scopo di fronteggiare l'Urss, si riavvicinava in politica estera, agli Usa. L'episodio si concludeva in settembre con l'aereo di Lin Piao schiantatosi misteriosamente al di là della Grande Muraglia. Alla morte di Mao comincia il riemergere, prima lento e sommerso poi tumultuoso ed esplicito, di Deng Xiao Ping e delle sue idee "innovatrici". Si assiste ad una coesistenza negli anni 80 di meccanismi mercantili ed economia pianificata non in contraddizione tra di loro ma in un rapporto basato sulla divisione dei territori e delle attività. E' emblematico che i riferimenti ai principi socialisti non vengono messi in discussione ma "l'assimilazione di alcuni aspetti del capitalismo è adottata solo per accentuare lo sviluppo delle forze produttive", come scriveva Deng a metà degli anni 80. Forse a lui era chiaro il pericolo che queste dinamiche introducevano nella realtà cinese. Ma proprio le contraddizioni messe in moto dalla politica denghista dovevano portare nel giugno dell'89 a macchiare la piazza Tienanmen del sangue degli studenti che cantavano l'Internazionale di fronte ai carri armati. Quei giorni vengono narrati con dovizia di particolari e numerose citazioni ufficiali elogianti l'operato degli apparati repressivi. Gli inizi degli anni 90 sono ugualmente caratterizzati da contraddizioni nel gruppo dirigente tra conservatori ed innovatori, ma anche da contraddizioni tra le regioni geografiche e fermenti intellettuali. Infine nel marzo del ‘92 si consolida il gruppo dirigente stabilizzandosi intorno alla figura di Jang Ze Min. Ha così inizio la fase attuale, dalla storia si deve passare all'aggiornamento che solo la conoscenza del passato riesce ad interpretare.
A questo punto sorge una domanda: come accoglieranno il lavoro di Bronzo gli accademici delle università? Non credo che ciò all'autore interessi molto, perché ciò che lo interessa non è certo il "cultore della materia" quanto i giovani compagni, quelli che hanno intrapreso il compito di costruire un mondo migliore, quelli impegnati nel movimento antiglobalizzazione che hanno bisogno della storia come strumento di comprensione e non come sfoggio di erudizione. Bronzo è con loro, è uno di loro anche se di anni ne ha qualcuno in più.

Repubblica 22.5.05
passi scelti
da
Il dizionario del Diavolo
di Ambrose Bierce


Abdicazione (s.f.). Atto con cui un sovrano mostra di avvertire che il trono scotta. [2] Scambio di corona con cappuccio monacale, allo scopo di fare collezione di tibie e unghie di santi. Volontaria rinuncia a qualcosa di cui si è stati privati con la forza. Rinuncia a un trono per procurarsi la soddisfazione di assistere al fallimento del proprio successore. (Per tutte queste definizioni siamo in debito con la storia della Spagna).
Abeliani (s.m.pl.). Setta religiosa africana che praticava le virtù di Abele. Ebbero la malasorte d´essere contemporanei dei Cainiani, e adesso sono estinti.
Aborigeni (s.m.). [1] Gente di scarsa importanza, ingombrante le terre di un paese di recente scoperta. Ben presto smette di ingombrarle: le fertilizza. [2] Gente riguardosa, che non porrà ai futuri lessicografi il problema di darne una descrizione.
Addome (s.m.). Tempio del dio stomaco, oggetto di adorazione e di riti sacrificali degli uomini degni di questo nome. Questa antica fede riceve da parte delle donne solo una timida adesione: accade talvolta che officino al suo altare con scarso entusiasmo e fiaccamente, ma vera reverenza per l´unica divinità che gli uomini veramente adorano non hanno. Se le donne avessero mano libera nei mercati mondiali, la razza umana diventerebbe erbivora.
Alba (s.f.). Ora in cui la gente ragionevole va a letto. Certi vecchi preferiscono invece alzarsi pressappoco all´alba, fare un bagno freddo e una lunga passeggiata a stomaco vuoto, e mortificare in altri modi la carne. A queste abitudini attribuiscono orgogliosamente il loro vigore, la loro salute e l´essere arrivati a tarda età. La verità è che sono forti e vegeti non in virtù ma a dispetto delle loro abitudini. Il motivo per cui si trovano solo persone robuste che si sono regolate in questa maniera è che tutti gli altri che ci hanno provato se ne sono andati al Creatore.
Ambasciatore (s.m.). Ministro di alto rango mantenuto da un governo nella capitale di un altro paese per eseguire gli ordini di sua moglie.
Battesimo (s.m.). Rito sacro, di tale efficacia che chi va in paradiso senza che gli sia impartito sarà infelice per sempre. Lo si pratica con l´acqua in due modi: immersione o tuffo, aspersione o spruzzo.
Belladonna (s.f.). Bella signora, in italiano; in inglese, veleno mortale. Esempio lampante della sostanziale identità di queste due lingue.
Boia (s.m.). [1] Uno che fa quanto in suo potere per eliminare le devastazioni della vecchiaia e ridurre le probabilità di morire annegati. [2] Pubblico funzionario con compiti della massima serietà e dignità, tenuto in dispregio da una plebaglia che ha antenati criminali. In alcuni stati americani le sue mansioni sono esercitate oggi da un elettricista. [3] Pubblico funzionario che crea suspense.
Buddismo (s.m). Assurda e perversa eresia religiosa praticata da tre quarti dell´umanità.
Catechismo (s.m.). Serie di indovinelli teologici. A dubbi universali ed eterni vi si danno risposte limitate ed evasive.
Cremazione (s.f.). Procedimento per riscaldare le carni fredde dell´umanità.
Dannazione (s.f.). In teologia, la condizione degli sfortunati mortali condannati prima della nascita. Sostenitore di questa dottrina fu Calvino. La soddisfazione che gli dava era in qualche modo guastata dalla sua sincera convinzione che mentre alcuni sono predestinati alla dannazione altri lo sono alla salvezza.
Decalogo (s.m.). Serie di comandamenti, dieci di numero, bastante alla persona intelligente per scegliere quali osservare, non tale da rendere la scelta imbarazzante. Eccoli, questi comandamenti, in versione riveduta per il nostro meridiano.
Non avrai altro Dio all´infuori di me: sarebbe troppo costoso.
Non costruirti immagini o idoli perché qualcuno li rompa.
Non pronunziare il nome di Dio invano: scegli il momento in cui serva.
Non lavorare assolutamente di sabato: va a vedere la partita.
Onora i genitori: sarà minore il premio dell´assicurazione sulla vita.
Non ammazzare e non istigare a farlo: non pagherai il conto del macellaio.
Non baciare la moglie o la figlia del tuo amico, a meno ch´egli accarezzi la tua.
Non rubare. Non è il modo per avere successo negli affari. Meglio imbrogliare.
Non dare falsa testimonianza - che è una bassezza: dì «corre voce, così e cosà».
Non desiderare ciò che di riffa o di raffa, o in qualsivoglia modo, non ti sei procacciato.
Demonio (s.m.). Uomo le cui crudeltà sono riferite dai giornali.
Diavolo (s.m.). Responsabile delle nostre pene e padrone di tutte le cose belle e piacevoli del mondo. Fu creato dall´Onnipotente, ma nel mondo fu introdotto da una donna.
Disonestà (s.f.). Elemento importante del successo commerciale, a cui le scuole aziendali non hanno ancora attribuito un adeguato rilievo nel programma di studi, sostituendolo con una disciplina più debole, l´arte dello scrivere.
Dizionario (s.m.). Maligno strumento letterario per impedire la crescita di una lingua, e renderla rigida e anelastica. Fa eccezione il presente dizionario, che è opera utilissima.
Filosofia (s.f.). Strada con molte diramazioni che da nessun luogo conduce al nulla.
Gnostici (s.m.pl.). Appartenenti a una setta filosofica che cercava di attuare una fusione fra i primi cristiani e platonici. I cristiani non entrarono nella combine e il progetto fallì, con grande dispiacere dei suoi promotori e gestori.
Idiota (s.m.). Membro di una grande e potente tribù che ha sempre influito ed esercitato controllo sulle vicende umane. L´attività dell´idiota non è limitata a una specifica sfera di pensiero o azione, ma «pervade e regola il tutto». L´idiota ha sempre l´ultima parola, le sue decisioni sono inappellabili.
Incubo (s.m.). Membro di una razza di indecentissimi demoni, probabilmente non estinta ma che si può dire abbia ormai visto i suoi tempi migliori. Racconta Victor Hugo che nelle Channel Islands lo stesso Satana, più che altrove tentato dalla bellezza delle donne, agisce talvolta da incubo, con grande imbarazzo e preoccupazione delle brave signore che intendono osservare - generalmente parlando - la fedeltà coniugale. Una si rivolse al curato e gli chiese come si potesse distinguere nel buio un diabolico intruso dal marito. Tastandogli, rispose il sant´uomo, la fronte per scoprire se ha le corna. Hugo poco cavallerescamente esprime dubbi sulla validità del test.
Infedele (s.m.). A New York chi non crede nella religione cristiana, a Costantinopoli chi ci crede.
Lapidare (v.tr.). Avvalersi di sassi per esprimere biasimo.
Maiale (s.m.). Porcus onnivorus. Animale strettamente imparentato con l´uomo per l´imponenza e vivacità del suo appetito, che è tuttavia di minore portata, perché non si estende al maiale.
Martire (s.m. e f.). [1] Chi procede lungo la linea di minore resistenza verso una morte desiderata. [2] Chi si assoggetta alla morte piuttosto che fare qualcosa che gli è più sgradevole. La vittima non ha sempre chiara la differenza fra martirio e semplice assassinio.
Miracolo (s.m.). Atto o evento fuori dell´ordine naturale delle cose e inspiegabile, come vincere una mano con quattro assi e un re contro quattro re e un asso.
Occulto (agg.). Conoscibile solo da chi ritiene che valga la pena di conoscerlo.
Padella (s.f.). È parte dello strumentario usato in quello stabilimento penale ch´è la cucina di una donna. La padella fu inventata da Calvino, che la usava per friggervi gli infanti morti senza battesimo. Avendo un giorno notato l´orribile angoscia di un barbone che incautamente aveva preso dalla spazzatura un neonato fritto e lo aveva divorato, venne al grande teologo l´idea di eliminare i terrori della morte facendo adottare la padella da tutte le famiglie ginevrine. Da Ginevra la padella si diffuse in tutti gli angoli del mondo e fu di inestimabile aiuto per la propagazione della cupa fede calvinista.
Sacramento (s.m.). Solenne cerimonia religiosa a cui vengono attribuiti gradi diversi di autorevolezza e significanza. La chiesa cattolica ha sette sacramenti; le chiese protestanti, che hanno meno mezzi, ritengono di potersene permettere solo due, e di minore sacertà. Alcune delle sette più piccole non ne hanno affatto, e questa meschina tirchieria varrà loro senz´altro l´inferno.
Santo (s.m.). Edizione riveduta di un peccatore defunto. La duchessa d´Orléans racconta che il vecchio e irriverente calunniatore Marshal Villeroi, che aveva conosciuto san Francesco di Sales, ebbe a dire: «Sono contento di apprendere che monsieur de Sales è santo. Gli piaceva moltissimo fare discorsi sconvenienti e aveva l´abitudine di barare quando giocava a carte. Per il resto era un gentiluomo perfetto, per quanto stupido».
Strega (s.f.). [1] Vecchia brutta e repellente, in malvagia lega con il diavolo. [2] Giovane bella e attraente, che per malvagità batte di una lega il diavolo.
Tomba (s.f.). [1] Posto dove si depongono i defunti in attesa dell´arrivo degli studenti di medicina. [2] Casa dell´indifferenza. Le tombe sono oggi comunemente circondate da un certo sacro rispetto, ma se sono occupate da molto non si considera peccato aprirle e saccheggiarle. Il famoso egittologo, il dottor Huggyns, sostiene che una tomba può essere ripulita senza commettere un illecito appena il suo occupante ha smesso di puzzare, perché a quel punto l´anima è completamente svaporata. È un´opinione ragionevole, accettata ormai da tutti gli archeologi, e in questa maniera si è conferita grande dignità alla nobile scienza della curiosità.

Maurits Cornelis Escher

Il Mattino 21.5.05
Il maestro che ingannava l'occhio
Tiziana Tricarico

«Un uomo non potrà mai esprimere fino in fondo attraverso l’immagine l’emozione che prova»: questo scriveva Maurits Cornelis Escher. Poi scoprì l’Italia, il suo paradiso. Soprattutto il Sud, dove rimase affascinato dalle influenze moresche. Questo legame profondo - acuitosi nei numerosi viaggi attraverso numerose città tra le quali anche Napoli - è testimoniato dalle opere raccolte nella mostra «Nell’occhio di Escher», la retrospettiva del grande maestro olandese (nato nel 1898 e scomparso nel 1972) che si è inaugurata ieri a Castel Sant’Elmo. Organizzata in occasione del primo centenario dell’Istituto olandese e ospitata a Roma ai Musei Capitolini lo scorso ottobre, l’esposizione presenta 100 opere dell’artista - xilografie (incisioni su legno) e litografie - provenienti dalla Fondazione Escher, da alcuni musei dei Paesi Bassi, come il Rijksmuseum di Amsterdam, e da collezioni private. Il percorso espositivo della mostra, curata da Federica Pirani e Bert Treffers in collaborazione con Lidy Peters (catalogo Electa), illustra l’attività dell’artista dalle prime esperienze grafiche fino alle opere della piena maturità. Figlio di un ingegnere civile, Escher inizialmente seguì le orme paterne distinguendosi in particolare nelle arti grafiche. Nel 1921 fece il suo primo viaggio in Italia, per una vacanza con i genitori: nel Bel Paese lui, artista introverso e cerebrale, trovò sollievo al suo «mal di vivere», la depressione. In Italia Escher visse a lungo, traendo ispirazione dalla natura e soprattutto dalle architetture. «Se la felicità di un uomo dipendesse dal luogo in cui vive rimarrei a Siena per tutta la vita» scriveva Escher, che nei suoi diari annotava qualsiasi cosa, dalla necessità di fare il bagno alle sigarette che aveva fumato. Non solo la Toscana era nel cuore dell’artista. Nel 1923, spostatosi a sud, precisamente a Ravello, nella costiera amalfitana, incontrò la pittrice Jetta Umiker che diventerà poi sua moglie. Escher assorbiva attraverso gli occhi tutto quello che di bello lo circondava. E la realtà riflessa nell’occhio dell’artista diventava visione. Grande viaggiatore, andava in giro per luoghi e paesi sperduti: che ricreava in forse astratte ed enigmatiche, che erano le sue chiavi di lettura del mondo. Davanti agli occhi del visitatore sfilano così le opere del ciclo della «Creazione», i paesaggi arroccati o a picco sul mare, le vedute notturne di Roma. E poi le atmosfere fantascientifiche di architetture concave e convesse, o modulate da continui «su e giù». Fino alla «Torre di Babele», mezzo per vedere le cose dall’alto e diventare il dio della creazione, ai multipli di animali incastrati come tessere di un puzzle, alle «Metamorfosi», ai «Serpenti», la sua ultima opera. E «Le mani che si disegnano», testimonianza della predilezione di Escher per quelle parti del corpo, per lui incapaci di mentire. In mostra anche alcune matrici, oggetti vari e un video sulla vita dell’artista. Affollatissimo il vernissage al quale sono intervenuti, tra gli altri, il Soprintendente Nicola Spinosa, Bert Treffers («Senza l’esperienza italiana Escher non sarebbe mai diventato Escher»), la direttrice di Castel Sant’Elmo Angela Tecce, quella del Museo di Capodimonte Mariella Utili, e del Museo di San Martino Rossana Muzii e l’assessore provinciale Antonella Basilico. L’esposizione, organizzata da Civita e promossa da Regione, Provincia e Comune (inserita nel Maggio dei Monumenti e nel circuito Campania Artecard), è stata prodotta dal Comune di Roma in collaborazione con la Fondazione Escher di Baarn, con il Reale Istituto Neerlandese a Roma e con l’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi.

«Nell’occhio di Escher», Castel Sant’Elmo Napoli Aperta fino al 24 luglio.

dal Corriere Salute

Corriere Salute
La depressione (s)mascherata
A chi presenta questi disturbi va suggerito un intervento sul versante psichico prima che somatico

Sappiamo per esperienza che molti pazienti che si recano spesso dal medico di medicina generale lamentando diversi tipi di disturbi fisici che si rivelano poi senza base organica dimostrabile, presentano in realtà una sorta di equivalente della depressione. I sintomi più frequentemente presentati sono mal di schiena, mal di stomaco, senso di peso precordiale, dolori alle ossa o alla muscolatura, sensazione di blocco intestinale o dolore pelvico, mal di testa, sensazione di fatica, confusione e debolezza in generale nell'affrontare le cose e spesso calo del desiderio sessuale. Questi disturbi sono presenti nelle donne in proporzione quasi doppia che negli uomini.
L'umore non è sostenuto ma non raggiunge gli stati di abbattimento, di caduta dell'autostima, di pessimismo e di autodenigrazione della depressione classica.
Ciò che accomuna questi sintomi che portano dal medico è il dolore, e oggi sappiamo che dolore fisico e dolore mentale hanno molti punti in comune: hanno dei circuiti neuronali comuni, dei neurotrasmettitori in comune (serotonina, noradrenalina, citochine) e spesso dei rimedi terapeutici comuni.
Al fine di escludere patologie organiche, il medico inizia lunghi e costosi esami e, a volte, terapie sintomatiche, ma raramente ciò risolve la situazione.
Uno dei termini usati per indicare questa situazione è "depressione mascherata". È un vecchio termine tornato in auge per dare un nome e un inquadramento scientifico a questa realtà clinica estremamente diffusa. Si valuta infatti che circa il 40% dei pazienti che si presentano così dal medico siano portatori di questa variante depressiva, che è in realtà curabile dallo specialista psichiatra che potrà valersi prima di tutto della propria capacità di restituire al paziente la possibilità di "smascherare" la struttura depressiva che sostiene quel dolore e quei sintomi e di avviare una chiarificazione sul versante introspettivo. A chi presenta questi disturbi, insomma, va suggerito un intervento sul versante psichico prima ancora che somatico e oggi molti sintomi dolorosi di non chiara origine organica si curano molto bene anche con i farmaci antidepressivi, che vengono infatti impiegati sempre più spesso da reumatologi, ortopedici, internisti.

Corriere Salute
PSICOPATOLOGIA
La proteina dello stress

Una proteina, denominata Mapk, sembra avere un ruolo fondamentale nei comportamenti correlati allo stress. E sarebbe proprio la sua alterazione a provocare, nel caso di stimoli stressanti prolungati, disturbi quali depressione, ansia e tossicodipendenza.
La scoperta, dei ricercatori del CNR di Palermo, getta le basi per lo sviluppo di nuovi farmaci mirati per questi disturbi, capaci di agire più efficacemente e con minori effetti collaterali.

referendum

il manifesto 21.5.05
Stefano Rodotà:
«L'integralismo cattolico ha voluto dare l'assalto alla prima parte della Costituzione»


(...)
Sul merito dello scontro in atto è intervenuto ieri al consiglio nazionale dei Ds anche il giurista Stefano Rodotà, soffermandosi sul fatto che con la legge sulla procreazione assistita l'integralismo cattolico ha voluto dare l'assalto alla prima parte della Costituzione. «La legge 40 - ha spiegato Rodotà - è tutta all'insegna dell'oblio costituzionale. E'una legge che nega il principio della dignità, quando considera la donna un mero contenitore nel quale impiantare qualche cosa. Nega l'uguaglianza delle cittadine di fronte alla legge, ignora il diritto alla salute nel momento in cui esclude la libertà di scelta rispetto alla possibilità di cura. Il significato di questa legge va ben al di là della materia che ha regolato. E' il primo atto concreto con cui si vogliono azzerare i valori della prima parte della Costituzione. Ecco la ragione per cui lo scontro è così aspro. I teocon nostrani stanno facendo le loro prime prove per occupare, con valori democraticamente non legittimati, lo spazio definito dalla prima parte della Costituzione».

L'Unità 22 Maggio 2005
L’uso politico della clonazione
Carlo Alberto Redi
Accademico dei Lincei
Università di Pavia


Dalle pagine dei quotidiani di questi ultimi mesi abbiamo assistito a un dibattito senza precedenti per il nostro Paese riguardo la determinazione dell’origine dell’individualità biologica: la materia del contendere tra pensatori di varia estrazione è se sin dal momento della fecondazione ci troviamo dinnanzi a un nuovo individuo. È stato molto interessante assistere alla citazione di testi classici della embriologia molecolare in questa disputa, non solo santi e padri della Chiesa ma anche Lewis Wolpert, per sostenere che un nuovo individuo (animale o vegetale) risulta da un processo capace di integrare piani sempre più complicati di organizzazione cellulare e tissutale. Aspetto quanto mai chiaro ai biologi e ai medici.
Al di là degli esiti referendari, dibattiti di questo tipo sono di aiuto alla crescita della società civile che impara a confrontarsi, magari spaccandosi, con le grandi sfide che il secolo della biologia ci pone. Ciò è stato di scarso rilievo per il secolo della chimica (‘800) e più rilevante per il secolo della fisica (‘900). Ed allora è bene essere aggiornati sul tema e capaci di trovare mediazioni.
Le varie opzioni sono ormai sul tavolo e si possono brevemente riassumere. Alcuni ritengono che l'individuo umano abbia origine quando compare il sistema nervoso intorno al 14° giorno della gestazione (è questo anche il limite temporale per la formazione di gemelli monozigoti), a questo riguardo è celebre l’aforisma di Lewis Wolpert rivolto agli studenti: «il momento più importante della vostra vita non è quando siete nati o quando morirete, è quando avete gastrulato!». Altri considerano il giorno dell’impianto uterino (6°-7° giorno) o il momento di acquisizione di autonomia del sistema respiratorio o del sistema nervoso (diversi mesi dello sviluppo fetale). Altri ancora collocano questo inizio nella fecondazione, cioè nella fusione delle membrane dello spermatozoo e dell’oocita, poiché così si realizza la formazione dello zigote (l’embrione formato da una sola cellula) che moltiplicandosi innumerevoli volte produce un milione di miliardi di cellule, tante sono presenti nel corpo umano.
Ciascuna di queste proposizioni soffre di contraddizioni. Per citarne una ad esempio, il criterio della fecondazione non prevede la presenza dei bimbi nati per procreazione assistita con il metodo di iniezione dello spermatozoo (Icsi), ove non si realizza la fecondazione: eppure molti sono tra noi. Per tentare di trovare un punto di condivisione è utile applicare il metodo scientifico, tante volte richiamato.
Nelle prime fasi successive alla fecondazione l’embrione dipende ancora dalle istruzioni genetiche ricevute dal genoma materno (Rna messaggeri presenti nel citoplasma). Il programma di sviluppo del nuovo individuo è geneticamente programmato dalla prima copia attiva del suo genoma. Su questo dato fattuale non vi è incertezza: le conoscenze biologiche permettono di stabilire in modo non ambiguo che l’inizio ontogenetico del processo materio-energetico che origina ed identifica un nuovo individuo coincide con il momento in cui si realizza la formazione della prima copia geneticamente attiva del suo genoma. Sotto il profilo biologico, non importa come si realizza la presenza della prima copia del genoma, diversi sono i meccanismi in natura ed in tecnologia. Nella partenogenesi (riproduzione sessuata uniparentale, la sola femmina), nella riproduzione asessuata o artificialmente con il trasferimento nucleare, il risultato finale è quello di produrre un embrione unicellulare chiamato zigote. Il quale ancora dipende dalle informazioni genetiche prodotte dalla madre ed immagazzinate sotto forma di Rna messaggeri nel citoplasma della cellula uovo. Solo in momenti temporali successivi alla fecondazione la prima copia genomica (che è nel frattempo stata meramente duplicata e segregata in diverse cellule dell’embrione) si attiva. Nel topo questo momento coincide con lo stadio a due cellule, nella nostra specie coincide con lo stadio embrionale a quattro cellule e cioè dopo due giorni dalla fecondazione. In questi due giorni molti sono gli embrioni che vanno naturalmente persi (circa l’80% dei concepimenti abortisce spontaneamente senza che nessuno se ne accorga).
I sostenitori delle varie posizioni potrebbero ben accettare questa proposta senza nulla rinunciare dei propri principi. Ciò aiuterebbe molto. La manipolazione dell’embrione sino allo stadio a quattro cellule permetterebbe la produzione di quanti embrioni il medico ritenga necessari per ciascuna delle proprie pazienti, la diagnosi preimpianto e la derivazione di linee di staminali embrionali umane. Il che avrebbe a livello nazionale non pochi vantaggi in vista del referendum e di una riformulazione della legge, ormai necessaria qualunque sia l'esito del referendum. Le notizie poi del lavoro di Hwang e Schatten in Sud Corea e della prof. Murdoch a Newcastle aprono nuovi scenari: l’efficienza raggiunta e la purezza delle linee staminali ottenute sono il segno più chiaro che la ricerca ora si concentrerà sul controllo del potenziale moltiplicativo di queste cellule e sul come differenziarle nei tipi tissutali necessari per le varie terapie. Ci vorranno anni ma si arriverà a questo risultato. E dunque non ci si può nascondere dietro la semantica per dirsi a favore di queste ricerche: gli embrioni creati a Seoul ed a Newcastle non sono “pseudoembrioni”. Così come per favorire il divieto non si può dire che l’assemblea generale dell’Onu ha proibito la clonazione terapeutica: 71 a favore, 35 contrari e 43 astenuti è il risultato del voto su una dichiarazione politica, non ritenuta vincolante, per vietare anche la clonazione terapeutica.
Di rilievo dovremmo considerare il fatto che Gran Bretagna, Spagna, Svezia, Cina, Corea del Sud, Singapore, alcuni Stati degli Usa (con John Kerry che appoggia la clonazione a fini terapeutici) si siano già detti del tutto contrari ad un simile bando; che la quasi totalità delle Accademie nazionali scientifiche si siano espresse a favore della clonazione terapeutica; che ormai solo due o tre paesi fanno compagnia al nostro nel vietare anche l’utilizzo degli embrioni criopreservati. È inoltre importante rilevare che le cellule uovo impiegate per produrre gli embrioni da cui derivare le staminali sono oociti donati da signore che lasciano queste cellule uscendo da programmi di riproduzione assistita o sono volontarie che non ricevono un centesimo come compenso. Entro breve sapremo derivare linee staminali anche dall’embrione a quattro cellule, prima che la copia del nuovo genoma (l’universale kantiano tanto inseguito; si pensi al dibattito tra Sartori, Severino, Amato ed i loro opponenti) si attivi e di conseguenza si manifesti la individualità biologica del nuovo individuo. L’accettazione di questi dati della biologia dello sviluppo eviterebbe laceranti conflitti prossimi venturi. Due mi paiono all’orizzonte: cause da danno o torto biologico di bimbi nati con patologie diagnosticabili nei confronti dei propri genitori ed il dramma lacerante per coloro che dovranno decidere se impiegare o meno cellule di derivazione embrionale per curarsi.

sinistra
Bertinotti e i movimenti

Liberazione 20.5.05
In un palazzo occupato di Roma, Action incontra i leader della sinistra radicale
Bertinotti a Nunzio D'Erme: «Un nuovo rapporto tra politica e movimenti»
Checchino Antonini

«Benvenuti nell'associazione a delinquere». Lo striscione svetta alle spalle di Fausto Bertinotti e Alfonso Pecoraro Scanio nella sala-teatro di un palazzo occupato da famiglie italiane e straniere nel quartiere S. Lorenzo di Roma.
L'ha occupato Action, l'agenzia per i diritti di precari, migranti, studenti, che ha scritto, insieme ad altri, la delibera sul diritto all'abitare che il Campidoglio ha iniziato a discutere da poche ore. L'assessore Minelli, presentandola, ha detto di Action che sono gli unici, assieme alla Chiesa e al Comune a fare qualcosa per gli "ultimi". Eppure proprio loro sono nel mirino di un pm per il quale organizzarsi per il diritto alla casa è un'associazione a delinquere. Lunedì prossimo il Riesame romano deciderà sulla richiesta di arresti domiciliari per alcuni attivisti di Action tra cui Nunzio D'Erme, consigliere disobbediente in Campidoglio.
Ma il dramma abitativo coinvolge migliaia di famiglie a Roma e centinaia di migliaia di persone in tutta Italia. La sala teatro - affollatissima anche di bambini - sentirà molte storie di vita sotto sgombero, di ricatti delle grandi immobiliari, di sfratti paragonati al mobbing al punto da decidere di compilare una cartella clinica di caseggiato, di sfratti per morosità perché gli affitti non hanno più relazione con i redditi, di una magistratura che sembra asservita ai poteri forti della città, di azioni disperate come lo sciopero della fame, di picchetti antisfratto al mattino presto con una manciata di presidenti e consiglieri municipali che partecipano al picchetto con la fascia bicolore.
Action tenta di organizzare gli invisibili, di costruire un nuovo tipo di rappresentanza e di vertenza sindacale che rivendichi diritti e beni comuni, come la casa. Per questo pone domande pressanti alla politica, chiede atti giuridici coraggiosi (blocchi degli sfratti, requisizioni di stabili sfitti ecc. ..) che invertano una tendenza. Di fronte ai diritti, dicono molte voci, la proprietà privata deve fare un passo indietro.
Quando Nunzio D'Erme accenna ai tre bolognesi arrestati l'altroieri la sala rimbomba di applausi: «Siamo sovversivi ma per necessità - spiega il disobbediente - perché l'Europa si è blindata rispetto alle lotte sociali: un'autoriduzione diventa una rapina, un picchetto diventa sequestro di persona. E' un attacco giudiziario che non ha precedenti e l'accerchiamento è destinato a durare anche se ci sarà un governo di centrosinistra se il suo modello sarà Cofferati. Per bloccare gli sfratti ci siamo dovuti mettere nelle condizioni di farci carcerare, di farci ammazzare!». D'Erme parla con la passione di sempre, interrotto dagli applausi continui. La sala è stracolma di occupanti di case e centri sociali, attivisti e dirigenti di Rifondazione, verdi, Pdci (all'ultimo momento Maura Cossutta ha dato forfait), sindacalisti delle Rdb, deputati e consiglieri regionali, provinciali e comunali (Russo Spena, Cento, Anna Pizzo, Mariani, Simeone, Spera). Quando D'Erme termina ci sarà un lungo abbraccio con Fausto Bertinotti che qualcuno vorrà leggere come segno di pace tra i due dopo le polemiche risalenti alle scorse europee. In realtà una relazione sulle «questioni materiali» non è mai venuta meno, come spiega Patrizia Sentinelli, capogruppo in Campidoglio e membro della segreteria Prc che segue i movimenti sociali. «Action ha conquistato spazi di libertà per tutti e la delibera sulle questioni abitative, scritta insieme a noi e altre reti sociali, ne è l'aspetto più rilevante. Vuol dire che anche certe istituzioni capiscono che non si possono mandare allo sbaraglio le lotte».
Quando tocca a lui, Bertinotti sceglie di «non cavarsela con un po' di slogan». La domanda che pone riguarda tutti: «Come si fa a passare da una vittoria parziale a un successo generale? Cacciare Berlusconi - dice - è necessario ma questo risultato va incardinato da ora in un rapporto tra politica e movimenti, oppure vincerà la tentazione di politiche moderate». Il suo ragionamento toccherà l'Europa in costruzione, quella del trattato costituzionale e delle direttive, tutt'altro che neutrali nei confronti del conflitto sociale, per tornare alla questione cruciale dei rapporti tra chi, come Action «costruisce la lotta nei punti di esclusione, lottando spazio per spazio, denunciando la situazione inaudita di Bologna come si è fatto per il teorema di Cosenza. Ma senza rinunciare a indicare elementi con cui cambi l'idea di governo, rivendicando una discussione sul codice penale come fece il movimento operaio imponendo una nuova legalità». Il nuovo rapporto movimenti-politica, secondo il segretario di Rifondazione, dovrà sfruttare le nuove potenzialità della dimensione municipale e riorganizzare le forme della democrazia. La risposta alle questioni poste dal caso Bologna passerà anche per i nuovi consigli regionali: «Che blocchino loro gli sfratti visto che non lo farà il governo», dirà anche Bertinotti riprendendo una sollecitazione dell'assemblea. Prima di lui anche il leader verde Pecoraro Scanio ha definito «demenziale il ricorso ai reati associativi» contro i protagonisti delle lotte sociali. Poi, rivolgendosi non solo ai presenti: «Casa, reddito, scuola, sanità sono un banco di prova per le nuove giunte di centrosinistra ma, senza far pagare le tasse ai ricchi e senza tassare i proprietari di immobili dove si troveranno soldi per politiche solidali?».

il manifesto 20.5.05
«Disobbedienti, non delinquenti». Ed è pace con Rifondazione
Bertinotti e Pecoraro Scanio abbracciano D'Erme a un'assemblea di Action. Mentre il pm di Bologna indaga per reati associativi
Angelo Mastrandrea

ROMA. Quando Fausto (Bertinotti) si alza e abbraccia Nunzio (D'Erme) per sancire la pace fatta dopo un anno di rapporti congelati, Alfonso (Pecoraro Scanio) è già andato via da un pezzo e il fantasma di Sergio (Cofferati) continua ad aleggiare sull'assemblea nel palazzo occupato da Action di via de Lollis, nel quartiere San Lorenzo. Forse Cofferati non avrebbe gradito essere chiamato per nome come fanno Pecoraro Scanio e Bertinotti fra loro e con il disobbediente D'Erme, forse non avrebbe nemmeno accettato di andare a discutere con chi compie azioni «illegali» come invece fanno il presidente dei Verdi e il segretario di Rifondazione. Specie ora che il Gip di Bologna ha confermato l'arresto, per resistenza a pubblico ufficiale, dei tre disobbedienti a favore dei quali una parte della platea romana domani andrà a manifestare nel capoluogo emiliano. E dopo che la procura sta valutando, esattamente come accaduto a Roma nei confronti di Action, l'ipotesi di un reato associativo. Un'accusa che Bertinotti e Pecoraro definiscono senza mezzi termini, e con le stesse parole dei militanti di Action, «un'aberrazione giuridica». Perché «nel nostro ordinamento serve a colpire la criminalità organizzata» e non la disobbedienza civile, dice il leader dei Verdi. «Una situazione inaudita», quella di Bologna per il segretario del Prc, per questo «dobbiamo difendere l'agibilità del conflitto sociale per oggi, con una campagna per Bologna come fu per gli arresti di Cosenza (nei confronti della Rete del sud ribelle, a novembre 2002, ndr), e anche per domani, quando al governo potrebbe esserci il centrosinistra». E qui il riferimento all'atteggiamento di Cofferati è abbastanza esplicito. «Auspico che un governo di centrosinistra dia più spazio ai movimenti, ma se il punto di riferimento è Bologna stiamo freschi», dice ancora più esplicitamente D'Erme. Il momento non è dei più felici per la galassia dei movimenti ex disobbedienti e non solo. «Siamo di fronte a un attacco giudiziario senza precedenti», dice Nunzio D'Erme. 102 occupanti di case sotto processo, una decina già condannati, uno sgombero a Roma non degenerato solo grazie all'intervento del comune, i tre arresti bolognesi e altri sette sui quali il Riesame si esprimerà la settimana prossima. Senza considerare le altre inchieste, a partire da quella sulla «spesa sociale» del 6 novembre. Ma quel che appare più preoccupante è la tipologia di reati contestati, a partire appunto da quelli associativi. Per questo ieri a Roma l'incontro che ha segnato la pace tra Rifondazione e disobbedienti dopo la mancata nomina, un anno fa, di D'Erme al Parlamento europeo. Ma anche perché alle elezioni regionali il Prc, fatta eccezione per il caso Vendola, non ha ripetuto l'exploit di un anno fa alle europee, e ora, dice Bertinotti, «insieme dobbiamo contribuire a riformare il rapporto tra politica e movimento». Un «interesse reciproco», quello a ricucire, secondo il vicepresidente rifondarolo del consiglio provinciale Nando Simeone.
Il riavvicinamento avviene su un tema attuale come non mai, cioè come difendere le lotte per la casa dagli attacchi giudiziari, in un momento in cui l'emergenza abitativa è massima, per via dell'aumento spropositato degli affitti come del non rinnovo della proroga degli sfratti. E su questo Bertinotti, ma anche Pecoraro Scanio, non potrebbero essere più distanti dall'atteggiamento legalitario di Cofferati a Bologna. Perché non solo non battono ciglio quando si siedono sotto uno striscione che dice «benvenuti nell'associazione a delinquere», ma difendono la legittimità della disobbedienza civile così come farebbero per un picchetto operaio e si dicono disponibili a un'azione parlamentare e politica per l'abolizione dei reati d'opinione, riscuotendo entrambi abbondanti applausi.
(...)

storia medioevale, una vicenda vasta e misteriosa
la crociata dei bambini

il manifesto 20.5.05
La lunga marcia dei bambini
L'incredibile e misteriosa vicenda della «crociata dei bambini», marcia della morte di migliaia di piccoli invasati attraverso l'Europa e l'Italia verso un'irraggiungibile Terra Santa
Errico Buonanno

La storia delle crociate, che di recente è ritornata all'attenzione del gran pubblico grazie a mediocri casi cinematografici, è un cammino impressionante di orrori e fede, di fango e argento, d'ipocrisia e di onore, lungo il quale ci è dato di assistere all'ultima rappresentazione di quel medioevo europeo, splendente nei colori delle sue pitture, oscuro nelle notti della ragione, povero nella sua ingenuità d'ideali e favole, che da quel giorno in poi, forse, intraprende una fase differente per avviarsi lentamente verso un moderno disincanto. Quella delle crociate è una vicenda orrenda per intolleranza, calcoli e profitti, non solamente contro i mori: basti pensare a quella spedizione proclamata da Innocenzo III nel 1199 (la quarta, dopo altre due segnate da cocenti sconfitte), conclusasi con quel sacco di Costantinopoli con cui si umiliò e distrusse la cristianissima capitale d'Oriente in aiuto della quale si era, anni prima, scesi in campo; basti pensare alla crociata vergognosa contro gli Albigesi del 1208. Eppure, allo stesso tempo, questo fu a volte anche il teatro in cui venne rappresentato il massimo dramma di una religiosità quotidiana e miracolosa, una visione dell'universo in cui cielo e terra, testo biblico e realtà, venivano a congiungersi per rendere possibile, con la massima semplicità del mondo, l'incredibile.
È proprio in quest'ultima ottica che, tra le molte crociate minori e misconosciute che attraversarono il Mediterraneo accanto a quelle ufficiali, s'iscrive un caso straordinario e commovente; un episodio quasi non testimoniato dalle cronache dell'epoca, forse - come già ipotizzò Corrado Pallenberg - per la sua sconfinata fama, che lo rendeva anche superfluo da raccontare; forse, chissà, per il pudore dei cronisti davanti a una vicenda tanto tragica. Ci riferiamo alla «Crociata dei bambini», che prese il via nell'anno 1212 dalla Germania e dalla Francia, per poi concludersi in Italia con la scomparsa di decine di migliaia di ragazzi, tutti al di sotto dei dodici anni.
Una storia misteriosa
Per tessere le fila di questa storia inverosimile e per certi versi ancora misteriosa, dobbiamo affidarci a pochissime tracce scritte, a partire dai commenti lapidari degli Ellenhardi Argentinensis Annales: «Ed in quell'anno avvenne il viaggio degli stupidi bambini» e degli Annales Maurimonasterienses: «L'anno precedente se ne andarono i bambini, intenzionati a traversare il mare a piedi asciutti». Entrambi non dicono altro: dunque a che cosa, esattamente, si stanno riferendo? Quale evento inquietante si nasconde dietro queste affermazioni?
Per capirlo, ci viene forse in aiuto l'anonimo di Laudon: «Nel mese di giugno del 1212 un bambino di nome Etienne, del villaggio di Cloyes presso Vendôme, di mestiere pastore, diceva che il Signore, sotto la veste di un povero pellegrino, dopo aver ricevuto da lui del pane, gli aveva dato delle lettere da consegnare al re di Francia». Siamo ad un mese solamente dalla grande processione indetta dal papa per fomentare la quinta crociata. Non conosciamo il contenuto delle missive a cui fa accenno questa cronaca, carte che effettivamente Etienne possedeva e che voleva recare al sovrano, ma è probabile che si trattasse di una richiesta d'aiuto a re Luigi per organizzare una massiccia spedizione alternativa in Terra Santa e liberare quella Gerusalemme che il «feroce» Saladino aveva riconquistato già venticinque anni addietro.
Quello che è certo è che, in ben poco tempo, il piccolo Etienne riuscì a convincere un numero impressionante di bambini a unirsi a lui, per lo più disarmati, a piedi, e a partire tutti soli alla volta di Parigi e quindi del Santo Sepolcro. Matthieu Paris, nella sua Chronica Majora, ci riferisce di come «un certo fanciullino, che era fanciullo per età ma di costumi perversi», andasse in giro a predicare. «E un numero infinito di altri suoi coetanei, dopo averlo visto e udito, lo seguivano. I quali, come infatuati da un influsso diabolico, abbandonati i padri e le madri, le nutrici e tutti gli amici, andavano cantando allo stesso modo del loro pedagogo». Si dirigevano verso il mar Mediterraneo, volendo attraversarlo a piedi, convinti che, come davanti agli ebrei in fuga dall'Egitto, anche per loro il buon Dio avrebbe spalancato le acque. «E il loro maestro veniva messo su un carro adornato di palli, stipato di guardie del corpo...».
Questa fascinazione collettiva, che agli occhi dei contemporanei dovette certamente apparire opera satanica - ecco i bambini che, «rompendo le serrature e le pareti», lasciavano le case come nella tragica fiaba del pifferaio di Hamelin, di cui questo episodio fu probabilmente all'origine - era in realtà il frutto coerente di una cultura radicata saldamente in tutta Europa.
Il miracolo non era irrealizzabile
Il miracolo non era cosa irrealizzabile per un popolo bambino, e forse proprio a causa della scarsa purezza dei combattenti le ultime due crociate si erano rivelate misere trappole per topi per condottieri quali il Barbarossa o Riccardo Cuor di Leone, fermati entrambi da un destino avverso. A queste anime innocenti, invece, il Signore non avrebbe certamente lesinato i propri favori e, se già una volta aveva aperto il mare, non c'era ragione di credere che non l'avrebbe fatto ancora.
C'è poi da aggiungere che, proprio nella Francia settentrionale da cui quest'inquietante spedizione prese il via, sviluppatissimo era il culto dei Santi Innocenti, ovvero dei neonati trucidati nell'antichità da Erode durante la celebre strage, che già nel XII secolo la liturgia cattolica accettava pienamente, con festa il 28 dicembre. Durante questo giorno sacro, i bambini erano fra loro autorizzati ad eleggere un vescovo, l'episcopus puerorum, a rivestirlo della mitra e della stola e a portarlo in processione accompagnato da dei tamburini. Il vescovo dei bambini poteva celebrare messa e la sua carica durava, ad ogni effetto, per l'intero giorno. Non c'è poi dunque da stupirsi se al piccolo Etienne fu tributato questo stesso onore e se a migliaia furono pronti a riversarsi nell'immensa processione verso la città santa.
Contemporaneamente, qualcosa di analogo stava avvenendo, in luglio, tra alcuni giovani tedeschi. Leggiamo dalle Gesta Treverorum: «I bambini, giunti da tutte le città e i villaggi della Germania, come se fossero stati ispirati da Dio, si riunirono in alcuni luoghi e, raggruppati in torme, intrapresero il cammino verso Gerusalemme... Il duce e capo di questo viaggio era un certo Nikolaus, un bambino di Colonia, che portava sopra di sé un segno quasi di croce, avente la forma della lettera Thau e che doveva significare la sua santità». La croce a Thau era anche il segno che gli ebrei avevano tracciato con il sangue di agnello sulle porte di casa per scampare alla piaga della morte dei primogeniti (quindi ancora un segno d'innocenza riferito ai più piccini) e Nikolaus, come gli ebrei, era stato visitato da un angelo che gli aveva ordinato d'intraprendere la crociata.
Possiamo immaginarci questa scena straordinaria: decine di migliaia di bambini, di età e ceti diversi (Jacopo da Varagine ci dice che i più nobili erano stati costretti dai genitori ad essere almeno accompagnati dalle nutrici) diretti, in festa, verso le Alpi al suono di inni sacri, a cui man mano si aggiungevano giovani chierici, madri con neonati in braccio, mendicanti...
La storia delle due spedizioni è differente ma unita da un solo tragico destino. La crociata tedesca riuscì in effetti a valicare le Alpi, subendo perdite indicibili a causa del freddo, della fame, delle tremende insidie dei crepacci (da ventimila eran ridotti a settemila). Gli annali di Piacenza e di Cremona ci riferiscono del loro passaggio: «Un bambino di meno di dieci anni arrivò dalla Germania con una infinita moltitudine di poveri dicendo che avrebbe attraversato il mare senza navi». Giunti a Genova, pare che i piccoli crociati presero ad invocare l'aiuto di Dio presso la riva: pregarono, piansero, cantarono, ma il mare non si volle aprire. Fu così che la fede cieca per il giovane Nikolaus venne a scemare, ma a questo punto i più erano troppo stanchi e disorganizzati per ritornare facilmente a casa. Che cosa fare?
«Due navi da essi stessi noleggiate presero il mare; ma fino a ora non si sa se raggiunsero alcun porto né a quali regioni vennero trasportati». Fatta eccezione per questi dispersi, la maggior parte prese a vagare miserevolmente per l'Italia: «Alcuni morirono per fame e gli altri tornarono alle loro case in confusione» (il che vorrebbe intendere non indifferenti turbe psichiche). Molti divennero dei servi, le bambine furono stuprate. Secondo un'altra cronaca: «Gli altri che rimasero caddero in un tale stato di povertà che nessuno volle dar loro ospitalità. Perciò la maggioranza di essi giacque uccisa dalla fame nei vicoli e nelle piazze e non vi era alcuno che li seppellisse».
Ceffi senza scrupoli
Quanto ad Etienne, si sa che il re, a Parigi, non accettò di riceverlo. Giunto a Marsiglia con i suoi compagni, a stare a quel che ci racconta Alberico delle Tre Fontane, egli incontrò due ceffi senza scrupoli dai nomi non raccomandabili, Guglielmo Porco ed Ugo Ferro, che si offrirono, per la gloria del Signore, di trasportarli in nave gratis fino in Terra Santa. «Riempirono con essi sette grandi navi. Dopo due giorni di navigazione due delle navi vennero colte da una tempesta e naufragarono (...). I traditori condussero le rimanenti cinque navi a Bugia e ad Alessandria e colà vendettero tutti i bambini ai principi dei saraceni e ai mercanti.»
Così venne a morire questo stupefacente esempio di fede assoluta e ingenuità; un episodio che racchiude in sé lo spirito tragico e sognante di tutta un'epoca e che, probabilmente, c'illustra meglio di tanti altri quale follia atroce e splendente era sottesa alle crociate. «Questa difatti fu la fine della faccenda» - concludono le Gesta Senoniensis - «E fino ad ora è stato impossibile scoprire che cosa questo fatto inaudito presagisse». Come notò di nuovo il Pallenberg, forse non presagiva altro se non l'inizio di un amarissimo, weberiano «disincantamento del mondo».

un libro di storia:
tutta la violenza del Novecento

il manifesto 21.5.05
I trionfi della violenza nel XX secolo
Tra guerre e genocidi il secolo trascorso è il più sanguinario che la storia abbia conosciuto. Un panorama agghiacciante e articolato che Marcello Flores ricostruisce nel suo saggio edito da Feltrinelli con il titolo Tutta la violenza di un secolo
Simon Levis Sullam

«Si calcola, in sintesi, che nel corso del Novecento le persone uccise in atti di violenza di massa siano state tra i cento e i centocinquanta milioni (qualcuno propone addirittura la cifra di duecento)». Con questa agghiacciante contabilità prende avvio la riflessione di Marcello Flores in Tutta la violenza di un secolo, recentemente edito da Feltrinelli (pp. 206, 13 euro). Il Novecento è considerato uno dei secoli più violenti della storia: i numeri da cui Flores prende le mosse rinsaldano questa convinzione, basti pensare alle guerre del secolo scorso, che «rappresentano il 95% dei morti nelle guerre degli ultimi tre secoli», ai milioni di morti dei regimi totalitari, a quelli dei massacri coloniali e post-coloniali. Ma l'analisi proposta dallo storico non è, naturalmente, solo quantitativa, e procede rapidamente a scomporre in dieci sintetici quadri il problema della violenza politica, militare, di stato ed etnica che ha martoriato il secolo, proponendone una sorta di antropologia politica, saldamente fondata su basi storiche e costantemente incalzata da interrogativi etici. Flores prende le mosse dalle forme, dagli obiettivi e dai contesti della violenza, passando per un confronto tra guerre e genocidi e per un'analisi dei loro rapporti, fino ad interrogarsi sui responsabili della violenza e sulle diverse modalità di partecipazione ad essa. Giunge quindi al problema della giustizia, della memoria e anche della negazione della violenza, e infine ai possibili perdoni e alla riconciliazione. Ma la riflessione non si conclude su questo punto, articolato del resto in forma interrogativa, bensì sulla questione delle responsabilità dell'Occidente e degli stati democratici rispetto alla violenza. Responsabilità troppo spesso attribuite ad altri: altre culture e religioni, altre forme politiche; e immaginate come estranee alla democrazia. Ma in cui tanta parte - parte centrale e decisiva - ha avuto invece l'Occidente civilizzato, culturalmente più avanzato e teconologicamente progredito.
È il paradosso che, del resto, sta dietro alla distruzione degli ebrei d'Europa nella Shoah - vertice della violenza del secolo - a partire dai perversi rapporti tra «modernità e olocausto» (già studiati in un magistrale saggio di Zygmunt Bauman); ma anche alla violenza coloniale che inaugura il Novecento con la guerra anglo-boera in Sudafrica o il massacro degli Herero da parte tedesca nel 1904. In forme diverse questo paradosso si ritrova nelle guerre che, come già in Corea e in Vietnam cinquanta o quaranta anni fa, hanno preteso di «esportare la democrazia» nei Balcani o nel sud-est asiatico e nel medio oriente, ormai nel nuovo secolo.
Lo storico non si accontenta dunque di attribuire le cause della violenza alla natura umana e ai suoi istinti; ancor meno accetta di ricondurle a specifiche tradizioni culturali o religiose. Studia di volta in volta i contesti specifici delle violenze, ne ricostruisce a ritroso le tappe della genesi e della loro evoluzione, individua e scompone un insieme di motivazioni in parte strutturali in parte contingenti, stabilisce responsabilità molteplici e gradi diversi di implicazione. Nell'analisi di Flores ha un ruolo centrale l'elemento politico, anche nei contesti dove sembrano prevalere fattori religiosi o etnici: come in India all'indomani dell'indipendenza, nella ex Jugoslavia della «pulizia etnica», nel Ruanda del genocidio dei Tutsi. L'obiettivo della strage o del genocidio è, secondo Flores, comunque politico, e la «ragione politica presiede in ogni caso alla decisione di usare la violenza, e quasi sempre anche alle forme con cui colpisce le sue vittime». Fondamentale è, in questi processi che conducono alla violenza e alla guerra, l'individuazione - spesso la «costruzione» e l'«invenzione» - di un «nemico»: l'obiettivo da sconfiggere per la conquista territoriale o l'egemonia politica o economica.
Il «nemico» costituisce infatti un fattore di coesione per il gruppo, di mobilitazione delle masse e di legittimazione del potere e, naturalmente, della violenza. Secondo l'autore di Tutta la violenza di un secolo, «è l'intreccio tra la creazione di un clima favorevole alla criminalizzazione del nemico e un fatto concreto capace di suscitare allarme e timore, a fare da detonatore alla scelta politica [della violenza] già compiuta e predisposta dai governi e dalle autorità civili e militari». Partendo dall'analisi classica del totalitarismo dovuta ai politologi di Harvard Friederich e Brzezinski, ma anche dall'interpretazione del processo di civilizzazione del sociologo tedesco Norbert Elias, Flores enfatizza la centralità del monopolio della violenza acquisito dagli Stati (e da «minoranze radicali» alla guida di essi), ricordando che «i tre quarti almeno delle morti del XX secolo» si devono ai totalitarismi fascisti e comunisti, ma non dimenticando la parte avuta dagli Stati liberali. Nelle guerre coloniali e imperiali, dall'Indocina all'Algeria per la Francia, all'India per l'Inghilterra; e prima di allora nelle guerre «giuste» per la democrazia dei conflitti mondiali e di tanti altri che seguiranno fino ad oggi. La violenza, del resto, non è affatto un problema specifico dei contesti culturalmente o socioeconomicamente arretrati, perché è potenzialmente presente in tutte le civiltà e in tutte le fasi del loro sviluppo.
Pagine particolarmente dense sono dedicate ai rapporti tra guerra e «genocidio», termine creato nel corso della seconda guerra mondiale dal giurista ebreo americano Lemkin per tentare di definire la Shoah mentre essa si stava ancora consumando. Tuttavia, gli storici estendono questa categoria anche a esperienze come quella degli Armeni nella prima guerra mondiale o del Ruanda negli anni Novanta. Una costante di queste vicende su cui spesso non si riflette, perché apparentemente estrinseca, è l'indifferenza generalizzata della comunità internazionale che faceva da cornice. L'indifferenza morale contò per altri versi anche nell'atteggiamento dei carnefici, fosse essa il frutto di una fedeltà nazionale o etnica, o dell'obbedienza all'autorità. Secondo Flores, nel rapporto spesso fondamentale tra guerra e genocidio (la prima ne costituisce il contesto ideale quando non necessario), il genocidio appartiene alla «logica» estrema della violenza come «limite» verso cui la guerra inevitabilmente tende quando abbia alla base «una forte impronta nazionalistica, una rivendicazione identitaria assoluta» o «un carattere etnico marcatamente esibito».
Nelle conclusioni, Flores lascia tra l'altro la parola allo storico americano Charles Maier, che in un suo «bilancio storico alla fine del Novecento» aveva individuato nel XX secolo due storie parallele: «lo scontro titanico tra ideologie collettive omicide, ormai giunte al termine, e il dramma persistente dello sviluppo globale e della diseguaglianza». Dimostrando con la sua indagine e le sue riflessioni che non esistono risposte univoche di fronte alla violenza contemporanea, e che lo storico può offrire i suoi strumenti anche per la comprensione delle maggiori tragedie del secolo, delle manifestazioni più irrazionali e perverse dell'animo umano tradotte in azioni collettive omicide, dell'intreccio tra disegni ideologici, progetti di dominio e potere, guerre teconologiche o arcaiche (come, apparentemente, il «genocidio del machete» in Ruanda).
Gli strumenti dello storico stanno in particolare nell'illuminazione dei contesti, nella moltiplicazione delle cause, persino nell'identificazione con le «ragioni» dei perpetratori, cioè nello scandaglio anche emotivo delle «presunte o parziali verità, percepite come reali da un intreccio distorto di bisogno identitario e di interessi materiali». Infine, nella comparazione delle forme, degli obiettivi, e delle modalità della violenza attraverso il tempo e lo spazio. Ciò in cui questi strumenti consistono è, in definitiva, un esercizio e un intreccio della ragione, dell'immaginazione e delle emozioni dello studioso e dell'uomo.

un piccolo segnale significativo:
l'industria dell'auto cinese ha già messo un piede a Torino

La Stampa 22 Maggio 2005
INDUSTRIA. OBIETTIVO RECLUTARE PROGETTISTI E DISEGNATORI E STUDIARE NUOVI MOTORI ECOLOGICI
Auto, i cinesi della Jac sbarcano sotto la Mole
All’Envi Park un ufficio con una ventina di addetti
Marina Cassi

A Envi Park arrivano i cinesi: la Anhui Jianghuai automobile Co Ltd (JAC) ha deciso di aprire un ufficio di 250 metri quadrati che impiegherà 15-18 persone. La Jac è la ottava società nel settore automotive cinese. E’ specializzata nella progettazione e costruzione di veicoli commerciali piccoli, medi e grandi, ma vista la fame attuale del mercato cinese per le automobili ha deciso di aprire nuove linee produttive pere produrle. Ha, quindi, la necessità di avere progettisti, disegnatori, studi su nuovi motori ecocompatibili, creazione di nuove linee di produzione. Esigenze a cui - in tutta l’Europa Centro-Sud - ha trovato risposte solo a Torino con un esplicito riconoscimento alle potenzialità di un territorio che produce automobili da oltre un secolo.
A «reclutare» l’azienda cinese e a portarla a Envi è la China Consultant, una impresa creata dieci anni fa a Torino da due amici amanti della Cina. Racconta uno dei fondatori, Pier Domenico Peirone: «Dieci anni fa io e il mio socio avevamo venticinque anni, avevamo imparato il cinese e poi ci eravamo specializzato in Cina. Volevamo lavorare in un settore che ci consentisse di mantenere rapporti con quel paese e ci siamo inventati questa società: la prima in Italia di consulenza esclusivamente per il mercato cinese».
Ricorda quanto fosse diverso il rapporto con la Cina allora: «Partivamo svantaggiati perchè non eravamo a Milano; la figura del consulente non era così valorizzata come in altri Paesi. E poi la Cina di 10 anni fa non era quella di oggi; per lo più i nostri clienti volevano andare là a svuotare i propri fondi di magazzino. Ma la realtà è cambiata in tempi record».
Adesso China Consultant ha 15 addetti, una sede a Torino e una a Shanghai, ha seguito investimenti di aziende italiane e stesura di contratti di vendita e acquisto per oltre 300 milioni di euro. Spiega Peirone: «I nostri servizi sono studiati non per sostituirsi all’imprenditore, ma per dargli i mezzi affinchè possa operare come attore protagonista sul mercato cinese: persino il cliente del novarese, produttore di gorgonzola, è riuscito a vendere il proprio formaggio in Cina o il consorzio del vino Brachetto di Alessandria ha già aperto 3 “brachetterie” a Shanghai».
Con l’ingresso della Cina nel Wto è diventato più semplice per aziende cinesi investire all’estero. E così si arriva all’insediamento della Jac che investirà nel corso dell’anno 100 mila euro e che all’Environment Parck (dove con la collaborazione con il Politecnico e la Fiat si sta studiano un nuovo tipo di motore ad idrogeno) ha trovato anche una base per i suoi rapporti con i carrozzieri torinesi famosi nel mondo.
Per ora - in attesa dell’inaugurazione di giugno con la partecipazione del console - a Torino c’è solo il delegato della Jac, il designer Lou Tik che sta selezionando il personale tra cui ovviamente ingegneri. Per intanto trova bellissima l’area di Envi, ha affittato un appartamento nei nuovi alveari di via Livorno, raggiunge l’ufficio a piedi affascinato dalla quantità di verde che la zona offre.