venerdì 12 novembre 2004

sinistra
su Liberazione e su il manifesto

due articoli di oggi, segnalati da Thomas

Liberazione 12.11.04

Democrazia è alternativa, "tra sogni e conflitti"
Cultura unificante della sinistra, rappresentanza dei movimenti, ritorno dell'ideologia con Bush: dibattito a Torino sulla trasformazione possibile
Ne discutono Betinotti, Revelli, Folena, Sullo, Perini, Airaudo
di Claudio Jampaglia

TORINO (nostro servizio). "Tra sogni e conflitti" ovvero movimenti, democrazia e politica alla prova dell'oggi: un dibattito a nove voci (maschili), un confronto sulle prospettive e i percorsi dei movimenti e dell'alternativa. Si è aperta così a Torino una tre giorni di dibattiti, musica e cinema - una sorta di forum sociale che durerà fino a domenica - per mettere a confronto "il lavoro e le sue trasformazioni, guerra e pace, movimenti e nuove forme della politica". Promuovono Fiom, Radio Flash, il manifesto e Carta. Nella serata d'apertura, un ritratto di quel "noi" che Fausto Bertinotti definisce all'inizio come il terreno di un confronto aperto e franco, cui nessuno si sottrae.
«Dopo tre anni di un movimento che non si vedeva da tempo, credo che il primo nodo per cambiare la politica, sia la rappresentanza e la democrazia», introduce Loris Campetti de "il manifesto". Uno dei punti più condivisi prima di affrontare il primo scoglio: lo stato e l'essenza del movimento. Se per Bertinotti «i movimenti sono destinati a durare in diverse e molteplici forme», per Giorgio Airaudo della Fiom, «la domanda di cambiamento persiste, ma la crisi c'è; tutto quello che è stato fatto è insufficiente, dobbiamo rispondere sul campo, ma anche elaborare una risposta complessiva di fronte alla mancanza di risposte della politica». Anche per Benedetto Vecchi de "il manifesto" «il movimento è in crisi perché è venuto meno il superamento delle differenze, è rimasta la sommatoria delle organizzazioni». Me se «la crisi è la forma stabile dell'orizzonte della politica di movimento», bisogna sperimentare su tre terreni - potere, rapporti di forza e costruzione del consenso - per non ripetere la sconfitta del movimento operaio.
Pertinenza o meno del termine "crisi", il dibattito vira sulla rappresentanza politica dei movimenti. «Da Seattle a oggi quelli che chiamiamo movimenti sembrano una miriade di gruppi comunitari che lavorano, producono saperi e poi irrompono sullo spazio pubblico - spiega Marco Revelli - a questa realtà male si adatta la rappresentanza politica, un tempo si poteva chiedere alla politica di rappresentare la propria identità, oggi non si può più dare strutturalmente».
Così si ritorna a Bertinotti che insiste su uno dei temi fondanti della sinistra alternativa: «Se restiamo prigionieri dello schema secondo cui i movimenti chiedono e la politica risponde, non abbiamo soluzioni». Risponde Pietro Folena, solitario - rispetto al suo partito - navigatore dei movimenti da Genova in poi: «La domanda dei movimenti è partecipazione e democrazia, anche la politica è sempre più privatizzata in pochissime mani, allora ci vuole una diversa pratica politica, un cantiere di contenuti e di idee, plurale, aperto». Mentre Gigi Sullo identifica la diversità tra rappresentanza politica ed elettorale. «I movimenti non mettono temi sul tavolo della politica, sono l'indizio di un nuovo paradigma, di un nuovo contenuto» ovvero la democrazia da ricostruire. «Ci sono due velocità: quella della politica che ha scadenze anche elettorali e la ricostruzione della democrazia, cose diverse che devono dialogare volta per volta».
Allora non rimane che unirsi, come ricorda Airaudo, su «l'unico punto possibile: la democrazia. E' la scommessa del mondo del lavoro come per i movimenti, sapendo che le soluzioni organizzative o di forma non premiano i contenuti». Con l'urgenza sottolineata da Fulvio Perini della Cgil: «Dopo tre anni di movimenti non si riesce a fare emergere una soggettività politica corrispondente, quindi il primo punto è che prima ci uniamo meglio è». Con qualcosa in più: «I lavoratori sono arrivati al movimento operaio prima di Carlo Marx, le teorie sono venute dopo le spinte sociali, oggi i movimenti hanno la stessa possibilità con tempi, pratiche e sfere d'autonomia diverse e nuove. L'unico patto possibile con la politica è quello con una "retroguardia organizzata"».
Quindi la strada su cui camminare domandando è fatta di unificazione e democrazia, senza rappresentanza politica e percorsi tracciati. Intanto il mondo corre. Così Fausto Bertinotti pone al centro della discussione un tema non da poco: «Con la vittoria di Bush cambia lo scenario. I neoconservatori per vincere si sono armati di un'ideologia. Finora l'unificazione dei movimenti è stata possibile sull'aggressività di classe dell'avversario, ora dobbiamo farla sui contenuti, sulla qualità degli obiettivi, ma ciò non avviene se non costruiamo una ideologia». Risponde Revelli: «L'unica nostra possibilità è elaborare un modello di stile di vita, di società e di consumo capace di essere universale. Più che un'ideologia una cultura».
E qualcosa si muove se, come ricorda Folena, «la sinistra di alternativa con il 13% elettorale potrebbe anche essere maggioritaria su alcune proposte» e, aggiunge Sullo, il 75% degli italiani è oggi contro la guerra secondo Mannheimer. Rimane però il dato del 5% dei delegati e funzionari della più "politica" delle organizzazioni sindacali, la Fiom, iscritto a un partito (Airaudo). E si ritorna al punto di partenza. La politica, non solo il "pezzetto istituzionale" (Bertinotti), è da rifondare. Le idee sono in campo, i movimenti pure, le traiettorie per una trasformazione della realtà si iniziano a delineare. Forse, come dice Revelli, «cominciano a mancarci le parole».



Il manifesto 12.11.04

Valori e interessi
Quando l'inconscio è reazionario
Postmodernità. Nei «valori» della destra il rimosso della ragione della sinistra
di Lea Meladri

Quando scoppiò in America lo scandalo Clinton-Lewinsky, molti intellettuali si chiesero come era possibile che una squallida storia privata di sesso potesse diventare più importante della guerra che sconvolgeva in quel momento i Balcani. Oggi, di fronte all'esito delle elezioni americane, lo stupore è analogo, anche se sono cambiati i termini della contrapposizione. «Bush - ha scritto Rossana Rossanda (il manifesto 5.11.04) - sta scombinando il nostro lessico e i nostri riferimenti»: diventano «valori forti e caldi» sentimenti, emozioni, fobie sessuali che avrebbero dovuto restare dentro i confini del vissuto personale, mentre si eclissano, facendosi «deboli e freddi», quegli «interessi materiali» che una ragione illuminata ha considerato la struttura portante della vita pubblica (lavoro, stato sociale, emarginazione, limitazione delle libertà, ecc.).
Un elenco di dualismi così dettagliato - caldo/freddo, materiale/immateriale, cuore/ragione, maschile/femminile,ecc - non si vedeva nella cultura occidentale da quando Pitagora dettò la sua famosa «tavola»degli opposti, con la differenza che la gerarchia non è più la stessa: le viscere, il cuore, la vampa emotiva, la fragilità, l'egoismo, la vincono oggi sull'ordine che ha istituito la pòlis e che ha dato poi forma alle moderne democrazie. L'effetto di capovolgimento è eclatante: la provincia, la campagna, le piccole città trionfano sulle metropoli, le comunità religiose mobilitano più della sinistra laica, la fede fa prenderepiù voti che il ragionamento, la paura premia le scelte politiche che sono destinate ad accrescerla ,l'aborto e i matrimoni gay spaventano più della disoccupazione e del terrorismo.
Osama Bin Laden, nel suo appello alla responsabilità dei cittadini americani, non sapeva (o forse malignamente sapeva) che da quel «cuore» profondodell'America si sarebbe risvegliata una potenza a lui opposta, ma speculare: il fondamentalismo cristiano, quel «cielo e inferno dei valori morali», per usare un'espressione di Massimo Cacciari, a cui la sinistra ha guardato sempre con diffidenza, tenendoli separati dalla politica.
La vittoria di Bush si configura in modo evidente come un terremoto la cui faglia si è aperta l'11 settembre 2001: l'irruzione dell'altro da sé, del lontano, del nemico sul suolo proprio. Ma quella che appare come una regressione, un ritorno al Medioevo, a una virilità rozza «da Frontiera», forse ha bisogno di una lettura meno semplificatoria, fuori da facili e tradizionali contrapposizioni. E' vero che i cosiddetti «valori morali» sono in realtà dei «non valori», dei «valori pessimi» e, quanto meno, contraddittori: la difesa della vita contro l'aborto e la pena di morte, il via libera alle leggi di mercato e la chiamata all'altruismo cristiano, il richiamo al bisogno di sicurezza e l'uso spregiudicato di una forza militare che non ha confronto. Ma è anche vero che le spinte da cui questi «valori» muovono e di cui appaiono come una risposta deformata, sono dati reali di quella vita psichica che la razionalità illuministica e l'economicismo di gran parte della sinistra hanno cancellato dalla loro visione del mondo, consegnandoli di fatto alla religione o all'interiorità. Penso, per nominarne solo alcune, alla paura del diverso, sentito, per un riflesso arcaico come nemico, e,in particolare, a quel primo diverso che è il corpo femminile da cui l'uomo è generato, visto come potenza capace di dare la vita e la morte; penso all'omofobia, struttura portante di una società di soli uomini che si costituisce, non solo immaginariamente, come «fuga dal femminile»; penso al bisogno di protezione e quindi di appartenenza,che porta ad identificarsi col più forte.
Oggi si scopre che l'inconscio collettivo, che si è espresso «democraticamente» nel voto di una maggioranza silenziosa, è reazionario. Non era poi così difficile da immaginare: tutto ciò che è stato sepolto nella zona più oscura della vita dei singoli, identificato con la natura o con la parola rivelata di un Dio, per potersi modificare ha bisogno innanzi tutto di essere riconosciuto, narrato e analizzato, restituito alla cultura e alla politica con cui è sempre stato in rapporto, sia pure un rapporto alienato, strumentale, distruttivo della politica stessa e delle sue conquiste democratiche.
L'immensa esperienza negativa che si è accumulata nelle viscere della storia nel corso dell'ultimo secolo, come conseguenza del fatto che sono stati considerati condizione quasi esclusiva del cambiamento i rapporti di produzione, oggi esce allo scoperto attraverso la retorica populista delle destre occidentali. Ma, se non ne abbiamo paura e,soprattutto se non abbiamo fretta di cancellarla o imitarla, forse è l'occasione per dare finalmente cittadinanza a esperienze essenziali del vivere umano.
In una vicenda drammatica e carica di conseguenze come l'11 settembre, quando si vanno a raccogliere le parole dei testimoni, la prima constatazione, come ha scritto Ida Domijanni (il manifesto 2.11.2004) è che la varietà dei vissuti non ha né una rappresentazione pubblica né una rappresentanza politica che possano reggere al confronto con quella ufficiale. Ma quante altre esperienze «impresentabili»per i linguaggi codificati della politica restano sepolte nel magma indifferenziato di pensieri e sentimenti che si è ancora tentati di appiattire sulle leggi immodificabili della natura, o di leggere semplicemente come fenomeni antropologici? In tempi in cui la biopolitica sembra voler penetrare fin dentro la cellula prima della vita - proclamando la personalità giuridica dell'embrione - è quasi incredibile che chi si batte per la giustizia sociale e per l'umanizzazione dei rapporti tra diversi, non si renda conto che sottrarre all'insignificanza storica le pulsioni e le componenti più elementari della vita psichica èil passo indispensabile per non esserne pesantemente condizionati e ostacolati nello sforzo di costruire «un altro mondo possibile».
La giusta preoccupazione, a cui fa spesso riferimento Rossana Rossanda, di non fare della politica una totalità inglobante, normativa, regolatrice dei rapporti sociali ma anche della «persona» nella sua interezza, sentimenti compresi, non sembra tener conto che è proprio l'idea di una politica ristretta alla sua funzione «calcolatrice e amministrativa» a costituire una minaccia di assimilazione, e a lasciarsi perciò ai margini una vasta area di «impoliticità», resistente a farsi omologare o anche soltanto tradurre nei suoi linguaggi e nelle sue leggi. Finchè questo «residuo» immenso di sapere, energie e risorse creative resterà tale, le democrazie non potranno dormire sonni tranquilli e le rivoluzioni perderanno un apporto indispensabile per togliere consenso alle logiche del dominio e della guerra.
LEA MELANDRI

Fausto Bertinotti

Corriere della Sera 12.11.04
«Impossibile che accetti incarichi Ma in astratto sceglierei la Cultura»

(...) Quando i giochi d’autunno sono ormai fatti e si guarda al 2005, Bertinotti mi spiega la sua visione del problema: «È impossibile che possano costringermi a fare il ministro». Già, lo provoco, e se si decide che debbano entrare tutti i segretari di partito? «Vuol dire che accetterei una condizione più marginale della vita politica». Sarebbe? «Rinuncerei al ruolo di segretario di Rifondazione». Bene, facciamo un passo indietro. In astratto, soltanto in astratto, quale ministero gli piacerebbe? «Un’astratta propensione personale? La scelta ipotetica di un altro momento della vita? Il ministero della Cultura» (...) «Penso che un governo di sinistra» mi spiega Bertinotti «debba mettere il ministero della Cultura tra i primi cinque. (...) È il ministero del nuovo sviluppo».

da L'Espresso in edicola

una segnalazione di Roberto Altamura

Dal settimanale l'Espresso di oggi, venerdì 12.11.2004
Due cuori un rifugio
Il matrimonio. La sua natura. La sua finalità. Il saggio di un filosofo analizza questo rapporto
( U. Galimberti, Le cose dell'amore, Feltrinelli, p.174, 8 euro)
Colloquio con Umberto Galimberti di Enrico Arosio

Pag. 159 (ultime tre domande):

.. Quali autori hanno teorizzato meglio sul tradimento e sul matrimonio?
«Sul tradimento, James Hillmann, Puer Aeternus. Sul matrimonio, Denis de Rougemont, L'amore in Occidente».

Ferve il dibattito sul matrimonio gay. Chi avanza dubbi passa per politicamente scorretto. Ma matrimonio non indica, per storia e biologia, l'unione legittima tra maschio e femmina?
«Infatti. I nomi sono importanti. Io chiamo matrimonio l'unione tra eterosessuali. Non possiamo perdere l'orizzonte della natura e della costituzione psichica. Noi siamo maschio e femmina, funzionari della specie: per riproduzione e difesa. La natura è eterosessuale. E il bambino ha bisogno di un padre e di una madre. Punto».

Leo come giudica la campagna in favore?
«Una forzatura. E' legittimo formare una coppia omosessuale e negoziare forme di tutela. Ma chiamare un patto di convivenza matrimonio non è corretto».

al Congresso mondiale di psichiatria in corso a Firenze
i disturbi mentali in Europa

Gazzetta del Sud 12.11.04
Studio sulla diffusione dei disturbi mentali in Europa
Gli italiani i meno depressi

FIRENZE – Gli italiani sono i più sani e meno depressi tra gli europei. Il dato incoraggiante arriva dallo studio Esemed sulla diffusione dei disturbi mentali in Europa: nel Belpaese si registra il più basso tasso di incidenza di disturbi mentali a livello europeo. Lo studio, presentato ieri al Congresso della Società mondiale di psichiatria, ha puntato i riflettori sulla diffusione dei disturbi mentali minori (depressione, ansia, disturbo da panico, fobie, abuso d'alcol) in sei paesi europei (Belgio, Francia, Germania, Olanda, Spagna e Italia) e nella classifica dei «più sani» l'Italia conquista il primo posto.
Disturbi mentali – In base all'indagine (condotta nel 2003 e pubblicata recentemente sulla rivista internazionale Jama), il 7,3% degli italiani (su un campione di 4712) ha sofferto di un disturbo mentale nei precedenti dodici mesi e il 18,3% ne ha sofferto nell'arco della vita (contro il 38% della Francia, il valore più alto in Europa). Nettamente superiori le percentuali nel resto d'Europa: nell'anno precedente all'intervista, ha infatti sofferto di tali disturbi l'11,5% dei belgi, il 14,5% dei francesi, l'8,9% dei tedeschi, l'11,8% degli olandesi e l'8,5% degli spagnoli. Il nostro Paese registra anche i più bassi tassi di suicidio: circa sei per centomila abitanti, contro i circa quaranta dei paesi del Nord Europa o ex Unione sovietica. Ma come si spiega questa differenza? «La minore incidenza in Italia si spiega sicuramente anche per i diversi stili di vita – ha affermato lo psichiatra e coordinatore dell'indagine Giovanni De Girolamo – ma si tratta di un aspetto su cui indagare».
Più colpite le donne – In Italia, sono le donne a essere maggiormente colpite dai disturbi mentali: una su quattro (25%) ne soffre nell'arco della vita, contro il 12% degli uomini. Diversa anche la tipologia dei disturbi nei due sessi: Le donne sono maggiormente colpite da depressione, ansia, fobie sociali come agorafobia, disturbi da panico e da stress. Negli uomini, invece, prevalgono l'abuso di alcol e i disturbi di personalità antisociali. La differenza uomini-donne, ha sottolineato De Girolamo, «è dovuta a cause biologiche e socio-culturali; Le donne hanno infatti la tendenza a interiorizzare il malessere, cosa che spiega la maggiore incidenza di depressione, mentre gli uomini tendono ed esteriorizzarlo; una differenza che mima anche i diversi ruoli sociali dei sessi».
Ricorsi al medico – Solo la metà degli italiani che ha sofferto di disturbi mentali si è però rivolta a un medico o un servizio specialistico psichiatrico. Inoltre, il contatto con il medico è tardivo anche tra quanti chiedono aiuto: ciò porta alla cronocizzazione del disturbo o a «forme di automedicazione – ha sottolineato De Girolamo – come il ricorso all'alcol». Fondamentale, dunque, è il messaggio degli esperti, è intervenire precocemente nel trattamento dei disturbi adolescenziali per evitare la transizione a malesseri più gravi come le forme di dipendenza da sostanze.

mai più senza!

adnkronos 11.12.04
SALUTE:
UNA "MACCHINA" MISURA PROBLEMI SESSUALI FEMMINILI

Roma, 11 nov. (Adnkronos Salute) - Una macchina per scovare e misurare le disfunzioni sessuali femminili, tra cui anche la difficolta' a raggiungere l'orgasmo. E in piu' per valutare il grado di 'sensibilita'' di una donna. Nuove diagnosi rese possibili da uno strumento preso in prestito dall'andrologia. Il macchinario si chiama Gsa (Genito Sensory Analyzer) e inizialmente e' stato impiegato per la diagnosi della disfunzione erettile maschile. Permette di valutare la risposta a una serie di stimoli come caldo, freddo e vibrazioni. Le temperature vanno da 20 a 50 gradi, mentre la frequenza delle vibrazioni e' compresa tra 0 e 100 herz. ''E' uno strumento in un certo senso rivoluzionario'', afferma Giovanni Alei, presidente della Societa' italiana di chirurgia genitale maschile, docente all'università "La Sapienza" di Roma e coordinatore di un progetto di ricerca sulla sessualita' femminile. ''Grazie a questo tipo di analisi - spiega in una nota - sarà possibile comprendere se dietro a un disturbo dell'orgasmo o dell'eccitazione (che la paziente attribuisce a una scarsa percezione di sensazioni) esistano cause organiche o psicogene. Un tipo di analisi che prima non era possibile eseguire e che apre una porta in più sull'universo poco esplorato del piacere e della salute sessuale femminile''. La disfunzione sessuale femminile si classifica attraverso una serie di parametri: i disturbi del desiderio, dell'eccitamento, orgasmici e dolorosi. Le patologie e le disfunzioni sessuali femminili possono essere multifattoriali, ''perche' determinati da una componente anatomica, una psicologica e una sociale''. Secondo una ricerca Usa su 3.000 uomini e donne, analizzati dal Us National Health and Social Life Survey, a lamentare disturbi sessuali sono il 43% delle donne e il 31% degli uomini. Le cause della disfunzione sessuale femminile per il 33% riguardano il desiderio, per il 25% dipendono da una mancata lubrificazione durante la fase eccitatoria. L'anorgasmia colpisce il 27% dei casi, la dispareunia (dolore durante il rapporto sessuale) il 18%, il vaginismo (un ipertono involontario della muscolatura) il 6%. Anche di questi problemi si parlera' al VII congresso nazionale della Societa' italiana di chirurgia genitale maschile che si aprira' il prossimo 18 novembre. (Red-Chs/Adnkronos Salute)

"Il modo per vendere psicofarmaci è vendere la malattia mentale"

Farmacia.it 12 Novembre 2004 - 09:55
MOSTRA INTERNAZIONALE SU VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI IN PSICHIATRIA

Mentre la psichiatria pubblicizza un'epidemia mondiale di disturbi mentali, sollecitando lo stanziamento di ingenti finanziamenti, sarebbe opportuno chiedersi "quali sono i risultati?" e come mai se i trattamenti sono "efficaci", così come sono promossi, anzichè avere una diminuzione del numero di persone affette da "patologie mentali", secondo la psichiatria, si ha un aumento esponenziale?
E' lecito anche chiedersi come mai il numero dei disturbi mentali elencati nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali sia passato da 112, della sua prima edizione, a 374 della quarta edizione del 1994 e se ciò non abbia a che fare con la promozione di "rivoluzionari" psicofarmaci che avrebbero dovuto "curare". A Stephanie Hall in prima elementare le fu diagnosticato il Disturbo da Deficit di Attenzione e le prescrissero uno psicostimolante, dopo cinque anni, all'età di 11 anni Stephanie morì nel sonno per insufficienza cardiaca.
Il Comitato dei Cittadini per i Diritti dell'Uomo, che investiga e denuncia le violazioni dei diritti umani nel campo della salute mentale, inaugura oggi 12 novembre la Mostra Internazionale Itinerante dal titolo "Che cosa la gente non sa della psichiatria e diritti umani", alle ore 12.00 al Grand Hotel Baglioni, P.zza Unità Italiana 6, a Firenze. Saranno presenti all'iniziativa i Consiglieri Regionali Giovanni Barbagli, Fabio Roggiolani, il dottor Giorgio Antonucci, il batterista Maurizio Sgaramella, la cantante Lidia Schillaci e altri. La mostra rimarrà aperta venerdì 12 e sabato 13 dalle ore 9.00 alle ore 21.00. Lo scopo della mostra è quello di accrescere la consapevolezza dei cittadini perchè spesso le violazioni dei diritti della persona avvengono, in questo campo, per scarsa informazione e illusione che certi "trattamenti" siano la soluzione diventando invece un "carcere" chimico e precludendo la strada della riabilitazione come essere umano.
Oggi sono state "lanciate" anche numerose patologie mentali dei bambini, questo mina il futuro della società e come affermano il dottor Thomas Dorman, internista e membro del Collegio Reale dei Medici del Regno Unito e del Canada: "In breve la creazione di categorie di 'disturbi' psichiatrici, l'asserzione della loro esistenza solo in base ad una votazione e l'attribuzione ad esse di codici diagnostici, non è altro che una copertura che fornisce alla psichiatria un'aura di pseudo-scientificità. I promotori di tali idee, ovviamente, attingono dai fondi pubblici." e Carl Elliot, bioetico dell'Università del Minnesota: "Il modo per vendere psicofarmaci è vendere la malattia mentale."

filosofia del cristianesimo
Sant'Agostino e le immagini

L'Eco di Bergamo 12.11.04
Agostino, il filosofo dell'immagine
Il grande vescovo di Ippona condannò il potere di seduzione del teatro, ma non il linguaggio dei gesti L'analisi dei segni anticipò la semiotica moderna. Il cristianesimo è «parola che si dà a vedere»
di Giulio Brotti

Secondo un commentatore medievale, di Sant'Agostino sarebbe «difficile parlare, più difficile scrivere qualcosa di nuovo, e ancor più arduo comprenderlo». Ha raccolto la sfida, l'Università di Bergamo, con un pomeriggio di studi su «I linguaggi in Sant'Agostino. Musica, spettacolo, arte», svoltosi mercoledì presso l'antico monastero di Città Alta dedicato proprio a Sant'Agostino, dallo scorso anno adibito a sede universitaria.
«È la logica prosecuzione di un primo incontro del dicembre 2003 – ha detto Mauro Ceruti, preside della Facoltà di Lettere e filosofia –. Questi “Incontri a Sant'Agostino”, aperti al pubblico, proseguiranno trattando, di volta in volta, i diversi aspetti del pensiero agostiniano e la storia di questo complesso monastico, rinato dopo secoli di abbandono».
In quest'occasione si è voluto approfondire – ha detto Marco Collareta, docente di Storia dell'arte medievale e moderna presso l'Università di Bergamo – «l'interesse del pensatore Agostino per l'arte, e in particolare per il teatro, alla luce di una sua particolare teoria del linguaggio umano, antesignana della moderna semiotica».
Annamaria Testaverde, docente di Storia del teatro e dello spettacolo, si è soffermata sull'idea agostiniana secondo la quale Res per signa discuntur (le cose si apprendono attraverso i segni): se un segno è qualcosa che fa venire in mente una seconda realtà, diversa da sé, ecco che molti comportamenti umani, oltre al linguaggio verbale, hanno questa attitudine. «Alcuni – afferma il vescovo di Ippona – sogliono indicare moltissime cose con gesti delle mani. Così gli istrioni col movimento di tutte le membra fanno segni a chi è capace di comprenderli e, per così dire, dialogano con i loro occhi [...]. Sono, tutti questi segni, come delle “parole visibili”».
Il linguaggio dei bambini
In una celebre pagina delle Confessioni, Agostino indaga il ruolo della dimensione preverbale, nell'apprendimento del linguaggio da parte di un bambino. Nella prima infanzia, ricorda idealmente, «non riuscivo a esprimere tutto quello che volevo [...]. Ma la memoria era come prensile: quando gli adulti menzionavano qualche oggetto e in base a quel suono protendevano il corpo nella sua direzione, io osservavo e tenevo a mente che così, con quel suono, essi lo chiamavano. E che fosse questo ciò che volevano si capiva chiaramente dal movimento del corpo come pure da quella sorta di linguaggio naturale di tutti i popoli, fatto di espressioni del volto e cenni degli occhi, gesti delle altre membra e toni di voce [...]. Così a poco a poco, a furia di udire le stesse parole ricorrere in una certa posizione in diverse frasi, capivo quali fossero le cose di cui quelle parole erano segni. [...] E così arrivai a comunicare con le persone circostanti mediante i segni che danno espressione verbale alla volontà».
Grazie ai segni, prima come gesti e poi come parole – conclude il filosofo e teologo – l'individuo può entrare «nella tempestosa comunità della vita umana».
La cultura dei segni
Può succedere, però, che all'interno di una certa cultura i segni «impazziscano», non rimandino più alle cose e a valori reali. Da qui, il severo giudizio di Agostino sulla «società dello spettacolo» della sua epoca, con la relativa condanna del teatro classico, prolungatasi per secoli, come ha mostrato Sandra Pietrini, docente di Storia del teatro all'Università di Firenze, attraverso l'analisi di alcune miniature medievali.
«Va però considerato – ha aggiunto Annamaria Testaverde – che nel IV-V secolo dopo Cristo il teatro romano non si basava quasi più sulla recitazione di un testo drammaturgico scritto: prevalevano le danze e le pantomime, le esibizioni nei circhi, i combattimenti tra gladiatori».
È contro un teatro decaduto, capace, al massimo, di suscitare nello spettatore una «lacrima facile», che Agostino polemizza (oggigiorno, forse, questa stroncatura riguarderebbe certe «vite in diretta» televisive). Egli elabora sempre nelle Confessioni, un piccolo trattato di «psicopatologia dello spettatore», traendo spunto dal caso dell'amico Alipio: quest'ultimo, benché fosse un ragazzo sveglio, umanamente sensibile, «era stato trascinato dalla vorticosa vita di Cartagine, scintillante di spettacoli frivoli, in una folle passione per i giochi del circo».
Trasferitosi a Roma e deciso a superare questa sua “dipendenza” tenendosi alla lontana dagli spettacoli gladiatori, Alipio ci ricascò «in circostanze incredibili». Furono degli amici e compagni di studi a riportarlo quasi a forza al teatro: lui, alla fine, acconsentì, quasi per mettersi alla prova, convinto di superare quella tentazione tenendo gli occhi chiusi «di fronte a quei giochi crudeli, mortali». Ma dimenticò, Alipio, di tapparsi le orecchie: «a un certo punto del combattimento – racconta Agostino –, l'immane boato della folla ruppe le sue difese: vinto dalla curiosità [...] aprì gli occhi. E soffrì nell'anima una ferita più grave di quella inferta al corpo del gladiatore che aveva voluto vedere; e cadde, più infelice di lui che con la sua caduta aveva scatenato quell'urlo. [...] Veduto che ebbe quel sangue, già ne aveva bevuta la ferocia e non se ne distolse: tenne lo sguardo fisso e assorbiva il furore e non sapeva, e prendeva gusto a quel combattimento atroce e s'ubriacava di un piacere crudele. E già non era più quello che era stato entrando, ma uno della folla alla quale s'era unito, vero complice di quelli che l'avevano prima trascinato».
Le immagini e l'idolatria
Al di là del suo giudizio sul teatro del tempo, la riflessione di Agostino sul valore dei «segni» risulterà fondamentale per lo sviluppo della spiritualità e della civiltà occidentali, così come sono giunte fino a noi. Spesso si dimentica che il cristianesimo è nato dall'ebraismo, religione rigorosamente aniconica , per la quale ogni tentativo di raffigurare la divinità si tradurrebbe in «idolatria», nel tentativo di reificare e asservire Dio. Sappiamo che, nei primi tre secoli di storia cristiana, l'uso di immagini sacre per il culto incontrò dei dissensi: l'intera cristianità orientale, dall'epoca dell'imperatore bizantino Leone III Isaurico fino al secondo Concilio di Nicea (787 d.C.) subì gli effetti di una furiosa lotta iconoclasta, condotta da chi, anche in questo caso, riteneva idolatrica l'idea di raffigurare Dio (che può essere incontrato solo «nella totale assenza di parole e di pensieri», affermava Dionigi Areopagita) entro una forma sensibile.
Denunciando il potere di seduzione del teatro, e più in generale la «civiltà delle immagini» del tardo impero romano, Agostino non condanna in assoluto il linguaggio mimico, gestuale, corporeo: «Non hai mai veduto – scrive nel De magistro – come alcune persone mediante il gesto parlano, per così dire, con i sordi e che questi sempre col gesto rispondono, insegnano e indicano tutte le cose che vogliono, o perlomeno parecchie? Dato questo fatto, non si mostrano senza parole soltanto le cose visibili, ma i suoni, i sapori e simili. Anche i mimi spesso rendono comprensibili e sviluppano interi drammi con la danza».
Che gli spettacoli non siano, di per sé, perversi, è provato anche dall'idea di Agostino che il mondo creato e la stessa rivelazione cristiana si possano paragonare a una grande messinscena teatrale, il cui impresario sarebbe Dio. Il convertito che si è finalmente distolto dagli spettacoli dell'anfiteatro, non può accontentarsi ora di formule di fede astrattamente intellettuali, e Agostino propone di rappresentare davanti a lui, al posto degli spettacoli pagani, le meraviglie del Regno di Dio: «Guarda l'istrione – scrive, rivolto a questa persona comunque bisognosa di “vedere” –: quell'uomo ha imparato a camminare sulla fune e, mentre è in equilibrio, tiene te sospeso. Guarda ora l'impresario di più grandi spettacoli. Colui che ha imparato a camminare sulla fune, riuscirà forse a camminare sul mare? Dimentica il tuo teatro, osserva il nostro Pietro, che non è un “funambolo” ma, se così posso dire, un “mariambolo”. Cammina anche tu. [...] Vuoi guardare, sii tu lo spettacolo.»
Per Agostino il gesto fisico può dunque assumere la piena dignità di un linguaggio: di un verbum visibile , una «parola che si dà a vedere», così come, secondo il cristianesimo, la Parola per antonomasia si è incarnata, non ha disdegnato di abitare il nostro spazio e il nostro tempo.
La lotta contro gli iconoclasti
Da qui procederà la Chiesa nella sua lotta contro gli iconoclasti, secondo la concezione di san Giovanni Damasceno per cui il fatto che Dio «sia divenuto visibile nella carne e abbia frequentato gli uomini, ci permetterebbe di rappresentare la sua immagine visibile»: Régis Debray ha parlato, al riguardo, di un'idea-cardine, di una concezione provvidenziale per lo sviluppo dell'immaginario occidentale, scampato – anche grazie ad Agostino – al rigore dei distruttori d'immagini, di chi avrebbe voluto «bruciarlo sull'altare dell'astrazione ascetica».