lunedì 23 giugno 2003

lingue e linguaggio

Corriere della Sera 23.6.03
La scoperta fatta da ricercatori italiani e tedeschi pubblicata oggi sulla rivista «Nature Neuroscience»
La grammatica? È scolpita nel cervello
di Massimo Piattelli Palmarini

L’articolo pubblicato oggi sull’autorevole Nature Neuroscience da un’equipe italo-tedesca di neurologi e linguisti dell’Università Vita e Salute del San Raffaele di Milano, dell’Università di Amburgo e dell’Università Schiller di Jena, inserisce il decisivo ultimo tassello in un rompicapo che ci riguarda tutti, in quanto esseri umani dotati di linguaggio. Ben sappiamo, ormai, che le lingue differiscono tra di loro per le parole e per la forma esterna, ma che condividono in profondità una struttura comune, la famosa «grammatica universale», messa in luce dal linguista americano Noam Chomsky quasi esattamente mezzo secolo fa. L’esistenza di questa grammatica universale fa sì che le lingue e i dialetti oggi ancora esistenti, quelli purtroppo scomparsi, e perfino quelli che potrebbero in astratto esistere, ma di fatto non esistono (le cosiddette lingue umane naturali «possibili») abbiano tutti in comune alcune strutture interne e alcune operazioni sintattiche basilari. Queste strutture e operazioni sono, prese tutte insieme, diverse da altre che la mente umana è anche capace di apprendere a riconoscere e manipolare, pezzo per pezzo, magari divertendosi, ma con fatica. Un’autentica regola grammaticale, quindi, per quanto complessa, è, per noi esseri umani, del tutto naturale, mentre una regola astratta, superficialmente simile, è per noi innaturale. La prima attiva risorse di calcolo mentale del tutto diverse dalla seconda.
Dati inoppugnabili su questa diversità, al livello mentale, erano stati raccolti in Inghilterra dal linguista Neil Smith una quindicina di anni or sono. Smith e collaboratori insegnarono a soggetti normali e a rarissimi pazienti con capacità linguistiche intatte, ma con intelligenza generale gravemente compromessa, sia lingue vere a loro ignote, sia lingue artificiali, rette da regole non naturali. La diversità dei risultati emerse netta: le regole autentiche delle lingue vere vennero apprese abbastanza rapidamente da tutti, mentre l’apprendimento delle regole innaturali venne vissuto come un gioco di enigmistica dai soggetti normali, e risultò del tutto impossibile per quei pazienti.
In questi ultimi anni, era insorto il sospetto che fossero distinte regioni del cervello ad elaborare queste distinte classi di operazioni mentali. Il passaggio dalla mente al cervello diventa oggi sempre più diretto, grazie a raffinate e non invadenti tecniche di imaging , come ad esempio la Risonanza Magnetica Funzionale. Si è potuto, quindi, verificare che questo sospetto corrisponde alla realtà. La scoperta è stata fatta sulla base di un progetto sperimentale ideato da Andrea Moro, professore di linguistica generale presso la facoltà di Psicologia dell’Università San Raffaele di Milano, ed è stato eseguito sulla risonanza magnetica dell’Ospedale Universitario di Amburgo dalla dottoressa Mariacristina Musso.
Il metodo di verifica, assai raffinato, ma riassumibile in termini semplici, è consistito nell’insegnare (letteralmente) a dei soggetti tedeschi, privi di qualsiasi familiarità con l’italiano e con il giapponese, delle regole della grammatica. Tra le regole autentiche venivano ad arte inserite anche delle regole linguisticamente impossibili, ma assai semplici. Le frasi si susseguivano sullo schermo di un computer, mentre i soggetti giacevano «incassati» entro l’apparecchiatura di risonanza magnetica e giudicavano, via via, se la regola veniva rispettata o meno. Ad esempio, i soggetti imparavano, tra le regole possibili, che, a differenza del tedesco, per fare una frase in italiano non è necessario esprimere il soggetto, come in «leggo molti bei libri»; invece, come regola impossibile imparavano che la negazione andava messa sempre esattamente dopo la terza parola. Per esempio, per negare la frase precedente dovevano dire: «leggo molti bei non libri». Tale regola è «impossibile» perché in nessuna lingua del mondo la negazione occupa un posto fisso nella sequenza delle parole. Procedure analoghe sono state applicate al giapponese, lingua ancora più dissimile dal tedesco di quanto non sia l’italiano. Il risultato è stato che solo quando i soggetti apprendevano le regole possibili si attivava un’area del cervello tipica del linguaggio (la cosiddetta area di Broca, che ha un equivalente anche nei primati ma non è così evoluta come nell’uomo). Quando il cervello deve apprendere regole impossibili, invece, questa area sembra addirittura disattivarsi!
Andrea Moro mi precisa: «Uno scopo centrale delle moderne ricerche in linguistica è quello di ben caratterizzare la classe delle lingue umane possibili, assai più di quello di descrivere le lingue esistenti. Dopo cinquant’anni di ricerche, questa scoperta conferma che non si tratta solo di un’utile classificazione di comodo. La classe delle lingue umanamente possibili corrisponde, infatti, ad un’elaborazione effettuata da aree specifiche del cervello. L’ipotesi che l’acquisizione del linguaggio nel bambino avviene sotto una guida biologicamente determinata viene così corroborata». L’austera rivista scientifica ha intitolato l’articolo di Moro e collaboratori (traduco in italiano usando regole del tutto naturali): «L’area di Broca e l’istinto del linguaggio». È facile prevedere che oggi spunterà un sorriso sul volto di Chomsky e su quello di Steven Pinker, autore del bestseller internazionale intitolato, appunto, L’istinto del linguaggio .

il Messaggero Lunedì 23 Giugno 2003
Scienza/ Clamorosi risultati delle sperimentazioni di un gruppo di ricercatori milanesi del San Raffaele
Il linguaggio è una dote innata, confermate le teorie di Chomsky
di RENATO MINORE

ESISTE un’area specializzata che è localizzata nel nostro cervello, l’area di Broca, dal nome dello scienziato che l’ha identificata. In essa nasce la grammatica e, con la grammatica, ogni altra forma riguardante il nostro linguaggio. Con una conseguenza assai importante che lo riguarda: esso si impara d’istinto obbedendo alle regole dettate dalla biologia.
E’ il risultato di una ricerca condotta in collaborazione tra Italia e Germania e pubblicata sulla rivista internazionale ”Nature Neuroscienze”. Secondo il suo responsabile, il linguista Andrea Moro dell’Università ”Vita e Salute” del San Raffaele di Milano che ha condotto la sperimentazione con Maria Cristina Musso, Cornelius Wielle e Christian Buchel dell’Università di Amburgo, la scoperta dimostra soprattutto una cosa: l’esistenza di una struttura che organizza la cosiddetta Grammatica Universale, quella che è stata ipotizzata da Noam Chomsky.
Il linguista americano, come si sa, è il fondatore e il caposcuola del ”generativismo”. Questa forma linguistica intende spiegare le leggi che governano il prodursi del linguaggio e si oppone alla linguistica strutturalista che si limita a descrivere il suo funzionamento. La “grammatica generativa” di Chomsky distingue una “struttura profonda” dei fatti linguistici da una “struttura superficiale” in cui la prima si trasforma nell’organizzazione sintattica del parlare concreto. Successivamente questa distinzione cede il posto a quella tra ”competenza” ed ”esecuzione” con cui Chomsky intende spiegare sia gli aspetti creativi del linguaggio sia il suo carattere innato e la sua presenza nei primi stadi dello sviluppo infantile.
Parliamo dell’esperimento condotto dall’équipe di Moro con Raffaele Simone, un linguista con cattedra a Roma che si è a lungo interrogato su questi problemi. Molte le questioni sul tappeto: il significato dell’esperimento, il rapporto con Chomsky, i possibili scenari futuri.
Professor Simone, come vanno valutati i risultati di questa ricerca?
«Conosco la ricerca del professor Moro e l’ho potuta seguire nel tempo. Sono stati utilizzati volontari tedeschi alle prese con l’apprendimento di frasi italiane e giapponesi, alcune corrette, altre costruite a tavolino da Moro con regole grammaticali inesistenti e impossibili. Attraverso tecniche di neuroimmagine, l’area di Broca si è attivata solo quando i volontari imparavano frasi basate su regole grammaticali vere. Quando invece le frasi erano costruite su regole impossibili, l’area di Broca restava spenta e entravano in gioco altre aree del cervello, senza un preciso ordine».
Che tipo di novità questa sperimentazione produce nella conoscenza del linguaggio e dei suoi meccanismi più nascosti?
«Si tratta di un’acquisizione assai interessante che dimostra una cosa fondamentale: la precisa localizzazione nel cervello delle strutture del linguaggio. Lo si sapeva in realtà dall’epoca di Pierre-Paul Broca, fin dall’800: ora lo si conosce in maniera più dettagliata. Sappiamo dove si collocano le categorie grammaticali, i nomi, i verbi. E’ la conferma di quanto aveva intuito Broca: c’è una parte del cervello che ospita il linguaggio. E’ un colpo a ogni idea spiritualista del linguaggio ancora circolante».
E’ insomma quella del linguaggio una funzione innata?
«Non impariamo il linguaggio, ma le lingue. Il linguaggio è come una dote naturale, un patrimonio preesistente. E’ un po’ come camminare o come respirare. Noi ci addestriamo ad usarlo. E’ una teoria questa che piace molto a chi considera la mente umana come un computer».
Da questa ricerca dell’équipe di Moro deriva una conferma alle idee di Chomsky?
«C’è come un doppio registro. Da un lato l’innatismo chomskiano viene confermato. Ma riceve anche un duro colpo la sua idea forte della creatività del linguaggio».
Cioè?
«Sapere che il linguaggio risiede nel cervello, significa che le sue capacità sono limitate, viene meno quella possibilità infinita di creare infinite frasi. E’una creatività di molto ridotta».
Si possono già indicare possibili risultati grazie a ricerche di questo tipo?
«Siamo solo all’inizio: i risultati sono ancora da definire meglio. Saranno necessarie prima o poi (più poi che prima) mappe più estese per capire esattamente quanta parte del cervello sia occupata dal linguaggio, per localizzare le regole che di volta in volta entrano in azione».

ibidem
Impariamo a parlare per istinto
di ALBERTO OLIVERIO

SI racconta che il re Giacomo II di Scozia, vissuto nel quindicesimo secolo, decise un giorno di chiarire se il linguaggio umano fosse un istinto o dovesse invece essere appreso: per rispondere a questo interrogativo, fece rinchiudere in una stanza un bambino piccolo e proibì a tutti di rivolgergli la parola per appurare così se, una volta cresciuto, avrebbe parlato spontaneamente o avrebbe invece dovuto apprendere di sana pianta il linguaggio. Non sappiamo quali siano stati i risultati di questo crudele esperimento che forse non è altro che una leggenda: ma indubbiamente gli interrogativi che si poneva oltre mezzo millennio fa il re di Scozia agitano ancora i dibattiti tra i linguisti. Mentre alcuni sostengono che il linguaggio umano dipende dall'apprendimento, buona parte degli studiosi, in linea con le posizioni del celebre linguista americano Noam Chomsky, sostiene invece che le regole linguistiche sono scritte nel nostro cervello: questa seconda ipotesi è avvalorata, oltre che da numerose ricerche, anche dai risultati di un recente esperimento condotto da un gruppo di ricercatori dell'Università Vita e Salute del San Raffaele di Milano insieme a un gruppo di linguisti dell'Università di Amburgo che hanno individuato un'area cerebrale che reagisce a una costruzione sintattica "giusta".
Chomsky, come si è detto, sostiene che nel nostro cervello esistono un "apparato di acquisizione del linguaggio" e una grammatica universale comuni a tutte le lingue, per cui la struttura della frase e l'ordine e i legami tra soggetto, verbo, avverbio eccetera, rispettano una logica interna. Che il nostro cervello sia predisposto al linguaggio lo dimostrano diversi studi, alcuni dei quali risalgono ad oltre un secolo fa, quando il neurologo francese Paul Broca notò che le lesioni della corteccia frontale portavano a una perdita della capacità di articolare e scrivere le parole (afasia motoria). In seguito si vide che le lesioni della corteccia parietale si traducevano invece nella difficoltà di comprendere il significato della parole parlate e scritte (afasia sensoriale).
Negli ultimi anni, la mappa delle aree linguistiche è stata notevolmente perfezionata ed è ben chiaro che se parliamo e comprendiamo il linguaggio ciò dipende dal coinvolgimento di numerose strutture cerebrali. E' in queste strutture che sono scritte alcune "regole" del linguaggio? Per i sostenitori della teoria di Chomsky questa possibilità sembrava più che plausibile ma finora ciò non era stato ancora provato. I risultati della recente ricerca condotta al San Raffaele e ad Amburgo dimostrano per la prima volta che è proprio l'area di Broca, quella da cui dipende la nostra capacità di profferire e scrivere le parole, ad essere la struttura in cui sarebbe organizzata la "grammatica universale". I ricercatori, infatti, hanno studiato la funzione cerebrale in un gruppo di volontari tedeschi che imparavano frasi italiane e giapponesi, alcune costruite in base a regole grammaticali corrette, altre in base a regole impossibili: utilizzando tecniche come la Pet, che visualizzano le aree del cervello attive in un particolare momento, hanno notato che l'area di Broca si attivava solo quando le frasi erano costruite in modo giusto, mentre la stessa area restava spenta quando le regole erano sbagliate. Peccato che re Giacomo di Scozia non possa conoscere i risultati di questo esperimento che fa sempre più guardare al linguaggio come a un istinto.

Il Giornale di Vicenza Lunedì 23 Giugno 2003
Sembrano trovare conferma le teorie sulla «Grammatica Universale», che secondo Noam Chomsky sarebbe innata
Il linguaggio? E’ un istinto che viene dal cervello
Uno studio italo-tedesco ha individuato nell’«area di Broca» il punto preciso in cui si trova

Roma. È in una particolare struttura del cervello, l’«area di Broca», che risiede l’istinto del linguaggio. Si trovano infatti in quest’area le strutture biologiche grazie alle quali l’uomo utilizza le regole grammaticali, organizza il suo linguaggio e apprende nuove lingue. Lo ha dimostrato un gruppo di linguisti e neurologi italiani e tedeschi e la scoperta è pubblicata sulla rivista internazionale Nature Neuroscience . L’esperimento, condotto nell’università di Amburgo, ha permesso per la prima volta di vedere in azione l’area di Broca e di catturarne le immagini con la Risonanza magnetica nucleare. Ad idearlo è stato il linguista italiano Andrea Moro, dell’università Vita e Salute del San Raffaele di Milano, mentre la Risonanza magnetica è stata eseguita da Mariacristina Musso. Ad un gruppo di 12 volontari tedeschi sono state insegnate frasi in italiano, mentre ad altri 11 volontari, sempre tedeschi, sono state insegnate frasi in giapponese. Nessuno dei volontari era mai entrato in contatto in precedenza con la lingua che gli veniva insegnata. Il punto chiave dell’esperimento è stata l’idea di nascondere tra le frasi alcune regole impossibili, inesistenti sia nella grammatica della lingua di origine sia della lingua appresa. Mentre i volontari facevano questi esercizi, l’attività del loro cervello veniva seguita per mezzo della Risonanza magnetica nucleare. «Abbiamo osservato così che mentre i soggetti apprendevano le regole possibili si accendeva il centro del linguaggio, l’area di Broca, mentre quando imparavano le regole impossibili questo centro non si accendeva». Si mettevano invece al lavoro altre parti del cervello, senza un ordine preciso, come per affrontare un’emergenza. Per la prima volta, ha proseguito Moro, «l’esperimento ha dimostrato che è nell’area di Broca che nasce la grammatica e che vengono elaborate le regole del linguaggio». È una struttura molto poco sviluppata nelle scimmie e che «sembra esserci specializzata all’improvviso nell’uomo, senza alcuna gradualità».
Dopo decenni di dibattito tra linguisti, l’esperimento sembra ora confermare l’ipotesi formulata 40 anni fa dal linguista Usa Noam Chomsky, secondo cui le regole che organizzano il linguaggio sono innate in virtù di una Grammatica Universale. Che, stando all’esperimento, si troverebbe dunque nell’area di Broca.
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depressione

Corriere della Sera 23.6.03
Cura la depressione: previeni altre malattie
di Giuliano Ferrieri

La depressione è sicuramente, specie per gli anziani e per soggetti con un sistema autoimmunitario indebolito, la condizione che può aprire la strada a molte gravi patologie: disturbi del cuore, problemi endocrini, Alzheimer e Parkinson, un ventaglio di tumori.
Ovvia, quindi, l’importanza di riconoscere tempestivamente i sintomi di uno stato di depressione (oggi è in terapia meno di un decimo dei depressi: fra chi non è curato, 15 depressi su cento finiscono col togliersi la vita).
I sintomi che preannunciano una depressione sono numerosi. I più frequenti riguardano l’insorgere di disturbi del sonno, fasi improvvise di dimagrimento o al contrario di ingrassamento, segni immotivati di irritazione o rabbia, perdita di autostima, abbandono dei vecchi amici, frequenti accenni alla morte (anche senza riferimenti diretti al suicidio). Quando alcuni di questi sintomi si presentino assieme, non si deve esitare: occorre che i parenti di un depresso (o chi comunque gli vive vicino) facciano intervenire un medico, che curerà personalmente il depresso o lo affiderà a speciali istituti terapeutici.