lunedì 20 febbraio 2006

una segnalazione di Andrea Ventura
Corriere della Sera 20.2.06

MEDIA
Svolta del figlio di Gardini

di Sergio Rizzo

ROMA - Dice Adalberto Minucci: «Ivan Gardini è semplicemente un giovane che guarda al centrosinistra come occasione per il rinnovamento della società. Anche per questo ha aderito al progetto di Left ». A dispetto di un cognome ingombrante. Perché il «giovane» (37 anni lo scorso 9 febbraio) Ivan (anzi, Ivan Francesco) altri non è che il figlio di Raul Gardini. E guardando indietro, a tutto si poteva pensare tranne che proprio lui un giorno sarebbe stato fra i soci di una cooperativa, l’Editrice dell’altritalia, che pubblica un nuovo settimanale nato dalle ceneri di Avvenimenti e in continuità con la linea di quel giornale, certamente mai ostile all’esperienza di Mani pulite. A fianco del direttore Minucci, già dirigente del Pci di Enrico Berlinguer e parlamentare per 11 anni, c’è il condirettore Giulietto Chiesa, eletto al Parlamento europeo con la lista di Achille Occhetto e Antonio Di Pietro, l’ex magistrato simbolo di quella stagione, che fu anche il protagonista dell’inchiesta sulle tangenti Enimont. A 21 anni Ivan Gardini era presidente della Ferruzzi finanziaria: di conseguenza, una delle persone più potenti d’Italia. Suo padre Raul aveva appena venduto il 40% dell’Enimont all’Eni incassando 2.805 miliardi di lire. Ossia, 2 miliardi 323 milioni di euro di oggi. Ma di lì a poco sarebbe accaduto di tutto. Prima la lite che portò al clamoroso divorzio fra la famiglia Gardini e i Ferruzzi. Poi l’inchiesta di Di Pietro, con un esito drammatico e imprevedibile: il suicidio di Raul Gardini, il 23 luglio 1993, tre giorni dopo che si era tolto la vita in carcere l’ex presidente dell’Eni Gabriele Cagliari. E tutto finì sulle spalle del giovanissimo figlio Ivan, l’unico dei familiari che quel tragico mattino era in casa con il padre. Pochi giorni dopo la morte di Raul, Ivan fu nominato presidente della Gardini srl.
Un peso tremendo, per un ragazzo di 24 anni, la cui madre Idina Ferruzzi, per giunta, pochi mesi più tardi avrebbe fatto la scelta religiosa, entrando nelle «terziarie» delle suore Carmelitane. Ma in questi 12 anni, fra peripezie giudiziarie e altre vicende, di quel gruppo fondato da Raul con la liquidazione da 500 miliardi di lire incassata dopo il divorzio dai Ferruzzi è rimasto ben poco. La vecchia Gardini srl, ora Gardini 2002, è tutta di proprietà di Ivan, e oltre a un po’ di titoli e a qualche immobile possiede le partecipazioni del 49% nella Tecnowatt di Ravenna e nella Isoelectric di Cremona (due centrali idroelettriche).
L’editore Ivan non parla con i giornalisti: preferisce tenersi al riparo dai riflettori. L’unica intervista l’ha rilasciata nel 1991 all’ Espresso , con questa amara considerazione sulla lite allora in corso fra i Ferruzzi: «Ha certamente contribuito a darmi una visione della vita più chiara e disincantata». Schivo fino al punto da affidare la risposta alla comprensibile curiosità suscitata dalla sua scelta editoriale a una nota ufficiale, è arrivato all’Editrice dell’altritalia quasi per caso. «Da tempo cercavamo nuovi soci che portassero risorse per consentire al giornale di crescere e siamo entrati così in contatto con Luca Bonaccorsi». Coetaneo e amico di Ivan, Bonaccorsi è anche il cognato del «giovane» Gardini, che ha sposato sua sorella Ilaria. Tutti e tre sono adesso soci della cooperativa di giornalisti (fra l’altro insieme a personaggi come l’ex sindaco di Torino Diego Novelli) che edita il settimanale e che, come tale, è destinataria di contributi statali per l’editoria: 505 mila euro l’anno. Con Left Luca ha fatto una scelta di vita. Esperto di finanza (ha lavorato anche per Antonveneta, Abn Amro e Bnp-Paribas) farà il direttore editoriale, ma anche il responsabile della sezione Economia e finanza del giornale. Nell’impresa lui ha messo 50 mila euro. Il suo amico Ivan Francesco, 20 mila.

Megachip.info 19 febbraio 2006
Editoriale del primo numero di Left Avvenimenti

Left Avvenimenti esce, nella sua nuova veste, nel bel mezzo delle Olimpiadi invernali di Torino e, mentre scriviamo queste righe, ancora non è successo niente. Nel senso che c'è stato lo sport, lo spettacolo, le medaglie, il business, una bella cerimonia di apertura, molte immagini di gran qualità, sudore, tenacia, commozione. Cioè è successo molto di quello che doveva normalmente succedere e che ci auguriamo continuerà a succedere fino alla fine delle gare. I quindicimila uomini e donne preposti all'ordine pubblico l'hanno mantenuto nella routine della norma, per nostra comune fortuna.
Ma è inutile nascondere che noi, come molti, siamo stati e siamo inquieti. Né poteva essere altrimenti, avendo ancora al governo della nostra Italia non solo lo stesso capo che presiedette al G-8 genovese e che scagliò Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza contro un corteo pacifico di oltre 250 mila persone, provocando il più grande pestaggio di massa di cittadini inermi mai realizzato in tutta la storia repubblicana.
Un premier che non solo non si è mai pentito, e neppure scusato, ma che anche in questa occasione non ha esitato a gettare allarmi, senza spiegare a cosa si riferivano, a innescare provocazioni verbali mescolando (come lui e i suoi fecero nel 2001) manifestazioni di piazza e terrorismo, quasi che tra le due cose esistesse un nesso obbligatorio. La sua incontinenza verbale è stata in proposito torrenziale, con lo scopo evidente di intimidire quei cittadini italiani che - in piena legittimità, si badi bene - avessero inteso manifestare le loro opinioni magari contro l'Olimpiade, o contro la sua mercificazione, o contro le multinazionali, o contro l'Alta Velocità, o contro le guerre che continuano e in cui l'Italia è impegnata. Ciascuno aggiunga ciò che vuole.
Resta il fatto che, alla testa del nostro potere esecutivo, c'è un signore che, invece di parlare e dare garanzie di quiete e di ordine, oltre che del rispetto del diritto di ciascuno di manifestare il proprio dissenso, non solo minaccia di esercitare la violenza, ma lascia intendere di non essere certo di poterla scongiurare.
C'è di che essere preoccupati. Alla guida del paese c'è un uomo che non sa misurare le parole (e infatti ogni giorno straparla) e che ha già dimostrato, appunto a Genova 2001, di non saper misurare gli atti. I suoi e quelli dei suoi comprimari e alleati.
E siamo già nel pieno di una campagna elettorale in cui egli potrebbe perdere il potere. Anzi in cui, stando ai sondaggi, l'avrebbe perduto. Chiunque capisce che, nel caso sciagurato in cui le Olimpiadi venissero deviate dalla violenza, a perderci sarebbe il centro-sinistra. E la tentazione di qualcuno potrebbe diventare irresistibile.
Inoltre, sparsi nei movimenti come la gramigna, ci sono sempre (come ci furono a Genova) cento cretini e cento provocatori niente affatto cretini che possono organizzare il pasticcio, o la tragedia.
Sperare nel senso di responsabilità di tutti non basta. Come si diceva un tempo, occorre tenere gli occhi bene aperti e vigilare.