sabato 5 giugno 2004

dalla LIBRERIA AMORE E PSICHE:
per chi non ha ancora visto l'AFFRESCO

Avvertiamo tutti coloro che ancora non avessero avuto modo di vedere
l’affresco di Massimo Fagioli presso il Servizio Giardini del Comune di Roma
(Piazza di Porta Metronia 2)
che potranno chiamare in libreria per informazioni

Un saluto


Libreria Amore e Psiche
via s. caterina da siena, 61 roma
info:06/6783908 amorepsiche2003@libero.it
i nostri orari: lunedi 15-20
dal martedi alla domenica 10-20

TSO in Francia

ricevuto da Piergiuseppe Cancellieri

Yahoo! Notizie Venerdì 4 Giugno 2004, 18:06
SANITA': FRANCIA, FORTE CRESCITA RICOVERI PSICHIATRICI COATTI


(ANSA) - ROMA, 4 GIU - Il numero di persone ricoverate nei reparti psichiatrici degli ospedali francesi a causa di trattamenti sanitari obbligatori e' cresciuto vertiginosamente negli ultimi anni, aumentando dell'86%, nonostante non ci siano indicazioni che la società francese abbia piu' malati di mente del passato.
L' allarme viene lanciato oggi dal quotidiano francese Le Figaro commentando i dati forniti il 24 maggio scorso dalla Direzione generale della Sanita', che ha consegnato una sintesi nazionale delle statistiche raccolte dalla Commissione per i Ricoveri Psichiatrici (Cdhp).
Il 12 maggio scorso la commissione degli affari sociali aveva respinto la richiesta di istituire una commissione d'inchiesta per far luce sull'inspiegabile aumento dei ricoveri forzati, ma aveva suggerito di organizzare un gruppo di lavoro: in questi ultimi 3 anni infatti i trattamenti sanitari obbligatori sono passati da 72 a 519.
Le cifre si riferiscono al 2000 e al 2001, ma prendono in considerazione l'incremento dei ricoveri psichiatrici negli ultimi 10 anni senza fornire alcun dato in merito: i motivi dell' aumento dei ricoveri forzati - sottolinea il quotidiano francese - sono stati spiegati in modi molto diversi e la confusione ha contribuito a creare una situazione allarmante, anche perche' nelle cifre presentate dalla Direzione generale della Sanita' non ci sono ne' riferimenti a nomi ne' a eta' ne alla tipologia dei problemi psichiatrici trattati.
"Per far fronte all'aumento dei trattamenti obbligatori - ha spiegato un infermiere capo - siamo spesso costretti a far uscire dall' ospedale pazienti non ancora del tutto guariti" e nella citta' di Vienne, per esempio, i ricoveri forzati hanno raggiunto la cifra di 271 casi per 100 mila abitanti.
Nelle 14 regioni francesi i ricoveri forzati rappresentano dal 20 al 30% del totale degli ingressi in ospedale. I ricoveri forzati per la maggior parte riguardano sempre le stesse persone: "Non e' raro che lo stesso schizofrenico venga internato anche 4 volte all' anno", ha aggiunto Jean Canneva, presidente dell'Unione Nazionale degli amici dei malati psichiatrici.
"Il solo modo per essere ricoverati in ospedale - spiega il dottor Pierre Riviere, riferendosi alla penuria di posti - e' un trattamento obbligatorio che costringe il servizio pubblico a liberare un posto letto".
"Negli ultimi anni - conclude il dottor Philippe de Labriolle - c'e' una forte tendenza a ricoverare in ospedale persone i cui casi venivano in passato sbrogliati dalla polizia'', creando una sorta di "psichiatrizzazione della vita quotidiana". (ANSA).

Mina:
le statistiche sulla depressione

La Stampa 5.4.06
La depressione dei grandi numeri
STUDI IN CONTRADDIZIONE
di Mina


SONO giorni in cui siamo orfani di sondaggi elettorali, per una legge che vieta di pubblicarli, ma che non può impedire di andare a guardarseli su Internet. Tacciono le cifre e le percentuali della politica, nell’attesa del diluvio dei commenti sullo zero-virgola in più o in meno che fra dieci giorni ci verranno riversati addosso dai vari Pecorari-Gasparri-Bertinotti-Bondi ecc. E allora, nel frattempo, consoliamoci con altre cifre. Magari sul tema della depressione, su cui sono usciti in pochi giorni ben quattro studi. Riassumo. Il Dipartimento Salute Mentale dell’Oms ci dice che la depressione colpisce gli adolescenti italiani in misura doppia (27,5%) rispetto ai loro coetanei nel mondo (13%). Altro studio: su 100 ragazzi depressi, almeno 4 tentano il suicidio e nel periodo finale dell’anno scolastico sono circa un centinaio quelli che ricorrono alla via di fuga dalla vita, a motivo degli insuccessi a scuola.
A risollevarci l’animo arriva di nuovo l’Oms con un perentorio «contrordine, ragazzi!». Gli italiani «cuor-contenti» sarebbero uno dei popoli meno depressi del mondo: solo l’11% ha sofferto almeno una volta in vita di un disturbo dell’umore, il 10% di un disturbo d’ansia, contro una media europea del 14% per i casi di depressione e del 16% di ansia. La tipologia media del depresso italiano è il single disoccupato che vive in città, oppure la casalinga sui 35 anni. Lo studio aggiunge che solo un quarto dei depressi ricorre alle cure sanitarie. Ma qualche giorno prima un altro studio americano ci avvisava che la metà delle terapie antidepressive non porta ad alcun miglioramento. E dopo questo bel quadretto a base di cifre ballerine, come dovremmo sentirci? Più depressi o più euforici?
Per confermare che l’Oms non può sbagliare, dovremmo macerarci il cuore o scoppiare in una fragorosa risata? Mah... Ogni studio epidemiologico, anche se condotto con grande dispiegamento di mezzi, arriva soltanto a darci un risultato medio, proprio perché scandaglia una globalità complessa che in realtà è fatta solo dalla somma di mille individualità. Ma le cose, le persone, gli attimi, vivono di singolarità, conservano il loro fascino perché consistono nella commovente unicità dei loro particolari.
Diceva Chesterton: «Dio sa contare solo fino a uno». Invece il suo surrogato moderno, la scienza, ragiona solo per numeri complessivi. E sulla stessa linea la segue l’informazione che casca spesso nel tranello della generalizzazione e adora scambiare la realtà con la statistica e i sondaggi. Oggi siamo i meno depressi del mondo, tra qualche settimana riappariranno i siringatori delle acque minerali e tutti i pitbull, che in questi mesi se ne son stati buonini, torneranno ad essere dei mostri cattivi. Vero o verosimile, così come è vero che l’euro ha aumentato i prezzi e come è altrettanto vero che son tutte belle le mamme del mondo. Verosimile o falsosimile. Il che, in epoca di relativismo dominante, è la stessa cosa.

anoressia a Roma

il Messaggero Sabato 5 Giugno 2004
IL DIETOLOGO
«Quindicimila le ragazze romane che sono ossessionate dal cibo»
di M. Gi.


Quindicimila ragazze romane colpite dall’anoressia o dalla bulimia. La gran parte dei casi rimangono contenuti tra le mura domestiche e pochi finiscono in un centro specializzato come quello del San Camillo. «Offriamo questo servizio dal giugno scorso e abbiamo in cura un centinaio di pazienti - spiega Bruno Leonetti, dietologo e direttore del centro - attraverso un piano terapeutico integrato, cioè con la collaborazione di dietologi, dietisti ma anche psicologi e psichiatri che quotidianamente aggiornano la situazione dei pazienti. Abbiamo due posti letto in day hospital per la nutrizione via flebo ma normalmente vengono seguite una decina di persone al giorno comprese coloro che effettuano una psicoterapia nutrizionale vera e propria insieme a noi».
Dall’anoressia è difficile guarire e i casi più semplici sono quelli legati al voler rassomigliare per forza alle modelle. «Sono però il 10 per cento dei casi - aggiunge Leonetti - mentre tutti gli altri hanno radici che affondano in disagi familiari: il padre delle nostre pazienti è spesso assente e la madre si intromette nella vita delle ragazze in modo prepotente. La malattia inizia quasi sempre come la tossicodipendenza: la ragazza è sicura di poter dominare il fenomeno, di utilizzare l’alimentazione per richiamare il papà o per porre limiti alla mamma, ma all’improvviso perde il controllo e il sintomo prende il sopravvento. E così si verificano gravi alterazioni della percezione del corpo, le ragazze si vedono grasse nonostante siano magrissime e lo specchio restituisce loro un’immagine di donna obesa in una sorta di sfida alla magrezza che però non arriva mai. Il fenomeno dell’anoressia è sotterraneo, secondo le ultime statistiche colpisce dall’1 al 3 per cento della popolazione fino a punte del 5 nella bulimia». Ma da queste malattie si guarisce? «Se è solo un problema di emulazione delle modelle è possibile, quando ci sono anche problemi familiari - risponde lo specialista - è più difficile perché bisogna cominciare a ristabilire i giusti equilibri nelle famiglie».

suicidi e tentati suicidi degli adolescenti

L'Eco di Bergamo 5.6.04
Adolescenti, il dramma nascosto
«Dietro i tentativi di suicidio la morte vista come una prova estrema» Il Crisis Center di Milano: i campanelli d'allarme non sempre sono evidenti
di S. P.


Chiudi il libro, sconvolto, sull'esperienza del Crisis Center di Milano per i tentati suicidi in adolescenza, apri la tv ed eccola, la 14enne valtellinese volata nel fiume dopo aver mandato un sms disperato all'amica. Il libro che raccoglie le esperienze di tre anni di lavoro del Centro diretto da Gustavo Pietropolli Charmet – psichiatra, presidente del Caf e dell'Istituto Minotauro – è stato presentato a Bergamo, al teatro Alle Grazie, per iniziativa di Laboratorio di ricerca sulla famiglia, Sinapsi e Medas. Alla presentazione anche il direttore generale degli Ospedali Riuniti Stefano Rossattini e quello dell'Asl Silvio Rocchi e, per la scuola, Maria Carla Marchesi (Csa, l'ex provveditorato).
Charmet calcola che solo a Milano ogni anno almeno un migliaio di adolescenti tenti il suicidio. Nascosti nelle casistiche del pronto soccorso, ridotti a ragazzata da genitori sconvolti, questi segnali gravissimi di sofferenza vengono rimossi dagli adulti. Ma non dai ragazzi, che, nella metà dei casi, ci riprovano. E questa volta il 40% riesce nel tragico intento di scomparire. È possibile prevenire i tentativi di suicidio? Secondo Charmet non esistono campanelli d'allarme tipici. Il trasformare fisiologiche fantasie di morte in progetto suicida è cosa lunga, che cresce lentamente nel tempo, in una zona quasi tra sonno e veglia, tra sogno e realtà, della quale lo stesso adolescente non si rende conto fino in fondo. Illuso che del corpo, fonte di guai e vergogna, ci si possa sbarazzare restando comunque in qualche modo se stessi. La morte come prova estrema, iniziazione di una fiaba terribile che libera, per il coraggio dimostrato, da tutti gli ostacoli, annichilisce tutti gli avversari (soprattutto i più amati), riconquista l'apprezzamento, l'onore, il valore.
Può capitare a tutti? Sì, le condotte non devianti, il successo scolastico, la popolarità tra i compagni, la storia amorosa non sono di per sé garanzia e antidoto. Perché tutto dipende da come le situazioni e le occasioni sono vissute. Sono più le ragazze (7 a 1 il rapporto con i maschi) che tentano il suicidio, ma sono più i maschi (5 contro 1 femmina) che lo portano a termine. Perché sono abituati a trattare il loro corpo con aggressività, a metterne alla prova la forza. E i mezzi che scelgono per farla finita sono diretti: la corda, la pistola, il salto nel vuoto. Le ragazze ricorrono a metodi esteticamente meno rovinosi: pastiglie, veleni. Benedette quindi le norme italiane che limitano il porto d'armi, che fanno inserire emetici nei detersivi, che riducono i dosaggi dei farmaci. Che altro si può fare? Costituire – come ha fatto l'Ufficio scolastico della Lombardia, il Csa di Bergamo è pronto a fare altrettanto – un protocollo di intervento in caso di morti accidentali o suicidi fuori e dentro la scuola. Per essere pronti a arginare l'angoscia, incanalare il lutto, evitare che dalla glorificazione del compagno perduto si passi all'imitazione da parte di altri studenti in crisi. Soprattutto, sembra di capire, è meglio che noi adulti cerchiamo di tornare tutti più normali, non più travolti dalle richieste a noi stessi e agli altri. Con qualche divieto accettato in più, con qualche rivalsa in meno. Tutti, perché la causa dell'aumento di suicidi tra gli adolescenti è nell'aria che si respira, non dietro l'uscio di una particolare famiglia problematica e diversa.

anoressia e bulimia

Corriere della Romagna sabato 5 giugno 2004 Edizione di: RAVENNA
Anoressia e bulimia, “fame” d’amore
di Debora Rontini Elena Bortolotti


FAENZA - “In epoca tardomedievale era chiamata ’Santa anoressia’ perché la persona che si avvicinava alla religione doveva umiliare il proprio corpo, negare la carne . Quindi l'anoressia, secondo questa interpretazione, si lega ad un desiderio spirituale. Oggi, anche se non è così evidente, potrebbe darsi che per la ragazza anoressica (come per la bulimica) molte motivazioni siano legate allo stesso desiderio: la sua immagine interna deve essere chiara di fronte al mondo, la carne è soltanto un incidente”. Queste sono le parole di uno psicoanalista che definisce l'anoressia e la bulimia come conseguenze di un bisogno spirituale, ma è veramente solo questa la causa? Si rileva che l'anoressia come la bulimia colpisca le ragazze dai 12 ai 25 anni, ma non mancano casi anche dopo i 30 anni, come emerge dai dati del consultorio di Conselice. Le pazienti anoressiche e bulimiche hanno quasi personalità uguali: scarso concetto di sé, bassa autostima, elevati livelli di perfezionismo e soprattutto eccessiva preoccupazione per il peso.Una recente intervista a Maria Grazia Bacchilega, una psicologa che opera nel territorio considerato, ha confermato che il disturbo è spesso innescato da fattori che riguardano principalmente il disagio con la propria famiglia, ad esempio separazioni e perdite, modificazioni dell'equilibrio familiare, rapporto conflittuale con la madre unitamente a problematiche scolastiche, sentimentali e difficoltà interpersonali.Un ruolo molto importante nello sviluppo di questa malattia è esercitato anche dalla nostra cultura che associa la magrezza al valore personale. Anoressia significa letteralmente “mancanza nervosa d’appetito” ma questa definizione è sbagliata perché le persone affette da questo disturbo hanno sempre una intensa fame causata dalla loro dieta ferrea, dal fare eccessivo esercizio fisico e, in alcuni casi, dall’indursi in vomito ogni volta che ritengono di aver mangiato in eccesso come testimonia la giornalista A. Arachi, nella sua autobiografia “Briciole” dove racconta di come il cibo era diventato la fonte dei suoi problemi, rigettandolo li avrebbe risolti. L’unico suo pensiero era mangiare per poi vomitare tutto in qualunque posto. La gente la credeva felice, ovunque andasse doveva essere contenta ma resisteva poco in mezzo alle persone inventava sempre scuse per rimanere sola a consumare il suo “rito delle orge alimentari”. Credeva che svanire pian piano dentro ai vestiti l'avrebbe allontanata dalla realtà.La bulimica al contrario, è caratterizzata da abbuffate notturne che faranno insorgere immediatamente la paura di aumetare di peso, a tal punto da portare a mettere in atto dei comportamenti di compenso (vomito autoindotto, uso di lassativi, digiuno ed esercizio fisico) come conferma la stessa scrittrice F. De Clerch nell'opera “Donne invisibili”, mangiare un cibo e disfarsene significa veicolare fuori di se l’angoscia interiore. “L’unico bersaglio della tua rabbia - scrive la De Clerch - la persona a cui provochi del male sei te stessa. Scarichi su di te l'aggressività che non hai potuto esprimere su chi ti ha usato, abbandonata, poco amata”.Chi si abbuffa ha spesso problemi di ansia, è irritabile e va spesso incontro a scoppi di rabbia; a volte adotta comportamenti autolesionistici come tagliarsi o bruciacchiarsi o abusa di sostanze. Alcune persone con questi disturbi possono diventare così disperate da cercare di togliersi la vita.La De Clerch descrive questa “fame” come un bisogno d’amore di persone deboli che non vogliono riconoscerlo per paura di sentirsi fragili. L’indursi il vomito serve per “vomitare” tutti i pensieri che la mente non riesce a contenere. Accanto a queste testimonianze, da parte di donne che hanno vissuto in prima persona il problema del disagio alimentare, vanno anche considerate le recenti inchieste effettuate dalle “Commissioni” nominate dal Ministero della Sanità. Tali organi documentano che la domanda di cure per l’anoressia e bulimia è molto aumentata dagli anni ’96-’97 ad oggi, e che in Italia l’assistenza per i disturbi del comportamento alimentare è giudicata insufficiente. Un’organizzazione auspicabile potrebbe prevedere dei Centri Regionali Interdipartimentali che coordinino Unità Ambulatoriali, ospedali diurni e sevizi riabilitativi, specializzati nel campo.Riprendendo una bella pagina di A. Arachi del libro “Briciole”, si potrebbe dire che “il senso della vita deve essere messo nuovamente in discussione, anziché scegliere di svanire piano piano dentro ai vestiti”.

dal mondo tolemaico:
per i bambini: Teddy!

ricevuto da Piergiuseppe Cancellieri

superEva.it 4 giugno 2004
BAMBINI: NASCE TEDDY, RETE PER STUDIARE FARMACI AD HOC

Roma, 4 giu. (Adnkronos Salute) - Nasce Teddy, una 'rete' europea per studiare farmaci adatti ai bambini. Non basta, infatti, spezzare le compresse in due, sciogliendone magari la meta' in un succo di frutta, per trasformare un farmaco studiato per gli adulti in una medicina adatta ai bambini. Nella migliore delle ipotesi il rischio e' che il principio attivo del medicinale non venga assorbito. Nella peggiore che la molecola, sperimentata su persone adulte, abbia conseguenze pericolose in un organismo ancora in crescita. Purtroppo, pero', ancora oggi le ricerche sui farmaci in pediatria sono scarse. Per far fronte a questo vuoto, su iniziativa di Adriana Ceci, direttore del Consorzio per le valutazioni biologiche e farmacologiche di Pavia (Cvbf) e di Carlo Giaquinto dell'universita' di Padova, e' stato creato Teddy, ovvero la 'Task force in Europe for Drug Development in Young'. ''In pratica - spiega Adriana Ceci - si tratta di un network europeo che ha l'obiettivo di coordinare e promuovere ricerche, stendere linee guida e documenti di indirizzo, sia per gli istituti sia per le aziende che intendono sviluppare farmaci pediatrici''. L'esperta ricorda alcuni casi in cui i medicinali si sono rivelati dannosi per i piu' piccoli come ''la cisapride, usata per contrastare il vomito nei lattanti, ritirato poi dal commercio per aver causato la morte per arresto cardiaco di almeno 8 bambini''. Ma anche gli antidepressivi, con le loro gravi reazioni avverse, sconsigliate ai bambini da molte agenzie regolatorie. ''Il problema vero pero' - prosegue Ceci - e' che tutto cio' si scopre sempre sul campo, sulla pelle dei piu' piccoli, perche' non esistono trial clinici dedicati e solo pochi farmaci hanno una formulazione pediatrica'' Per il momento nel network lavorano 200 ricercatori e una ventina di istituzioni pubbliche e private in rappresentanza di dieci Paesi: oltre all'Italia, Paese coordinatore, fanno parte di Teddy anche Germania, Spagna, Francia, Regno Uniti, Romania, Portogallo, Israele, Danimarca, Paesi Bassi. ''L'iniziativa - precisa Ceci - e' il frutto di un intervento della Commissione europea, che nel 2002 ha sottoscritto un documento, Better Medicine for Children, alzando di fatto il velo su una situazione nota, ma totalmente e colpevolmente ignorata''. Nel documento c'erano due indicazioni. La prima sollecitava progetti di ricerca sul tema, e Teddy ne e' il risultato. La seconda riguarda la stessa Commissione, che sta mettendo a punto un regolamento per lo sviluppo di farmaci pediatrici destinato alle industrie e agli stati membri, pronto probabilmente entro il 2005. Gli esperti della 'rete' puntano anche sull'etica delle sperimentazioni: un Super comitato etico europeo sara' integrato nella struttura di Teddy. La comunicazione degli esperti dei diversi Paesi, infine, e' garantita da un complesso strumento informatico. E presto alla parte scientifica si aggiungera' un'area informativa dedicata ai genitori e ai bambini. (Com-Ram/Adnkronos Salute)

dal mondo tolemaico:
«Aderenza alla terapia della schizofrenia»

ricevuto da Piergiuseppe Cancellieri

Yahoo! Notizie Psichiatria, venerdì 4 giugno 2004
Psicologia e Neurologia
Aderenza alla terapia della schizofrenia
Il Pensiero Scientifico Editore


Da uno studio recentemente pubblicato sull’American Journal of Psychiatry è emerso che la mancata o scorretta aderenza alla terapia da parte dei pazienti affetti da schizofrenia incide fortemente sui costi dell’assistenza. Una migliore aderenza invece avrebbe effetti positivi non solo sulla salute dei malati, ma anche sulla spesa sanitaria. A partire da questi risultati, i ricercatori sottolineano la necessità di una campagna di informazione rivolta sia ai pazienti per sensibilizzarli sull’importanza di seguire correttamente la terapia prescritta, sia ai medici per stimolarli a prescrivere farmaci che siano sì efficaci ma anche tali da non ridurre l’aderenza al trattamento.
Lo studio, sovvenzionato dal National Institute of Mental Health e dal Department of Veterans Affairs , ha preso in esame i dati relativi ai malati di schizofrenia ammessi al programma di assistenza sanitaria e le richieste di rimborso  dal 1998 al 2000, nell’area di San Diego (California). Questi dati sono stati messi a confronto con le informazioni fornite dai registri  delle farmacie per verificare l’aderenza al trattamento prescritto.
I pazienti sono stati suddivisi in base alle quattro classi di farmaci da loro assunti per via orale: antipsicotici di prima generazione, clozapina, antipsicotici di seconda generazione e farmacoterapia di associazione. Il comportamento dei pazienti rispetto alla cura prescritta è stato classificato come ‘aderente’ (osservanza della prescrizione che oscilla tra l’80 per cento e il 100 per cento rispetto al consumo di farmaci previsto), ‘parzialmente aderente’ (per i valori che oscillano tra il 50 per cento e l’80 per cento), ‘non aderente’ (osservanza alla prescrizione del 50 per cento) e, infine, c’è il comportamento degli ‘eccessivamente zelanti’ che continuano la terapia oltre il tempo di prescrizione, con un valore di aderenza al trattamento superiore al 100 per cento.
Su un totale di 1.619 malati di schizofrenia, ammessi al programma di assistenza sanitaria, il 41 per cento è risultato essere aderente, il 24 per cento non aderente, il 16 per cento parzialmente aderente e il 19 per cento eccessivamente aderente. L’indice dei ricoveri psichiatrici per i pazienti aderenti al trattamento, pari al 14 per cento, è risultato più basso di quello dei pazienti non aderenti (35 per cento), parzialmente aderenti (24 per cento) ed eccessivamente aderenti (25 per cento). Anche il numero dei ricoveri ospedalieri è inferiore per i pazienti aderenti (7 per cento), che per i non aderenti (13 per cento) e per gli eccessivamente aderenti (12 per cento).
In generale i costi sanitari attribuibili ai pazienti che seguono correttamente il trattamento farmacologico prescritto sono decisamente inferiori rispetto a quelli per gli altri gruppi. Spicca il dato relativo agli eccessivamente aderenti: la spesa totale ad essi attribuibile è notevolmente maggiore rispetto a quella degli altri gruppi. I ricercatori, inoltre, hanno evidenziato che alla maggior parte degli appartenenti a questa categoria sono prescritte terapie associate.
Commenti. “Chiaramente, è questo il gruppo da tenere in osservazione per assicurarsi che i pazienti in esso compresi seguano la cura in modo appropriato”, osserva Dilip Jeste, professore di psichiatria e neurologia all’Università di California nella San Diego School of Medicine, “il dato da mettere a fuoco è che il problema dell’aderenza al trattamento è un fenomeno multiforme e molto generalizzato”.

Bibliografia. Gilmer T, Dolder C, Lacro J et al. Adherence to treatment with antipsychotic medication and health care costs among medicaid beneficiaries with schizophrenia. Am J Psychiatry 2004;161:692-699.