La Stampa Tuttoscienze 30/7/2003
SENSI: GLI ESITI DI INTERESSANTI ESPERIMENTI
Profumo di donna e di uomo (per chi sa ancora usare il naso)
E’ PROBABILE CHE GIA’ NEL FETO SI RECEPISCANO ATTRAVERSO IL LIQUIDO AMNIOTICO FRAGRANZE CHE POSSONO CONDURRE A PREFERENZE O AD AVVERSIONI ALIMENTARI
di Marco Pacori
NEL film «Michael», John Travolta era un angelo che profumava di biscotti appena sfornati e le donne, annusandolo, se ne sentivano irresistibilmente ammaliate. E che dire del tanto decantato dopobarba «sciupafemmine» per «l’uomo che non deve chiedere mai»? Dai romanzi, alla poesia; dalla pubblicità ai film l’effetto dell’odore individuale a livello interpersonale è da sempre esaltato e a ragione: un profumo ci fa perdere la testa, ci fa sognare, ci turba i sensi; ci rasserena e ci ammansisce. Nonostante quest’effetto, l’olfatto è un senso che la nostra specie sta perdendo. Dominique Giorgi del Centro ricerche biochimiche di Montpellier, nell’ambito dello studio del genoma umano, ha scoperto che il 72% dei geni cui si deve la percezione dell’olfatto è «spento». L’1% della popolazione poi non avverte alcun odore e il 50% degli individui non distingue il tipico «profumo di uomo», il muschiato androstenolo.
Da poco tempo la scienza è stata in grado di dare una risposta ai perché degli effetti di odori e profumi. L’olfatto e il gusto si sviluppano molto precocemente nel feto; non è improbabile che quindi, attraverso il liquido amniotico, si faccia conoscenza delle fragranze recepite dalla madre e già allora nascano delle preferenze o delle avversioni alimentari e olfattive in base alle reazioni che gli odori producono su di lei. Esperimenti su animali, con l’introduzione di particolari essenze nella placenta o aromatizzando il cibo della femmina gravida con determinate spezie, hanno dimostrato che i cuccioli, alla nascita, mostrano una spiccata predilezione per queste sostanze.
Il neonato distingue l’odore della propria madre da quello delle altre donne già intorno al sesto giorno di vita; per altro, è in grado di riconoscere la «fragranza» del seno anche se non è mai stato allattato. Attorno ai cinque, sei anni, fase in cui Freud ha postulato che il bambino sviluppi una forte attrazione per il genitore di sesso opposto e antagonismo per quello dello stesso sesso, degli studi hanno messo in evidenza che il «pargolo» trova stimolante l’odore della madre (o del padre, se si tratta di una femmina) e repellente quello del padre. Rachel Herz dell’Università della Pennsylvania ha dimostrato sperimentalmente quella che è un’esperienza comune, cioè che un odore «impregna» un’esperienza, rendendone più forte il ricordo. Questo fenomeno, spiega la studiosa, è da attribuire al fatto che la regione del cervello preposta all’elaborazione olfattiva è direttamente connessa con amigdala e ippocampo, le sedi dei ricordi, specie quelli ad alto tenore emotivo. L’odore è come un’impronta digitale: unico e inimitabile. I partner sono in grado di riconoscersi annusando semplicemente l’odore delle magliette indossate.
Non serve essere scienziati per scoprire che l’odore o il profumo dell’altro può rivelarsi potente afrodisiaco. E’ poi esperienza comune che un profumo di per sé indifferente possa diventare estremamente attraente se sentito su una persona di cui siamo innamorati; così come è tutt’altro che infrequente percepire all’improvviso il suo odore nei momenti più disparati e in totale assenza della sua persona o di capi d’abbigliamento o altro che siano stati a contatto con essa. Un’altra indagine condotta nell’università di Chicago ha dato prova che delle donne cui è stata fatta annusare una fiala contenente gocce di secrezione ascellare dei propri compagni, sottoposte ad un tedioso esperimento, mantengono un umore positivo molto più a lungo di altre che hanno annusato un’ampolla contenente solo un liquido neutro.
Konig e Schultze-Westrum, con un’arguta sperimentazione, hanno potuto verificare che l’odore personale esercita un’influenza non trascurabile nei giudizi di simpatia e antipatia verso degli sconosciuti. Le donne sono più sensibili all’odore del maschio, benché quest’ultimo adotti l’odore personale come criterio nella scelta del parner in misura notevolmente superiore di quanto non faccia il gentil sesso. Per quanto riguarda l’odore personale, le donne di solito valutano il proprio odore come gradevole, mentre l’uomo lo trova indifferente se non addirittura da far «storcere il naso». Entrambi i sessi sono però concordi nel giudicare più piacevole la «profumazione» femminile. L’odore può provocare degli effetti inconsci. In particolare le molecole odorose, denominate feromoni, che negli animali regolano corteggiamento e riproduzione, inducono dei fenomeni quantomeno insoliti. In un test, due ricercatrici dell’Università di Chicago hanno fatto annusare a dei soggetti femminili delle secrezioni di altre donne: bene, a seconda del fatto che fossero «prelevate» prima o dopo l’ovulazione, il ciclo mestruale delle inconsapevoli «sommelier» accelerava o rallentava. Un’altra osservazione interessante è quella condotta in ambienti, come gli appartamenti dei college, dove le donne si trovano a coabitare assieme a lungo: il loro ciclo mestruale tende a sincronizzarsi. Un effetto anch’esso attribuibile alla percezione dei feromoni è la constatazione che quando una donna convive con un uomo, i suoi cicli generalmente si accorciano per estendere il periodo di fertilità.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
mercoledì 6 agosto 2003
storia del cristianesimo
La Stampa Tuttolibri 2/8/2003
Ma il divino Gregorio preferiva il turbante turco alla tiara latina
NELL’AUTUNNO del medioevo, che in Oriente era l'alba del rinascimento, un monaco pregò perché gli fosse rivelata la condizione del divino Gregorio Palamas, che da poco tempo era morto. Una notte gli si presentò in sogno una visione. Nel tempio della Divina Sapienza che si trova nella Costantinopoli celeste, di cui il tempio di Haghia Sophia che si trova nella Costantinopoli terrena non è che il rispecchiamento, si stava svolgendo un concilio. Erano allineati il grande Atanasio e con lui Basilio di Cesarea, Gregorio di Nazianzo e Giovanni Crisostomo, e ancora Gregorio di Nissa e il sapiente Cirillo. Stavano discutendo da tempo infinito, ma non riuscivano a trovare una conclusione. Ed ecco, il monaco udì una voce stentorea: «E' impossibile che i presenti ratifichino con il voto le loro decisioni, se anche Gregorio, il metropolita di Tessalonica, non è presente». Ma Gregorio non c'era, perché si trovava a colloquio privato presso il trono dell'Imperatore che è nei cieli, di cui l'imperatore terreno è solo il riflesso. Quando il colloquio finì, e il diacono inviato dai padri comunicò al divino Gregorio che era atteso, questi si recò al concilio e tutti i padri si alzarono in piedi e lo portarono nel mezzo e lo fecero sedere sullo scanno più alto insieme a Basilio, Giovanni e Gregorio. Fu così che tutte le linee teologiche discusse per diverse cause e in diversi tempi Gregorio Palamas le fece convergere in un solo punto, e alla fine il concilio poté sciogliersi perché nessuna cosa non era stata risolta. Il sogno del monaco non si avverò. Il concilio, nella basilica celeste, non è ancora sciolto. Malgrado Gregorio Palamas sia stato santificato e la sua confutazione dell'eresia latina sia stata inserita nel Synodikon dell'ortodossia che si legge ogni anno la domenica dell'ortodossia, gli occidentali non hanno ancora ammesso che la parola di Palamas era assoluta e definitiva e chiudeva ogni possibile dibattito teologico dopo quattordici secoli di cristianesimo. Nella Costantinopoli celeste ancora stridono, a irritare le orecchie del grande Atanasio, e con lui di Basilio di Cesarea, Gregorio di Nazianzo e Giovanni Crisostomo, e di Gregorio di Nissa e del sapiente Cirillo, i sofismi del calabro Barlaam e dell'infido Acindino. Sulla base di sillogismi dialettici, il cui scopo è la confutazione, non è possibile sapere nulla su Dio, affermavano quei cervelli disonesti e venduti. La dottrina greca secondo cui lo Spirito Santo procede dal Padre attraverso il Figlio, che pure è la sola esatta, e quella latina secondo cui lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio, che pure è erronea, si equivalgono, arguivano ipocritamente. Con questo ragionamento falso cercavano di ingraziarsi il papa di Roma, poiché ritenevano che la Chiesa cattolica fosse per Bisanzio un pericolo minore dell'Islam. Al contrario Gregorio preferiva il turbante turco alla tiara latina. Fu così che la sacra città di Bisanzio fu perdente nella storia, perché al teologo favorito dal suo popolo non fu mai perdonato di avere vinto in filosofia.
Ma il divino Gregorio preferiva il turbante turco alla tiara latina
NELL’AUTUNNO del medioevo, che in Oriente era l'alba del rinascimento, un monaco pregò perché gli fosse rivelata la condizione del divino Gregorio Palamas, che da poco tempo era morto. Una notte gli si presentò in sogno una visione. Nel tempio della Divina Sapienza che si trova nella Costantinopoli celeste, di cui il tempio di Haghia Sophia che si trova nella Costantinopoli terrena non è che il rispecchiamento, si stava svolgendo un concilio. Erano allineati il grande Atanasio e con lui Basilio di Cesarea, Gregorio di Nazianzo e Giovanni Crisostomo, e ancora Gregorio di Nissa e il sapiente Cirillo. Stavano discutendo da tempo infinito, ma non riuscivano a trovare una conclusione. Ed ecco, il monaco udì una voce stentorea: «E' impossibile che i presenti ratifichino con il voto le loro decisioni, se anche Gregorio, il metropolita di Tessalonica, non è presente». Ma Gregorio non c'era, perché si trovava a colloquio privato presso il trono dell'Imperatore che è nei cieli, di cui l'imperatore terreno è solo il riflesso. Quando il colloquio finì, e il diacono inviato dai padri comunicò al divino Gregorio che era atteso, questi si recò al concilio e tutti i padri si alzarono in piedi e lo portarono nel mezzo e lo fecero sedere sullo scanno più alto insieme a Basilio, Giovanni e Gregorio. Fu così che tutte le linee teologiche discusse per diverse cause e in diversi tempi Gregorio Palamas le fece convergere in un solo punto, e alla fine il concilio poté sciogliersi perché nessuna cosa non era stata risolta. Il sogno del monaco non si avverò. Il concilio, nella basilica celeste, non è ancora sciolto. Malgrado Gregorio Palamas sia stato santificato e la sua confutazione dell'eresia latina sia stata inserita nel Synodikon dell'ortodossia che si legge ogni anno la domenica dell'ortodossia, gli occidentali non hanno ancora ammesso che la parola di Palamas era assoluta e definitiva e chiudeva ogni possibile dibattito teologico dopo quattordici secoli di cristianesimo. Nella Costantinopoli celeste ancora stridono, a irritare le orecchie del grande Atanasio, e con lui di Basilio di Cesarea, Gregorio di Nazianzo e Giovanni Crisostomo, e di Gregorio di Nissa e del sapiente Cirillo, i sofismi del calabro Barlaam e dell'infido Acindino. Sulla base di sillogismi dialettici, il cui scopo è la confutazione, non è possibile sapere nulla su Dio, affermavano quei cervelli disonesti e venduti. La dottrina greca secondo cui lo Spirito Santo procede dal Padre attraverso il Figlio, che pure è la sola esatta, e quella latina secondo cui lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio, che pure è erronea, si equivalgono, arguivano ipocritamente. Con questo ragionamento falso cercavano di ingraziarsi il papa di Roma, poiché ritenevano che la Chiesa cattolica fosse per Bisanzio un pericolo minore dell'Islam. Al contrario Gregorio preferiva il turbante turco alla tiara latina. Fu così che la sacra città di Bisanzio fu perdente nella storia, perché al teologo favorito dal suo popolo non fu mai perdonato di avere vinto in filosofia.
Cesare Lombroso 1835 - 1909
La Stampa Tuttolibri 2.8.03
La bottega di Lombroso
di Oddone Camerana
PASSANO i secoli, ma il "romanzo" di Cesare Lombroso e la sua annessa bottega ottocentesca di strumenti di misurazione e di messaggi sulla fatalità biologica dell'uomo, sul male incarnato, sulla pazzia del genio e sulla necessità sociale della devianza, non smettono di affascinare gli studiosi del medico legale veronese trapiantato a Torino. Definito un caffè eccitante dal sociologo francese suo contemporaneo, Gabriel Tarde, tale ce lo ripresenta Delia Frigessi nel bel libro che la studiosa gli dedica, rintracciando da autentica detective le infinite trame della cultura che portano al suo nome. Sullo sfondo della biblioteca-laboratorio nei cui scaffali le tabelle, i diagrammi e le statistiche si mescolano a oftalmoscopi, bilance, craniometri, scalpelli e oscilloscopi, si addensa il cumulo delle teorie più brucianti del suo secolo e di quello successivo: teorie della vita, del principio del vivente, del vitalismo, dei confini tra fisiologia e patologia, dei sogni, dell'inconscio e del determinismo biologico-genetico. La medicina era in fase di conquista, si affermava la scuola materialistica, l'uomo era il nuovo dio e l'antropologia la nuova teologia. D'altra parte, dopo Copernico e Darwin l'uomo non era più al centro né dell'universo, né del mondo animato. Di lì a poco Freud e Samuel Butler avrebbero messo in discussione anche la unicità di ognuno nei riguardi del prossimo e del mondo nascente delle macchine. Pessimismo e ottimismo si contendevano dunque le coscienze dell'epoca. Al centro di tutto questo stava il problema del controllo della violenza, problema che si riproponeva in quella che, per distinguerla dalle società arcaiche, Lombroso definiva la società "della frode", nella quale era comparsa la malattia mentale. Dimenticata da secoli, era stata isolata a partire dal momento in cui la rivoluzione industriale aveva attinto molti dei suoi primi addetti pescando nella massa indistinta di mendicanti, randagi, vagabondi, orfani, idioti, delinquenti rinchiusi nelle case di segregazione, ad eccezione dei folli però, per i quali, considerati mano d'opera inutilizzabile, erano stati aperti i primi manicomi specializzati. Fu a quel momento che la medicina si pose al servizio dell'espansione economica e si configurò come scienza volta a crescere il potere dello stato. Che fare dei matti se non studiarli per prima cosa, considerando la loro propensione a delinquere? Cosa produce il delitto e la follia? La follia è una malattia dello spirito o del corpo? Se criminalità e malattia mentale sono contigui, l'autore del delitto è responsabile e punibile? E chi lo stabilisce? Che dire del criminale politico che agisce lucidamente, convinto dell'utilità sociale del suo gesto in difesa degli oppressi? Sono queste alcune delle domande che si addensano sulle scrivanie di coloro - magistrati, medici, criminologi, penalisti, antropologi, psichiatri, politici - che devono affrontare una realtà esplosiva e ai quali Lombroso farà da guida. Gli va riconosciuto il merito di aver concentrato l'attenzione sull'autore del crimine più che sul crimine stesso. Se non che, restando fedele allo spirito positivo dei fatti e dei dati certi, attento ai segni raccolti nei manicomi e nelle carceri - tatuaggi, gerghi, manufatti - segni attraverso i quali il criminale si esprime, è successo che, mosso da spirito etnocentrico e individuando nell'arresto dello sviluppo e nel precipizio in uno stato primordiale selvaggio e atavico la ragione del delinquere, Lombroso abbia dato vita a una scienza dei mostri. Trattandosi di una situazione irrecuperabile, quella di un passato che ritorna è una visione statica e senza speranza. Non si nasce delinquenti ma lo si diventa, osservano marxisti e socialisti, secondo i quali le anomalie fisiche del criminale sarebbero effetto della devianza e non causa. Quest'ultima sarebbe invece economico-sociale, Lombroso avrebbe criminalizzato il Mezzogiorno per facilitare l'egemonia del Nord e facendo un tutt'uno di biologia e sociologia, avrebbe scritto un'antropologia, secondo Pareto, più simile all'astrologia che a una scienza. Il mistero della violenza era sentito fin dall'antichità e la prima raccomandazione per evitare che esplodesse consisteva nell'evitare le occasioni di rivalità mimetica, quelle in cui ognuno copia il prossimo nei suoi desideri al punto di cadere nel suo doppio mostruoso. La lingua francese ha la stessa parola, envie, per designare due moti diversi dell'animo, desiderio e invidia, ma contigui nello sviluppo dall'uno all'altro, e l'Antico Testamento costruisce l'edificio della pace sociale di una comunità sul tenersi lontano dalle situazioni in cui, desiderando secondo un modello, si finisce per esserne gelosi."Non desiderare la roba d'altri" esorta il comandamento a titolo di prevenzione, dopo di che, se non viene rispettato, può succedere di tutto: contagio mimetico di invidie, gelosie, violenze, vendette, ritorsioni, rappresaglie. Precipitata in una situazione di "tutti contro tutti", di perdita di diversità, una vera peste sociale, la comunità contaminata non ritrova l'equilibrio e l'ordine, la cultura con le sue gerarchie, le sue leggi, le sue differenze e le sue trascendenze, se non quando i suoi componenti non si accordano di girare la violenza che li domina scaricandola su di uno, ritenuto responsabile di averla attizzata. Alla luce di questa considerazione - un ritorno al passato equivalente a quello cercato da Lombroso nell'atavismo - definire oggi la percezione che si ha della scienza del medico veronese vuol dire constatare come egli abbia cercato l'invisibile e l'inconoscibile del crimine senza accorgersi di come, invece che nelle stigmate del delinquente, erano da trovarsi nei testi della letteratura, dai vangeli ai romanzi, dove giacevano da tempo purché li si leggesse con spirito antropologico. Il fatto è che la cultura positiva e comparativa aveva degradato i testi evangelici alla stregua dei miti, impedendo che se ne vedesse la lezione di antropologia mimetica che contenevano. Soltanto una lettura sacrificale e non cristiana del crimine ha reso possibile di vedere nel delinquente una forma di regressione atavica. Come la cultura mitica persecutoria vede nel gonfiore del piede di Edipo il segno e la stigmate della supposta colpa commessa verso padre e madre e ne fa la vittima responsabile della peste di Tebe, come le persecuzioni medioevali individuano nel gobbo, nell'ebreo, nella strega i segni dei soggetti da eliminare in quanto pericolosi, così la psichiatria somatica e organicistica, nel nuovo contesto capitalista borghese, rinnova e perpetua la tradizione di organizzare scientificamente gli smaltitoi in cui vanno a finire i segnati del nuovo proletariato. In questo senso si capisce perché Lombroso fosse tanto interessato all'arte dei pazzi. Nella minuzia dei dettagli, nelle proporzioni degli oggetti rappresentati, nell'assenza di prospettiva, nella predilezione degli arabeschi che contraddistingue quella forma d'arte, egli vedeva i segni di quella cultura simbolica di cui l'antichità era depositaria indicando nella vittima sostitutiva il primo simbolo della cultura nonché la formula metonimica del controllo della violenza. Giustamente viene illustrata a fondo la posizione assunta da Lombroso nei riguardi del delitto politico, levatrice del progresso sociale, principio che prefigura il trattamento riservato ai prigionieri politici di oggi. Ma anche qui emerge il desiderio di Lombroso di conciliare cose inconciliabili che risalgono alle contraddizioni della sua psichiatria. Da una parte il fondamento violento della cultura, che egli non riesce cogliere a pieno, incapace di liberarsi dal vincolo dell'atavismo, dall'altra il bisogno di emancipazione cristiana che non si può esprimere organizzando quei luoghi di abbandono dei rifiuti delle carceri che erano i manicomi criminali. Alla fine, sempre alla ricerca della formazione delle idee simbolo della nostra cultura, Lombroso si affida alle scoperte dello spiritismo, del magnetismo, del sonnambulismo, e come disse un suo collega, secondo il quale "sarebbe stato interessante poter provocare in me stesso qualche fenomeno di delirio", partecipa a esperimenti e assiste a spettacoli medianici. Se invece dell'insolito avesse osservato di più il quotidiano, forse sarebbe riuscito a cogliere nell'uomo mimetico quelle "attività non consce" che aveva tanto cercato senza trovarle. Un doveroso accenno anche al testo del professore Pier Luigi Baima Bollone. Se non altro per l'inquadramento dato alla materia storica da lui trattata, inserendola nel fenomeno impressionante e crescente del crimine, una attività che non conosce crisi. In secondo luogo per l'excursus dedicato alla storia della medicina antica e medioevale fino all'individuazione dell'infermità mentale e della fisiognomica dedicata all'aspetto del malato. Da notare poi le pagine riguardanti il filone del razzismo antisemitico a cui si aggiungono quelle di Delia Frigessi, secondo le quali gli scritti lombrosiani sull'atavismo sono serviti al razzismo "interno" nazista bisognoso di un fondamento scientifico che lo orientasse nell'individuazione dell'anormale da incolpare al fine di ritrovare la concordia.
Delia Frigessi, Cesare Lombroso Dall'Antropologia Criminale alla Criminologia, Einaudi, pp. 426, e 34 Pier Luigi Baima Bollone, G. Giappichelli Editore Torino pp. 345, e 30.00
La bottega di Lombroso
di Oddone Camerana
PASSANO i secoli, ma il "romanzo" di Cesare Lombroso e la sua annessa bottega ottocentesca di strumenti di misurazione e di messaggi sulla fatalità biologica dell'uomo, sul male incarnato, sulla pazzia del genio e sulla necessità sociale della devianza, non smettono di affascinare gli studiosi del medico legale veronese trapiantato a Torino. Definito un caffè eccitante dal sociologo francese suo contemporaneo, Gabriel Tarde, tale ce lo ripresenta Delia Frigessi nel bel libro che la studiosa gli dedica, rintracciando da autentica detective le infinite trame della cultura che portano al suo nome. Sullo sfondo della biblioteca-laboratorio nei cui scaffali le tabelle, i diagrammi e le statistiche si mescolano a oftalmoscopi, bilance, craniometri, scalpelli e oscilloscopi, si addensa il cumulo delle teorie più brucianti del suo secolo e di quello successivo: teorie della vita, del principio del vivente, del vitalismo, dei confini tra fisiologia e patologia, dei sogni, dell'inconscio e del determinismo biologico-genetico. La medicina era in fase di conquista, si affermava la scuola materialistica, l'uomo era il nuovo dio e l'antropologia la nuova teologia. D'altra parte, dopo Copernico e Darwin l'uomo non era più al centro né dell'universo, né del mondo animato. Di lì a poco Freud e Samuel Butler avrebbero messo in discussione anche la unicità di ognuno nei riguardi del prossimo e del mondo nascente delle macchine. Pessimismo e ottimismo si contendevano dunque le coscienze dell'epoca. Al centro di tutto questo stava il problema del controllo della violenza, problema che si riproponeva in quella che, per distinguerla dalle società arcaiche, Lombroso definiva la società "della frode", nella quale era comparsa la malattia mentale. Dimenticata da secoli, era stata isolata a partire dal momento in cui la rivoluzione industriale aveva attinto molti dei suoi primi addetti pescando nella massa indistinta di mendicanti, randagi, vagabondi, orfani, idioti, delinquenti rinchiusi nelle case di segregazione, ad eccezione dei folli però, per i quali, considerati mano d'opera inutilizzabile, erano stati aperti i primi manicomi specializzati. Fu a quel momento che la medicina si pose al servizio dell'espansione economica e si configurò come scienza volta a crescere il potere dello stato. Che fare dei matti se non studiarli per prima cosa, considerando la loro propensione a delinquere? Cosa produce il delitto e la follia? La follia è una malattia dello spirito o del corpo? Se criminalità e malattia mentale sono contigui, l'autore del delitto è responsabile e punibile? E chi lo stabilisce? Che dire del criminale politico che agisce lucidamente, convinto dell'utilità sociale del suo gesto in difesa degli oppressi? Sono queste alcune delle domande che si addensano sulle scrivanie di coloro - magistrati, medici, criminologi, penalisti, antropologi, psichiatri, politici - che devono affrontare una realtà esplosiva e ai quali Lombroso farà da guida. Gli va riconosciuto il merito di aver concentrato l'attenzione sull'autore del crimine più che sul crimine stesso. Se non che, restando fedele allo spirito positivo dei fatti e dei dati certi, attento ai segni raccolti nei manicomi e nelle carceri - tatuaggi, gerghi, manufatti - segni attraverso i quali il criminale si esprime, è successo che, mosso da spirito etnocentrico e individuando nell'arresto dello sviluppo e nel precipizio in uno stato primordiale selvaggio e atavico la ragione del delinquere, Lombroso abbia dato vita a una scienza dei mostri. Trattandosi di una situazione irrecuperabile, quella di un passato che ritorna è una visione statica e senza speranza. Non si nasce delinquenti ma lo si diventa, osservano marxisti e socialisti, secondo i quali le anomalie fisiche del criminale sarebbero effetto della devianza e non causa. Quest'ultima sarebbe invece economico-sociale, Lombroso avrebbe criminalizzato il Mezzogiorno per facilitare l'egemonia del Nord e facendo un tutt'uno di biologia e sociologia, avrebbe scritto un'antropologia, secondo Pareto, più simile all'astrologia che a una scienza. Il mistero della violenza era sentito fin dall'antichità e la prima raccomandazione per evitare che esplodesse consisteva nell'evitare le occasioni di rivalità mimetica, quelle in cui ognuno copia il prossimo nei suoi desideri al punto di cadere nel suo doppio mostruoso. La lingua francese ha la stessa parola, envie, per designare due moti diversi dell'animo, desiderio e invidia, ma contigui nello sviluppo dall'uno all'altro, e l'Antico Testamento costruisce l'edificio della pace sociale di una comunità sul tenersi lontano dalle situazioni in cui, desiderando secondo un modello, si finisce per esserne gelosi."Non desiderare la roba d'altri" esorta il comandamento a titolo di prevenzione, dopo di che, se non viene rispettato, può succedere di tutto: contagio mimetico di invidie, gelosie, violenze, vendette, ritorsioni, rappresaglie. Precipitata in una situazione di "tutti contro tutti", di perdita di diversità, una vera peste sociale, la comunità contaminata non ritrova l'equilibrio e l'ordine, la cultura con le sue gerarchie, le sue leggi, le sue differenze e le sue trascendenze, se non quando i suoi componenti non si accordano di girare la violenza che li domina scaricandola su di uno, ritenuto responsabile di averla attizzata. Alla luce di questa considerazione - un ritorno al passato equivalente a quello cercato da Lombroso nell'atavismo - definire oggi la percezione che si ha della scienza del medico veronese vuol dire constatare come egli abbia cercato l'invisibile e l'inconoscibile del crimine senza accorgersi di come, invece che nelle stigmate del delinquente, erano da trovarsi nei testi della letteratura, dai vangeli ai romanzi, dove giacevano da tempo purché li si leggesse con spirito antropologico. Il fatto è che la cultura positiva e comparativa aveva degradato i testi evangelici alla stregua dei miti, impedendo che se ne vedesse la lezione di antropologia mimetica che contenevano. Soltanto una lettura sacrificale e non cristiana del crimine ha reso possibile di vedere nel delinquente una forma di regressione atavica. Come la cultura mitica persecutoria vede nel gonfiore del piede di Edipo il segno e la stigmate della supposta colpa commessa verso padre e madre e ne fa la vittima responsabile della peste di Tebe, come le persecuzioni medioevali individuano nel gobbo, nell'ebreo, nella strega i segni dei soggetti da eliminare in quanto pericolosi, così la psichiatria somatica e organicistica, nel nuovo contesto capitalista borghese, rinnova e perpetua la tradizione di organizzare scientificamente gli smaltitoi in cui vanno a finire i segnati del nuovo proletariato. In questo senso si capisce perché Lombroso fosse tanto interessato all'arte dei pazzi. Nella minuzia dei dettagli, nelle proporzioni degli oggetti rappresentati, nell'assenza di prospettiva, nella predilezione degli arabeschi che contraddistingue quella forma d'arte, egli vedeva i segni di quella cultura simbolica di cui l'antichità era depositaria indicando nella vittima sostitutiva il primo simbolo della cultura nonché la formula metonimica del controllo della violenza. Giustamente viene illustrata a fondo la posizione assunta da Lombroso nei riguardi del delitto politico, levatrice del progresso sociale, principio che prefigura il trattamento riservato ai prigionieri politici di oggi. Ma anche qui emerge il desiderio di Lombroso di conciliare cose inconciliabili che risalgono alle contraddizioni della sua psichiatria. Da una parte il fondamento violento della cultura, che egli non riesce cogliere a pieno, incapace di liberarsi dal vincolo dell'atavismo, dall'altra il bisogno di emancipazione cristiana che non si può esprimere organizzando quei luoghi di abbandono dei rifiuti delle carceri che erano i manicomi criminali. Alla fine, sempre alla ricerca della formazione delle idee simbolo della nostra cultura, Lombroso si affida alle scoperte dello spiritismo, del magnetismo, del sonnambulismo, e come disse un suo collega, secondo il quale "sarebbe stato interessante poter provocare in me stesso qualche fenomeno di delirio", partecipa a esperimenti e assiste a spettacoli medianici. Se invece dell'insolito avesse osservato di più il quotidiano, forse sarebbe riuscito a cogliere nell'uomo mimetico quelle "attività non consce" che aveva tanto cercato senza trovarle. Un doveroso accenno anche al testo del professore Pier Luigi Baima Bollone. Se non altro per l'inquadramento dato alla materia storica da lui trattata, inserendola nel fenomeno impressionante e crescente del crimine, una attività che non conosce crisi. In secondo luogo per l'excursus dedicato alla storia della medicina antica e medioevale fino all'individuazione dell'infermità mentale e della fisiognomica dedicata all'aspetto del malato. Da notare poi le pagine riguardanti il filone del razzismo antisemitico a cui si aggiungono quelle di Delia Frigessi, secondo le quali gli scritti lombrosiani sull'atavismo sono serviti al razzismo "interno" nazista bisognoso di un fondamento scientifico che lo orientasse nell'individuazione dell'anormale da incolpare al fine di ritrovare la concordia.
Delia Frigessi, Cesare Lombroso Dall'Antropologia Criminale alla Criminologia, Einaudi, pp. 426, e 34 Pier Luigi Baima Bollone, G. Giappichelli Editore Torino pp. 345, e 30.00
35" dopo averla sganciata il pilota vedendo gli effetti della bomba sulla città esclamò: "Che cosa abbiamo fatto!?"
Libertà 6.8.03
Hiroshima, 6 agosto 1945
La prima bomba atomica, un giorno per riflettere
di Giovanni Zilioli
Forse, pochi lo ricordano, ma esattamente 58 anni fa, il 6 agosto 1945, il bombardiere statunitense Enola Gay sganciò, per ordine del presidente Harry Truman, la prima bomba atomica sulla città nipponica di Hiroshima, seguita a breve - il nove agosto - dalla seconda, stavolta su Nagasaki. Centoventicinquemila vite vaporizzate, in un amen. Nemmeno la polvere, ne restò. Nemmeno l'ombra. Mutate in fantasmi, in anti materia.
Perché? Per cosa?
(...)
Hiroshima, 6 agosto 1945
La prima bomba atomica, un giorno per riflettere
di Giovanni Zilioli
Forse, pochi lo ricordano, ma esattamente 58 anni fa, il 6 agosto 1945, il bombardiere statunitense Enola Gay sganciò, per ordine del presidente Harry Truman, la prima bomba atomica sulla città nipponica di Hiroshima, seguita a breve - il nove agosto - dalla seconda, stavolta su Nagasaki. Centoventicinquemila vite vaporizzate, in un amen. Nemmeno la polvere, ne restò. Nemmeno l'ombra. Mutate in fantasmi, in anti materia.
Perché? Per cosa?
(...)
Maja Sansa: due risposte sul film di Marco Bellocchio di cui è protagonista
Corriere della Sera 6.8.03
SPETTACOLI
«IL VESTITO DELLA SPOSA»
Maya Sansa: una scena di stupro, ero sconvolta
Di donne in crisi sa qualcosa Maya Sansa, 27enne star di Giordana e Bellocchio, brava e rampante attrice di origine persiana in concorso a Locarno con il film di Fiorella Infascelli «Il vestito della sposa» , in cui è una quasi sposa felice, studentessa di veterinaria, amante della natura, violentata il giorno prima delle nozze da quattro sconosciuti. E poi?
«Scelgo di non denunciarli, di vivere da sola un radicale cambiamento che mi porterà a fare altre scelte di vita, anche sentimentali. Un grande dolore porta a chiudersi in casa, a non parlare con nessuno, così abbandono gli studi e mi metto a fare la pasticcera, finché nasce l'altro amore».
Cognizione del dolore più rimozione del lutto.
«Soprattutto la storia della capacità di rinascere, cosa che mi ha molto colpito. Cosa avrei fatto io? Avrei voluto restare sola. La morale è che dal negativo può nascere il positivo».
La terrorista nel caso Moro, l'infelice vittima di uno stupro: quante pene...
«Io mi trovo bene, anche se farei volentieri una commedia. La scena della violenza non è stata facile. Non l'abbiamo mai provata, ne abbiamo solo parlato, un ciak solo, mi è rimasta negli occhi come una danza tribale e selvaggia».
E con Bellocchio?
«Anche qui una donna turbata, in metamorfosi, in profonda crisi: Moro c'entra e non, non è un film storico, ma esistenziale».
M. Po.
SPETTACOLI
«IL VESTITO DELLA SPOSA»
Maya Sansa: una scena di stupro, ero sconvolta
Di donne in crisi sa qualcosa Maya Sansa, 27enne star di Giordana e Bellocchio, brava e rampante attrice di origine persiana in concorso a Locarno con il film di Fiorella Infascelli «Il vestito della sposa» , in cui è una quasi sposa felice, studentessa di veterinaria, amante della natura, violentata il giorno prima delle nozze da quattro sconosciuti. E poi?
«Scelgo di non denunciarli, di vivere da sola un radicale cambiamento che mi porterà a fare altre scelte di vita, anche sentimentali. Un grande dolore porta a chiudersi in casa, a non parlare con nessuno, così abbandono gli studi e mi metto a fare la pasticcera, finché nasce l'altro amore».
Cognizione del dolore più rimozione del lutto.
«Soprattutto la storia della capacità di rinascere, cosa che mi ha molto colpito. Cosa avrei fatto io? Avrei voluto restare sola. La morale è che dal negativo può nascere il positivo».
La terrorista nel caso Moro, l'infelice vittima di uno stupro: quante pene...
«Io mi trovo bene, anche se farei volentieri una commedia. La scena della violenza non è stata facile. Non l'abbiamo mai provata, ne abbiamo solo parlato, un ciak solo, mi è rimasta negli occhi come una danza tribale e selvaggia».
E con Bellocchio?
«Anche qui una donna turbata, in metamorfosi, in profonda crisi: Moro c'entra e non, non è un film storico, ma esistenziale».
M. Po.
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