venerdì 30 aprile 2004

religione più ragione più religione...:
ed ecco a voi il Logos Occidentale!

Gazzetta del Sud 30.4.04
«L'introduzione al cristianesimo» del cardinale Ratzinger
(*)
Ragioni della fede in Dio e in Gesù
di Luigi Ferlazzo Natoli


(*) Prefetto della Congregazione vaticana per la dottrina della fede, l'ex Sant'Offizio.

(...)
Inevitabilmente si giunge, così, all'idea del Lógos come custode nella fede cristiana in Dio e a tal fine il prologo di Giovanni è illuminante: «Il termine Lógos significa ragione, senso, ma anche parola; quindi un senso che è parola, che è relazione, che è creativo. Dio che è Lógos, assicura all'uomo la sensatezza del mondo, la sensatezza dell'esistere, la corrispondenza di Dio alla ragione e la corrispondenza della ragione a Dio, sebbene la sua ragione travalichi continuamente la nostra e spesso possa sembrarci oscura». In questo punto del saggio ratzingeriano riecheggiano, a parer mio, le riflessioni di Papa Wojtyla nella sua magistrale enciclica «Fides et ratio» e si perviene, così, alla visione positiva del mondo nonostante le sofferenze e nonostante l'incomprensione umana della realtà. In definitiva, «il mondo nasce dalla ragione e questa ragione è persona, amore: è questo il messagio della fede biblica in Dio. La ragione può parlare di Dio, devi anzi parlare di Dio, se non vuole amputare se stessa. Alla ragione è legata l'idea della creazione. Il mondo non si riduce all'infinita ruota delle sofferenze a cui l'uomo deve cercare di sottrarsi. Il mondo è positivo...».
(...)

neodarwinismo e Desmond Morris

Corriere della Sera 30.4.04
PERSONAGGI
L’etologo inglese racconta la propria visione del mondo
«L’uomo è l’animale più presuntuoso del Creato»


Negli Anni Sessanta fece un certo scalpore e riscosse un enorme successo "La scimmia nuda" di Desmond Morris, uno zoologo inglese votatosi alla divulgazione. Vi si analizzavano i comportamenti dell’animale uomo con gli occhi di uno scienziato che l’osserva come se si trattasse di una specie qualsiasi, sottolineandone i tic e le compulsioni dovuti ai condizionamenti biologici e culturali, ma anche l’unicità e la grande libertà di orizzonti, in un quadro di riferimento di tipo naturalistico. Desmond Morris, oggi settantaseienne, racconta la sua vita e la sua visione del mondo umano e animale in Linguaggio muto. L’uomo e gli altri animali , un piccolo, delizioso libretto della serie «Dialoghi» che l’Editore Di Renzo (pagine 96, 10) dedica da qualche anno a varie personalità di spicco, in campo scientifico e non. Morris vi delinea a grandi tratti la sua biografia e la sua carriera di etologo umano o, se si preferisce, di zoologo metropolitano, che partito dall’osservazione degli animali ha finito per fissare sempre più insistentemente la sua attenzione su quel particolarissimo animale che è l’uomo. In questo panorama non possono non risaltare gli elementi del confronto con le specie a noi più affini, le nostre cugine scimmie antropomorfe.

A nessuno piace l’idea di discendere dalle scimmie o, meglio, da un antenato che condividiamo con quelle. Che tutte le specie viventi derivino, per discendenza diretta, da un piccolo gruppo di organismi primordiali, viene oggi generalmente accettato. Ma conosco pochissimi italiani che abbiano una certa familiarità con i meccanismi evolutivi proposti dalla teoria attuale, il neodarwinismo, che li condividano e soprattutto che non invochino, come ha fatto del resto apertamente la Chiesa, l’esistenza di un «salto ontologico» fra l’uomo e i suoi antenati. Nell’opinione di queste persone, in sostanza, la teoria dell’evoluzione va bene per i tapiri, i pipistrelli e i formichieri, ma non per gli esseri umani, che preferiscono considerare come angeli decaduti piuttosto che come animali evoluti.
Può essere che abbiano ragione loro; in fondo l’uomo è l’animale più presuntuoso del creato. Comunque siano andate le cose, mi pare estremamente utile e direi illuminante cercare di capire che cosa, effettivamente, ci separa dalle scimmie. La domanda è più che appropriata in questo periodo di grandi novità biologiche, prima fra tutte la decifrazione e la comparazione dei genomi delle varie specie. Certo non possiamo pensare che la differenza fra noi e gli scimpanzè si riduca all’attività di un singolo gene, che si tratti di un gene che ha a che fare con il linguaggio, come FoxP2 o di una proteina muscolare, una miosina, che, divenuta più tenace e robusta, avrebbe liberato l’uomo dalla necessità di possedere potentissimi muscoli masticatori, per lasciare lo spazio necessario per il possesso di un cervello molto più grande. Ci vuole ben altro. Ma che cosa esattamente?
La biologia degli Anni Sessanta ci mostrò che moltissime proteine, presenti nel nostro corpo, sono straordinariamente simili a quelle delle scimmie antropomorfe. E' di quegli anni l’affermazione spesso ripetuta che uomo e scimpanzè si assomigliano biologicamente al 98% o più, anche se in realtà non è paragonando la struttura delle proteine che si può avere un’idea precisa della somiglianza e della differenza fra le specie. L’analisi dei geni corrispondenti ha confermato l’eccezionale grado di somiglianza biologica che ci lega ai grandi primati e l’imminente completamento del genoma dello scimpanzè non potrà che fornirci un’ulteriore conferma. E fornirci forse una nuova stima percentuale, per quello che può valere. Si pensi a tale proposito che la differenza di un solo nucleotide su tre miliardi, vale a dire uno scarto dello 0,00000003%, il minimo possibile, può separare un uomo vivo da un uomo morto.
I genomi di tutte le specie contengono regioni strutturali e regioni regolatrici. Le regioni strutturali specificano la composizione delle diverse proteine, le molecole delle quali siamo fatti tutti. Le regioni regolatrici controllano invece il quando, il quanto e il dove della produzione delle stesse. Una differenza in una regione strutturale può alterare la natura di una proteina e anche condurre a morte l’organismo interessato, ma non ne cambierà significativamente la morfologia e la fisiologia. Una differenza in una regione regolatrice può invece trasformare radicalmente un organismo, cambiandone la forma del cranio, la struttura della laringe, lo spessore della corteccia cerebrale, la disposizione di alcune sue regioni anatomo-funzionali, la distribuzione della peluria sul corpo o della dentatura nella bocca e via discorrendo. Si può passare così con continuità e quasi insensibilmente da una bertuccia a una Berta o a un Alberto. Prepariamoci a gustarci grosse novità su questo piano.
Ma ritorniamo a Desmond Morris e al suo aureo libretto. Vi si può trovare un gran numero di osservazioni, su quello che ci accomuna agli scimpanzè e su quello che ci differenzia da questi, sul significato dei nostri gesti e del nostro modo di vestire, sul clima delle manifestazioni sportive e sulla superstizione, sulla conflittualità e sui contrasti tra generazioni, sulla differenza dei sessi e sul turismo culturale.
Parlando degli aspetti tribali delle opposte tifoserie del calcio ci fa vedere, a esempio, come «metaforicamente, ogni settimana, i tifosi uccidono una grande preda e il momento dell’uccisione è rappresentato dal goal. Quando la palla colpisce la rete, è come se la tribù avesse ucciso un temibile animale e tutti allora possono festeggiare l'avvenimento». E che dire dei contrasti fra generazioni? Morris osserva che di necessità «i giovani di oggi, vestiti in modo così trasgressivo, diventeranno inevitabilmente gli ottusi tradizionalisti di domani e, a loro volta, resteranno inorriditi dalla nuova ondata che li seguirà».
Il bello è poi che si finisce sempre per affermare «che le abitudini delle nuove generazioni sono, in qualche misura, un decadente declino dei valori più nobili della generazione precedente». Sono almeno cinquemila anni che assistiamo impotenti alle stesse scene e dobbiamo ascoltare le stesse recriminazioni. Per deliziarci delle quali alcuni si fanno anche pagare. Occorrerebbe ogni tanto pensare a queste cose. O forse occorrerebbe solo pensare.

L’autore
Desmond Morris nasce a Purton, nel Wiltshire, in Inghilterra, il 24 gennaio 1928. Etologo e sociologo (ma anche grande appassionato di pittura e arte moderna), Morris ha raggiunto grande notorietà come conduttore di programmi sugli animali per conto della BBC e come divulgatore.
Il suo libro più celebre è «La scimmia nuda» (Mondadori, 1967 / Bompiani, 2001) ancora oggi considerato uno dei maggiori successi editoriali mondiali nel settore della divulgazione scientifica. In questo libro, Morris accentra la propria attenzione sull’uomo, osservato e indagato come una scimmia, l’unica sprovvista di peli.
Tra i suoi libri pubblicati in Italia: «L’uomo e i suoi gesti» (Mondadori, 1978); «La tribù del calcio» (Mondadori, 1982); «Il cane» (Mondadori, 1988); «Capire il gatto» (Mondadori, 1991); «L’animale uomo» (Mondadori, 1994); «I gesti del mondo. Guida al linguaggio universale» (Mondadori, 1995); «Il comportamento intimo» (Mondadori, 2000); «Amuleti e talismani» (Hops Tecniche Nuove, 2000); «L’occhio nudo. Giro del mondo alla scoperta dell’uomo» (Mondadori, 2001).

ancora sugli antidepressivi per i bambini

ricevuto da P.Cancellieri

Yahoo! Salute giovedì 29 aprile 2004 
Dubbi sull‘uso di antidepressivi per i bambini
Il Pensiero Scientifico Editore


Sono numerosi gli studi che dimostrano un favorevole rapporto rischi-benefici quanto all’uso di inibitori selettivi del riassorbimento della serotonina (SSRI) in caso di depressione infantile: uno studio dello University College di Londra mette in dubbio questo rapporto a causa di tutte quelle ricerche cliniche di cui non vengono pubblicati i risultati. Se ne parla sulla rivista specializzata The Lancet.
Sono tanti nella comunità internazionale i motivi di contrasto sull’uso di antidepressivi per bambini e adolescenti: recentemente l’agenzia sanitaria britannica e l’FDA (l‘ente per il controllo su farmaci e alimenti) statunitense hanno espresso preoccupazione per l’aumento dei casi di suicidio e il rischio di atti di violenza nei ragazzi in trattamento con antidepressivi. Farmaci principalmente imputati sono gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (anche se si salva la fluoxetina), comunemente impiegati per il trattamento della depressione dell’adulto: uno studio dell‘Istituto Mario Negri di Milano pubblicato di recente sul British Medical Journal riporta un aumento della prescrizione di questi farmaci tra gli adolescenti di ben 5 volte dal 2000 al 2002, anche se ancora non ci sono prove significative sulla loro sicurezza in età pediatrica. La questione rimane complessa: nonostante siano numerosi gli studi scientifici a riguardo, i risultati sono ancora troppo contrastanti per arrivare a conclusioni certe.
Il gruppo di ricerca inglese ha preso in considerazione una serie di studi sull’efficacia e la sicurezza degli SSRI in ragazzi tra i 5 e i 18 anni: tutti gli studi considerati confrontavano il farmaco con un placebo, un farmaco privo del principio attivo e quindi di qualsiasi azione farmacologica, mentre tra gli elementi di valutazione venivano considerati la risposta al trattamento, il miglioramento dei sintomi, la guarigione dalla malattia e la comparsa di effetti collaterali di tipo fisico e psicologico. L’analisi dei risultati di questi studi ha mostrato che spesso vengono pubblicati o vengono messi particolarmente in risalto solo dati a favore dell’uso degli SSRI nei bambini, mentre vengono taciuti quelli contrari. Tranne che per la fluoxetina, in molti casi l’insieme dei dati produrrebbe un rapporto rischi-benefici sfavorevole all’uso di questi farmaci in età pediatrica o comunque di dubbia significatività clinica, quindi non in grado di portare a indicazioni precise.
Secondo gli autori, gli studi di cui non vengono pubblicati pienamente i risultati minano alla base il sistema delle linee-guida, il che può in ultima analisi portare a raccomandazioni per trattamenti che possono risultare inefficaci, dannosi o entrambi. Non solo, raccomandare l’uso di farmaci inappropriati potrebbe portare a trascurare altri interventi sui bambini che potrebbero invece risultare più efficaci e con meno rischi. Da qui la raccomandazione per una maggior trasparenza degli studi clinici, i cui risultati dovrebbero essere interamente accessibili.

Bibliografia. Whittington C, Kendall T, Fonagy P et al. Selective serotonin reuptake inhibitors in childhood depression: systematic review of published versus unpublished data. Lancet 2004; 363:1341-1345.

Cina: un'intervista al Premier

Corriere della Sera 30.4.04
«La Cina combatterà la concorrenza sleale»
Il primo ministro Wen Jiabao parla alla vigilia del viaggio in Italia. E si impegna anche sul fronte dei diritti umani


PECHINO - «Quando parliamo dell'Italia il nostro pensiero va naturalmente a Marco Polo che più di 700 anni fa fu la prima persona a presentare all'Europa, anzi al mondo, la Cina. Fu il primo a stabilire un ponte amichevole tra Oriente e Occidente e fece l'esperienza di vivere per 17 anni nel nostro Paese. Ancora adesso la gente ricorda con piacere Il Milione che rappresenta una bella memoria della storia dei rapporti tra i due Paesi. Grazie anche a questi legami storici le relazioni bilaterali tra Italia e Cina conoscono un buon andamento e la visita del presidente Berlusconi l'anno scorso li ha promossi ulteriormente». Il primo ministro cinese Wen Jiabao è alla vigilia di un lungo viaggio in Europa che lo porterà a visitare cinque Paesi (Italia, Germania, Belgio, Inghilterra e Irlanda) e in questa intervista spiega cosa si aspetta dai colloqui nel Vecchio Continente e quali sono le scelte di politica internazionale ed economica che il suo governo intende attuare. Ma innanzitutto Wen Jiabao ci tiene a sottolineare, come per la citazione di Marco Polo, quale sia la considerazione che ha per la storia e la cultura del nostro Paese. «La Cina - dichiara il primo ministro - ha una storia molto lunga, abbiamo avuto legami storici con l'Italia, per questo motivo ho scelto Firenze come una delle tappe della mia visita in Italia. Firenze è la culla del Rinascimento che considero una grande scuola. I maestri d'arte come Leonardo, Raffaello e Michelangelo sono conosciuti dai cinesi così come Dante Alighieri e la sua Divina Commedia».
Quali sono i risultati politici ed economici che si aspetta dalla visita in Italia?
«Il primo obiettivo è rafforzare gli scambi tra i dirigenti ad alto livello, promuovere il dialogo strategico e accrescere la reciproca conoscenza e fiducia. Il comitato congiunto Italia-Cina che verrà istituito durante la mia visita svolgerà un importante ruolo nello sviluppo dei rapporti bilaterali, servirà a promuovere la cooperazione economica, soprattutto tra le piccole e medie imprese dei due Paesi. I nostri rapporti commerciali hanno conosciuto uno sviluppo veloce, il volume dell'interscambio ha raggiunto l'anno scorso 11,7 miliardi di dollari. Inoltre durante la mia visita si terrà a Roma un seminario sugli investimenti reciproci Italia-Cina, il primo di questo tipo in Europa con il coinvolgimento del governo cinese. Penso che servirà a favorire ulteriormente la cooperazione tra le nostre imprese».
Lei crede che l'Europa possa diventare un partner privilegiato della politica commerciale cinese?
«Lo sviluppo dei rapporti di cooperazione con l'Europa è buono, l'anno scorso il volume dell'interscambio è stato di 125 miliardi di dollari americani, più o meno lo stesso livello di quello tra Usa e Cina e tra Cina e Giappone. Il sesto vertice tra i dirigenti europei e cinesi che si è tenuto a Pechino nell'ottobre scorso ha stabilito l'obiettivo di raggiungere 200 miliardi di dollari entro l'anno 2013. Adesso constatiamo con soddisfazione che quell'obiettivo era troppo pessimista e possiamo raggiungerlo in anticipo. Vedo poi una grande potenzialità in campo tecnologico, i Paesi europei sono tra quelli che investono di più in Cina e trasferiscono le loro tecnologie. Numerose e famose imprese come la Fiat vengono in Cina per investire e stabilire le fabbriche, vengono portando non solo capitali ma anche tecnologie avanzate ed esperienze di management».
Il suo Paese ha investito parte delle riserve monetarie in euro. Pensa che quest'esperienza si possa ripetere?
«L'euro è un simbolo importante dell'integrazione europea a cui la Cina dà il pieno sostegno. Vediamo con favore la sua stabilità e la sua rivalutazione, perché riflette la ripresa dello sviluppo economico dell'Europa e questo fenomeno ha aumentato la nostra fiducia verso questa moneta».
Tra gli imprenditori italiani, specie piccoli e medi, si sta facendo largo un timore nei confronti della vostra espansione commerciale. E questo a causa del diffondersi della contraffazione dei marchi. Cosa pensa di fare il governo cinese per stroncare la concorrenza sleale?
«E' bene eliminare questi timori degli imprenditori italiani. E' vero che le esportazioni cinesi sono in costante aumento - l'anno scorso il volume complessivo è stato di 410 miliardi di dollari - ma fra i prodotti esportati il 55% proviene da imprese con capitale straniero che operano da noi e per il 60% si tratta di lavorazioni di materiale che viene dall'estero. La competitività dei prodotti cinesi deriva dalla tipologia e dalla qualità ma cosa più importante dalla manodopera di basso costo, anche se con lo sviluppo dei settori tecnologico, scientifico ed educativo è in ascesa anche la qualità della manodopera. Il governo presta grande importanza al problema della tutela della proprietà intellettuale e si impegna ad adottare quattro misure. Per prima cosa stiamo per istituire un apposito organismo capeggiato da un viceministro. Vogliamo poi punire più severamente la contraffazione e a questo scopo vogliamo ampliare la sfera dell'utilizzo del codice penale per perseguire questi reati. Inoltre vogliamo intraprendere campagne costanti e ininterrotte contro la violazione dei diritti intellettuali nei vari settori. Ci proponiamo anche di riprendere l'educazione popolare in merito. Sono convinto che con questi sforzi instancabili potremo ottenere dei progressi importanti».
Che bilancio fa a due anni di distanza dell'ingresso della Cina del Wto, ingresso che fu favorito anche dal governo italiano?
«Con l'adesione al Wto abbiamo goduto di diritti ma abbiamo anche adempiuto ai doveri. In soli due anni siamo riusciti a ridurre il livello del dazio doganale dal 15 al 10,4%, abbiamo annullato e revisionato circa 3 mila leggi e nel frattempo abbiamo rimosso altri tipi di barriere non commerciale. Per esempio l'anno prossimo elimineremo il contingentamento nell'acquisto dei prodotti automobilistici».
La vostra economia continua a crescere a ritmi incredibili. Non temete un effetto di surriscaldamento e cosa intendete fare per evitarlo?
«Adesso l'economia cinese si trova in una fase della crescita estremamente veloce, l'anno scorso è cresciuta del 9,1% e nel primo trimestre di quest'anno del 9,7%. I profitti derivanti dalla produzione industriale sono in aumento e la produzione agricola è in una fase di risanamento inoltre il commercio delle importazioni ed esportazioni ha conosciuto una notevole crescita e le entrate fiscali sono salite. Vedo con piacere che il reddito degli abitanti cinesi sia delle zone rurali sia di quelle urbane è in forte aumento. Ma oggettivamente nell'andamento economico cinese esistono problemi e contraddizioni, gli investimenti nel settore immobiliare crescono con velocità e dimensione eccessiva. Si verificano crescenti pressioni tra la domanda e l'offerta di energia, trasporto e materie prime, poi anche per quanto riguarda il credito e l'offerta monetaria c'è stato un eccessivo aumento, c'è inoltre una tendenza di forte inflazione soprattutto con la crescita dei prezzi delle materie prime. Questi problemi hanno suscitato l'attenzione del nostro governo e dobbiamo adottare delle misure severe ed efficaci per risolverli. Le misure saranno di carattere economico, giuridico e in caso necessario amministrativo in modo che l'economia cinese possa mantenere uno sviluppo stabile e relativamente veloce».
In Europa c'è grande attenzione sulle modifiche che state introducendo nella nuova Costituzione. In particolare per quanto riguarda la tutela dei diritti umani e il riconoscimento della proprietà privata.
«La revisione costituzionale prevede in maniera esplicita di rispettare e tutelare i diritti umani, diamo grande importanza alla tutela dei diritti umani e stiamo compiendo sforzi instancabili e a lungo termine. Per prima cosa persistiamo nello sviluppo per tutelare i diritti di sopravvivenza del nostro popolo che conta 1,3 miliardi di persone. Nel corso di questi venti anni siamo riusciti a risolvere il problema della povertà assoluta di più di 200 milioni di cinesi. Secondo, oltre la riforma economica non abbiamo mai smesso di intraprendere la riforma politica e cerchiamo di perfezionare la democrazia socialista e la legalità socialista. Soprattutto mettiamo l'accento sulla costruzione della democrazia delle unità di base con elezioni, controllo dal basso e gestione democratica. Terzo, abbiamo l'obiettivo di governare il Paese secondo la legge e di costruire un Paese di legalità socialista. Per quanto riguarda i diritti umani la Cina ha già aderito alla Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e nell'anno 2003 abbiamo presentato un rapporto sull'esecuzione. Adesso siamo facendo i preparativi per aderire alla Convenzione sui diritti civili e politici, siamo favorevoli al dialogo anziché all'antagonismo tra i Paesi a diverso sistema sociale, abbiamo avuto 17 round dei dialoghi Cina-Europa sui diritti umani e queste consultazioni sono fruttuose e sono servite ad aumentare la conoscenza reciproca. In questa revisione costituzionale abbiamo inserito anche la tutela della proprietà privata, indica non solo i beni per vivere ma anche i beni per produrre. Abbiamo due scopi, uno per tutelare effettivamente la proprietà privata del popolo cinese, secondo proteggere e promuovere la riforma del diritto».
Qual è la posizione del governo cinese sulla crisi in Iraq e quale impegno vi assumete nella lotta contro il terrorismo internazionale?
«Il governo cinese è preoccupato dell'instabilità della situazione in Iraq e simpatizza con il popolo iracheno che vive in miseria. C'è bisogno di fare tutti gli sforzi per ricostruire il Paese. In primo luogo occorre restituire la sovranità agli iracheni per un Iraq governato dagli iracheni tutelando l'integrità territoriale. L'Onu poi deve svolgere un ruolo direttivo nel ritorno della pace e della ricostruzione. Infine si deve creare l'ambiente in cui i vari Paesi possano partecipare alla ricostruzione e la Cina come membro permanente del Consiglio di sicurezza desidera dare il massimo contributo per la pace. Per quanto riguarda il terrorismo la nostra posizione è coerente perché ne siamo vittime anche noi, infatti le organizzazioni che operano nel Turkestan orientale hanno stretti legami con Al Qaeda. La Cina desidera intraprendere la cooperazione internazionale nella lotta contro il terrorismo».

Iraq: sul Gazzettino
(non su Liberazione!)

Il Gazzettino Venerdì, 30 Aprile 2004
IL DIRITTO DI DIRE NO AI «LIBERATORI»


A Falluja gli americani, dopo un assedio di settimane, attaccano con decine di carri armati appoggiati da aerei I30U Spectre e da elicotteri da combattimento. La stessa cosa, anche se in dimensioni minori, avviene a Najaf. I morti iracheni in queste giornate sono già più di mille e anche gli americani hanno perdite ingenti per i loro standard.
E allora smettiamola, una volta per tutte, di mentire e di mentirci addosso dicendo che quella in Iraq è una lotta al terrorismo internazionale - e quindi una legittima risposta all'11 settembre e magari a qualche residuale seguace di Saddam Hussein. Quella in Iraq è una guerra a una popolazione che, nella sua maggioranza, sia della componente sunnita che sciita (Falluja è sunnita, Najaf è sciita), non ci sta alla "liberazione" americana. E non ci sta per la semplice ragione che è stata enunciata dal nunzio apostolico di Bagdad, da anni in Iraq, che spero nessuno vorrà accusare di estremismo, anche se la tendenza ormai invalsa in Italia è quella di bollare come terroristi, o quantomeno come loro simpatizzanti, tutti quelli che sono contrari a questa guerra (io mi sono preso della "quinta colonna" da don Gianni Baget Bozzo, un prete ferocemente antimusulmano che presumo starebbe bene in una teocrazia di tipo islamico visto che confonde la politica con la religione e incarna entrambe nella sua persona). Ha detto dunque il nunzio apostolico, monsignor Fernando Filoni: «Il fatto è che gli iracheni non vogliono essere occupati da eserciti stranieri».
È un'idea così stravagante, bizzarra, bislacca? È una cosa che può suonare così singolare e strana a noi italiani che nella nostra storia siamo vissuti tante volte sotto il tallone di ferro di eserciti e governi stranieri, si trattasse di francesi, spagnoli o tedeschi? È vero che il nostro motto era "Franza o Spagna purché se magna", ma qualche scatto d'orgoglio lo abbiamo avuto anche noi.
Ha detto uno dei guerriglieri di Falluja all'inviato del Corriere della Sera, Claudio Lazzaro, entrato in città con la Croce Rossa: «Gli americani bombardano, ammazzano e poi dicono che ci vogliono insegnare la democrazia. Loro vogliono comandare, ma questa è casa nostra, siamo noi che dobbiamo decidere chi ci rappresenta». Non si sarebbe potuto dir meglio.E c'è anche da aggiungere che mentre il ricatto delle Falangi Verdi di Maometto, oltre che turpe, è inaccettabile e non va accettato - come invece si è tentato di fare alla manifestazione di ieri, in modo surrettizio, subdolo, all'italiana, con la partecipazione "a titolo personale" di rappresentanti di quelle forze politiche che ufficialmente lo hanno sdegnosamente respinto - nel merito il loro comunicato è ineccepibile: "Annunciamo a voi e a tutti gli uomini liberi del mondo che la nostra è una causa giusta. Stiamo difendendo la nostra terra, il nostro onore, la nostra dignità e i nostri sacri valori, mentre le forze del male sono venute da oltre gli oceani per occupare la nostra terra. È dunque nostro diritto difendere le nostre terre e questo diritto è contemplato dalle leggi celesti e dalle leggi internazionali». Potrebbero essere, a parte qualche dettaglio, parole di un eroe del nostro Risorgimento.
Questi iracheni non si appellano all'irrazionalismo della Jhiad, alla Bin Laden, si appellano, con gli strumenti della ragione, a un diritto, che è sempre stato riconosciuto a ogni popolo: quello di resistere all'invasione e all'occupazione del proprio territorio da parte di truppe straniere. Il loro linguaggio è perfettamente razionale. Per questo si è insinuato che dietro quel comunicato c'è una mano occidentale. Ma non è così. Siamo noi occidentali che, calpestando tutti i nostri principi, stiamo chiamando una sorta di "guerra santa" in nome della democrazia.Che smacco, e, per quello che si è sempre autodefinito, compiacendosene, "il mondo libero" dover subire un appello del genere. Che in altri tempi - per esempio ai tempi in cui lord Byron andava a combattere per la libertà della Grecia - sarebbe stato firmato da ogni europeo. E che oggi, invece, è firmato da degli iracheni. Che vergogna.