venerdì 5 dicembre 2003

"La danza del drago giallo"
di Domenico Fargnoli, a Siena

(informazione ricevuta da Mentore Riccio)


Venerdì 5 Dicembre
alle 21:30
verrà presentato all’Accademia dei Rozzi (Sala degli specchi)
il libro “La danza del drago giallo”
che Domenico Fargnoli ha realizzato in collaborazione con la Liit (Lega italiana di Improvvisazione teatrale) e l’Associazione culturale “Senza Ragione” che si occupa di promuovere iniziative relative al rapporto fra Psichiatra ed Arte.
La presentazione del libro sarà preceduta dalla proiezione di un video di 75 minuti dall’omonimo titolo la cui sceneggiatura è contenuta nel libro stesso.


Il video ed il libro propongono attraverso l’espressione plastico figurativa ed uno uso particolare del linguaggio la narrazione dei momenti più significativi a partire dai quali Domenico Fargnoli è giunto ad una originale “poetica”, ad una concezione del fare artistico che è scaturita non solo da una rilettura attenta della storia del rapporto fra Psichiatria ed Arte, ma anche dall’interazione con un gruppo di artisti, attori e psichiatri che hanno dato vita ad un percorso di ricerca assolutamente nuovo.
La rilettura e la critica di alcuni testi classici della letteratura psichiatrica e psicoanalitica accompagnata da l’acquisizione di nuove conoscenze scaturite in ambito clinico, nell’attività concreta della cura della malattia mentale, ha fatto emergere non solo un’identità psichiatrica che ha caratteristiche mai prima conosciute ma anche una prassi artistica che si articola in forme di interattività e collaborazione prima impossibili.
Psichiatriaed arte si sono trovate così a dialogare sul terreno concreto di quell’emergenza di una realtà non consapevole che è patrimonio specifico ed inalienabile di ogni essere umano. Emergenza di una realtà non consapevole che conferisce all’attività artistica, al “fare senza sapere” il suo carattere di estemporaneità e di apparente improvvisazione.
Emergenza che costringe invece nello stesso tempo lo psichiatra a raggiungere una conoscenza certa della fisiopatologia della mente attraverso un linguaggio “scientifico” che non perda mai il rapporto con l’immagine interiore e la fantasia.


info: www.senzaragione.it
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fra psichiatria e arte

La Repubblica, cronaca di Firenze, Pagina XIII
SIENA
Fra psichiatria e arte il metodo di Fargnoli


All'Accademia dei Rozzi di Siena (via di Città 36 ore 21.30, ingresso libero, info 0577271466 o 0577271466, www.senzaragione.it) sarà presentato il libro di Domenico Fargnoli "La danza del drago giallo" (Titivillus Edizioni). Seguirà un video che ha lo stesso titolo. Intervengono Andrea Mancini e la pittrice Franca Marini. L'iniziativa fa parte del progetto di Fargnoli «Psichiatria ed arte». Domenico Fargnoli ha riunito intorno a sé un gruppo di collaboratori che provengono da esperienze formative quanto mai diverse. Sono attori, scultori, pittori, architetti, psichiatri, informatici, giornalisti. Il fine del suo lavoro è affrontare in maniera innovativa la relazione che esiste fra intuizione artista e cura, creando interazioni fino a ieri impensabili. La presentazione odierna è un'occasione per approfondire i contenuti di questa originale proposta terapeutica e culturale.

Richard Feynman

(segnalato da Sergio Grom)

La Repubblica 5.12.03
FEYNMAN GENIO E BUFFONE
come i suoi colleghi ricordano un fisico eccentrico

Aveva vinto il Nobel nel 1965 ed era una delle menti più brillanti del secolo: scoprì che per le particelle di materia il tempo è reversibile dal futuro al passato
John Archibald Wheeler che fu relatore della tesi di Feynman ricorda di averne poi parlato a lungo con Albert Einstein

di PIERGIORGIO ODIFREDDI


Il 28 gennaio 1986 la navetta spaziale Challenger esplose in diretta televisiva, e la Nasa istituì una commissione d'inchiesta. Quattro mesi dopo un fisico, membro della commissione, mostrò in diretta televisiva le cause del disastro, immergendo semplicemente in un bicchiere di acqua ghiacciata una delle guarnizioni di gomma della navetta, e mostrandone gli effetti: uno smacco per la Nasa, che aveva cercato inutilmente di metterlo a tacere, ma un successo strepitoso per lui, che divenne noto al grande pubblico nel giro di dieci minuti.
Quel fisico, che i colleghi conoscevano benissimo da più di quarant'anni, si chiamava Richard Feynman, aveva vinto il premio Nobel nel 1965, ed era una delle menti più brillanti del secolo. Alla sua vita e alla sua carriera è dedicato il recente quaderno della rivista "Le scienze" curato da Elena e Leonardo Castellani e intitolato "Feynman. La vita di un fisico irriverente". L'aggettivo del sottotitolo è in realtà un «understatement», perché chi lo conobbe bene diceva più esplicitamente che Feynman era «un mezzo genio e un mezzo buffone»: due qualità complementari, in fondo, perché con la prima si trova la verità, e con la seconda il coraggio di dirla.
I modi di Feynman erano certamente inusuali. Appena arrivato a Princeton nel 1939 come studente, fu invitato dal rettore del suo collegio a prendere il tè, e quando la moglie del professore gli chiese se lo voleva con il limone o il latte, la matricola rispose: «Entrambi». La signora commentò perplessa: «Sicuramente sta scherzando, signor Feynman!», e anni dopo l'espressione divenne il titolo del primo volume dell'inusuale autobiografia del grande fisico (Zanichelli, 1988).
Il secondo volume si intitolò invece "Che t'importa di ciò che dice la gente?" (Zanichelli, 1989), che era uno degli insegnamenti che il padre gli aveva dato, insieme al fatto che le persone vanno giudicate non per il ruolo che ricoprono, ma per le cose che fanno: «Perché tutti si inchinano di fronte al Papa? Solo per via del suo nome e della sua posizione, per via della sua uniforme». E per tutta la vita Feynman non si inchinò di fronte a nessuno, e combatté la sua battaglia contro gli stupidi e le stupidaggini: a partire dalle pseudoscienze come la psicanalisi, che lui considerava una forma moderna di stregoneria (o, come diceva invece Vladimir Nabokov, di voodoo).
La prima scoperta importante che Feynman fece, nel 1941 e ancora dottorando, fu che solo a livello macroscopico il tempo va sempre dal passato al futuro. A livello microscopico, invece, le particelle di materia possono invertire il cammino e tornare dal futuro al passato, diventando antiparticelle di antimateria. In tal modo le particelle che coincidono con le proprie antiparticelle, come ad esempio i fotoni di cui è composta la luce, devono essere ferme nel tempo. E la distruzione prodotta dall´incontro tra una particella e una sua antiparticella non è che l'apparenza sotto la quale ci si presenta la sostanza, cioè il cambio di direzione di una particella nel suo viaggio temporale.
Abbiamo chiesto a John Archibald Wheeler, l'ormai novantaduenne fisico che di Feynman fu il relatore di tesi, come ricordasse quella scoperta, e lui ci ha risposto: «Feynman stava studiando con me un problema relativo ai positroni, che sono elettroni positivi di antimateria. Una sera gli ho telefonato, e gli ho detto: Sai, Richard, il positrone si potrebbe considerare come un normale elettrone che va a ritroso nel tempo, dal futuro al passato. Lui ha poi sviluppato quella che era solo una mia idea estemporanea nei suoi famosi diagrammi di Feynman». E i fisici dell'epoca, che cosa dissero di questa interpretazione? «Un giorno sono andato da Einstein per parlargliene», ricorda Wheeler. «Mi ha ascoltato pazientemente per una ventina di minuti, e poi mi ha detto una cosa che da allora viene citata spessissimo: Non riesco ancora a credere che Dio giochi a dadi. E ha aggiunto: Ma forse mi sono guadagnato il diritto di commettere degli errori».
I diagrammi ai quali Wheeler allude sono oggi noti a tutti gli studenti di fisica, e costituiscono il più duraturo lascito di Feynman alla scienza: la sua formulazione della cosiddetta elettrodinamica quantistica, abbreviata nell'acronimo Q.E.D. che i matematici solevano porre alla fine delle dimostrazioni (a significare «quod erat demonstrandum», «come volevasi dimostrare»), e che Feynman usò invece come titolo di uno dei suoi più famosi libri divulgativi (Adelphi, 1989). La sua formulazione della teoria risultò essere equivalente a quella, molto più complicata, sviluppata indipendentemente da Julian Schwinger e Sin-Itiro Tomonaga, che condivisero con lui il premio Nobel per la scoperta.
L'equivalenza delle due formulazioni fu dimostrata nel 1948 da Freeman Dyson, all'epoca collega di Feynman a Cornell, al quale abbiamo chiesto di ricordare l'episodio. Ma, a riprova della soggezione che anche un personaggio solitamente caustico e terribile come lui prova di fronte alla memoria di Feynman, Dyson si è schermito: «Oh, io non introdussi niente di nuovo. Si trattò semplicemente di un lavoro di ripulitura matematica». Ma non tutti ne erano convinti, agli inizi! Ad esempio, quale fu la reazione di Oppenheimer? «Lui pensava che quello che stavo facendo fosse inutile», continua Dyson. «Ma lo pensava anche del lavoro di tutti gli altri. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale la generazione anziana di Bohr e Heisenberg credeva che ci sarebbe stata un'altra grande rivoluzione nella fisica, paragonabile a quella quantistica. Ed era insofferente a questi piccoli miglioramenti: si attendeva qualcosa di molto più radicale. Per questo Oppenheimer non voleva neppure ascoltare ciò che facevamo noi». E alla fine si convinse? «Sì, ma ci volle una dura battaglia di sei settimane!»
Oggi, vinta da tempo la battaglia, l'elettrodinamica quantistica è considerata uno dei grandi successi della fisica del Novecento. Feynman non ottenne più risultati così profondi, ma continuò ad aprire strade che furono battute solo dopo decenni: dalla nanotecnologia alla computazione quantistica. Gli embrioni di queste idee risalgono al 1959, anno in cui il fisico decise di spendere il suo sabbatico con i biologi del Caltech, che era ormai divenuta la sua università, per trarre nuove ispirazioni da un campo apparentemente lontano dal suo.
Tra quei biologi c'era Renato Dulbecco, al quale abbiamo chiesto di ricordare quei tempi. «Ho addirittura seguito un suo corso di fisica, sulla meccanica quantistica», racconta. «Feynman insegnava molto bene, era molto chiaro: anche uno come me, che non aveva mantenuto la connessione con la fisica, poteva seguirlo. Come persona era strana, con le sue manie dei bongos: gli interessavano specialmente i ritmi anormali, tipo 5/6 o 6/7. E io riuscivo a farli con lui». Come sarebbe? Anche Dulbecco suonava i bongos? «No, no», dice ridendo. «Però potevo bilanciare il ritmo, per cui andavamo d'accordo. Cercammo di fare un lavoro insieme, ed è un peccato che non ci siamo riusciti. Tutto era chiaro, l'idea era perfetta, mancava solo un piccolo dettaglio tecnico. Non funzionò, ma invece di andare a vedere come mai io lasciai perdere, perché avevo altre cose da fare. In fondo per me è andata meglio così, perché altrimenti mi sarei orientato in un'altra direzione».
Le lezioni alle quali Dulbecco allude sono quelle che Feynman tenne per il primo biennio di fisica, dal settembre 1961 al maggio del 1963, dando libero sfogo al suo genio e alla sua buffoneria. Registrate e trascritte in "La fisica di Feynman" (Zanichelli, 2001), esse costituiscono un monumento alla sua intelligenza e al suo senso dello humour, anche se lui non ne fu soddisfatto: alla fine del corso, infatti, in aula c'erano più professori e dottorandi che studenti, per i quali le lezioni erano probabilmente «perle ai porci». Feynman la disse più elegantemente di Gesù, citando un motto di Gibbon: «L'insegnamento è sempre inutile, eccetto nei casi in cui è superfluo». Gadda avrebbe commentato che «non tutti sono condannati a essere intelligenti», ma la sostanza è una sola: che i mezzi buffoni hanno vita dura, perché la gente preferisce di gran lunga seguire quelli interi, in uniforme o in borghese.