sabato 16 luglio 2005

in preparazione per Settembre il solito "Festival filosofia"
ma il tema del 2005 sarà «i sensi»

Il Giornale di Brescia 18.7.05
Festival Filosofia, il pensiero incanta i sensi

MODENA - Saranno i sensi, come via di accesso al mondo esterno e a quello interiore, il filo conduttore quest’anno del «Festival filosofia», la cui quinta edizione è in programma da venerdì 16 a domenica 18 settembre a Modena, Carpi e Sassuolo. Al centro del Festival saranno le lezioni di maestri del pensiero contemporaneo, dal filosofo francese Jean-Luc Nancy, definito un "classico vivente", a Peter Sloterdijk, uno dei pensatori tedeschi più innovativi e provocatori, dal neurobiologo Edoardo Boncinelli allo psichiatra Vittorino Andreoli, da Umberto Galimberti al teologo Jürgen Moltmann, dal filosofo e storico dell’arte Georges Didi Hubermann al supervisore del festival Remo Bodei. Interverranno anche il garante della privacy Stefano Rodotà e il priore della Comunità di Bose, Enzo Bianchi, lo studioso della Cina François Jullien, Salvatore Natoli, Ermanno Bencivenga, il bresciano Emanuele Severino, Eva Cantarella, Roberta De Monticelli, Jean-Luc Marion, Silvia Vegetti Finzi, il semiologo Paolo Fabbri e il filosofo sloveno Slavoj Zizek. Il festival proporrà oltre 150 appuntamenti, in piazze, cortili e antichi palazzi: lo scorso anno sono state più di 100mila le presenze alla " tre giorni" della filosofia. Dopo felicità, bellezza, vita e mondo, temi delle precedenti edizioni, il festival affronterà quest’anno la sfera della percezione e del rapporto, spesso soggettivo e mutevole, fra noi e ciò che ci sta attorno. Il festival offrirà un ricco programma di iniziative collaterali, che affronteranno il tema dei sensi in chiave artistica, musicale, perfino gastronomica, rivolgendosi anche ai più piccoli. Un «convegno paradossale» si occuperà dei sensi discriminati e una rassegna cinematografica sarà dedicata a pellicole indiane. Ci saranno letture musicate (con Giovanni Lindo Ferretti, Milena Vukotic e un omaggio alle canzoni di Brassens) e torneranno le cene filosofiche. Tra le iniziative, anche il «Simposio» di Platone, portato in scena in una piazza con tavoli per cento commensali. Verranno poi riproposte le conversazioni con i filosofi sui treni che collegano Modena, Carpi e Sassuolo, e torneranno le "panchine narranti", su cui sedersi per ascoltare storie e racconti. Fra gli ospiti del festival anche il maratoneta Stefano Baldini, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Atene, che parlerà del corpo sotto sforzo. Fra le idee più originali, la possibilità per il pubblico di misurare la resistenza personale al dolore, attraverso il metodo Vas. Saranno numerose anche le mostre, dall’opera grafica di Picasso ai volti dei Lama buddisti, da un’installazione sul tatto dell’americano Dennis Oppenheim alla « Mensa delle culture» di Michelangelo Pistoletto, fino alle foto che Luigi Ghirri scattò nell’atelier di Giorgio Morandi, e che saranno affiancate a opere originali del pittore bolognese. Al Foro boario di Modena saranno esposte preziose fotografie dedicate agli artisti internazionali che furono ospiti della Biennale di Venezia dal 1948 al 1986.

Il programma completo del festival al sito www.festivalfilosofia.it: informazioni : 059-421210.

Anfitrione di Kleist
stasera a Ostia Antica

Corriere della Sera 16.7.05
OSTIA ANTICA
«Anfitrione» di Kleist

Il Teatro Stabile d’Abruzzo presenta «Anfitrione» di Kleist, versione italiana di Riccardo Reim, regia di Franco Ricordi (che interpreta anche Mercurio), con Pino Micol (Giove), Tiziana Bagatella (Alcmena), Maximilian Nisi (Anfitrione), Giancarlo Ratti (Sosia). Lo spettacolo è inserito nella rassegna «Cosmophonies». Il regista ricorda «la straordinaria attualità del teatro di Heinrich von Kleist, un teatro che si può senz'altro definire "di guerra"». Anfitrione è sì quello di Plauto, ma è anche il personaggio di Molière a cui Kleist si avvicinò.

OSTIA ANTICA stasera ore 21.30, Teatro Romano, via dei Romagnoli 717, tel. 06.56352850

trentaduemila anni fa
l’arte dell’homo sapiens

Corriere della Sera 16.7.05
L’arte dell’homo sapiens
In una grotta i disegni di trentaduemila anni fa

Verona, esposte in un museo le pietre ritrovate: una figura di Minotauro e forse una donnola
Viviano Domenici
Una comunità di uomini e donne raccolta attorno a un fuoco. C’è chi torna dalla caccia, chi dipinge sulle rocce e chi prepara da mangiare. E’ la ricostruzione dell’accampamento di 34 mila anni fa nella grotta di Fumane, in provincia di Verona, dove sono state ritrovare le pietre dipinte. La caverna era abitata già ottantamila anni fa, quando ha visto la presenza dell’uomo di Neanderthal

Nel mondo

CHAUVET La Grotta di Chauvet (Ardeche, Francia) fu scoperta nel 1994. Ha stupito per raffinatezza e modernità dei dipinti risalenti a 32 mila anni fa
ALTAMIRA
Il ritrovamento della Grotta di Altamira (Cantabria, Francia) risale alla fine del 1800. Fu considerata un falso. I dipinti risalgono a 13.500 anni fa
LASCAUX
La Grotta di Lascaux (Dordogna, Francia) fu scoperta nel 1940: è la più celebre delle grotte dipinte. Ha circa 16 mila anni

FUMANE (Verona) - Sono entrato nella caverna del tempo e ho camminato nell’accampamento degli uomini che 32 mila anni fa vissero in questa grotta sui monti Lessini, una quindicina di chilometri da Verona. Sotto quello che rimane della volta, il terreno è stato scavato dagli archeologi e ora è possibile vedere i grandi focolari circondati di pietre, le zone dove i cacciatori si sedevano e scheggiavano selci, dove squartavano gli animali, dove dormivano, dove gettavano i rifiuti, dove riponevano conchiglie per farne collanine. E in questo scenario lontanissimo nel tempo gli archeologi hanno trovato qualcosa che nemmeno i più ottimisti potevano aspettarsi: le più antiche pitture del mondo. Cinque schegge di pietra dipinte con figure diverse, tra cui l’immagine di un personaggio con una maschera cornuta che lo fa sembrare un Minotauro, un piccolo animale dal corpo allungato che ricorda una donnola, e tre frammenti di figure ormai indecifrabili. Schegge che in epoca antica si staccarono dal soffitto dipinto della caverna e vennero sepolte dagli strati di successivi accampamenti. Un incidente provvidenziale, perché oggi sul soffitto della caverna non c’è più traccia di pitture. Le uniche immagini scampate alla distruzione sono proprio quelle dipinte con ocra rossa sulle scaglie di pietra finite a terra e conservatesi grazie a un velo di calcare che ha «fissato» il colore.
Le analisi dei carboni rinvenuti nello strato di terreno che ricopriva le schegge dipinte hanno indicato una data compresa tra i 34 mila e i 32 mila anni fa; quindi, dato che le pietre con le pitture si trovavano sotto il livello dei carboni, ne consegue che i dipinti hanno quantomeno l’età dei carboni stessi o qualcosa di più. Una datazione che colloca le pitture di Fumane nella fase culturale detta Aurignaziano, la prima in cui compaiono sia l’Homo sapiens sapiens (cioè uomini come noi), sia le più antiche testimonianze artistiche del Pianeta. Altre opere d’arte dello stesso periodo, rinvenute in altri siti europei, sono risultate un poco più recenti di quelle di Fumane che, quindi, sono le più antiche pitture giunte fino a noi.
«Probabilmente è così - spiega il professor Alberto Broglio, dell’Università di Ferrara, che assieme a Marco Peresani, dello stesso ateneo, e Mauro Cremaschi dell’Università di Milano, dirige lo scavo nella grotta preistorica -. Ma vorrei evitare di parlare di primati, perché su una datazione così lontana nel tempo, qualche secolo in più o in meno non fa certo la differenza. Il fatto importante è che le nostre pitture sono perfettamente coerenti con la facies culturale dell’Aurignaziano che caratterizza tutti i materiali rinvenuti negli strati in cui le schegge erano inglobate».
La scoperta delle pitture di Fumane è avvenuta nel 2000, ma solo ora le pietre dipinte sono state esposte nel piccolo museo di Sant’Anna di Alfaedo, a circa 8 chilometri dalla grotta degli antenati che da qualche giorno è stata aperta al pubblico, grazie a una grande struttura in ferro e legno realizzata per proteggere il sito e rendere sicura la visita. (Per informazioni: Ufficio Turistico Molina di Fumane, tel. 045/7720185).
Dopo avermi guidato nell’accampamento degli artisti Aurignaziani, il professor Broglio mi invita a scendere in una sorta di pozzo squadrato che gli archeologi hanno scavato proprio nel pavimento dell’accampamento per poter vedere che cosa c’era sotto.
Rimosso lo strato di 34-32 mila anni fa ne hanno trovato uno molto sottile e del tutto sterile, segno che la grotta non venne frequentata per un breve tempo. E, sotto a quello, gli archeologi hanno iniziato a trovare resti di accampamenti con materiali che testimoniano la presenza di uomini di una specie diversa dalla nostra: uomini di Neanderthal.
Così, scendendo lungo una scaletta di ferro che a ogni gradino mi fa arretrare di millenni, intravedo accampamenti degli uomini di Neanderthal che, per migliaia di generazioni, tornarono a rifugiarsi nella grande caverna per la stagione della caccia. Scendo ancora: quarantamila anni fa, cinquantamila, sessantamila, settantamila e, quando raggiungo il livello più basso, quello di ottantamila anni fa, vedo arrivare i primi inquilini di questa caverna. Un gruppetto di cacciatori neanderthaliani che scoprirono questa cavità dove si accamparono per qualche tempo abbandonando sul terreno delle selci scheggiate. Fu quello l’inizio della lunghissima storia ora impacchettata in circa dieci metri di strati che ci raccontano in sequenza come una specie umana - Neanderthal - visse qui decine di migliaia di anni per essere poi sostituita da un’altra umanità - Sapiens sapiens -, che inventò la prima arte.
Il finale di questa vicenda è comunque ancora da scrivere. Ma la storia non è finita. Manca qualche pagina ora nascosta dietro a un muro che gli archeologi hanno alzato per chiudere la parte più interna della grotta, dove l’accampamento degli uomini Aurignaziani si perdeva nel buio dell’antro. «Là in fondo dobbiamo ancora scavare - spiega Broglio -. C’è ancora un pezzo di accampamento cosparso di pietre e ossa di animali. Chissà se ci farà qualche altra sorpresa».

off topic
ecco qua come Forza Italia ha vinto le elezioni a Catania

Corriere della Sera 16.7.05
Umberto Scapagnini
IL SINDACO

F. Cavallero

CATANIA - Forse Enzo Bianco non risorgerà sulla cenere dell’Etna, ma è la stessa cenere ad oscurare la vittoria di Umberto Scapagnini, il medico del Cavaliere che il 15 maggio evitò la debacle del centrodestra smentendo i sondaggi della vigilia.
Perché su quella cenere vomitata dal vulcano nell’ottobre 2002 e trasformata nella speranza di un sussidio a pioggia, lo scienziato che teorizza l’immortalità di Berlusconi avrebbe costruito un pezzo della sua rielezione a sindaco. Distribuendo «indebitamente e fraudolentemente» 3 milioni di euro agli oltre 4.000 dipendenti comunali. Assegni da 300 euro per l’impiegato appena assunto, fino ai 1.300 per i funzionari con dieci anni di servizio. Il tutto con delibera del 12 maggio, a tre giorni dall’apertura delle urne. Quanto basta per ipotizzare un produttivo scambio di voti.
Anzi, un «abuso d’ufficio», come sostiene la Procura di Catania che lo ha incriminato con 6 assessori uscenti della sua giunta, tutti accusati di essersi sostituti all’Inpdap, l’istituto di previdenza per i dipendenti della pubblica amministrazione, elargendo somme non dovute.
Già fissato il primo interrogatorio. Per martedì prossimo, quando Scapagnini con il suo avvocato, Guido Ziccone, davanti al procuratore Mario Busacca e ai sostituti Ignazio Fonzo e Francesco Puleio dovrà difendersi dall’accusa di avere agito «sul falso presupposto di una calamità naturale» al fine di «ottenere in favore dei candidati il voto elettorale».
Con circa 12mila voti di distacco da Enzo Bianco, il sindaco più elegante d’Italia assicura che quei contributi «non possono avere avuto peso nella bilancia elettorale». Ma sarà inevitabile la polemica politica sia perché con figli, parenti ed amici nel ventre di Catania può essere scattata la moltiplicazione dei consensi, sia perché le «provvidenze» si basavano comunque su un errore o su bugie. E chi ha ricevuto dovrà adesso restituire le somme. Con prevedibili contenziosi conditi di rancore visto che proprio un decreto del governo Berlusconi ha definitivamente chiarito che quei contributi a Catania non spettano. Ma l’ha varato il 10 giugno, a cose fatte.
Tutto comincia con un provvedimento della Protezione civile emesso nel 2002, quando sotto l’Etna si respirava cenere, sulle macchine piovevano sassolini neri e per le strade si spalava sabbia fangosa. Allora il governo Berlusconi sospese il pagamento di imposte e contributi previdenziali in 13 Comuni sotto il vulcano, senza alcun cenno per la città di Catania. Una nota interpretativa estese poi i benefici a tutti i Comuni della provincia. Una scelta generica. Perché, teoricamente, avrebbe compreso perfino paesi estranei al fenomeno come quelli confinanti con Ragusa.
Notabili, burocrati e spicciafaccende della politica si mobilitarono affannati. Ottenendo un prolungamento del decreto al marzo 2004 e sancendo che i contributi versati dai dipendenti pubblici a partire dall’ottobre 2002 andavano restituiti agli interessati.
Ogni lavoratore finiva così per maturare via via somme dai 3mila agli 8mila euro. Dai medici delle Asl ai netturbini, dai poliziotti ai magistrati. Un terremoto per Inps, Inpdap ed altri enti ignari sul da farsi, preoccupati di una bancarotta.
Paradossalmente ad aggravare la vicenda fu l’anno scorso un gruppo di carabinieri in servizio a Catania che, con un avvocato e una sfilza di decreti ingiuntivi, ottenne dall’Arma l’elargizione di quelle somme da restituire in 129 rate mensili senza interessi. Di qui le pressioni di tutte le categorie sugli enti pubblici per un replay generalizzato. Un pasticcio poi bloccato lo scorso 10 giugno col decreto che limita la misura ai 13 Comuni già individuati nel 2002: Belpasso, Castiglione, Linguaglossa, Nicolosi, Ragalna, Acireale, Milo, Piedimonte Etneo, Santa Venerina, Zafferana Etnea, Giarre, S. Alfio, Acicatena.
Ma frattanto Scapagnini s’era lasciato andare. Pensando ai 56 milioni di euro versati in tre anni all’Inpdap come ritenute dei dipendenti comunali e agli interessi maturati dall’ente su quella cifra, circa 10 milioni di euro, decise di usarne una parte, appunto 3 milioni, per la distribuzione del 12 maggio. «Somme da sottrarre all’Inpdap sui futuri versamenti», scrissero in delibera. Una scelta adesso ritenuta dai magistrati «un regalo a 2 giorni dalle elezioni». Elargito «senza nemmeno far firmare l’impegno a restituire le somme qualora risultassero non dovute».
Una acrobazia senza rete, anche perché in Procura è arrivata la nota dell’Ufficio Personale del municipio, datata 6 aprile 2005: «Soltanto l’Inpdap può essere chiamata alla restituzione delle rate e l’amministrazione non può in alcun modo "anticipare" i rimborsi con fondi propri». Come sapeva Scapagnini, stando all’accusa che parla di una bugia, di «una decisione pretestuosamente fondata sul presupposto che il Comune fosse stato diffidato e convenuto dai propri dipendenti davanti al giudice del lavoro». Ma la causa era stata rinviata al 7 giugno. E il regalo fu ancor più apprezzato.

sinistra
la mozione di Prodi sulla guerra adesso non è più quella concordata con Bertinotti

Corriere della Sera 16.7.05:
ROMA - Romano Prodi ci prova. (...) Il leader dell’Unione invia agli alleati una bozza di due cartelle nella quale (...) proietta il ritiro delle nostre truppe nello scenario di quella «nuova fase che si aprirà a partire dal gennaio 2006 sotto l’egida dell’Onu», al termine del periodo di transizione in Iraq (referendum sulla nuova costituzione ed elezioni parlamentari). Per farla breve: l’exit strategy prodiana prevede che (...) le nostre truppe potrebbero abbandonare il suolo iracheno nella primavera 2006, «non certo prima», come gli stessi collaboratori del Professore ammettono.

Le forze del centrosinistra si sono divise dopo aver letto il documento di Prodi. Il Prc, i Verdi e il Pdc hanno bocciato la proposta perché non contiene una data precisa del rientro e consegna a Berlusconi la gestione della exit strategy .
Bertinotti: «È una bozza insoddisfacente da tutti i punti di vista. Non ci siamo proprio»


Corriere della Sera 16.7.05

Bertinotti: è Romano che rompe. Con se stesso
«Nella sua introduzione di lunedì c’erano la condanna della guerra e il no al rifinanziamento: perché sono spariti?»
il Colloquio
Maria Latella

ROMA - La «deontologia professionale» spiega Fausto Bertinotti, gli impedisce di raccontare a un cronista che cosa proprio non va nella mozione sull’Iraq che Romano Prodi propone di presentare alla Camera. «Trovo corretto spiegarmi prima con lui». E tuttavia, il dissenso non potrebbe essere maggiore, giacché il segretario di Rifondazione comunista considerava una «buona base di discussione» l’introduzione elaborata da Prodi lunedì scorso, «mentre questa nuova non potrei certo definirla allo stesso modo». Quella, discussa pubblicamente, contemplava punti che Bertinotti considera essenziali: «Per cominciare c’era una condanna inequivocabile ed esplicita della guerra, considerata sbagliata. Si parlava, giustamente, di occupazione militare e, muovendo da questa premessa, ne derivava il no a qualunque rifinanziamento alla missione. Insomma, lunedì abbiamo discusso di uno schema preciso di ritiro delle truppe italiane, si indicavano anche le modalità di una nuova fase che dovrebbe vedere in Iraq la presenza dell’Onu o di forze che comunque non avessero finora preso parte alla guerra. Su questi elementi, lunedì scorso, mi sembrava ci fossero buone basi di partenza per una discussione». Da allora a ieri, che cosa è cambiato? Bertinotti si stringe nelle spalle:
«Non lo so. Certo, mi sembra improvvido seguire una linea per cui si rendono pubblici i documenti ancor prima che essi vengano discussi dai soggetti interessati. Sarà per via della mia lunga militanza sindacale, ma non sono abituato a certe procedure. Mai mi è capitato di vedere che il documento di un accordo tra Cgil-Cisl e Uil fosse reso noto prima di essere approfondito. Non conosco prassi di questo genere».
Dietro la bertinottiana cortesia formale, si coglie una perplessità sostanziale:
«Il nuovo testo non contiene gli elementi fondamentali per arrivare a una comune approvazione. Se poi vogliamo dare anche un giudizio sulle modalità, non mi sembra saggio addentrarsi nella tecnica della produzione di una bozza di mozione parlamentare. Ai segretari di partito tocca produrre un documento politico. Punto. La costruzione di un ordine del giorno, invece, andrebbe lasciata ai gruppi parlamentari».
Sembra una neppure troppo indiretta lezione di bon ton (e di diplomazia relazionale) inviata a chi non ha tenuto conto delle sottili opportunità offerte dalla situazione.
«Tra l’altro - aggiunge per l’appunto un Bertinotti questa volta volenteroso - tra l’altro, l’ordine del giorno del governo riguarda la sola proroga della missione in Iraq e dunque votare "no" sarebbe esaustivo. Non è richiesto altro che quel voto. Dopodiché, ci sarebbe tutto il tempo per lavorare a un documento unitario che, per quanto ci riguarda, deve partire dal ritiro delle truppe in Iraq».
Tutto sta nell’intendersi sul concetto di guerra:
«È un male, oppure pensiamo che in certe situazioni la guerra, e i suoi sviluppi, possano produrre conseguenze governabili?».
Intanto, però, si va consumando la prima, ufficiale, rottura tra Romano Prodi e Fausto Bertinotti. Quel che nel linguaggio dei cronisti politici viene sempre definito «uno strappo».
«Semmai, lo strappo è di Prodi con Prodi» ironizza il segretario di Rifondazione. Perché, insiste, non si capisce con chi l’ha elaborata, questa bozza, e se davvero si tratta di una futura mozione parlamentare, «allora va discussa con i gruppi, alla Camera».
Lui, Bertinotti, si dice
«disponibilissimo»: «Ricominciamo da lunedì scorso. Riprendiamo. Come nel gioco dell’oca, si torna al punto di partenza».
Certo, se queste sono le premesse, un governo di centro sinistra romperebbe subito, sulla politica estera. Sbuffa:
«Non capisco perché. Il maggioritario impone larghe maggioranze e larghe maggioranze impongono di esercitare di continuo l’arte del compromesso. Abbiamo un governo Berlusconi che non è d’accordo neppure sulla moneta, c’è chi vuole l’euro e chi vuole la lira... Eppure stanno insieme dal 2001».
Non proprio un esempio di armonia, converrà.
«E allora cambiamo il sistema, torniamo al proporzionale. Ma fin quando il sistema è questo, bisogna avere la pazienza di esercitare l’arte del compromesso. Anche nel centrosinistra».

libri
corpo e anima nella cultura ebraica pre-cristiana

La Stampa TuttoLibri 16.7.05
Nel tessuto della Bibbia il corpo è un vestito divino
Elena Loewenthal

LETTURE per l'anima e il corpo. Anzi, questa volta più per l'uno (e intorno all'uno) che per l'altra, anche perché non tutte le civiltà presentano una drastica opposizione fra i due. Nella tradizione ebraica, per l'appunto, l'uomo è un imprescindibile connubio di nefesh (anima, o meglio, più prosaicamente al maschile «animo») e basar, cioè «carne». O meglio, basar we-dam, intruglio di carne e sangue. Quest'ultimo, poi, non è soltanto un liquido fisico quanto lo scrigno stesso della vita, un patrimonio che appartiene solamente a Dio. Pertanto, il corpo non è affatto «basso» per definizione, preda di impulsi inferiori e per questo deprecabili: è invece, nel tessuto biblico, il vestito che il Creatore ha foggiato con le sue stesse mani. Al corpo dell'uomo come scrigno di una lunga e affascinante storia è dedicato, in fondo, l'ultimo libro di Rita Levi-Montalcini, Eva era africana (Gallucci editore, www.galluccieditore.com, pp. 90, e10, con le illustrazioni di Giuliano Ferri). Si tratta di un itinerario nelle origini dell'umanità, verso la sua «culla», cioè l'Africa, concepito per i bambini ma consigliato fino ai 99 anni (e oltre). Rita Levi-Montalcini si augura, nella chiosa, che il futuro sia donna: speriamo soprattutto che sia di quelle donne che, in Africa così come altrove, un futuro non l'hanno ancora mai avuto. Ma sul futuro (e il passato) dell'umanità si interroga anche Orlando Franceschelli nel suo saggio Dio e Darwin. Natura e uomo tra evoluzione e creazione (Donzelli, pp. 150, e12,50). Questo libro capita a proposito, in controffensiva all'attacco di agguerriti neo-creazionisti. Dopo Darwin è cambiato il nostro modo di vedere il mondo, la natura, l'uomo. Nemmeno Dio, del resto, è uscito indenne dalla rivoluzione della selezione naturale. In questo senso, il corpo, dell'uomo e degli animali, è un prezioso tracciato del nostro passato: non una scoria, bensì una specie di monumento vivente alla vita. Non a caso, l'espressione più pregnante che l'ebraico ha mai trovato per dire «memoria» è yad wa-shem, cioè alla lettera «mano e nome». Sembra quasi una felice corrispondenza semantica, ma questa espressione è certo il mondo migliore per «sentire» il corpo, la fisicità nel mondo ebraico. Partendo, naturalmente, sempre dalla Bibbia. Un piccolo libro capita a proposito: si tratta de Il corpo di Luciano Manicardi, monaco di Bose e biblista. L'ha pubblicato Qiqajon. Queste breve ma intenso saggio è una libera riflessione sul rapporto fra corpo e fede. C'è molto della teologia cristiana sulla «migrazione» del corpo di Gesù verso il rito, e ci sono interessanti note a margine al testo biblico. Per nota a margine non s'intende nulla di riduttivo, anzi: è da sempre questo il modo più profondo e penetrante per fare proprio il messaggio del Libro. Manicardi ci parla del basar, il sostantivo maschile per dire carne, ma la designa solo se vivente: «È sinonimo di fragilità e caducità ma, quando il corpo muore, diviene altro, diviene “cadavere”». Ci propone un primo orientamento di antropologia biblica del corpo, esplorando cuore, lingua, mani, occhi, labbra. E i gesti: il cibarsi e l'amare, il lavoro e la parola. Offre in sostanza una acuta lessicografia della corporeità biblica, come quando commenta passi quali «tutte le mie ossa fremono» (Salmi 6,3): un'espressione quanto mai calzante per descrivere quel particolare dondolio del corpo durante la preghiera del popolo d'Israele.