lunedì 28 marzo 2005

sotto la direzione di Marco Bellocchio e Marco Muller

Corriere della Sera, ed. di Roma 28.3.04
Si mobilita tutto il paese per realizzare il film a scopo didattico voluto dall’amministrazione comunale
A scuola di cortometraggio
Anche Di Canio tra i bimbi di Bassano in Teverina che si improvvisano attori
Flaminia Masia

Il gruppo di Edoardo, Jessica ed Eveline da una parte, quello di Danilo, Robert e Andrei dall'altra. Una partita da vincere per non perdere il territorio, ma soprattutto un percorso di crescita. Poco prima del goal della vittoria, appare Paolo di Canio. Siamo a Bassano in Teverina, in provincia di Viterbo, sul set del cortometraggio «La Partita» dove martedì si è materializzato il fantasista della Lazio, questa volta in veste di attore. Non è un corto qualunque, lo stesso Di Canio l'ha capito e ha accettato la partecipazione nella scena finale. Gli attori sono bambini del luogo, più di trenta, del tutto estranei al mondo del cinema, molti dei quali stranieri da poco giunti in Italia, e un cane, Chico, che fa da voce narrante. Ma la troupe è composta da professionisti: il regista, Federico Caramadre Ronconi, già autore di numerosi cortometraggi, e il direttore della fotografia Raul Gelsini, in prima linea, coadiuvati dai ragazzi del Cine Lab di Barbarano Romano, sotto la direzione di Marco Muller e Marco Bellocchio.
Una troupe underground ad uso e consumo dei bambini del Viterbese. Il tutto nato da una sceneggiatura scritta da Francesca Della Bona e Maura De Caris durante gli oltre quattro mesi di laboratorio cinematografico cui tutti bambini hanno partecipato. Un progetto in grande per un cortometraggio, girato in pellicola, con apparecchiature tecniche da grande film. A finanziarlo l'amministrazione comunale di Bassano, un'assoluta novità in fatto di produzione cui hanno creduto fermamente sia l'ex sindaco Ugo Sposetti sia l'attuale primo cittadino Carlo Piccialuti, che hanno dato il via al progetto dell'opera grazie alle legge 285/97, a tutela dei diritti dell'infanzia.
E così a cavallo delle vacanze di Pasqua un tranquillo paese si è trasformato in set, gli abitanti, improvvisati operatori del cinema, si sono affiancati ai professionisti dello spettacolo. I bambini, dai cinque ai quattordici anni, del tutto ignari del linguaggio cinematografico prima di questa esperienza, si sono fatti trasportare dall'entusiasmo in un mondo completamente nuovo.
Una vera e propria festa per il comune di Bassano in Teverina, dove in parte si sono svolte le riprese, che si è riempito di scenografi, costumisti, parrucchieri, truccatori, operatori, macchinisti. Forse è una delle prime volte in cui un piccolo comune produce un cortometraggio a scopo didattico, con l'intenzione di raggiungere fortemente un prodotto professionalmente superiore alla media e nello stesso tempo fare attività socio-didattica.
La storia, quasi come una favola, fonde i temi della lealtà, dell'amicizia, dalla lotta per superare i blocchi psicologici, prima con se stessi che con gli altri. Lo sport, la partita di calcio, che dà il titolo all'opera è il banco di prova finale. Ambientazioni bucoliche, a mezza strada tra la fantasia e la realtà, quasi una favola mitologica, in un’epoca appositamente non ben definita. Il percorso di un bimbo, Marco, accompagnato dal suo fedele cane, Chico, e da un sogno: il riscatto attraverso l'amicizia con un calciatore di serie A. Ma soprattutto dimostrare agli altri e a se stesso il proprio valore, vincendo le timidezze. Il bimbo si unisce al gruppo delle ragazze, chiamate «le streghe», che si oppone al gruppo dei maschi. Una lotta apparentemente banale, che è forse la prima «partita» che la vita impone ai suoi piccoli protagonisti.

archeologia
l'oppio? una creazione svizzera di 6500 anni fa

Corriere della Sera 27.3.05
L’oppio? E’ una specialità svizzera
Il Papaver somniferum compare 6.500 anni fa in una zona tra Berna e Zurigo

Viviano Domenici

E’ opinione diffusa che il papavero da oppio sia una pianta d’origine orientale. Ma non è così. Gli archeo-botanici, infatti, ci raccontano una storia del tutto diversa e ricca di sorprese. Eccola in sintesi. Il papavero da oppio (Papaver somniferum) è una pianta creata dall’uomo per selezione da piante selvatiche in Svizzera, nella zona tra Berna e Zurigo. Altre aree geografiche di possibile origine sono la Germania, la Spagna e la Grecia ma, per ora, la Svizzera rimane la sua patria più probabile. La creazione del Papaver somniferum risale a circa la metà del quinto millennio avanti Cristo, vale a dire circa 6500 anni fa. Autori della selezione furono agricoltori del tardo Neolitico e la pianta da cui partirono fu il Papaver setigerum, una delle circa 250 specie di papavero esistenti. Oggi in Italia vivono 13 specie di Papaver , tra cui il Papaver somniferum , che cresce sporadico in forma sub-spontanea. E di tanto in tanto qualcuno viene denunciato perché lo coltiva illegalmente.
I più antichi semi di papavero sono stati rinvenuti negli scavi del villaggio palafitticolo «La Marmotta», sul Lago di Bracciano, nel Lazio, e risalgono al 4300 avanti Cristo, ma gli archeo-botanici escludono che la prima selezione della pianta sia avvenuta in Italia. La data di origine è, quindi, ben più antica di quella indicata dai reperti trovati in Svizzera (3800 a.C.) e anche di quelli di Bracciano . Si ipotizza infatti un’origine svizzera attorno al 4500 avanti Cristo e una migrazione che fece arrivare la pianta nel Lazio già nel 4300 avanti Cristo.
Gli scavi archeologici dimostrano che la diffusione del papavero da oppio avvenne in più direzioni: nel 3800 a.C. è attestato in Gran Bretagna e di nuovo in Italia (villaggio palafitticolo di Lagozza, Varese), nel 3200 a.C. in Grecia, nel 2500 a.C. in Spagna; poi a Creta, Cipro, Medio ed Estremo Oriente, dove trovò un ambiente particolarmente favorevole.
A raccontarci i primi capitoli della storia dell’oppio è Giorgio Samorini, archeo-botanico del Museo Civico di Rovereto, Trento, un’autorità nel settore degli studi delle piante psicoattive e direttore della rivista «Eleusis», edita dal museo di Rovereto.
«Alcuni ricercatori ritengono che a spingere gli uomini del Neolitico a coltivare il papavero sia stata la possibilità di nutrirsi dei semi o di estrarne l’olio - spiega Samorini -. In questo caso, la scoperta delle proprietà psicoattive della pianta sarebbe una conseguenza della coltivazione. Ma io non credo che le cose siano andate così. La grande diffusione della coltivazione e l’attenzione posta nella selezione delle piante, denotano un impegno che travalica l’uso alimentare. Penso che inizialmente l’esigenza di produrre un alimento e la possibilità di sfruttare le proprietà psicoattive della pianta abbiano agito insieme, finché l’aspetto farmacologico ebbe il sopravvento. Non dobbiamo dimenticare che l’oppio è un potente antidolorifico, praticamente l’unico a disposizione degli uomini del tardo Neolitico, e per questo il Papaver somniferum divenne così prezioso da trasformarsi rapidamente in oggetto di culto».
L’esistenza di un culto del papavero da oppio presso alcune popolazioni antiche è testimoniata dalla scoperta di diversi oggetti raffiguranti la capsula del papavero. Il più noto è certamente la «Dea dei papaveri», una statuetta femminile scoperta a Ghazi, Creta, risalente al 1250 a.C. La dea a braccia alzate, porta sulla fronte una fascia dove sono infilati tre spilloni removibili a forma di capsule di papavero sulle quali sono evidenti le incisioni praticate per estrarne il latice, cioè l’oppio. La statuetta venne rinvenuta in un ambiente sotterraneo insieme ad altre quattro figure di forma simile portatrici di diverse simbologie caratteristiche della civiltà minoica.
Recentemente è stata accertata l’esistenza di un culto dell’oppio anche presso i Dauni, un popolo stanziato nella Puglia settentrionale tra l’VIII e il VI secolo a.C. . Le stele di pietra rinvenute a decine in una ristretta area delle campagne di Siponto, Foggia, raffigurano personaggi maschili e femminili coperti da elaborate vesti cerimoniali. Nella decorazione delle vesti femminili è stata riconosciuta la rappresentazione di diverse capsule di papavero che sono state ora interpretate come la prova dell’esistenza di un culto della pianta e del suo prodotto. Questa nuova lettura dell’iconografia delle stele, finora interpretate come monumenti funerari anche se non sono mai state rinvenute in corrispondenza di tombe, ha suggerito anche che questi monumenti siano in realtà raffigurazioni votive della principale coppia divina del pantheon dei Dauni. Autrice della ricerca è Laura Leone, studiosa di arte preistorica, che ha trovato conferme alla sua ipotesi anche in alcune immagini dipinte su vasi di ceramica contemporanei alle stele. In una di queste scene si vede un personaggio femminile, forse una sacerdotessa o una dea, in piedi davanti a una pianta di papavero, mentre offre una pianticella a un personaggio maschile che sembra in procinto di partire. Probabilmente una partenza verso il mondo ultraterreno di cui l’oppio, con la sua capacità di provocare uno stato soporoso e alleviare ogni dolore, è stato un simbolo fin quasi ai nostri giorni.

vittime insigni del cristianesimo

da ateismo.it

JACOPONE DA TODI

Da "Le Laude" : Contrasto - Quando t'aliegre...


Jacopone da Todi è stato uno dei maggiori poeti del Medioevo. Autore dello Stabat Mater e di altri inni e laudi. Nel 1297 scrisse un manifesto ostile a Papa Bonifacio VIII, considerandolo eletto illegalmente. Jacopone fu catturato, scomunicato e imprigionato per cinque anni. In carcere scrisse molte delle sue più famose poesie. In questo contrasto un uomo dialoga con un cadavere che giace nella tomba.

Quando t'aliegre, omo d'altura
va' puni mente a la seppultura;
e loco puni lo to contemplare,
e ppensate bene che tu di' tornare
en quella forma che tu vidi stare
l'omo che iace en la fossa scura.

- Or me respundi, tu, om seppellito,
che cusì ratto d'esto monno èi 'scito:
o' so' li be' panni de que eri vestito,
cà ornato te veio de molta bruttura?-

- O frate meo, non me rampugnare,
cà 'l fatto meo te pòte iovare!
Poi che parenti me fero spogliare,
de vil celizio me dèr copretura.-

- Or ov'è 'l capo cusì pettenato?
Con cui t'aregnasti, che 'l t'à sì pelato?
Fo acqua bullita, che 'l t'à sì calvato?
Non te ci à opporto più spicciatura!-

- Questo meo capo, ch'e' abi sì biondo,
cadut'è la carne e la danza dentorno:
no'l me pensava, quanno era nel mondo!
Cantanno, ad rota facìa saltatura!-

- Or o' so' l'occhi cusì depurati?
For de lor loco sì se so' iettati;
credo che vermi li ss'ò manecati,
del tuo regoglio non n'àber pagura.-

- Perduti m'ò l'occhi, con que già peccanno,
aguardanno a la gente, con issi accennando.
Oi me dolente, or so' nel malanno,
cà 'l corpo è vorato e l'alma è 'n ardura.-

- Or uv'è lo naso, c'avì' pro odorare?
Quigna enfertate el n'à fatto cascare?
Non t'èi potuto da vermi adiutare,
molt'è abassata esta tua grossura.-

- Questo meo naso, c'abi pro oddore,
caduto m'ène en multo fetore;
nol el me pensava quann'era enn amore
del mondo falso, plen de vanura.-

- Or uv'è la lengua cotanto tagliente?
Apri la bocca, se ttu n'ài neiente.
Fòne truncata oi forsa fo 'l dente,
che te nn'à fatta cotal rodetura?-

- Perdut'ho la lengua, co la qual parlava
e mmolta descordia con essa ordenava:
no'l me pensava, quann'eo manecava,
el cibo e 'l poto oltra mesura.-

- Or cludi le labra pro denti coprire,
ché par, chi te vede, che 'l vogli schirnire.
Pagura me mitti pur del vedere;
càionte denti sanza trattura.-

- Co' cliudo le labra, ch'e' unqua no l'aio?
Poco 'l pensava de questo passaio.
Oi me dolente, e como faraio,
quann'eo e l'alma starimo enn arsura?-

- Or o' so' le braccia con tanta fortezza
menacciando a la gente, mustranno prodezza?
Raspat' el capo, se tt'è ascevelezza,
scrulla la danza e ffa portadura.-

- La mea portadura si ià' 'n esta fossa;
cadut'è la carne, remase so' l'ossa
et onne gloria da me ss'è remossa
e d'onne miseria 'n me a rempietura.-

- Or lèvat' en pede, ché molto èi iaciuto,
acònciate l'arme e tòite lo scuto,
ch'en tanta viltate me par ch'èi venuto,
non po' comportare plu questa afrantura.-

- Or co' so' adasciato de levarme en pede?
Chi 'l t'ode dicere mo 'l te sse crede!
Molto è l'om pazzo, chi non provede
ne la sua vita 'n la so finitura.-

- Or clama parenti, che tte veng' aiutare,
che tte guardin da vermi, che tte sto a ddevorare;
ma fòr plu vivacce venirte a spogliare,
partèrse el podere e la tua amantatura.-

- No i pòzzo clamare, cà sso' encamato,
ma fàime venire a veder meo mercato;
che me veia iacere colui ch'è adasciato
a comparar terra e far gran clusura.-

-Or me contempla, oi omo mundano;
mentr'èi 'n esto mondo, non essar pur vano!
Pènsate, folle, che a mmano a mmano
tu sirai messo en grann'estrettura.-