domenica 9 novembre 2003

un congresso di psichiatri a Sirmione:
in Italia ci sarebbero 600.000 schizofrenici

indymedia.org 8.11.03
«Malattie mentali? Non sono incurabili»
Il sottosegretario Guidi: «Si enfatizzano solo le cose negative»


Grazie alla ricerca collegata ai diritti del malato e ai servizi territoriali, la psichiatria italiana è una delle migliori al mondo, ma rimane costantemente nel mirino di media e detrattori pronti a mettere in discussione l’intero universo psichiatrico in caso di errore. È il rammarico che ieri il sottosegretario al ministero della Salute e presidente dell’Osservatorio per la salute mentale, l’on. Antonio Guidi, ha espresso a Verona incontrando all’Azienda ospedaliera scaligera i responsabili della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica (Siep) alla vigilia del sesto congresso nazionale Siep, in programma fino a domani ala Palazzo dei congressi di Sirmione, promosso anche dall'Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico) Fatebenefratelli di Brescia. Guidi, che ha annunciato con soddisfazione la decisione dell’Osservatorio di promuovere ogni due anni una «Conferenza della salute mentale», si è detto «indignato» per l’enfasi con la quale eventi delittuosi vengono quasi sempre legati, da stampa e televisioni, alla psichiatria. «C’è una corsa all’enfatizzazione del negativo - ha spiegato l’esponente di governo, psichiatra dell’età infantile - supportata purtroppo per sete di potere da molti colleghi che preferiscono tacere la verità e ciò non fa che accrescere la mia amarezza».
Per Guidi «l’overdose di notizie che lega i delitti alla psichiatria fa male a tutti e ripropone costantemente il pregiudizio della pericolosità della sofferenza mentale. A volte è terrorismo».
Sottolineando in particolare gli aspetti della schizofrenia, patologia cui è dedicato il congresso di Sirmione e alla quale spesso vengono associati reati ed episodi di violenza, Guidi ha osservato che «non bisogna farsi trascinare dal pregiudizio dell’incurabilità e dell’inguaribilità. Forse siamo tutti schizofrenici ma per molti questa forma diventa malattia grave».
«La schizofrenia - ha spiegato a sua volta Michele Tansella, direttore della cattedra psichiatrica della facoltà di medicina dell’Università di Verona e presidente dei lavori sirmionesi - è la forma di psicosi più grave. L’esito della malattia dipende da molte variabili, dev’essere valutato in tempi molto lunghi e la ricerca è più che mai necessaria».
Insomma, ci sono voluti decenni per capirlo: la malattia mentale non è incurabile e i malati non vanno ghettizzati, anche se questa tentazione ogni tanto riaffiora, soprattutto in occasioni di eclatanti episodi di cronaca.
Secondo l'Organizzazione mondiale della Sanità, l'incidenza della sola schizofrenia varia tra i 7 e i 14 casi ogni 100 mila abitanti. In Italia ne soffrono circa 600 mila persone.
«La psichiatria è la branca della medicina che più di qualsiasi altra ha saputo fare autocritica e rifondarsi completamente, raggiungendo livelli di eccellenza», ha sottolineato Guidi, che è psichiatra, criticando aspramente «certi colleghi che per motivi personali o di potere non dicono la verità», puntando l'indice su certe banalizzazioni dei problemi da salotto televisivo.
Secondo il sottosegretario in futuro bisognerà puntare di più sulle risorse umane piuttosto che sulla tecnologia. A chi gli chiedeva se il Governo intenda tagliare i fondi ai servizi socio-sanitari, quindi anche a quelli psichiatrici, ha risposto che va rivista la prassi di spesa, verificando meglio il percorso dei finanziamenti, evitando gli sprechi ma mai a scapito degli assistiti.
«Meno apparecchiature - ha detto Guidi - che rischiano di diventare obsolete in pochi anni, ma più incentivi alle risorse umane». Nell'ambito del congresso di Sirmione, verranno presentati i dati dello studio Epsilon sulla schizofrenia.

Galimberti a Rovereto, su "il corpo in Occidente"

Alto Adige 9.11.03
Corpo & anima Al Mart una «lezione» sull'uso del nostro fisico oggi
I muscoli di Galimberti
«Diete, moda: così non siamo più noi»

No al corpo - oggetto. Umberto Galimberti, ieri a Rovereto per il convegno «Il corpo fra creatività artistica e tecnologica» presso il Mart, ha condotto una dura critica del modo tecnologico di pensare e usare il corpo umano. A Galimberti era affidata la prolusione sulla concezione del corpo nel pensiero occidentale.
di Andrea Mubi


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Il filosofo e prolifico saggista, ordinario del dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze all'Università di Venezia, è tra i critici più severi del predominio della tecnica, come bene testimonia una delle sue opere più eminenti, "Psiche e Techne"
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Il pensiero cristiano, spiega Galimberti, non eredita dall'ebraismo alcuna idea di anima, poiché nella cultura ebraica centrale era il corpo, e la parola «nefesh» (psyché) era intesa in senso vitalistico. La eredita invece da Platone, egli stesso punto di rottura rispetto alla concezione greca omerica antica e poi classica, dove il corpo non era ammasso anatomico, ma espressività energetica, e la psyché sembra riferirsi più a una proprietà respiratoria dell'essere vivente che non ad un'anima in senso compiuto. Ecco allora la rivoluzione platonica: la psyché come il prodotto di un programma filosofico volto alla ricerca di una base stabile, di verità, su cui porre la capacità generalizzante - astrattiva dell'uomo. L'anima non nasce come tentativo di spiegare la soggettività, bensì come tentativo di raggiungere l'oggettività, di astrattare al di là del punto di vista di ciascuno: l'anima come luogo epistemico (di salda e sicura conoscenza) dell'immutabile, come organo matematico che si intende cone le idee eterne, laddova il corpo muta instabile con le sue passioni, le sue malattie, il suo invecchiamento. Il pensiero cristiano, con Agostino, riprende la concezione platonica della psyché che altrimenti non avrebbe potuto inventare, non essendoci nella tradizione ebraica - e neppure nel cristianesimo delle origini - e la lega alla dimensione della salvezza spirituale dell'uomo. Allo stesso tempo è questa mossa a consacrare la nascita dell'individualismo occidentale: ognuno salva la propria anima. E intanto il corpo diventa sempre più «cosa». Con i moderni e Cartesio si inaugura la concezione del «corpo anatomico», il corpo oggettivo come insieme di organi su cui ancora oggi si basa la medicina. Il dualismo tra il corpo - vissuto del mondo della vita, cioé il corpo «mio» (Leib), da una parte, e il corpo - cosa, oggetto medico (Korperding) dall'altra, diviene radicale e pericoloso. Qui Galimberti sostiene l'importanza di reclamare che «il corpo non è una cosa, siamo noi». Al contrario, la frattura tra l'io e il corpo è la forma base della schizofrenia, che emerge in tutti i contesti patologici: nella malattia, l'io si oppone al proprio stesso corpo. E qualcosa, come una malattia, sono dunque da ritenere per Galimberti tutte quelle pratiche, diffusissime, che ci portano ad agire sul nostro corpo come su un oggetto, dalle palestra alle diete a una medicina che si è scordata che al di là degli organi c'è l'uomo. Soluzione? Tornare ad agire con il nostro corpo nel mondo.