lunedì 6 dicembre 2004

da "Avvenimenti" adesso nelle edicole
libri e lettori
le Nuove Edizioni Romane

Da Avvenimenti n°47 in edicola dall'8 al 12 dicembre
a Roma Più libri, più liberi
Il mio lettore? Uno scafato
di Simona Maggiorelli

(l'articolo appare anche su articolo21.com)

Sono piccole, ma fanno un lavoro doc, battendo sentieri diversi, a caccia di autori e terreni nuovi di ricerca. Non hanno un catalogo mastodontico, ma scelto con passione, secondo un preciso progetto culturale. Sono le piccole e medie case editrici italiane. In 350, dall’8 al 12 dicembre, si danno appuntamento al Palazzo dei congressi di Roma per la terza edizione di Più libri, più liberi, mostra mercato, ma anche occasione ghiotta di approfondimento con convegni, incontri e dibattiti. Una kermesse libraria, che nonostante la crisi economica, offre uno spaccato di vitalità della piccola e media editoria italiana con le sue 1759 imprese che, solo nel 2003, hanno prodotto 85mila titoli, di cui 15mila novità.
Ma qual è il pubblico di Più libri più liberi (che già l’anno scorso ha raggiunto quota 35mila visitatori)? Chi sono i lettori di questi prodotti scelti che bisogna andarsi a cercare in libreria? Secondo l’editore Carmine Donzelli sono il vero lettore forte. «Non si tratta - dice - di un pubblico indifferenziato e generico, ma di una fascia di lettori molto scafati, con domande definite, un’idea chiara di quello che stanno cercando. Sono lettori che sanno benissimo che cosa pubblica Fazi oppure e/o. Con loro, anche in fiera, si viene a creare un rapporto sorprendentemente serio». «È questo - dice l’editore romano con una punta critica - che rende Più libri, più liberi un’esperienza molto diversa da quella più generalista e onnivora della Fiera del libro di Torino. Una kermesse per lettori attenti, avvertiti, svegli, quella organizzata dalla Aie e dal comune di Roma». «Il nostro lettore medio - prosegue Donzelli - cerca risposte articolate alle inquietudini e a grandi temi del momento, risposte non effimere, non libri pacificanti, di evasione». E per lettori che s’interrogano sulla politica italiana la Donzelli ha preparato nuovi titoli di “saggistica civile”. In primis, il libro di Salvatore Lupo, Partito e antipartito, una rilettura della storia della prima Repubblica e soprattutto di quei movimenti, fra loro molto diversi - dall’uomo qualunque di Giannini, al ’68, ai Radicali - che non riuscendo a contrapporre ai grandi partiti di massa una propria proposta, hanno finito per dare una risposta antipolitica, aprendo così la strada al berlusconismo. Ma non c’è solo la politica. Asso nella manica di Donzelli, in vista delle feste, sono le fiabe africane raccolte e rielaborate da Nelson Mandela. Un libro affascinante anche per il ponte culturale che evoca, per via di costanti antropologiche e variazioni sul tema, fra la nostra cultura popolare e quella delle coste africane.
E di letteratura africana, anticipando i tempi, così come aveva già fatto per le letterature dell’est, si è molto occupato Sandro Ferri con la sua e/o. Una casa editrice che ora esce allo scoperto con una pioggia di titoli. «Per noi è un momento buono - ammette l’editore -, siamo cresciuti, ci siamo diversificati. E quando proponiamo un nuovo autore ci viene accordata fiducia». Eric Emmanuel Schmitt, l’autore francese di Monsieur Ibrahim , presto in libreria con un libro su Hitler, la scrittrice greca Maria Meimaridi con il suo gettonatissimo Le streghe di Smirne. E poi, fra le novità, la biografia del pianista Glenn Gould scritta dal massimo esperto, Kevin Bazzana; la prima uscita italiana della canadese Barbara Gowdy; un ironico romanzo aperto all’attualità La Badante di Paolo Teobaldi. Insomma un diluvio di proposte. «E non sono le sole - dice Ferri - per me sono tutti belli, ma forse una parola in più la merita la collana appena inaugurata con due titoli Niente, niente più al mondo di Massimo Carlotto e Il padre e lo straniero di Giancarlo De Cataldo, romanzi brevi, legati all’attualità, politicamente molto forti». Anche in questo caso, al di là della maggiore o minore riuscita, libri per un pubblico diverso da quello che consuma best seller patinati e scaccia pensieri. «Raramente facciamo concessioni - dice il patron di e/o -. La nostra linea è piuttosto quella di sorprendere il pubblico, di andare controcorrente. Chiaramente cerchiamo un pubblico esigente, ma soprattutto non conformista, anche se di sinistra. Tentiamo sempre di non lisciargli il pelo».
E testarda e coerente da anni è la proposta delle Nuove edizioni romane, specializzata in psichiatria e editoria per ragazzi, presenza costante a Più libri, più liberi. «Per quanto riguarda la ricerca sulle scienze umane - dice la fondatrice Gabriella Armando - dal 1976 facciamo un lavoro di presentazione attenta e insistita del discorso psichiatrico di Massimo Fagioli, pubblichiamo una rivista di psicoterapia e psichiatria Il sogno della farfalla collegata a questa ricerca, e poi facciamo libri per ragazzi, soprattutto riproponendo classici ma in chiave viva ed emozionante». «Libri - aggiunge - forse non immediatamente seduttivi. Che più che una lettura solitaria, invitano a una lettura da fare insieme, bambino e adulto». Così ecco le belle riscritture per ragazzi dell’Iliade e dell’Odissea, i primi libri di Roberto Piumini, che la casa editrice romana ha praticamente scoperto, ma anche versi. «Ai nostri giovani lettori abbiamo sempre dato libri di poesia - racconta Armando - anche quando non si usava farne perché non si vendevano. E questo perché abbiamo un’immensa stima dei bambini e non diamo loro prodotti di serie B». Così, a Più libri più liberi, oltre alla presentazione del nuovo numero della rivista Il sogno della farfalla diretta dallo psichiatra Andrea Masini, le Nuove Edizioni Romane organizzano, con le Biblioteche di Roma, la presentazione dell’ultimo libro del poeta Giorgio Pontremoli, ma anche letture di poesie di un clown. Prodotti di nicchia, certo non per grandi tirature, ma che, specie quelle che riguardano il settore psichiatrico e scienze umane, hanno permesso alla casa editrice di resistere per trent’anni. «Siamo sempre stati sul filo del rasoio dal punto di vista economico - ammette l’editrice - ma abbiamo un pubblico forte, che ci segue, e in continuo aumento. Un successo dovuto anche al fatto che la produzione del denaro non è al primo posto nel nostro lavoro. La struttura resiste dal 1976 non perché dà risultati economici incoraggianti, ma perché dà risultati culturali incoraggianti».
Salviamo le idee, la creatività come risorsa delle piccole case editrici è, non a caso, il titolo del convegno di apertura della fiera, ma si parlerà anche di strategie per resistere alla stretta della crisi e all’asfissia creata dal monopolio berlusconiano. Lo farà proprio Carmine Donzelli, insieme a Sandro Ferri, Gian Carlo Ferretti, Enrico Iacometti e Marco Zapparoli in un incontro dal titolo Per sempre piccoli? Le case editrici nascono, crescono, spesso muoiono perché non riescono a sopravvivere, sono cicli - dice Donzelli -.Vanno bene anche espansioni e aggregazioni, controbilanciate dalla nascita di marchi nuovi». Ma aggiunge: «Lo schema David - Golia va bene; loro sono più potenti, hanno i soldi per accaparrarsi diritti. Ma io ho dalla mia l’agilità, prendo decisioni veloci e molto motivate sul piano intellettuale». E poi qualcosa è cambiato negli ultimi anni: «Le pressioni che i grandi gruppi esercitano sulla distribuzione e sull’accesso alle librerie - denuncia - rendono impossibile per i piccoli arrivare sui banchi». E allora che fare? «Per andare avanti - spiega Sandro Ferri - ci vuole fiuto. Conta la costanza, non aspettarsi con un nuovo autore il successo al primo libro. Ma - ammette - per chi comincia oggi è più difficile. Il mercato si è molto modificato, e certo non a vantaggio della piccola editoria e della ricerca. Oggi le spinte sono a uniformarsi. Nonostante ciò nuovi piccoli editori continuano a nascere, perché è una spinta che va oltre l’aspetto economico. Resta un’importante parte di pubblico che cerca libri diversi. E questo crea pur sempre delle controtendenze secondarie sulle quali un piccolo editore un po’ accorto può inserirsi».

agenzie AGI
sulla salute mentale
con l'intervento di Martino Riggio

SALUTE MENTALE: MIN.SALUTE, NON SEI DIVERSO DA ME, NO STIGMA =(AGI) - Roma, 3 dic.

"Non sei diverso da me. Curare i disturbi mentali si può, pertanto nessuno stigma sociale, pregiudizio ed esclusione per quanti (il 10% della popolazione) sono affetti da una patologia psichiatrica". È lo slogan con cui il Ministero della Salute d'intesa con la Presidenza del Consiglio, avvia, dal 5 dicembre, la campagna nazionale per la salute mentale i cui obiettivi e finalità sono stati presentati, in una conferenza stampa, dal sottosegretario Antonio Guidi, dalle società scientifiche del settore (Sip, Sep e Sinpf) e dalle associazioni dei familiari (Unasam, Diapsigra e Arap) più la Fondazione Idea diretta da Giovan Battista Cassano. Con lo slogan "non sei diverso da me", sia versione opuscolo che spot televisivo, si rifiutano alcune tesi sul malato di mente che "non è violento e pericoloso"; che "non è incurabile" e che "non è incapace di lavorare e non rispettale regole sociali". I malati mentali, "non sono più violenti di altri: è vero invece che quasi tutti i reati violenti sono compiuti da individui - si afferma nell'opuscolo - considerati perfettamente normali e ben inseriti nella società". Dire quindi che chi uccide a freddo un bambino o una bambina (da Nausica a Samuele) o un adolescente (da Desirée a Giusy) o un adulto (le vittime dei delitti familiari) senza motivo o per motivi futili, è un malato di mente rientra nel capitolo delle "false informazioni". "La pericolosità e l'inguaribilità della persona affetta da malattia mentale - ha detto Guidi - potrebbero considerarsi i più diffusi pregiudizi che stanno alla base di atteggiamenti di esclusione e spesso anche di ostilità e disprezzo verso persone con problemi psichici". Pat031429 DIC 04

(Segue 2260) SALUTE MENTALE: MIN.SALUTE, NON SEI DIVERSO DA ME, NO STIGMA (2)= (AGI) - Roma, 3 dic.

Il malato di mente dunque "non è violento e pericoloso" per sé e per gli altri. "È vero che la violenza dei malati di mente esplode in famiglia - ha spiegato Mario May, presidente della società europea di psichiatria (Sep) - ma gli omicidi commessi da persone affette da disturbi psichici sono pochi: meno di quanto si creda". Secondo l'Eures dei 658 omicidi volontari - ha proseguito May - registrati nel 2003, solo 27 (il 4,1%) sono stati commessi da persone con problemi mentali. Una percentuale il 4,1% minima - ha rimarcato May - ed in linea con quelle internazionali a fronte del 7,3% di italiani che soffre ogni anno di malattie psichiche. Rifiutata dunque l'equazione malato di mente uguale violento e pericoloso, May ha precisato che la cura c'è e si chiama farmaco anche se la psicoterapia - ha aggiunto May presentando una inchiesta su 714 assistiti di medici di base - può esser lo stesso utile. Le medicine dunque sono utili: lo dice il 95% degli intervistati come il 58% ritiene che è "proprio vero" che può funzionare la psicoterapia, mentre per il 41% è "vero in parte". Ma i malati di mente come sono percepiti? L'85% dice che è "vero o vero in parte" che sono "imprevedibili" e per costoro il 69% afferma che "c'è poco da fare: si puo' solo cercare di farle stare in un ambiente sereno". Quanto poi ai manicomi, il 99% li considera più delle prigioni che degli ospedali ed il 62% dice di esser contrario al ricovero in manicomio dei malati di mente. (AGI) Pat 031530

DIC 04 SALUTE MENTALE: RIGGIO, MEDICO CURA MALATTIA NON DIVERSITA' = (Agi) - Roma, 3 dic.

"Se tu non sei diverso da me, perchè mai ti dovrei curare?" Il medico, lo psichiatra in particolare cura la malattia mentale, il pensiero alterato, e non la diversita". A parlare è lo psichiatra e psicoterapeuta Martino Riggio del Dipartimento di Psichiatria dell'Ospedale di Tivoli. "È una contraddizione in termini lo slogan 'non sei diverso da me': se sei come me perché mai dovrei curarti? Il mio compito - precisa Riggio - di psichiatra è cercare, scovare la malattia e curarla: il medico non cura la diversità ma appunto la malattia". Diverso è il biondo rispetto al moro, il longilineo rispetto al basso. "Il malato di mente non è un diverso - aggiunge Riggio - ma una persona che non va assistita o consolata né presa in carico ma va curata e possibilmente portata alla guarigione". Poi c'è da chiarirsi sul concetto di violenza che non è solo manifesta e non riguarda tutti. "È violenza l'anaffettività, la freddezza, la lucidità con cui si vivono - conclude Riggio - o meglio non si vivono i rapporti interumani: quando si arriva all'omicidio è perché la vita dell'altro non vale nulla" . Pat 031611 DIC 04

CGIL

GIOVEDI 16 DICEMBRE '04

ALLE ORE 21,00
presso la CAMERA DEL LAVORO di Prato
Piazza Mercatale, 89

A 4 MESI DALLA SCOMPARSA
DELL'AVV. OSVALDO LEONELLI
LO RICORDERANNO AMICI E COLLEGHI

PRATO

Big Brother
prospettive del dominio/2

Repubblica 6.12.04
Tra chip e sensori arriva il post-umano
STEFANO RODOTA

Dobbiamo cominciare ad abituarci ad una parola nuova, e inquietante... post-umano. Dobbiamo farlo non per dare un nome a quelli che, nel film "The Manchurian Candidate", vengono predisposti per svolgere determinate attività, compresa quella di Presidente degli Stati Uniti, attraverso chip e sensori elettronici introdotti sotto la pelle o nel cervello. Dobbiamo farlo perché questa modificazione elettronica del corpo è già nella concreta realtà che viviamo, e non si ritrova soltanto nelle opere di fantasia che danno corpo alle molte angosce dell'America di oggi - la sorveglianza onnipresente, la manipolazione delle coscienze, il peso delle grandi società nelle scelte politiche, la creazione a tavolino dei candidati alle più alte responsabilità politiche.
Il 12 ottobre di quest'anno la Food and Drug Administration, l'autorità statunitense che si occupa della salute, ha autorizzato l'utilizzazione del VeriChip, un piccolissimo strumento elettronico da inserire sotto la pelle dei pazienti che contiene i dati necessari per l'identificazione e che viene letto a distanza, permettendo l'immediato accesso ad una banca dati che contiene le informazioni sulla salute dell´interessato. Ma già prima di quella data era stata avviata, anche in ospedali italiani, una sperimentazione di questi microchip, impiantati per il momento solo su pazienti affetti da patologie croniche (diabete, cardiopatie, Hiv), soprattutto per rendere possibile, in situazioni di emergenza, l'istantanea conoscenza dello stato di salute del paziente attraverso l'associazione tra microchip, lettore, banca dati.
Ma non è soltanto nel settore della salute che si ricorre all'impianto di microchip nel corpo umano. Lo ha fatto, con evidenti intenti pubblicitari, una discoteca di Barcellona, il Baja Beach Club, che consente ai soci che accettano di farsi impiantare il chip di entrare nel locale senza alcuna formalità e di pagare automaticamente le consumazioni grazie alla loro identificazione a distanza. Una società americana sta mettendo in commercio armi che possono essere adoperate solo da chi, avendo un chip impiantato nella mano, viene riconosciuto dall'arma stessa come suo legittimo possessore. A luglio si è appreso che in Messico, con una spesa di 150 dollari a persona, è stato "iniettato" un microchip nel braccio del Procuratore generale e di altri 160 suoi dipendenti per controllare il loro accesso a un importante centro di documentazione e, eventualmente, per rintracciarli in caso di sequestro. Sempre a luglio Blair ha annunciato di voler "etichettare e controllare" via satellite i cinquemila più pericolosi criminali inglesi.
Siamo alla vigilia di un cambiamento della natura stessa del corpo che, modificato tecnologicamente, diverrebbe per ciò post-umano? Questo è un tema che merita una vera discussione pubblica, invece di perder tempo dietro inconcludenti e strumentali diatribe intorno ad un astratto rispetto della natura. I casi appena ricordati, infatti, sono solo l'avanguardia più visibile di una larghissima serie di sperimentazioni volte ad inserire nel corpo umano strumenti elettronici e a collegarlo con un computer. Gli stessi microchip, peraltro, possono già oggi contenere dati diversi da quelli identificativi. L'Applied Digital Solutions, la società americana che produce il VeriChip, nella sua pubblicità fa riferimento esplicito alla possibilità di inserire direttamente nel chip anche informazioni sulla salute, dati finanziari, altri dettagli sulla situazione personale del soggetto, come i precedenti penali.
Da lunghissimo tempo il corpo umano conosce l'inserimento al suo interno di materiali diversi per curarlo o "ripararlo": pacemakers, impianti di silicone, uso del titanio nel caso di fratture appartengono ormai alla casistica quotidiana. Un libro americano, che descrive i diversi modi in cui in cui si ricorre a queste sostituzioni o integrazioni di parti del corpo, ha come titolo "The Body Shop", che negli Stati Uniti è l'insegna dei negozi di pezzi di ricambio per le automobili. E proprio il corpo come "macchina" aveva richiamato l'attenzione degli Illuministi.
Oggi, però, siamo di fronte ad un mutamento qualitativo che, attraverso l'inserimento nel corpo di strumenti provenienti dal mondo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, mettono in discussione l'autonomia stessa della persona. A differenza dei casi in cui si è portatori di un pacemaker o di una protesi di silicone, infatti, l'inserimento di un microchip può mettere il corpo in permanente collegamento con altre persone che possono identificarlo, controllarne lo stato di salute, seguirne i movimenti, modificare a sua insaputa le informazioni contenute nel chip. Così cambia lo statuto personale e sociale del soggetto. Può essere sempre "on line", divenire una "networked person", una persona permanentemente in rete, configurata in modo da emettere e ricevere impulsi che consentono di rintracciarne e ricostruirne condizioni fisiche e mentali, movimenti, abitudini, contatti, modificando così senso e contenuti della sua autonomia.
Discutere tutto questo richiede prudenza e distinzioni. Quando si parla dei chip e del loro impianto, ad esempio, è indispensabile tener presente che questi strumenti, leggibili a distanza con la tecnica delle radiofrequenze, possono essere tra loro molto diversi: contenere soltanto informazioni non modificabili, non emettere impulsi, e quindi essere leggibili solo per finalità e con modalità estremamente circoscritte; oppure contenere informazioni modificabili dall´esterno (aggiornamento delle condizioni di salute o delle transazioni finanziarie effettuate), emettere impulsi che possono consentire un continuo controllo delle condizioni o degli spostamenti della persona. Bisogna distinguere i casi in cui gli impianti servono per reintegrare funzione mancanti o perdute (udito, vista, lesione di arti) da quelli in cui si tende ad un miglioramento delle prestazioni fisiche e psichiche (sono ammissibili analogie con il doping?). Bisogna poi considerare le loro finalità: tutela della salute o altro; le caratteristiche dell'impianto, reversibile o permanente; il collegamento dell'impianto con uno analogo nel corpo di un'altra persona; la parte del corpo dove vengono impiantati, cervello o altrove. Quest'ultimo punto merita particolare considerazione, poiché gli impianti nel cervello possono essere finalizzati al recupero di funzioni perdute, come la vista, o a rendere possibile, ad esempio attraverso il collegamento con un computer, condizionamenti del comportamento.
Questo è appena uno sguardo, estremamente semplificato, sul futuro immediato. Le analisi devono sempre essere depurate dalle cadute facili nella fantascienza. Ma è bene tener presente che, in questa come in altre materie legate all'innovazione scientifica e tecnologica, il problema non è quasi mai il "se", ma il "quando" le ipotesi e le sperimentazioni diverranno fatti concreti, con i quali fare i conti.
In questa dimensione prospettica, diventano indispensabili una discussione pubblica e l'individuazione di principi comuni, partendo, ad esempio, dal Trattato costituzionale europeo e dalla Carta dei diritti fondamentali in esso contenuta. Qui si afferma che la dignità umana è inviolabile, che ogni persona ha diritto all'integrità fisica e psichica, che i dati personali esigono una elevata protezione, che dev'essere rispettato il principio di precauzione. Ognuno di questi punti richiede approfondimenti. Ma tutti ci dicono che non è possibile abbandonarsi ad una deriva scientifica o tecnologica, o che l'unico criterio di guida possa essere quello della sicurezza (che, in troppi casi, sta diventando quello di una paura accuratamente costruita ed alimentata per accrescere i controlli ed arrivare ad una società della sorveglianza).
È evidente che la tutela della salute è un valore in sé e che sono benvenute tutte le innovazioni che la rafforzano. Ma è proporzionato l'impianto di un microchip, con una invasione e modificazione del corpo, rispetto all'identificazione precisa di un paziente, che potrebbe essere effettuata con altri mezzi? Nel caso di possibili modificazioni dall'esterno dei dati contenuti nel chip, quali sono le garanzie contro interferenze o accessi indebiti? Si è consapevoli della necessità di prevedere altissimi livelli di protezione per le informazioni così raccolte? Si tengono presenti i problemi di giustizia distributiva, e dunque l'eguaglianza nell'accesso a questi nuovi strumenti?
Queste domande possono essere ripetute per quasi tutti gli altri impianti. Senza risposte soddisfacenti non si può imboccare impunemente questa strada. La decisione della Food and Drug Administration è stata assai criticata negli Stati Uniti ed è stata dichiarata inaccettabile dall'autorità francese per la tutela della privacy. E che dire della proposta di Blair che, per per persone classificate "ad alta propensione a commettere reati", pur avendo scontato la pena, cancellerebbe la libertà di circolazione e tutte le connesse forme di autonomia individuale, imponendo loro di portare uno strumento elettronico che ne renda possibile in ogni momento la localizzazione?
Né, per superare obiezioni e preoccupazioni, basta riferirsi al consenso degli interessati. Stiamo discutendo dell'integrità del corpo e della dignità umana, di interventi che possono modificare la percezione del sé e incidono sull'antropologia della persona. Servono regole precise per evitare che un ingannevole consenso diventi la via verso nuove servitù, mascherate magari con pretese di eguaglianza.
Un consorzio di industrie francesi, Biotech, progetta impianti sui ragazzi per controllare "l'eccesso di attività intellettuale" dei più dotati e "elevare il quoziente intellettuale" degli altri, per realizzare condizioni di vera eguaglianza. Non sono fantasie, perché dietro di esse vi sono investimenti e interessi economici, gli stessi che amplificano le paure per creare un mercato della sicurezza. Dobbiamo bloccare sul nascere queste derive pericolose. È tempo di discussione pubblica: perché queste nuove prospettive, inquietanti e promettenti insieme, siano governate dagli uomini e dal loro senso della libertà, e non affidate ad impossibili vincoli di natura o, peggio alla prepotenza del mercato.

Luca Bonaccorsi
«La svalutazione del dollaro e quella del renminbi»

Liberazione 5.12.04
La svalutazione del dollaro e quella del renminbi
di LUCA BONACCORSI

Le pagine economiche di questi giorni sono piene di discussioni ed analisi sull’impatto sociale ed economico della manovra finanziaria del governo Berlusconi.
16,5 miliardi di euro (lo 0,5% del Pil) di tagli di tasse avranno effettivamente un impatto espansivo sull’economia? In realtà ad una analisi più attenta pare ormai evidente che anche nel più ottimistico degli scenari il contributo al consumo sarà circa della metà (0,25 del pil). È una somma ridicola dal punto di vista macroeconomico. Siamo dunque ben lontani dalla svolta epocale sbandierata dal governo.
Nel frattempo però l’euro si è rivalutato di circa il 50% contro il dollaro USA, e contro tutte le valute ad esso agganciate, prima fra tutte quella cinese. Perché Liberazione non parla del crollo del dollaro/renminbi? La finanza ha cambiato il mondo nell’ultimo quarto di secolo. La finanza ha sponsorizzato la rivoluzione neocom negli Stati Uniti negli anni Ottanta. E i politici neocon hannno ripagato il favore combattendo, e vincendo, la Grande Guerra del Capitale, quella della liberalizzazione dei movimenti di capitale.
La liberalizzazione dei movimenti di capitali è la madre della globalizzazione. E la globalizzazione, con lo spostamento della produzione manifatturiera nei paesi del terzo mondo, è il singolo più potente fattore di impoverimento delle economie come la nostra, mature e con un altro grado di protezione sociale. Il processo è difficilmente reversibile. Quando una fabbrica chiude in Italia per trasferirsi in Malaysia o in Brasile o in Romania il danno economico e sociale è di quelli che si sanano difficilmente.
I tickets sui medicinali si possono cancellare con un decreto legge. Ma fabbriche, macchinari e, soprattutto uomini e donne che vi lavorano per produrre ricchezza, quelli no, non si ordinano per decreto. Quando una fabbrica si smantella, per non dire di interi settori industriali, di solito è per sempre.
Il capitale finanziario e le sue dinamiche non sono questioni per signori in abito grigio che lavorano nelle grandi banche d’affari nella City di Londra o a Wall Street. Il capitale finanziario e le sue dinamiche determinano anche il tipo di scuola e ospedali che avremo domani. E che tipo di contratti avremo sul posto di lavoro. Il legame è meno diretto ed evidente di quello con la politica nazionale. Ma è più forte. Come preambolo per parlare del collasso del dollaro di questi mesi forse è un po’ lungo ma...
Perché il dollaro collassa, e qual’è il senso economico di questa svalutazione? L’amministrazione Bush ha preso la recessione sul serio dal 2001 e sta adottando tutti gli strumenti che ha per rilanciare l’economia. Come in un esercizio di macroeconomia al primo anno di università, Bush sta usando leva fiscale, leva monetaria e politica valutaria insieme, senza timori. La ricetta è semplicissima: fai spendere quanto puoi al tuo governo (cioè metti in tasca alla gente/imprese soldi che tu prendi in prestito sui mercati), abbassa il costo del denaro a zero (per invogliare famiglie e imprese ad indebitarsi per spendere) e svaluta la tua valuta per favorire la vendita dei tuoi prodotti sui mercati mondiali (“fregando” quelli degli altri paesi). Bush lo sta facendo da tre anni circa senza remore. E se non fosse legato ai peggiori gruppi di interesse che la terra abbia mai espresso (militare, farmaceutico, petrolio, tabacco, inquinamento) a quest’ora avrebbe un’economia floridissima. Invece fa le guerre, inquina, favorisce lo sfruttamento dei più, e regala soldi ai ricchi (che più di tanto non possono consumare, quindi vanificando lo stimolo impresso).
Ciononostante, lo stimolo applicato all’economia americana è tale che l’ha riportata a crescere intorno al 4% all’anno, un dato che farebbe gridare di giubilo i politici europei. In pratica gli Usa si indebitano come matti e comprano le merci un po’ d tutto il mondo: specie Cina, Giappone ed Europa. Questi paesi vendono i loro beni e ricevono dollari, tanti dollari, e una parte la conservano. Il dollaro è la valuta di riserva del mondo e la valuta in cui si comprano le materie prime (l’euro sta gradualmente cambiando le cose, ma essenzialmente la sovranità del dollaro è ancora intatta). Finché dura questo processo di “prendi in prestito e spendi” le riserve estere di dollari crescono. Fino al punto di far desiderare ai detentori di dollari di “diversificare” questo rischio.
Ora, in questi mesi, stiamo vivendo questo processo. E la crescita in più che l’America si sta creando la pagheremo anche noi. Nel breve periodo attraverso minori esportazioni a causa dell’euro caro che rende i nostri beni meno competitivi. E quindi con minore crescita. Ma minore crescita vuol dire anche minori entrate fiscali e quindi maggiore deficit di bilancio. Ma visto che noi ci siamo auto-imposti un limite al deficit (il mitico 3% del Patto di Stabilità) dovremo necessariamente tagliare le spese. Fare cioè manovre manovre recessive (esattamente il contrario di quello che ci serve) e di tagli alla spesa sociale.
Chiaro no? Bush spende... e noi non solo gli prestiamo i soldi per farlo ma gli paghiamo anche una parte del conto.
Ma questo è un ragionamento di breve periodo in fondo. Che c’entra con la deindustrializzazione? Beh, oggi possiamo, con uno sconto del 40% rispetto al 2001, comprarci una fabbrica in Cina. E possiamo farlo prendendo i soldi a prestito ai tassi più bassi degli ultimi 50 anni. In Cina, o in Malaysia, gli operai guadagnano il 5-10% di quello che guadagnano gli operai italiani. E non fanno sciopero, e non chiedono aumenti.
Se voi foste un imprenditore, cosa fareste oggi? Continuate a litigare con la rappresentanza sindacale qui a Lecco o a Taranto o ve ne andate? La risposta non serve, la sappiamo già tutti è la storia degli ultimi 25 anni. E di questo passo, dei prossimi 25. Ecco perché il dollaro (e la finanza) è un elemento molto importante della nostra vita.

Ndr. il testo di questo articolo, presente a pag.27 nell’edizione cartacea di Liberazione del 5.12.04, non lo si trova, inspiegabilmente per noi, nell’archivio on line del giornale, benché sia reperibile nella versione in .pdf)

nuove terapie per la depressione
i videogochi...!

Repubblica.it 6.12.04
Il videogame diventa "terapeutico"
di PAOLA FONTANA

Sui videogiochi è stato detto di tutto e di più. Ma nessuno, fino ad oggi, aveva mai attribuito loro proprietà terapeutiche, quasi fossero una medicina. A farlo, ci ha pensato Mark Baldwin un professore del dipartimento di psicologia della McGill University di Montreal, in Canada, convinto che alcuni giochi possano curare i disturbi legati all’autostima. Ecco allora che Baldwin e la sua equipe hanno creato e testato alcuni giochi per computer specificatamente concepiti per aiutare le persone a piacersi e quindi ad accettarsi di più. Provare per credere: tali giochi si trovano online sul sito www.selfesteemgames .mcgill.ca.
Quasi tutti questi programmi si basano sull'individuazione di immagini positive e sorridenti, e sull'associazione di se stessi con i messaggi incoraggianti. EyeSpy: The Matrix, per esempio, invita a individuare il volto che sorride in un gruppo di 15 faccine arrabbiate: lo scopo è di indurre il giocatore a cercare sempre informazioni positive e trascurare quelle negative. Wham!, invece, chiaramente ispirato alla teoria di Pavlov sui riflessi condizionati, chiede di fornire il proprio nome e data di nascita, e poi di cliccare su una serie di nomi e date che appaiono sullo schermo. Quando si clicca sul proprio nome, appare una faccia sorridente mentre, quando si clicca sulle altre, un volto scontento. Senza volerlo, questa attività genera un’attitudine positiva nei confronti di se stessi. Grow Your Chi!, Infine, presenta un cielo azzurro su cui scorrono varie nuvolette, ognuna delle quali contiene un nome o una faccia. Il gioco consiste nel cliccare il più velocemente possibile sui volti sorridenti, quando compaiono. Per ogni cliccata giusta si guadagnano dei punti che, sommandosi, diventano l'indice della propria soddisfazione personale.
Baldwin non pretende di curare ogni forma di depressione con questi videogame, però, negli esperimenti compiuti con i suoi colleghi e pubblicati da importanti riviste di settore tipo Journal of Social and Clinical Psychology e Psychological Science, ha provato che l'autostima dei partecipanti aumenta davvero col tempo passato a giocare.
Sull’utilità dei videogiochi ci sono anche altre novità. Sembra infatti che alcune tipologie di gioco siano diventate l’ultima frontiera nel tranining professionale. I "giochi seri" che simulano di tutto, dal pilotare un jet a gestire un negoziato per la liberazione di ostaggi, sono impiegati infatti per addestrare quei professionisti che non possono permettersi di commettere errori sul lavoro. I vigili del fuoco possono usare "HazMat:Hotzone", www.etc.cmu.edu/projects/hazmat, per esercitarsi su come reagire in caso di un attentato con armi chimiche, mentre il sito Forex Trader, www.inusa.com/tour/forex.htm, è quanto di meglio per imparare tutto sulla circolazione di valute.
(fonti: Reuters; www.sciencedaily.com)