Riceviamo e pubblichiamo in proposito una lettera inviata all’Ordine dei medici di Roma da quattro psichiatri psicoterapeuti:
L’8 aprile u.s. dal servizio di newsletter offerto dall'Ordine Provinciale di Roma dei Medici, in qualità di iscritti, abbiamo ricevuto una mail che riportiamo qui sopra per intero, riguardante una proposta di legge per l'iscrizione all'anagrafe del “feto nato morto”.
L’importanza del tema trattato, le sue implicazioni sulla vita di tante coppie e la diffusione attraverso un servizio informativo di un ordine a cui apparteniamo ci ha spinto a scrivere questo commento.
La notizia veniva cosi presentata “Riconoscere il diritto di iscrizione all'anagrafe del feto 'nato morto'. Mira a questo il disegno di legge che sara' presentato nel corso di una conferenza stampa che si svolgera' martedi' alle 14.”
Appare come se chi scrive aderisse all’idea dei firmatari del disegno di legge e venisse dato per scontato che la dizione “nato morto” abbia un senso logico.
Questa posizione ci sembra quanto meno criticabile sul piano scientifico.
Infatti il feto non è nato e quindi non può morire. Un bambino che è nato può morire. Tra l’altro questa distinzione è alla base delle diverse docimasie ovvero delle prove con cui si stabilisce se in presenza di un neonato trovato morto questo avesse o meno respirato e quindi eventuali soggetti coinvolti debbano essere accusati di infanticidio oppure di aborto procurato.
Questa prassi della medicina legale trova la sua naturale spiegazione scientifica nella Teoria della nascita di Massimo Fagioli.
Alla nascita la stimolazione della retina da parte della luce (fotoni) produce l’attivazione del cervello e la formazione del pensiero umano come capacità di immaginare (Massimo Fagioli (1972), Istinto di morte e conoscenza, L’Asino d’oro, 2010.)
Pertanto come successivamente confermato da diverse evidenze sperimentali (vedi ad es. M. G. Gatti, E. Becucci, F. Fargnoli, Massimo Fagioli, U. Ådén, G. Buonocore, Functional maturation of neocortex: a base of viability, The Journal of Maternal-Fetal and Neonatal Medicine, 2012; 25(S(1)): 101–103) c’è una differenza fondamentale tra neonato e feto. Quest’ultimo non ha neanche la possibilità di vita se viene estratto dall’utero prima della 24 ma settimana di gestazione.
Anche rendendoci conto del dolore cui possono andare incontro dei genitori che si trovano ad affrontare l'esperienza difficile di una gravidanza che non è andata a buon fine, non possiamo che restare perplessi di fronte ad un comunicato di questa natura dell'Ordine dei medici di Roma che dovrebbe riservarsi una posizione laica nonché strettamente scientifica rispetto a tali questioni.
Invece viene promossa un’ideologia che annullando secoli di storia sembra intenzionata a riportarci indietro nel tempo: già a partire dal Codice Napoleonico è presente una distinzione legale tra il feto abortito e il bambino nato e successivamente morto.
Crediamo che l'Ordine dei medici dovrebbe rappresentare tutti gli iscritti nonché tutelare i diritti reali dei pazienti. L'etica medica ha anche il dovere di tutelare la salute fisica e psichica delle persone, che, in piena conformitá con la norma di legge, si trovano a decidere se ricorrere o meno all'interruzione volontaria di gravidanza che non può essere equiparata al figlicidio.
Questo perché appunto il feto non è nato e non è un bambino.
Ci auguriamo pertanto che l’Ordine dei medici di Roma si renda promotore di iniziative di confronto scientifico e culturale su tali questioni.
Ludovica Costantino, Psichiatra Psicoterapeuta
Eva Gebhardt, Psichiatra Psicoterapeuta
Manuela Petrucci, Psichiatra Psicoterapeuta
Luca Giorgini, Psichiatra Psicoterapeuta