venerdì 22 luglio 2005

messaggi ricevuti:

Claudio Corvino ha pubblicato sul suo forum un'intervista (con qualche foto) a Marco Bellocchio ripresa da una rivista.

Ecco il link per vederla:

http://www.freeforumzone.com/viewmessaggi.aspx?f=17453&idd=3227
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in preparazione delle primarie di ottobre, Roberto Martina segnala questo sito che è stato appena aperto:

http://www.faustobertinotti.it/
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F.Ceccarelli invia questo testo tratto da doctornews.it e ripreso dal British Medical Journal

Psichiatria
Antidepressivi: efficacia esagerata?

I dati clinici pubblicati finora non sono sufficienti a supportare un beneficio clinicamente significativo della terapia antidepressiva. La trasformazione dei dati continui in dati categorici, la regressione alla media e la presentazione selettiva dei dati derivanti dagli studi sui farmaci possono spiegare i benefici finora indicati. Probabilmente un farmaco veramente in grado di alleviare specificamente la depressione non esiste, ed i cosiddetti antidepressivi sono farmaci che agiscono su altre cose, come la sedazione o la stimolazione di chi li assume. L'autrice si dice scettica sull'esistenza di una sindrome depressiva a livello biochimico, nonostante le affermazioni delle case farmaceutiche ed alcuni studi psichiatrici. La depressione dovrebbe essere dunque un problema da affrontare senza farmaci, in quanto i pazienti devono affrontarla con sé stessi. Secondo un'altra corrente di pensiero, invece, questo è un approccio sociologico radicale volto ad accettare qualsiasi compromesso per negare l'esistenza di patologie mediche che influenzano il cervello, come se quest'ultimo fosse inviolabile e le cerebropatie fossero impossibili, il che rappresenta un punto di vista notevolmente distorto. (BMJ 2005; 331: 155-7)
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ricevuto da I.D.

La Stampa 22.7.05
Semerano

il nemico giurato degli indoeuropei
MORTO A 94 ANNI IL GRANDE ETIMOLOGISTA
Maurizio Assalto

EMANUELE Severino ha definito i suoi libri «una festa dell’intelligenza», Massimo Cacciari ha riconosciuto che alle sue «straordinarie ricerche» doveva «moltissime indicazioni e suggestioni per tutta la dimensione etimologica» del proprio Arcipelago. Scelti, ma pochi - entusiasti - ammiratori. In parte si può spiegare con la difficoltà della materia, in parte no. La vicenda di Giovanni Semerano, morto la scorsa notte a Firenze, a 94 anni compiuti, è malinconicamente esemplare.
Studioso difficile da incasellare - filologo, linguista con una preponderante attenzione per le etimologie, nato a Ostuni ma fiorentino d’adozione, allievo di Bignone, Pasquali, Devoto, Migliorini - Semerano è risultato ancora più ostico al mondo dell’accademia, che gli ha inesorabilmente sbarrato le porte. Amaro destino di chi si pone fuori dai conformismi culturali, accetta di apparire fuori posto, fuori tempo - essendo forse in anticipo sui tempi. La sua opera è consegnata ai libri: il monumentale Le origini della cultura europea, quattro volumi frutto di quarant’anni di studi, pubblicati tra l’84 e il ‘94 da Olschki, e poi i più agili L’infinito: un equivoco millenario, Il popolo che sconfisse la morte e La favola dell’indoeuropeo, tutti usciti da Bruno Mondadori, l’ultimo pochi mesi fa.
Ed è emblematico che l’estrema sua fatica sia diretta ancora una volta, risolutamente, contro l’idolo polemico di una vita: l’indoeuropeo è per Semerano un fantasma linguistico senza riscontri nella storia, una creazione artificiale elaborata alla fine del ‘700, e da allora assunta a verità. Peccato che con l’ipotesi di un’origine indoeuropea che accomunerebbe gran parte degli idiomi, in Occidente e non solo, dall’antichità ai giorni nostri, molte etimologie restino oscure. E peccato che di una popolazione «indoeuropea» la storia e l’archeologia non conservino tracce, mentre ne sono rimaste, e abbondanti, dei latini e dei greci e degli ebrei e delle diverse genti che hanno abitato per millenni la Mesopotamia.
La Mesopotamia, ossia l’odierno Iraq: eccola la chiave per penetrare nel mistero delle lingue. Tutte le nostre parole avrebbero una aurorale origine nella terra tra i due fiumi, e attraverso le conquiste di Sargon il Grande, il fondatore dell’impero di Akkad, nel III millennio a. C., si sarebbero sparpagliate in lungo e in largo tra Europa e Asia, permeando il sentire, determinando le categorie mentali. Per esempio la parola Italia: non viene da vitulus, vitello - essendo la i di vitulus breve, mentre quella di Italia è lunga - ma dall’accadico atalu, terra del tramonto. Esattamente come Europa, dall’assiro erebu, erabu, offuscarsi, Occidente.
Su alcuni degli accostamenti proposti da Semerano si può discutere, così come di una certa eccessiva fiducia iperetimologista - quasi che il significato delle parole riposasse per sempre nella loro origine e non nell’uso che ne viene fatto dalla comunità dei parlanti, dalla loro presente «intenzione» comunicativa. Ma certo la lettura dei suoi libri, con il gioco mirabolante dei rimandi e l’ineguagliabile conoscenza linguistica che vi si riverbera, resta un piacere ricco di spunti. E la sua impresa, un titanico tentativo di reductio ad unum: quasi a contrastare gli effetti perversi di Babele.