lunedì 12 gennaio 2004

i dati sugli omicidi in famiglia

citato al Lunedì

La Stampa 12.1.04
IL RAPPORTO EURISPES
Un crimine ogni due giorni


Un giorno sì e un giorno no viene compiuto un delitto tra le mura domestiche. Crescono i crimini in famiglia. L’Eurispes lancia l’allarme: in Italia si verifica un delitto familiare ogni due giorni. Nei primi quattro mesi del 2003 gli omicidi sono stati 49 (ai quali vanno aggiunti cinque tentati omicidi) e le vittime 62. I delitti maturati all’interno dei «rapporti di prossimità» hanno superato quelli legati alla malavita e alla criminalità organizzata. In Nei delitti in famiglia prevale il movente passionale, con il 27% dei casi che al Sud salgono al 35%. La fascia oraria più a rischio è quella tra le 18 e le 24 (39% dei casi), poi quella dalle 24 alle 6. Durante la settimana il picco è al lunedì con il 21%, mentre il venerdì è il giorno più sicuro. Il 46,2% dei killer ha usato un’arma da fuoco, il 19,2% un’arma da taglio, e poi corpi contundenti, percosse, soffocamento, strangolamento. A compiere gli omicidi sono soprattutto autori singoli (44%), seguiti dai delitti in associazione e in concorso. Vengono uccisi più uomini che donne. In forte calo gli omicidi dei criminali «per professione» (dal 15 al 4,6%) e delle prostitute (dal 4,3 all’1,3%), mentre sono aumentate le vittime disoccupate. Gli italiani rappresentano l’82,5% delle vittime. Tra gli stranieri prevalgono albanesi e romeni.

ancora sull'ipotesi amerikana dell'esistenza di una base neurologica della "repressione della memoria"

Le Scienze 11.01.2004
Ecco come dimentichiamo
Scoperta una base neurobiologica per la repressione della memoria


Alcuni ricercatori dell'Università dell'Oregon e dell'Università di Stanford hanno individuato un meccanismo nel cervello umano che blocca i ricordi non desiderati. Si tratta della prima volta che viene trovata una base neurobiologica per la repressione della memoria. La scoperta, opera degli psicologi Michael Anderson, John D.E. Gabrieli e colleghi, è stata pubblicata sul numero del 9 gennaio 2004 della rivista "Science".
La ricerca fornisce prove a sostegno delle teorie di Sigmund Freud, che circa cento anni fa ipotizzava l'esistenza di un meccanismo di repressione volontaria che espelle dalla consapevolezza i ricordi non desiderati. Da allora il concetto di repressione della memoria è rimasto molto vago e controverso, anche perché era difficile immaginare come potesse verificarsi un processo simile nel cervello. Eppure il processo potrebbe essere applicato più spesso e facilmente di quanto previsto.
Secondo Anderson, non si tratta di qualcosa limitato alle esperienze traumatiche: il processo di dimenticanza attiva è applicato diffusamente, ogni volta che siamo distratti da ricordi piacevoli o spiacevoli. "Si tratta di un meccanismo di base - spiega il ricercatore - che il cervello sfrutta per escludere ogni tipo di memoria che ci può distrarre, in modo da concentrarci sul compito che stiamo eseguendo".
Per mimare il processo in laboratorio, Anderson e Gabrieli hanno sottoposto alcuni soggetti a una procedura sviluppata per l'occasione. I partecipanti dovevano innanzitutto imparare alcune coppie di parole. Veniva poi sottoposta loro la prima parola e gli si chiedeva di pensare alla seconda parola o di sopprimerne la consapevolezza. Durante questo compito, i soggetti sono stati esaminati con tecniche di risonanza magnetica funzionale (fMRI) che producevano immagini dei tessuti cerebrali al lavoro.
Dopo questa fase, Anderson ha messo alla prova la memoria dei soggetti per tutte le coppie di parole, confermando così che la soppressione della consapevolezza delle memorie non desiderate risultava nell'inibizione della memoria. Lo studio ha rivelato che i ricordi possono essere eliminati grazie ad aree del cervello simili a quelle usate quando si cerca di bloccare azioni fisiche spontanee.

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Dante Aristotele e Beatrice

La Repubblica 12.1.04
SAGGI
QUESTO È DANTE TRA BEATRICE E IL SOGNO FILOSOFICO
di GIUSEPPE LEONELLI


Questo libro nasce, si precisa nella premessa, da una riflessione su temi danteschi cominciata quaranta anni fa, sviluppatasi progressivamente attraverso formulazioni per lo più mentali e solo di recente approdata alla scrittura. È il risultato di un cammino lungo, ma non solitario, attraverso la Commedia e le opere minori, tra cui spiccano la Vita nuova, il Convivio, la Monarchia, compiuto da un maestro di studi filosofici e storici in riferimento e costante dialogo con altri illustri interpreti quali, per citarne alcuni, Barbi, Torraca, Contini, Bruno Nardi, Sapegno, Vinay.
Siamo di fronte a un'opera di grande interesse, densa e ricca, che la perfetta calibratura dei ragionamenti e la trasparenza del linguaggio aprono anche al lettore non specialista. Fossimo nell'Italia di qualche anno fa, ancora priva di internet, ma fornita di ottima scuola, attenta allo studio di Dante, raccomanderemmo come propedeutico alla proficua degustazione solo un buon liceo. È quello che basta per apprezzare la trattazione pienamente sviluppata e argomentata di problematiche intraviste ai tempi delle prime inseminazioni scolastiche: la concezione della storia in Dante, il vario e progressivo articolarsi dell'idea dell'Impero dal Convito alla Commedia e alla Monarchia, la presenza di Aristotele, quel che possiamo e quel che non possiamo dire riguardo all'identificazione del "veltro". Ma vi sono altri interrogativi, non meno appassionanti: è il caso del vero senso delle varie incarnazioni della donna gentile e delle "parole forti e terribili" con cui Beatrice, sul vertice del Purgatorio, "rimprovera a Dante il suo traviamento". È possibile, si chiede Sasso, che Beatrice si riferisse solo a un vano episodio biografico o, peggio ancora, alla filosofia, come di solito s'intende connettendo, come fanno un po´ meccanicamente alcuni studiosi, la Commedia alla Vita Nuova e al Convivio? Ne risulta un'osservazione metodologica da far propria: ogni opera di Dante va giudicata a sé, senza indulgere alla confezione di "linee di svolgimento in cui, nel dare e nel ricevere, ciascuna acquisti il suo senso". Qualche volta, come a proposito del concetto di Provvidenza dantesco, bisogna rassegnarsi, rinunciando a coerenze forzate e quindi fuorvianti, all'ambiguità

Gennaro Sasso, Dante L'Imperatore e Aristotele Istituto storico italiano per il Medio Evo pagg. 326, s.i.p.

delirio da rovina
citato al Lunedì

La Repubblica 12.1.03
L'INTERVISTA
Per lo psichiatra Pier Luigi Scapicchio [della Società di Psichiatria] equivale a una bomba a orologeria
"Si chiama delirio da rovina ecco i segni premonitori"

Perdita di interesse per la vita e foschi pensieri ricorrenti
Una patologia che si può curare purché la si individui in tempo
di DANIELE DIENA


ROMA - Una situazione ad alto rischio, del tutto simile ad una bomba ad orologeria innescata, che purtroppo è piuttosto difficile prevedere. In certi casi però il dramma può essere prevenuto e la problematica mentale che ne è all'origine curata: tutto sta a saper riconoscerne i sintomi premonitori, sempre che la persona che ne soffre non li camuffi, cosa che succede molto spesso.
È questa, in estrema sintesi, la lettura della strage di Viganò Brianza, secondo il professor Pier Luigi Scapicchio, Past President della Società Italiana di Psichiatria.
Come succede che una problematica personale, per quanto grave, sfoci in una strage familiare?
«È il classico omicidio-suicidio scaturito da una patologia depressiva grave, cui s'accompagna la volontà di risparmiare ai congiunti una sofferenza analoga. È quello che definiamo "delirio da rovina". Nella percezione d'una rovina imminente, chi progetta il suicidio pensa: "In un mondo così avverso, senza di me, non avete domani"».
Si parla di possibili preoccupazioni di salute e di problemi economici.
«Qualunque fattore somatico può generare la depressione, ma fa solo da supporto all'instaurarsi della malattia in chi è predisposto».
C'è forse un'età a più a rischio?
«Può succedere a qualunque età».
Una depressione tanto grave ha dei segni premonitori?
«L'evoluzione della depressione verso la violenza aggressiva è difficilmente prevedibile. Esistono però segni premonitori della depressione e del suicidio. Segnalano la prima il mutamento di umore, accompagnato da perdita d'interesse e di piacere nell'attività quotidiana. Quando si medita il suicidio, a questi atteggiamenti mentali s'accompagnano spesso pensieri ricorrenti sull'inutilità della vita».
Cosa rende difficile il riconoscimento di questi segnali?
«Innanzitutto la spiccata capacità di alcuni depressi gravi di camuffare il proprio stato. Ma talvolta intervengono anche fattori contingenti, come un improvviso problema economico che viene scambiato dai familiari come la causa del mutamento d'umore».
Come evitare queste tragedie, quando il malessere mentale è stato individuato?
«Occorrono psicofarmaci e psicoterapia integrata. E quando lo specialista di un Dipartimento di salute mentale teme possibili atti autolesionistici o a danno di terzi, la legge prevede il trattamento obbligatorio presso il Servizio psichiatrico di diagnosi e cura».
Spesso però il malato non arriva al Dipartimento.
«Se il malato non è consapevole del suo stato tocca ai familiari farsene carico, ma spesso sono riluttanti, pensando che il problema sia irrisolvibile. Oppure non hanno la percezione reale della situazione, ingannati da fattori esterni, come potrebbe essere il caso in questione».

a Berlino
la commemorazione di Rosa Luxemburg

Corriere della Sera 12.1.04
Alla commemorazione della fondatrice del partito comunista tedesco, presenti anche l’ultimo leader della Ddr e Bertinotti
Garofani rossi e nostalgia: Berlino in coda per la Luxemburg
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE


BERLINO - «Die Toten mahnen uns», i morti ci ammoniscono, è scritto sull’immenso menhir di granito che sovrasta il memoriale. Sarà per questo, perché prendono alla lettera quelle parole, che centomila berlinesi (secondo gli organizzatori, ma per la polizia erano 25 mila) tornano qui spontaneamente tutti gli anni? O è perché dentro quel cerchio di pietra, è seppellita una delle poche memorie condivise dalla città senza ombre? Accade ogni inverno, al cimitero di Friedrichsfelde, nel cuore della ex Berlino Est. Nessuno li organizza, nessuno li invita. Ma a commemorare Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, i due fondatori del Partito comunista tedesco trucidati dalle squadre criminali della destra (chiamata dai socialdemocratici allora al governo) e gettati nella Spre il 15 gennaio del 1919, i centomila non mancano mai. Da quando, con la caduta del Muro e la fine del regime di Honecker, è finito anche il plumbeo rito della dittatura, questo è l’appuntamento del cuore di un popolo composito. Museo in marcia di ogni nostalgia marxista, è vero, denso di cariatidi e sopravvissuti. Ma non soltanto questo. Folla di ogni età e ogni impegno: anarchici e autonomi, giovani no-global e maturi pensionati, intellettuali socialdemocratici e immigrati clandestini, rocchettari e studenti dell’Ovest, gli stessi che in questi giorni girano nudi per le vie del centro, protestando contro i tagli ai fondi per l’Università.
E’ una di quelle mattine berlinesi prive di colore e gonfie di pioggia che non vuol diventare nevischio. Una banda di fiati alterna marcette a l’Internazionale. Gli altoparlanti diffondono musica classica. Il primo atto vede protagonisti i leader della Pds, il partito erede della Sed di Honecker, insieme ai loro ospiti stranieri, giunti a Berlino per tenere a battesimo il neocomunismo europeo.
C’è Gregor Gysi, stella di una breve stagione, ex senatore all’Economia del governo berlinese, un comunista che piaceva agli imprenditori, prima di tornare a far l’avvocato: «Dopo tante condanne del socialismo - dice - questa forte presenza è anche un modo per ricordare che, insieme a pagine oscure, ci furono persone, le quali pagarono con la vita il loro impegno per la giustizia sociale. Il socialismo aveva ideali forti e questo appuntamento annuale vuole dimostrarlo». «Rosa e Karl sono di tutti, non appartengono a nessuno», spiega Lothar Bisky, l’altra icona, quella ortodossa, della Pds.
Certo, anche Gysi e perfino Bisky avrebbero sicuramente preferito che, proprio accanto a Rosa Luxemburg, non fosse seppellito anche Walter Ulbricht, il dittatore che volle il Muro e inflisse il suo tallone di ferro ai tedeschi dell’Est. Sarà solo per ragioni di spazio, ma i garofani rossi piovono a migliaia anche sulla targa col suo nome.
Fausto Bertinotti guarda con compiaciuta sorpresa il serpente di donne e uomini, che girano disciplinati intorno al cerchio del memoriale, depongono il loro fiore e si allontanano: «In questo Paese, e non soltanto nel popolo della sinistra, la memoria è un elemento fondamentale dell’esistenza individuale. Ed è difficile trovare un’immagine più pulita e indiscutibile, priva di ogni elemento negativo, di quella di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht». Il Bertinotti politico riprende subito il sopravvento: «Ma il percorso della memoria esprime anche un grande bisogno di futuro, di fronte alle incertezze prodotte dalla rivoluzione capitalistica conservatrice, che chiamiamo globalizzazione».
Sulla scalinata di granito, la nostalgia segue con i suoi eterni volti di pietra, le ambizioni movimentiste di Bertinotti, Gysi, Rita Gagliardi e compagni. Ecco avanzarsi, appena uscito dalle patrie galere, il faccione di Egon Krenz, l’ultimo leader della Ddr, quello che si vide letteralmente crollare il Muro addosso. Fa capolino anche Markus Wolf, l’ex uomo senza volto, la spia che ispirò Le Carré e rovinò, stupidamente come poi ammise, la carriera a Willy Brandt.
Pochi chilometri più in là, sulla ex Stalin Allee oggi ribattezzata Frankfurter, ha inizio il secondo atto. Il grande corteo si snoda lungo la strada più monumentale di Berlino, in direzione di Friedrichsfelde. E la memoria stinge nella protesta. E’ una sintesi di tutte le ansie, che attraversano il Paese in questo inverno dello scontento, mentre il governo socialdemocratico disbosca, pezzo dopo pezzo, il leggendario Stato sociale tedesco. «Soldi per l’educazione, non per le armi», dice un cartello. In verità, il cancelliere, in questa fase, di denari ne ha pochi o punti per l’uno e per l’altro scopo.