giovedì 22 gennaio 2004

una lezione

una segnalazione di Licia Pastore

Filosofia e pratica della medicina
Lunedì 26 gennaio 2004
Mario Pirani, Franco Voltaggio e Ivan Cavicchi
ne discutono con gli studenti di Medicina della Cattolica


"Filosofia e pratica della medicina" è il titolo della speciale lezione che Mario Pirani, editorialista del quotidiano La Repubblica, Franco Voltaggio, storico della filosofia e della scienza, e la bioeticista dell'Università Cattolica Vincenza Mele terranno
lunedì 26 gennaio, alle ore 11.30, presso il Policlinico Gemelli di Roma (Aula Brasca).

Il giornalista, il filosofo della scienza e la bioeticista discuteranno con gli studenti della Facoltà di Medicina e chirurgia dell'Università Cattolica di Roma sul senso della professione medica oggi. Spunti per il dibattito saranno offerti da due recenti volumi: "Filosofia e pratica medica" di Ivan Cavicchi e "Medicina, valori e interessi" di Cesare Catananti. Gli autori parteciperanno alla conferenza.

L'originale lezione è uno degli appuntamenti del ciclo di Seminari interdisciplinari su Metodo e Semiotica, promossi dalle cattedre di Igiene mentale e di Storia della medicina della Cattolica di Roma, che fino a maggio 2004 vedranno protagonisti del mondo della cultura, della scienza e della comunicazione alternarsi per un giorno sulla cattedra della Facoltà di Medicina dell'ateneo del Sacro Cuore.

Il Giornale di Brescia Giovedì 22 gennaio 2004
A 80 anni dalla morte si torna a parlare delle responsabilità del leader bolscevico nei confronti del suo Paese
Lenin, l’amaro autunno dell’ex patriarca
Il romanziere Martin Amis indaga sul perché l’Occidente aprì gli occhi così in ritardo
Giuliano Polidori

Il primo ictus lo colpì il 26 maggio 1922. Nell’anno e mezzo in cui sopravvisse, prima di morire il 21 gennaio 1924, Nikolaj Lenin - pseudonimo di Vladimir Ilic Uljanov - ebbe modo di meditare sui troppi conti che non tornavano nella Rivoluzione russa. Il leader bolscevico capì che i bolscevichi non erano riusciti a «convincere le masse», che «avventurieri, canaglie e millantatori» avevano fatto carriera nel Partito, e cominciò a guardare Stalin con sospetto. Dopo essersi ripreso dall’ictus, e prima che un secondo attacco lo conducesse alla morte, denunciò il «mare di illegalità» nel quale versava il Paese, nascosto dalle vanterie e dalle menzogne dell’apparato dirigente. Nel 1921 tentò di correre ai ripari varando la Nuova politica economica (la famosa Nep), una reintroduzione forzata del mercato per ridare fiato a un Paese sull’orlo del collasso. Ma la macchina repressiva dello Stato non si fermò. Racconta Dmitrij Volkogonov nella sua biografia dell’artefice della Rivoluzione d’Ottobre (proprio in questi giorni di anniversario si parla di rimuovere la sua mummia dal mausoleo sulla Piazza Rossa), che poche settimane dopo l’ictus i medici gli chiesero di moltiplicare 12 per 7. L’esercizio lo impegnò per tre ore. A luglio, però, stilò lunghe liste di intellettuali da deportare. L’episodio è riportato anche nell’ultimo libro del romanziere inglese Martin Amis, Koba il terribile (Einaudi, 285 pp., 17 euro). Il Koba del titolo è Stalin (così veniva chiamato dai suoi compagni in gioventù), qui presentato col suo catalogo di orrori al completo; ma lo scrittore fa i conti anche con Lenin. Incrociando tutti i libri, documenti e testimonianze sui decenni dell’«esperimento sovietico», Amis ne ricava una sorta di breviario del terrore, la cui efficacia è accresciuta dal fatto che la parabola del comunismo sovietico ha segnato anche le vicende personali dell’autore, figlio di quel Kingsley Amis noto scrittore inglese che, tra gli anni ’40 e ’50, fu attivista del Partito comunista inglese, legato a doppio filo con Mosca. «Quanto sapevano, nel 1941, i compagni di Oxford? - si domanda Amis -. In Occidente, le proteste pubbliche sui campi sovietici di lavoro forzato datavano fin dal 1931...». Perché uno dei dittatori più brutali che la storia abbia conosciuto riuscì a far digerire a milioni di uomini in buona fede le assurdità dei processi di Mosca (che apparvero incredibili già a Solgenitsyn adolescente) e la follia che fece scomparire nei gulag il 5% della popolazione sovietica? Il fatto è che, come ha notato Orlando Figes, il programma bolscevico traeva origine dagli ideali dell’Illuminismo, e bastò questo ad attirargli le simpatie di molti occidentali. Dopo il big bang della Rivoluzione francese, l’esperimento egualitario inaugurato con la presa della Bastiglia era destinato prima o poi a compiersi, al contrario del nazismo e del fascismo, che non rispondevano ad alcun criterio ideale e perciò furono avversati da subito, senza i problemi di coscienza che poneva il comunismo. Così, mentre la ferocia nazista si indirizzò con folle precisione contro alcune categorie da eliminare tramite il genocidio, lo stalinismo colpì ovunque, perché la sola cosa che importava era la riuscita dell’esperimento. Il risultato fu il terrore generalizzato e un intero Paese ridotto al silenzio. Questa constatazione ha una conseguenza di natura teorica: lo stalinismo non può essere considerato solo un’orribile parentesi. L’«esperimento» era iniziato già con Lenin, che ne porta tutte le responsabilità, compresa quella di avere aperto la strada al dittatore georgiano. La forza ideologica della rivoluzione egualitaria, nota Amis, non tollerava ostacoli: «Lenin lasciò in eredità ai suoi successori uno stato di polizia ben avviato. L’indipendenza della stampa fu distrutta (...) La Ceka fu organizzata a dicembre. I primi campi di concentramento vennero costruiti all’inizio del 1918... Poi giunse fulmineo il terrore: le esecuzioni per quote; la responsabilità collettiva, un principio secondo cui i parenti e anche i vicini di casa di nemici del popolo, o di sospetti nemici del popolo, venivano imprigionati». E infine la persecuzione di interi gruppi etnici e sociali, come i contadini abbienti e i cosacchi. Le differenze tra il regime di Lenin e quello di Stalin, insomma, furono quantitative ma non qualitative. L’unica innovazione di Stalin fu la persecuzione dei suoi stessi compagni di Partito e dei propri familiari: la nuora di Kruscev fu imprigionata, la moglie di Molotov spedita in un gulag, la moglie di Kalinin picchiata selvaggiamente poi mandata nel gulag. Stessa sorte per i due figli di Mikojan e per la moglie di Poskrebysev, il segretario di Stalin, che in seguito fu fucilata.
 Un giorno, nel 1937, Stalin annunciò a Kaganovic, suo lacchè, che suo fratello Michail era diventato di destra. Kaganovic (che era ebreo) replicò: «Allora dovrà pagare secondo la legge». Michail, avvertito dal fratello, si tolse la vita. Analoga sorte subirono le famiglie delle due mogli di Stalin: i fratelli, e tutti coloro che potevano averli conosciuti scomparvero. Nadezda Alliluieva, seconda moglie del dittatore, si sparò alla testa, al Cremlino. Jakov, l’odiato figlio avuto dalla prima moglie Ekaterina, fu catturato dai tedeschi che proposero uno scambio: Stalin rispose di non avere «nessun figlio di nome Jakov». E lui si fece sparare. Eppure - e questa è «la storia più triste», scrive Amis - Stalin fu un leader popolare. E Lenin, aggiungiamo noi, è ancor oggi venerato come un grande uomo.

infibulazione
citato al Mercoledì

La Repubblica 21.1.04
Un progetto per salvare il rito senza causare mutilazioni scatena la polemica. L' associazione Aidos attacca la Regione Toscana
La via italiana all' infibulazione

Firenze, un ospedale pubblico chiede il via libera per un' alternativa soft Una piccola puntura di spillo per salvare un rituale. 'Danno minore ma non basta'
di MICHELE BOCCI


FIRENZE - «La Toscana potrebbe essere la prima regione europea a praticare le mutilazioni genitali femminili nelle sue strutture». Una delle associazioni di donne maggiormente impegnate in Africa per prevenire infibulazione e pratiche simili, Aidos, parte all' attacco di una delle Regioni più attente ai problemi dell' immigrazione. L' accusa è pesante e nasce da un progetto che pur essendo ancora solo sulla carta ha già innescato in Toscana un ampio e sentito dibattito, coinvolgendo giuristi, medici legali, ordine dei medici e comitati di bioetica della Regione e delle Asl. A stendere il piano che ha scandalizzato l' Aidos è stato il "Centro per la prevenzione e cura delle mutilazioni genitali femminili" dell' ospedale Careggi, il primo in Europa, questa volta davvero, a rimediare chirurgicamente ai terribili danni provocati dall' infibulazione e da altre mutilazioni genitali. «Abbiamo proposto di fare una piccola puntura di spillo sul clitoride delle bambine - spiega il ginecologo somalo che dirige il centro, Omar Abdulkadir - Dopo aver spalmato una pomata anestetica, si fa uscire una goccia di sangue: il rituale è salvo ma senza dolore e danni. La piccola può tornare a casa a festeggiare questa sorta di battesimo». Per appoggiare la proposta hanno preso carta e penna i rappresentanti delle comunità di immigrati di dieci paesi africani. «Dirsi contrari all' infibulazione non basta - scrivono - Mentre alcuni di noi hanno capito che questa pratica è inutile, crudele e non prescritta dalla religione, altri sono ancora troppo legati alla loro cultura e non accettano il significato negativo che viene dato a quello che per loro è il massimo bene per le figlie». La proposta del rito alternativo, su cui a novembre il comitato etico della Asl di Firenze ha espresso un' apertura, e la lettera delle comunità sono arrivate all' assessore alla salute Enrico Rossi, che ha posto la questione all' ordine dei medici e alla commissione regionale di bioetica. «Il loro parere è fondamentale ma dobbiamo coinvolgere anche le donne immigrate, per la nostra decisione c' è tempo - spiega l' assessore - Si tratta di una questione delicata su cui è giusto confrontarsi senza pregiudizi, discutere ascoltando tutti i pareri». E le discussioni non mancano. Da una parte chi non vuole concedere al principio che sta alla base delle mutilazioni uno sconto, nemmeno se si tratta fare di un rito alternativo non dannoso. Dall' altra chi si batte per il male minore, per la cosiddetta riduzione del danno. «Se chi ci attacca vedesse come noi 500 donne mutilate all' anno - dice Abdulkadir - capirebbe che il rito alternativo è la strada da percorrere. Se salveremo anche una sola bimba avremo vinto». Ribatte Cristiana Scoppa dell' Aidos: «La pratica che propongono è diversa dalle mutilazioni ma introducendola si legittima comunque una manipolazione dei genitali. In Africa lavoriamo da decenni per aumentare la consapevolezza delle comunità raggiungendo ottimi risultati, è la strada de seguire anche qui da noi». A marzo il comitato regionale di bioetica darà il suo parere all' assessore. Se sarà positivo spetterà a lui decidere se introdurre, per la prima volta nel mondo, il nuovo rito. «La questione è complessa perché la puntura è così poco invasiva da non essere un intervento sanitario - spiega il presidente del comitato Mauro Barni, medico legale, già rettore dell' università e sindaco a Siena - Intanto abbiamo chiarito che l' alternativa prospettata non è illegale. Dal punto di vista etico ogni componente del comitato si esprimerà secondo la sua coscienza. Per me e altri non sarebbe corretto accettare dei surrogati di una ritualità incivile».

la campagna "Stop Fgm" è l' ultima iniziativa di sensibilizzazione. Cofinanziata dalla Ue, terminerà nel marzo prossimo le vittime Secondo l' Oms 130 milioni di donne hanno subito mutilazioni Ogni anno 2 milioni sono a rischio i paesi Le mutilazioni si praticano in 28 stati africani: l' Egitto e quelli compresi tra il Sahara e l' Africa australe cosa sono Con le mutilazioni genitali si asportano clitoride e piccole labbra, l' infibulazione consiste nella sutura delle grandi labbra

infibulazione

Repubblica 22.1.02
Da Firenze la bufera si sposta a governo e parlamento. La Lega all'attacco e Sirchia chiede spiegazioni all'assessore Rossi
"L'infibulazione è sempre barbarie"
Il comitato di Bioetica contrario a sperimentare un metodo soft
"In Toscana non si fanno mutilazioni sessuali, ma il problema è delicato"
Tutto è nato dal suggerimento di un medico per rendere simbolica la pratica
di MICHELE BOCCI


FIRENZE - L´inizio della tempesta arriva in tarda mattinata, quando la deputata della Lega Carolina Lussana attacca la Regione Toscana, per quella che lei definisce «la legalizzazione della pratica dell´infibulazione» e chiede le dimissioni dell´assessore alla salute Enrico Rossi. Da lì in poi è un susseguirsi di botta e risposta tra opposizione e maggioranza, con intervento di due ministri: Stefania Prestigiacomo, che ricorda la legge che si sta elaborando per rendere l´infibulazione reato e dichiara «inaccettabile» quello che sta succedendo in Toscana, e Girolamo Sirchia, che scrive a Rossi per avere «chiarimenti» sulla vicenda. Il tutto condito da scontri in aula a Montecitorio, dove il capogruppo leghista Alessandro Ce´ grida alla sinistra «negrieri».
La bufera politica si abbatte dopo l´articolo di ieri di Repubblica su una regione che stava affrontando perfino pacatamente il problema delle mutilazioni genitali sulle immigrate e dove non si era deciso ancora nulla. Tutto è nato mesi fa dalla proposta di un rito alternativo fatta dal "Centro regionale contro le mutilazioni femminili" che ha sede nell´ospedale Careggi. Si tratterebbe di una puntura di spillo, preceduta da una leggera anestesia, sul clitoride delle bambine. «Si salva il rito con una pratica indolore e non dannosa», spiega il ginecologo Omar Abdulkalil. L´assessore alla salute ha ricevuto il progetto e vista la sua delicatezza ha fatto un passo indietro, investendo della questione ordine dei medici e comitato regionale di bioetica, la cui posizione non sarà nota ufficialmente prima di marzo. Oggi si sa comunque che il presidente Mauro Barni giudica l´alternativa una concessione ingiusta ad una ritualità barbara. Punto, tutto ancora da definire, tutto in mano a medici legali, avvocati e antropologi che discutono ponendosi problemi etici, giuridici e sanitari. Lunedì l´associazione Aidos, da anni impegnata in Africa contro le mutilazioni, ha gettato un sasso nello stagno rivelando quello che sta succedendo in Toscana.
«Nella nostra Regione non si fa alcuna mutilazione genitale - ha ribadito ieri l´assessore Rossi - ma siamo consapevoli della molta sofferenza, spesso ignorata, che c´è intorno a queste pratiche. Credo che una discussione sia opportuna, tanto più in una realtà, come la Toscana, che per prima ha avviato un centro per prevenire e curare i danni delle mutilazioni. Ben venga il dibattito, soprattutto tra le donne, noi non abbiamo preconcetti e non ci appoggiamo ad ideologie». Rossi spiega anche che per alcuni il rito alternativo non è nemmeno una pratica sanitaria: «D´altra parte non lo sono nemmeno il piercing e i tatuaggi. È più invasiva la circoncisione rituale praticata negli ospedali. Ciò detto, penso che in tutto questo permanga un dato negativo: anche una pratica alternativa rischia di perpetuare, in forma diversa, un rito oppressivo e violento nei confronti delle donne».
Ieri, mentre l´Aidos riconosceva a Rossi aver fatto bene a chiamare in causa il suo comitato di bioetica, dichiarava la sua contrarietà Francesco D´Agostino, presidente del comitato nazionale di Bioetica. Nel settembre del ?98 il comitato scrisse un documento di rifiuto di ogni forma pratica di mutilazione sessuale nel rispetto del principio della intangibilità del corpo. Dichiarazioni tecniche a cui ieri per tutto il giorno hanno fatto da contrappunto le posizioni politiche. An ha presentato interrogazioni parlamentari e al consiglio regionale, Forza Italia ha annunciato che si costituirebbe parte civile «ove si verificassero casi di pratiche lesive per le bambine». Critica con la Toscana pure la Ds Marida Bolognesi: «Perché per la logica della riduzione del danno non può far accettare il principio che sta alla base delle mutilazioni». Difende la scelta di Rossi di rivolgersi al comitato bioetico Franca Bimbi della Margherita, dice che la Toscana sta dalla parte delle donne perché «discute con le comunità straniere e ha un ambulatorio contro le mutilazioni» la diessina Gloria Buffo.

La Gazzetta del Sud 22.1.04
LE AMPUTAZIONI GENITALI SUBITE DA PIù DI 40 MILA DONNE
Ormai è un problema anche italiano


ROMA – Sono oltre 40 mila in Italia le donne che hanno subito mutilazioni sessuali, e ogni anno nel nostro Paese almeno seimila bambine di età compresa fra i 4 e i 12 anni sono sottoposte a questo tipo di violenza. Per lo più, si tratta di immigrate di origine somala e nigeriana e delle loro figlie.
Che cosa è: la mutilazione sessuale è una pratica, estranea alla cultura occidentale, ma con la quale anche il nostro paese e l'intera Europa hanno dovuto da tempo fare i conti per via della crescente immigrazione. Le mutilazioni genitali femminili più diffuse e cruente sono la clitoridectomia, (l'asportazione del clitoride), l'escissione (il taglio del clitoride e di tutte o parte delle piccole labbra) e l'infibulazione (l'amputazione del clitoride e di parte o della totalità delle piccole e grandi labbra vulvari con la conseguente cucitura delle stesse). La vagina viene ricucita tranne una piccola apertura per urina e flusso mestruale, e i rapporti sessuali sono difficilissimi, mentre il dramma si ripete alla nascita di un figlio: il passaggio viene aperto per il parto e poi richiuso.
Dramma fisico e psicologico: si tratta di interventi che vengono portati a termine, in condizioni igieniche indescrivibili, prima del raggiungimento della maturità sessuale dalle «mammane». Dalla pratica dell'infibulazione le donne escono mutilate non solo nel fisico ma anche nella psiche, con danni spesso irreversibili. Conseguenze fisiche gravi, come emorragie, infezioni alle vie urinarie, tetano per gli strumenti rudimentali utilizzati non sterilizzati sono all'ordine del giorno. Le mutilazioni possono provocare – secondo alcuni addetti ai lavori – depressioni, pulsioni violente, vulnerabilità all'alcool e alla droga, spinte al suicidio.
La situazione nel mondo: secondo dati dell'Organizzazione mondiale della sanità, nel mondo le donne mutilate sessualmente sarebbero intorno ai 150 milioni. La classifica degli stati dove vivono più donne sessualmente mutilate, vede in testa Gibuti e Somalia (98%), dove si pratica soprattutto l'infibulazione, la forma più pericolosa.
La legge italiana – Non esiste nella nostra legislazione una norma esplicita che vieti la mutilazione sessuale. In Italia, nei rari casi in cui vengono sporte denunce si applicano gli articoli 582 e 583 del codice penale, relativi alle lesioni personali.

infibulazione

due segnalazioni di Lucia Ianniello

il manifesto 22.1.04
Il sequestro del piacere
Mutilate, solo un po'
di GIULIANA SGRENA


E' possibile ridurre il danno dell'infibulazione? Una pratica aberrante che, attraverso varie forme di mutilazioni sessuali più o meno invasive, garantisce il controllo della vita sessuale di una donna, fin dai primi anni di età, attraverso la privazione del piacere e la chiusura della vagina? A sostenerlo è un medico somalo che vive a Firenze e che ha escogitato un'«alternativa» - una semplice puntura di spillo sul clitoride anestetizzato, sostiene - per sottrarre le bambine alle mammane e agli effetti devastanti del rituale tradizionale. Una puntura di spillo che però i medici pronti a praticarla - guarda caso - per premunirsi chiedono una autorizzazione scritta dei genitori. Già, perché l'infibulazione è la mutilazione del corpo di un minore e con che diritto un genitore può autorizzarla? E' difficile immaginare che i fautori dell'infibulazione si accontentino di una puntura di spillo, ma se anche così fosse e si volesse semplicemente mantenere il rituale è inaccettibile che una struttura pubblica (le Asl) possa legittimare, anche simbolicamente, una pratica così aberrante come una mutilazione ritenuta una violazione dei diritti umani delle donne e delle bambine dalla Convenzione internazionale sui diritti umani e dalla Carta africana sui diritti umani e dei popoli. Proprio dieci anni fa la Conferenza del Cairo, e quella di Pechino poi, si ponevano come obiettivo la sua abolizione.
L'inviolabilità del corpo è un valore universale che non può essere mercanteggiato in nome della riduzione del danno irreversibile che peraltro non è solo fisico ma anche psicologico. E guarda caso a firmare l'accordo sul progetto alternativo sono stati tutti maschi, che si sono guardati bene dall'interpellare le donne (immigrate) interessate che, a giudicare dalle reazioni, sono assolutamente contrarie. Togliendo così ogni giustificazione anche ai fautori del relativismo culturale.
Perché invece di ridurre il danno non si è pensato ad evitarlo con una campagna di informazione che denunci tutti i danni di questa pratica e ne sveli le mistificazioni che la vogliono legata alla religione - l'infibulazione ha un'origine precristiana e si è diffusa in alcune società cristiane animiste, musulmane e anche tra gli ebrei falascia. Se sconfiggere la pratica dell'infibulazione è difficile ancor più ardua è la battaglia per togliere ai maschi il controllo della sessualità della donna. Ma non possiamo rinunciare.

il manifesto 22.1.04
Infibulazione morbida per le straniere

Un ginecologo dell'ospedale Careggi di Firenze propone un rituale alternativo e simbolico a una delle più diffuse mutilazioni genitali femminili. La Regione Toscana chiede il parere dell'ordine dei medici e del comitato di bioetica
di RICCARDO CHIARI


FIRENZE. La conferenza stampa ufficiale insieme alla commissione pari opportunità è prevista per oggi a mezzogiorno in palazzo Panciatichi. Ma già ieri pomeriggio le immigrate cittadine di Firenze affollavano una saletta del consiglio regionale. Donne somale, eritree, senegalesi, capoverdiane e ivoriane. Tutte infibulate. Da paesi diversi, con un pensiero solo: «L'infibulazione alternativa proposta del dottor Omar Abdulcadir è inaccettabile. Rappresenta sempre e comunque l'avallo simbolico di una pratica aberrante che deve essere cancellata, e che può esserlo solo facendo una prevenzione, capillare e costante, attraverso l'informazione». Parole senz'appello, che per loro chiudono sul nascere la discussione aperta dal Centro di prevenzione e cura delle mutilazioni genitali femminili e dal suo responsabile, il ginecologo Abdulcadir.
Dal centro fiorentino, allestito nell'azienda ospedaliera di Careggi all'interno della clinica ostetrica e ginecologica, il medico somalo ha avanzato a regione Toscana e ordine dei medici una proposta. Un'alternativa «rituale» all'infibulazione. Grazie ad una pomata anestetica, e poi una puntura di spillo sulla clitoride per far uscire qualche goccia di sangue. Abdlucadir dirige un centro unico in Italia per la prevenzione e la cura delle mutilazioni genitali femminili. Dai suoi ambulatori passano in media, anche se l'attività non è mai stata monitorata puntualmente, dalle quattrocento alle cinquecento donne ogni anno. Tutte per complicazioni dovute a mutilazioni genitali. «Se con il rito alternativo riuscirò a salvare anche solo una donna - spiega - avrò vinto una battaglia».
Gli risponde a distanza la somala Ghanu Adam: «Le donne come me sono sfuggite ai fucili della guerra in Somalia, ma non alle mammane dell'infibulazione. Oggi viviamo in Italia, in un paese civile. E non vogliamo che di quel rito resti qualcosa. Nemmeno il simbolo, perché alle nostre figlie insegniamo che non si deve fare e basta».
Ora parla la senegalese Diye Ndaye: «I capi delle nostre comunità hanno firmato un accordo sul progetto alternativo con il dottor Abdulcadir. Lo hanno fatto senza sentire il nostro parere. Se ci avessero sentito, avremmo detto di no ed avremmo spiegato il perché». Proprio la lettera inviata dai rappresentanti delle comunità africane per promuovere la proposta ha scatenato il caso. L'associazione Nosotras che riunisce molte immigrate in Toscana è insorta. Lo stesso ha fatto l'Aidos di Roma, associazione italiana donne per lo sviluppo. La proposta è arrivata anche al comitato di bioetica della regione Toscana. «Quello fatto dal centro di Careggi è uno sforzo lodevole - osserva il medico senese Mauro Barni, che guida il comitato - ma credo che da parte nostra non sarebbe corretto accettare dei surrogati di una ritualità incivile. Attraverso la procedura alternativa ammetteremmo un principio sbagliato». L'assessore regionale al diritto alla salute, Enrico Rossi, si fida del parere del comitato: «Comunque sia, è giusto che si discuta senza preconcetti» .
Insieme alle immigrate in palazzo Panciatichi ci sono anche le consigliere regionali diessine Marisa Nicchi e Alessia Petraglia, Mara Baronti della commissione pari opportunità e l'assessore comunale all'immigrazione Marzia Monciatti. «L'infibulazione alternativa non può passare come una pratica di riduzione del danno - spiega Nicchi - perché non può essere autogestita da un minore. Una bambina subisce comunque un rito che la pone in uno stato di sudditanza psicologica». Da parte sua, Alessia Petraglia osserva: «L'unica alternativa è quella di continuare la battaglia contro le mutilazioni genitali, al fianco delle tante donne che nei loro paesi sono in prima linea, in solitudine. E la regione Toscana può e deve fare di più». Chiude Marzia Monciatti: «E' necessario creare che coinvolga gli enti locali, le scuole, i medici di base e gli ospedali. Solo sconfiggendo l'ignoranza si sconfiggono le mutilazioni, non certo trasformandole in un rituale».

il velo delle donne islamiche

Repubblica 22.1.04
Ma la legge del Corano non impone il velo
di KHALED FOUAD ALLAM


In questi giorni la polemica sul velo divampa in Francia, dove il governo si appresta a legiferare sulla questione vietando i segni religiosi nelle scuole pubbliche. Il progetto di legge, che sarà discusso in parlamento il prossimo 3 febbraio, recita all´articolo1: «Nelle scuole, nei collegi e nei licei pubblici, i segni e gli abiti che manifestino ostensibilmente l´appartenenza religiosa degli alunni, sono vietati». Esso dunque non si limita al velo ma riguarda anche le croci di una certa dimensione, la kippah, il turbante dei sikh e, secondo il ministro della pubblica istruzione, «una certa pelosità», vale a dire la barba lasciata crescere secondo alcune prescrizioni del diritto musulmano. Il progetto sta provocando aspre discussioni in tutti gli schieramenti politici, e anche la comunità musulmana si trova divisa in proposito.
La questione del velo è entrata da anni nel dibattito pubblico di molti paesi in occidente, e ne interroga le società: che cosa sono oggi la democrazia e la laicità, e quali sono i rapporti fra i sessi nel mondo islamico.
La genesi del fenomeno hijab è il risultato di una trasformazione storica che istituzionalizza un rito di separazione fra i sessi, risultante da un mutamento sociologico di cui gli occidentali e spesso gli stessi musulmani non hanno una chiara conoscenza.
Storicamente, lo hijab non ha mai rappresentato un dogma nell´islam, un´obbligazione giuridica o un simbolo religioso, anche se oggi lo si vuol far passare per tale. I giuristi dell´islam classico - quelli all´origine della formulazione del diritto musulmano per le quattro grandi scuole giuridiche dell´islam - non hanno mai teorizzato sul velo. Il celebre giurista Qayrawin, morto nel 996, fondatore dell´Università teologica di Fez in Marocco, parla del velo soltanto in riferimento alla preghiera rituale, quando le donne si recano in moschea per la preghiera del venerdì: e la parola che usa è khimar, un velo che copre la donna dalla testa ai piedi. Egli non usa mai la parola hijab; lo stesso avviene per gli altri autori di quel periodo. Tutto ciò ha una ragione. Nel periodo dell´islam classico i giuristi non avvertono il bisogno di costruire sul velo una teoria del diritto, semplicemente perché l´universo medievale della donna è un universo di clausura: essa non esce di casa, la sua vita si svolge entro il perimetro dello spazio privato, e quando, molto raramente, esce, lo deve fare con l´autorizzazione di una figura maschile - il padre, il marito o i fratelli - e per motivi eccezionali come cerimonie o pellegrinaggi.
Lo hijab è un´invenzione del XIV secolo perché non ha un effettivo fondamento nel testo coranico. Nel Corano la parola hijab, che deriva dalla radice h j b, non indica un oggetto ma un´azione: quella di velarsi, di tirare una tenda, di creare un´opacità che impedisca lo sguardo indiscreto. Il passaggio della parola hijab dal riferimento a un´azione al riferimento a un oggetto avviene nel XIV secolo, con il giurista Ibn Taymiyya. Egli è il primo ad utilizzare la parola hijab per riferirsi al velo in quanto oggetto, un velo che distingue le donne musulmane dalle non musulmane: esso diventa segno distintivo dell´identità e dell´appartenenza. Egli afferma che la donna libera ha l´obbligo di velarsi, mentre la schiava non è obbligata a farlo. Ibn Taymiyya giustifica queste affermazioni basandosi su una interpretazione massimalista del versetto 31 della sura 24 del Corano, traendo da una frase dal contenuto generico un´affermazione di principio, cui inoltre attribuisce valore normativo. Tutto ciò, è bene sottolinearlo, rimane un´interpretazione; un´interpretazione che inventa una norma.
Questo mutamento linguistico e sociale rappresenta il sintomo di una crisi in seno al mondo musulmano del XIV secolo: la fine dei grandi imperi dell´islam e l´invasione di Baghdad ad opera di soggetti ad esso estranei, i mongoli di Gengis Khan. La umma (comunità dei credenti) deve ora confrontarsi e scontrarsi con ciò che ora chiamiamo un principio d´alterità; si pone il problema - che si ripropone oggi - di come essere musulmani in una società dominata da non musulmani. Il velo manifesta la reazione difensiva di una comunità, che enfatizza le regole giuridiche non per creare spazi di libertà, bensì per istituire un controllo: un controllo dell´islam su se stesso. Non è quindi un caso che la figura di Ibn Taymiyya (morto nel 1328) rappresenti uno dei punti di riferimento dell´odierno discorso neofondamentalista.
Ma il decisivo mutamento semantico e giuridico nella questione dello hijab avviene nel XX secolo, soprattutto nella seconda metà. Nei paesi musulmani, dopo la fase di decolonizzazione, i processi di modernizzazione mettono in crisi le strutture tradizionali delle società musulmane. Appaiono due fenomeni inediti: con l´alfabetizzazione di massa, le donne accedono alla scuola; e accedono al mondo del lavoro, escono di casa, il loro universo di riferimento ora è anche il mondo esterno. Di fronte a una tale trasformazione sociale, molti esegeti dell´islam reagiscono in modo neoconservatore, inventando un apparato giuridico che legittima e prescrive l´uso dello hijab. Il velo diventa così segno distintivo dell´identità islamica e della separazione fra i sessi. L´introduzione del velo nello spazio pubblico favorisce infatti la costruzione di una frontiera di genere che oggi non si limita al velo ma investe in alcuni paesi anche una divisione negli spazi e nei trasporti pubblici (alcuni architetti di tendenza neofondamentalista hanno immaginato persino ascensori separati per uomini e donne); lo spazio pubblico, anziché sancire un principio d´uguaglianza, enfatizza quindi la discriminazione fra i sessi.
Tutti questi mutamenti nell´uso e nella pratica del velo, si innestano però su quella che è una costante nella prassi delle società musulmane: la dicotomia fra puro e impuro, e il divieto come fondamento della norma nell´islam. Il frequente sottolineare, nei testi sacri, che la donna non deve fare nulla per guardare e per farsi guardare, che deve nascondere le sue forme, ha fatto sì che nell´inconscio collettivo musulmano la femminilità venisse associata al desiderio, in modo che il sesso femminile diviene sinonimo di caos, di disordine; su di esso incombe sempre il rischio dell´impurità. A ragione del suo ruolo riproduttivo la donna è investita di un certo carattere sacrale: perciò trasgredire il divieto ? vale a dire mostrarsi - significa contaminare la purezza originaria. Questo tabù definisce una società puritana e articola un sistema giuridico di controllo. Le società musulmane sono ossessionate dalla questione dell´impurità; e il velo tende simbolicamente a preservare le frontiere fra puro e impuro.
Il velo assume oggi il significato di un´identità in crisi: oltre a esprimere un malessere generalizzato nelle società islamiche, esso occulta il loro cambiamento e ne esacerba le paure. Chi lo indossa, soprattutto in occidente, lo fa per coercizione, per condizionamento, per rivendicazione o per libera scelta; le letture possibili sono molte, ma comunque rimandano ad una serie di conflitti irrisolti: il conflitto fra islam e occidente, il conflitto dell´islam con se stesso e il conflitto fra diritto e cultura.

lifting

L'Espresso online 22.1.04
California lifting
La verità su Berlusconi
Due noti chirurghi Usa. Una lussuosa clinica svizzera. Massimo segreto. Così, prima di Capodanno, il premier si è sottoposto al ritocco di viso, collo e palpebre
di Enrico Arosio e Lorenzo Soria


L'intervento era stato fissato per il 27 dicembre, alla clinica privata Ars Medica di Gravesano, paese di bassa collina pochi chilometri a nord di Lugano, dove il Cavaliere aveva prenotato più di metà del secondo piano per garantirsi la massima privacy ed evitare imbarazzi. Poi c'è stato un ripensamento. Forse un dubbio dell'ultimo momento, altre 24 ore per considerare se era davvero il caso di rischiare di essere percepito - sono parole del "New York Times" - non più come un "self-made man" ma come un "remade man", un uomo rifatto.
Forse è stato il timore di una possibile fuga di notizie. Ma il 28, una mattinata di pioggia, il presidente del Consiglio si è detto pronto a occupare la stanza ovattata dalle grandi finestre con vista sulle cime imbiancate di neve.
E adesso, dopo tante ipotesi fantasiose, "L'espresso" è in grado di confermare: Silvio Berlusconi si è sottoposto poco prima di Capodanno a un'operazione di chirurgia estetica che è andata ben al di là di un ritocco alle palpebre degli occhi. Già che c'era, infatti, il premier ha fatto una scelta radicale e ha chiesto anche il liftng al volto e un bel ritocco alle rughe del collo.
A fare l'operazione non sono stati né Angelo Villa, il chirurgo milanese che prima se ne era attribuito il merito e poi aveva smentito tutto, né Daniel Marchac, il luminare parigino che ha una certa dimestichezza con l'entourage del Cavaliere. È stato invece un team arrivato dalla California, guidato da Bryant Toth, che per l'occasione si è portato dietro un secondo chirurgo, un anestesista, un'infermiera e una ferrista convenuti apposta a Lugano. Dove li attendeva, nella massima riservatezza, il ticinese Giorgio Bronz, specialista di chirurgia plastica e ricostruttiva dell'Ars Medica Clinic.
La clinica di Gravesano, specializzata in ortopedia (ha curato nazionali di sci e calciatori di serie A) e con un qualificato reparto di chirurgia plastica (si sono sottoposti a ritocchi personaggi dello spettacolo come Michelle Hunziker, Luca Barbareschi e Rita Pavone) è di proprietà italiana, come la vicina Clinica Sant'Anna di Sorengo. Il Gruppo ospedaliero Ars Medica, amministratore delegato Ermanno Sarra, figlio del fondatore (i Sarra sono romani) controlla, oltre ai due gioielli della sanità privata ticinese che occupano 400 dipendenti, altre tre cliniche private a Roma, Formia e nelle Marche. Due di queste sono a indirizzo psichiatrico.
Toth, che non ha risposto alla nostra richiesta di un commento, non è noto nel suo ambiente come uno che si occupa di lifting e liposuzioni di persone celebri. Più che in quella estetica è specializzato in chirurgia ricostruttiva cranio-facciale e oltre che nel suo studio privato opera all'ospedale dei bambini di Oakland, al di là della baia di San Francisco. Di recente ha partecipato a vari convegni medici in Italia ed è stato in una di queste occasioni che sarebbe entrato in contatto con Berlusconi. Assieme, come è consuetudine in questi casi, hanno discusso vari particolari del volto. Ci sono stati elettrocardiogrammi, analisi di laboratorio. Quindi, verificato che la tempra del primo ministro era in grado di affrontare l'intervento stabilito, è stata fissata la data.
Il 27 dicembre c'è stato appunto l'incontro a Lugano, dove Toth si è presentato, oltre che con il suo team tecnico, con un secondo chirurgo, Renato Calabria (che interpellato risponde: "No comment"). Nato a Bolzano, studi alla Ucla e una pratica a Beverly Hills, il nome di Calabria è stato riportato su vari giornali per essere il chirurgo che avrebbe messo le mani su personaggi come Rod Stewart, Sharon Stone e Lilly Tomlin. Il giorno dopo, quello dell'operazione, il team californiano ha segnato con le matite i punti dove eseguire i tagli e il premier italiano si è sottoposto a cinque ore di bisturi, aghi e suture. All'intervento sono seguiti due giorni di degenza. O tre, secondo un'altra fonte svizzera (la direzione dell'Ars Medica "non smentisce e non conferma"). Poi, a bordo di un convoglio di auto, Berlusconi è partito alla volta di Milano da dove dopo una breve tappa è salito sul suo jet privato con destinazione la villa di Porto Rotondo, convinto che si sarebbe ripresentato in pubblico a breve. Per un uomo noto a tutti e con i capelli radi nascondere i punti e altre tracce di un intevento come il suo non è facile. Inoltre, a complicare la convalescenza di Berlusconi ci sarebbe stato un rigonfiamento dei muscoli che avrebbe ridotto la mobilità di uno dei due occhi ritoccati.
Quando Umberto Scapagnini, medico di fiducia del Cavaliere e sindaco di Catania, ha fatto trapelare in un'intervista a "La Stampa" che c'era stato un "piccolo intervento di chirurgia estetica attorno agli occhi", aveva aggiunto, forse per minimizzare: "Non c'è bisogno di andare in America". Ha ragione, il dottor Scapagnini: perché scomodarsi oltreoceano quando si può avere l'America in Svizzera?

il miracolo cinese

Corriere della Sera 22.1.04
WORLD ECONOMIC FORUM
Il miracolo cinese


DAL NOSTRO INVIATO
DAVOS (Svizzera) - L'America torna a essere la locomotiva dell'economia globale. Ma il carburante viene dall'Asia, in primo luogo dalla Cina. Sempre di più. «Sono i loro capitali a permettere ai consumatori Usa di continuare a spendere e a vivere con un tasso di risparmio privato ormai a livello zero - osserva Laura Tyson, docente della London Business School ed ex consigliere economico dell'amministrazione Clinton -. Già oggi è detenuto da stranieri il 25% di tutto l'indebitamento americano e la quota è destinata a salire al 40% entro breve tempo». La conferma dei luoghi di provenienza di quelle risorse che stanno consentendo agli Stati Uniti una crescita basata su enormi deficit arriva anche da Jacob Frenkel, ex capo economista dell'Fmi, ex governatore della banca centrale d'Israele e ora presidente di Merrill Lynch International: «Solo fra il 2001 e il 2003 - spiega - il Giappone e, soprattutto, la Cina hanno acquistato titoli Usa per 320 miliardi di dollari».
Pechino, insomma, è ormai uno dei grandi attori che determinano i delicati equilibri dell'economia mondiale. E non si limita più a recitare il suo ruolo nell'ombra. Tutt'altro. Non c'è più palcoscenico internazionale, specie in Occidente, dove i suoi uomini non conquistino i riflettori. Lo si era già visto alla conferenza della Wto, lo scorso settembre a Cancun, in Messico. E lo stesso succede adesso a Davos, sulle Alpi svizzere, dove da ieri sono riuniti per l'annuale World Economic Forum oltre 2000 fra leader politici, star dell'economia, banchieri, imprenditori, operatori sociali di tutto il pianeta. Qui, per la prima volta, dall'Impero di Mezzo è arrivato un manipolo di economisti, tecnicamente sofisticati e di età vertiginosamente bassa, che non si limitano a osservare ma espongono idee, mettono in dubbio le tesi di colleghi occidentali. Gente come Fu Jun, giovanissimo docente dell'Università di Pechino, che ieri ha spiegato che per il 2003 il prodotto lordo cinese è cresciuto «fra il 10 e l'11%», ben oltre il 9,1% ufficiale, senza «segni di surriscaldamento». E a chi gli chiedeva quando la Cina rivaluterà la moneta nazionale, come vorrebbe l'amministrazione Bush, Fu Jung ha replicato che «non ci saranno cambi di politica valutaria nel breve e medio periodo», perché «non servono né allo sviluppo della Cina né dell'economia mondiale». Solo in prospettiva si può semmai pensare a «un legame dello yuan non più solo con il dollaro ma con un paniere di diverse valute». Una posizione che trova d'accordo lo stesso Frenkel, secondo il quale le scelte dirigiste della leadership cinese sono la strada giusta per inserire gradualmente maggiori elementi di mercato nell'economia del Paese, mentre una brusca correzione di rotta rischierebbe di interromperne il processo.

l'anniversario della morte di Lenin a Mosca

La Repubblica 22.1.04
L'ANNIVERSARIO
Ottanta anni fa moriva uno dei padri dell´Urss: ieri il Mausoleo era semideserto
Pensionati e pochi nostalgici la Russia ha dimenticato Lenin
di gp.v.
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MOSCA - Da milioni di persone che sfilarono per settimane davanti al padre della rivoluzione d´ottobre, a trecento anziani che in venti minuti hanno deposto garofani rossi attorno alla mummia di colui che una corona di fiori ha definito «rivoluzionario ingiustamente dimenticato». A ottant´anni dalla morte, la Russia ieri ha ignorato Lenin. Dalla piazza Rossa, sotto una fitta nevicata, fino a mezzogiorno sono transitati radi gruppetti di turisti diretti a San Basilio. Il mausoleo sotto il Cremlino è rimasto deserto. Poi, all´improvviso, sono emersi i nostalgici del grande bolscevico. Vecchie e vecchi sconfitti dal crollo del regime, pensionati: 25 euro al mese. Quasi tutti reggevano bandiere rosse del nuovo partito comunista, nelle mani vecchie copie della Pravda. Tra i manifestanti, più che di Lenin, si parlava della «portaerei che Putin ha svenduto all´India: nemmeno il costo dell´acciaio».
In un mare di rassegnazione, solo il leader comunista Ziuganov ha parlato per un minuto su richiesta di una tivù cinese. «La causa di Lenin - ha detto - vive e fiorisce. Tanto più oggi, mentre la pianta della globalizzazione americana si sparge come scabbia per il mondo». L´indifferenza ha sepolto anche la voce dell´intenzione di mettere Lenin una volta per tutte sotto terra: tutto rinviato a dopo le presidenziali. Tre le notizie diffuse da televisioni e agenzie: che Lenin era in realtà figlio illegittimo, nato da un medico di famiglia; che un gruppo svizzero ha comprato e depositato il marchio "Lenin" in 23 paesi e produrrà dal cacao all´acqua di colonia; che per il 74% degli scolari russi Lenin fu un generale, o un presidente dell´Urss, mentre il 65% dei loro genitori lo ricorda senza odio. Delle celebrazioni non si è accorto quasi nessuno: la Russia, Lenin, l´ha già sepolto.

consumo di droghe

La Gazzetta di Parma 22.1.04
Per la cocaina è un boom
In Italia il consumo di droghe è in aumento


ROMA - Non solo eroina. Oggi l'emergenza droghe prende il nome di cocaina, il cui consumo ha registrato un aumento dell'80% tra il 1999 e il 2002, ma anche di ecstasy, anfetamine, psicofarmaci, Lsd, inalanti. E' in crescita, cioè, l'uso delle cosiddette «droghe ricreazionali» e sta cambiando anche la tipologia del consumatore: non più ragazzi, ma anche uomini maturi e integrati nel mondo del lavoro.
A disegnare la nuova mappa dell'uso delle droghe in Italia è un'indagine dell'Istituto superiore di Sanità.
L'indagine, realizzata in collaborazione con le Regioni, è stata presentata ieri in occasione del workshop «Nuove droghe, nuovi problemi».
«La ricerca è la prima di così ampio respiro - ha affermato la ricercatrice Teodora Macchia dell'Iss - effettuata nell'ambito dei Sert: sono stati infatti coinvolti oltre 200 centri, che rappresentano il 40% di tutte le strutture diffuse in Italia e che coprono circa la metà del territorio nazionale». Quanto al campione esaminato, è composto da 1.911 soggetti dell'età media di 27,4 anni (86.8% maschi e 13.2% femmine). I dati complessivi, comunque, non lasciano ben sperare: si registra, infatti, un aumento generale del consumo di droghe pari al 4% tra il 1999 e il 2002, come risulta dalla relazione presentata al Parlamento dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, e l'eroina resta la principale motivazione per cui ci si rivolge al Sert. In particolare, però - ed è questa la nuova allarmante tendenza segnalata dall'Iss - aumenta del 3% la quota di coloro che ricorrono a queste strutture a causa di una dipendenza specifica da droghe ricreazionali, in primo luogo dalla cocaina. Di questa, che risulta essere la preferita tra le droghe ricreazionali, fa infatti uso l'8.7% del campione, contro il 4.3% del 1999. E' scelta maggiormente dagli uomini (73.5%) rispetto alle donne (55.3%).
Non più studenti o persone emarginate, ma una carica di «colletti bianchi»: cambia l'identikit del consumatore abituale di droghe. E' uomo, risiede prevalentemente nel Nord, ha circa 28 anni, possiede la licenza media, qualche volta quella professionale e, nel 50% dei casi, vanta un lavoro stabile.

Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)

La Repubblica 22.1.04
PARLA CHRISTOPH WOLFF, AUTORE DI UN LIBRO SUL COMPOSITORE
sotto Bach c'è la scienza
la sua musica è paragonabile alla svolta di Newton
di LEONETTA BENTIVOGLIO


Impresa di densità vertiginosa, il racconto della vita e della monumentale opera di Bach scorre nell´ultimo saggio sul compositore: Johann Sebastian Bach, La scienza della musica, (Bompiani, pagg. 656, euro 38), scritto dal musicologo tedesco Christoph Wolff, docente alla Harvard University (Cambridge, Massachusetts) e direttore del Bach-Archiv di Lipsia, che allo studio e alle ricerche sul musicista ha dedicato la sua vita.
Lo testimonia questo volume impressionante per mole di notizie, e capace di muoversi con disinvoltura tra i territori della divulgazione colta e la specificità degli apparati musicologici, con tabelle sinottiche, elenchi cronologici e catalogazioni dettagliate. Il saggio piacerà agli esperti anche per la completezza delle informazioni biografiche, conquistata da Wolff grazie al ritrovamento a Kiev, in Ucraina, di documenti preziosi sulla famiglia di Johann Sebastian, già custoditi nella Sing-Akademie di Berlino, e dispersi dalle rapine dei sovietici durante la seconda guerra mondiale.
Tra i percorsi del libro, il più centrale e interessante è quello che a Bach, gigante musicale del secolo dei lumi, attribuisce un approccio alla creazione implicitamente scientifico. Lo fa, per esempio, ricorrendo molto spesso al paragone con Newton: «Premetto che l´idea non mi appartiene», chiarisce Christoph Wolff all´inizio della nostra conversazione. «A segnalare quel parallelismo furono alcuni studenti di Bach, che equipararono quanto il maestro aveva fatto in campo musicale alla rivoluzione newtoniana. Tra il mondo di Bach e quello di Newton non c´è relazione diretta, ma entrambi sono caratterizzati da uno straordinario stimolo alla scoperta. Le invenzioni di Bach furono fondamentali per lo sviluppo della musica: l´uso di 24 tonalità maggiori e minori, lo sviluppo senza precedenti dello stile polifonico e in particolare della tecnica della fuga, la sperimentazione di strumenti diversi nelle più varie combinazioni sonore. Si pensi ai Concerti brandeburghesi, che dimostrano come Bach stesse esplorando ogni possibilità di mescolanza di colori strumentali. Per non parlare della sua incredibile padronanza della tecnica contrappuntistica, testimoniata dai due libri de Il Clavicembalo ben temperato e dall´Arte della Fuga. Sviluppò inoltre il linguaggio della tastiera, realizzò esperimenti virtuosistici nel campo della tecnica organistica nelle sue Toccate, applicò la sua esperienza alla costruzione di nuovi organi e del nascente fortepiano».
Perché gli scienziati, e in particolare i matematici,sono sempre stati affascinati da Bach?
«La sua musica possiede una logica molto specifica, e segue sempre, nella maestosa sicurezza dei suoi mezzi formali, criteri rigorosamente costruttivisti. È un mondo lontano dalle dimensioni musicali orientate alla mera ricerca di belle melodie».
Nel libro lei parla spesso del rapporto del compositore con Dio: dettato dall´assolutezza della fede o conquistato con strumenti razionali?
«Al pari di Newton, convinto che i pianeti e l´intero sistema del cosmo fossero organizzati da Dio, Bach credeva in una potenza erogatrice di doni preesistenti all´uomo: cercava proporzioni di intervalli che mostrassero il nesso tra l´organizzazione del cosmo e la struttura interna del fenomeno musicale. La musica era per lui un regalo divino, che recava in sé il segreto della propria genesi».
Può fare un esempio?
«La traiettoria musicale ben organizzata: il cosiddetto sistema temperato. L´esistenza delle 24 tonalità, che ha una base nella natura del suono e può misurarsi fisicamente. Ci sono cose che non s´inventano: semplicemente sono date. Un compositore si trova a lavorare con i dodici suoni della scala cromatica, che gli si affidano dall´esterno e coi quali deve confrontarsi».
Bach fu condizionato dal pensiero filosofico del suo tempo?
«Era molto legato a Leibniz e a Johann Christoph Gottsched, uno dei massimi esponenti dell´illuminismo tedesco».
Come definirebbe il suo ruolo nella storia della musica e del pensiero?
«A Bach guardano Haydn, Mozart e Beethoven. Quando Mozart compone i Quartetti per archi, per vedere come scrivere una partitura a quattro voci si riferisce alla Fuga in quattro parti di Bach. Più tardi Wagner e Schoenberg, nelle loro tecniche di base, cercano di definire il proprio ruolo non in relazione a Monteverdi o a Palestrina, ma ai traguardi di Bach. Quanto alla storia del pensiero, Bach, nella sua musica, ha segnalato l´importanza dell´essere e dell´intelletto individuale in opposizione al principio di autorità. È stato uno dei creatori che hanno più segnato in senso umanistico i processi cognitivi, paragonabile in tal senso a Kant, a Newton e ai grandi illuministi».
In che modo Bach riflette la prospettiva umanistica?
«La sua è una musica che parla all´individuo. Pur derivando da strutture astratte, sa esprimere amore e dolore, sentimenti vasti e profondi. Il suo non è mai soltanto un bel suono: è un universo carico di significati».