lunedì 31 gennaio 2005

Schopenhauer

Repubblica 31.1.05
GLI ANNI DURI DI SCHOPENHAUER
Escono oggi i "Manoscritti Berlinesi"
di FRANCO MARCOALDI

Sono novecento pagine di appunti e aforismi per lo più inediti in italiano e fanno parte degli scritti postumi la cui edizione è diretta da Franco Volpi
La filosofia deve essere intesa alla fine anche come saggezza del vivere
È un dato di fatto, sotto gli occhi di tutti. Il vero motore del mondo è «la volontà di vita», quell'impulso ostinato che ci sospinge continuamente in avanti, anche quando non ce ne sarebbe più motivo, a dispetto di ogni ragionevolezza: «Non di rado vediamo uomini che, malgrado patiscano tutte le pene dell'età, della miseria e della malattia messe insieme, e conducano quindi un'esistenza continuamente tribolata, stanno tuttavia in forte apprensione per la loro vita e pregano che venga prolungata. Come potrebbe accadere ciò, se l'essenza interna dell'uomo non fosse volontà di vita, cieco impulso all'esistenza?».
Questa pagina viene scritta otto anni dopo che Arthur Schopenhauer ha dato alle stampe Il mondo come volontà e rappresentazione, un completo fallimento editoriale: poche recensioni distratte e negative, gran parte dei volumi destinati al macero, totale indifferenza della comunità accademica. Altri sono i filosofi che in quel momento tengono il proscenio: i «fanfaroni» Fichte e Schelling e prima ancora quel «ciarlatano» di Hegel, per sbeffeggiare il quale il filosofo di Danzica avrà la malaugurata idea di tenere in contemporanea le proprie lezioni universitarie, che andranno immancabilmente deserte.
Come se non bastasse, ai disastri accademici ed editoriali si aggiungono le sventure private: mentre il processo «per lesioni» intentatogli dalla vicina di casa Caroline lo vede sconfitto, la relazione con un'altra Caroline, ballerina e corista, si conclude malamente. Senza contare le disavventure finanziarie, la gotta, e ricorrenti stati depressivi.
Quelli berlinesi, decisamente, non sono anni felici per Schopenhauer. Ma l'uomo è coriaceo. È consapevole del proprio talento, anzi del proprio genio; il che gli consente di andare dritto per la sua strada «senza timore del vuoto che diventa sempre più vasto». Così procede nella sua ricerca: prende appunti, scrive aforismi, ritorna sul suo sistema filosofico, lo chiarisce e lo espande con abbozzi di nuovi progetti. E il risultato sono i Manoscritti berlinesi (1818-1830), oltre novecento pagine per lo più inedite in italiano con cui la casa editrice Adelphi, sotto la direzione di Franco Volpi e grazie all'esemplare cura di Giovanni Gurisatti, prosegue la pubblicazione degli Scritti postumi.
La chiarezza è sempre stata una dichiarata ambizione di Schopenahuer, profondamente infastidito dalle oscurità gergali di tanti suoi colleghi. Ma la natura privata di queste pagine accentua il tratto di spontaneità e schiettezza del suo pensiero, senza andare a discapito di uno stile sempre superbo, che avrebbe affascinato tanti scrittori: da Tolstoj a Mann a Svevo. Dunque non è soltanto lo studioso a beneficiare di un testo evidentemente irrinunciabile per lo specialista, ma anche il lettore comune, che può divagare con diletto in un labirinto intellettuale che, al di là dell'ambito strettamente disciplinare, spazia dalla musica alla zoologia, dalla poesia alla pittura.
Certo, alle spalle c'è il massimo caposaldo della filosofia schopenahueriana e dunque in qualche modo tutto da lì si diparte.
Ma come bene scrive Franco Volpi, proprio «negli inediti di questo terzo volume si notano i punti di sutura con i quali Schopenhauer ricompone la filosofia teoretica con quella pratica, la dimensione speculativa con quella popolare del sistema. Si consolida inoltre l'idea che la filosofia vada intesa - oltre che come costruzione dell'edificio teorico della metafisica del pessimismo, che insegna che la vita non è bella - anche come saggezza del vivere».
Le cose, del resto, vanno naturalmente insieme. Il nostro io - scrive il filosofo - è composto da due orologi quasi mai sincronizzati tra loro: uno è la volontà, l'insaziabile appetito foriero di illusioni e sofferenza; l'altro la conoscenza, che sola può contenere i guasti di un ottenebrato egoismo a vantaggio della pura contemplazione e dell'esercizio della compassione verso tutte le altre creature viventi. Insegnandoci, da ultimo, come l'unico fine possibile dell'esistenza non sia il raggiungimento della felicità, ma il contenimento del dolore: «Da giovane, ogni volta che udivo suonare o battere alla porta ero felice perché pensavo: "Chissà, forse ci siamo!". Adesso quando battono alla porta mi spavento perché penso: "Stavolta ci siamo!". La ragione della differenza è che quando abbiamo raggiunto la seconda metà della vita l'esperienza ci ha insegnato che ogni felicità è chimerica, mentre l'infelicità è reale».
Purtroppo lo si impara sempre troppo tardi - continua il Nostro - schiavi come siamo per un lungo tratto di vita della nostra irrefrenabile pulsione sessuale, ragione prima di una brama insaziabile e ottusa.
Al contrario di quanto pensava Cartesio, infatti, l'essenza dell'anima non è la conoscenza, ma la volontà. La conoscenza sopravviene, quando sopravviene, soltanto dopo: illuminando ciò che ciascuno è; assunto questo che modifica lo stesso concetto di libertà, perché non è vero che ci è consentito di diventare a piacimento questo o quel tipo d'uomo: la nostra natura è data una volta per tutte. In breve, per gli altri filosofi l'uomo «vuole ciò che conosce, per me conosce ciò che vuole».
Noto, scrive ancora Schopenhauer a mo' di chiusa ideale, che molti deplorano il carattere «melanconico e sconsolato» di questa mia filosofia. La verità è che io, invece di favoleggiare di un inferno futuro a saldo degli umani peccati, mostro l'inferno presente già nella nostra vita terrena: «il mondo stesso è il giudizio universale».
«Per tenere a freno gli animi rozzi e per distoglierli dall'ingiustizia e dalla crudeltà non serve la verità, poiché essi non sono in grado di comprenderla. C'è bisogno dell'errore, di una favola, di una parabola. Da ciò la necessità delle dottrine religiose positive».
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«Il filosofo deve avere di mira la natura, il mondo, e solo in via accessoria i libri, poiché ciò che essi offrono è sempre solo di seconda mano e per lo più già falsato, trattandosi sempre di un'immagine riflessa, imitazione di quell'originale che è il mondo - e di rado lo specchio era pulito».
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«Se un Dio ha fatto questo mondo, allora non voglio essere quel Dio: il suo strazio mi spezzerebbe il cuore».
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«La vita dell'individuo è un continuo trotterellare, necessario e semincoscente, al seguito delle sempre rinnovate aspirazioni della volontà».
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«Se vita ed esistenza fossero uno stato piacevole, andremmo incontro malvolentieri allo stato incosciente del sonno e, alzandoci, ce ne allontaneremmo volentieri. Ma accade esattamente il contrario: andiamo molto volentieri a dormire e ci alziamo malvolentieri».
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«La vita del bel mondo aristocratico non è in verità che un'incessante e disperata lotta contro la noia. La vita del popolino è una lotta continua contro la miseria. L'aureo ceto medio!»
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«La religione cattolica è un prontuario per ottenere in elemosina quel cielo che sarebbe troppo scomodo guadagnarsi. I preti sono gli intermediari di tale accattonaggio».
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«A torto si compatisce l'infelicità della vecchiaia e si lamenta che certi piaceri le siano negati. Ogni piacere è relativo, è un mero soddisfare e placare il bisogno; il fatto che con l'eliminazione del bisogno il piacere si esaurisca è tanto poco deplorevole quanto il fatto che, dopo pranzo, non si possa mangiare, o dopo una notte di sonno non si possa dormire. Molto più giustamente Platone («Repubblica», I) reputa felice la vecchiaia perché finalmente si placa la brama di femmine. I bisogni principali della vecchiaia sono la comodità e la sicurezza: per questo in tarda età si ama soprattutto il denaro, come sostituto delle energie mancanti. Inoltre i piaceri della tavola sostituiscono quelli dell'amore. Al bisogno di vedere, di viaggiare e di imparare si sostituisce quello di insegnare e di parlare. Ma è una fortuna se al vecchio è rimasto l'amore per lo studio, per la musica, e perfino per il teatro».

sinistra
Bertinotti su Rutelli e la patrimoniale

APCOM 31.1.05 - 09:05
BERTINOTTI: RUTELLI SBAGLIA NEL METODO
"La patrimoniale? È una mia proposta, discutiamone"


Roma, 31 gen. (Apcom) - "Quello di Rutelli è un modo di affrontare il discorso programmatico che non mi convince, prima ancora che nel contenuto, nel metodo". Così, intervistato dal Messaggero, il segretario del Prc Fausto Bertinotti commenta lo 'stop' che Francesco Rutelli gli ha opposto giorni fa sulla patrimoniale. Il metodo di Rutelli, secondo Bertinotti, "è quello di caricare, come un toro infuriato, ogni volta che si vede rosso. E' il modo peggiore. Anche perché il drappo rosso potrebbe restare rosso e spostarsi". Fuori dalla Gad? "Io credo che caricando in continuazione questo drappo rosso il toro può rompersi le corna", risponde Bertinotti.

Il segretario di Rifondazione ribadisce il suo apprezzamento per la "Fabbrica delle idee" di Romano Prodi, a patto che sia allargato a "rappresentanti dei governi locali, movimenti e associazioni" oltre che ai partiti. Quanto alla patrimoniale, "io non sono un toro - dice Bertinotti - avanzo solo le mie proposte e poi discutiamone. Non capisco perché la patrimoniale va bene se la sostiene Eugenio Scalfari e invece desta scandalo se la suggerisco io".

copyright @ 2005 APCOM

storia
«Una parte del movimento impazzì...»

Repubblica 31.1.05
L'INTERVISTA
Massimo Cacciari: la destra non può attaccare i giudici, hanno solo applicato la legge
"Una parte del movimento impazzì ma ora è il tempo dell'amnistia"
Ricordo bene il delirio di quella stagione, quando ero deputato del Pci: lutti e danni irreversibili
UMBERTO ROSSO


ROMA - «In quegli anni, a sinistra, fu l'impazzimento generale di alcuni settori del movimento. Un delirio. Me la ricordo bene, da deputato del Pci, quella stagione dalla fine del Sessanta ai Settanta. I lutti e poi i danni per certi versi irreversibili causati al nostro paese. Figurarsi perciò se oggi posso giustificare omicidi e violenze terribili come il rogo di Primavalle».
Però, onorevole Cacciari?
«Però trovo pura follia, come fanno Fini, Alemanno, Storace, La Russa, quella di affrontare il caso prendendo di petto i giudici, che non hanno alcun colpa se non quella di aver applicato le leggi che ci sono. Perché una cosa è l'aspetto giuridico, penale: c'è una legge che prevede l'estinzione della pena dopo un certo numero di anni. Se quelli di An pensano che qualcuno abbia forzato, sbagliato magari in cattiva fede, allora fuori le prove e facciano i nomi. Se no, stiano zitti».
L'altra cosa, invece, qual è?
«L'altra cosa è il punto vero della faccenda, il fatto politico che per la centesima volta ci troviamo di fronte e che questa classe politica scalcagnata, e lo dico alla destra e alla sinistra, non riesce a risolvere. La fine della stagione degli anni di piombo, con un'amnistia. Mirata, precisa, lasciando fuori ad esempio i reati di strage, ma che una volta per sempre possa archiviare un passato vecchio oramai di 30, 35 anni. E qui voglio tornare per un attimo al ricordo di quel periodo».
Prego.
«Il terrorismo ha cambiato la faccia alla nostra storia. Non è vero che il terrorismo non paga. Ha funzionato, altro che. Pensiamo solo a Moro, a quella strategia di rapporto fra la Dc e il Pci che il sequestro fece saltare. Ci siamo dimenticati che la storia della nostra Italia sarebbe andata in un altro modo, senza i terroristi?».
Sono ferite che si riaprono spesso. La Russa, per Primavalle, accusa: lo Stato non esiste.
«Perché, esiste allora per piazza Fontana, dopo 35 anni? Esiste per Zorzi che se ne sta in Giappone? Ma che razza di discorso! I latitanti ci sono, a destra come a sinistra. Non gli va bene la legge sull'estinzione della pena? Visto che stanno al governo, avrebbero dovuto pensarci prima e cambiarla. L'hanno fatto sul falso in bilancio, con la legge pro-Previti, con la pro-Dell'Utri. È una polemica insensata. A meno che... Lo dico come battuta ma il sospetto mi ronza in testa. Che vogliono, con questo continuo usare due pesi e due misure, con lo stillicidio di interferenze sul lavoro dei magistrati? Che sia direttamente il consiglio dei ministri ad applicare le leggi? ».
La stagione degli anni di piombo secondo lei è chiusa?
«Ma certo che è chiusa. Sono cambiate le persone, nella testa, nei comportamenti, è mutata la scena. Eppure non si riesce a metabolizzare, a dare un taglio conclusivo. Perché? Perché abbiamo una classe politica incapace, che non sa esprimere un giudizio politico definitivo sugli anni di piombo. Solo se è in grado di prendere atto dei mutamenti un organismo è vivo, reagisce. Evidentemente, l'organismo politico del nostro paese è vecchio, è morto. Non è capace di fare ciò che Togliatti e De Gasperi riuscirono a realizzare, all'indomani della guerra».
Anche il centrosinistra è stato al governo in questi anni.
«E infatti neanche il centrosinistra ha fatto niente sulla strada dell'amnistia. Qualcosa si era mosso con Bettino Craxi, poi il silenzio».
Certo che se c´è qualcuno che dichiara, come Lollo, che non chiede perdono...
«Io non lo so che ha detto. In ogni caso, se davvero qualcuno che ha commesso orribili reati di terrorismo sostiene una cosa simile, davvero deve andare dritto in galera: per tanta stupidità e cinismo. Ma qui non si tratta di dividere fra persone stupide e intelligenti quanto di applicare una soluzione politica».
Amnistia generalizzata?
«Nelle forme che la legge prevede. Escludendo dal beneficio i reati più gravi, come le stragi. Con garanzie precise, accertando fino in fondo che si tratta di persone che ormai hanno cambiato testa, vita, che non hanno più niente a che vedere con quelle che un tempo credevano nella lotta armata e nella violenza».
Le Scienze 28.01.2005
Il laboratorio segreto di Leonardo da Vinci
Lo studio è adornato da affreschi dimenticati da secoli


Un laboratorio perduto di Leonardo da Vinci, completo di affreschi di 500 anni fa e di una stanza segreta per la dissezione di cadaveri umani, è stato scoperto a Firenze da tre ricercatori dell'Istituto Geografico Militare. Il ritrovamento è stato effettuato in una parte del convento della Santissima Annunziata, che nei secoli passati metteva stanze a disposizione degli artisti, e dove probabilmente il grande artista del rinascimento seguiva le funzioni religiose.
Fra le intercapedini che dividono un'ala del monastero e il palazzo dell'Istituto Geografico Militare, costruito nel 1857, Roberto Manescalchi, Alessandro Del Meglio e Maria Carchio ritengono di aver trovato lo studio di uno dei più grandi artisti della storia. "Lo dimostrano gli affreschi sulle pareti" sostengono i ricercatori.
Dopo la chiusura dell'ala nel 1594, in seguito alla costruzione delle scuderie granducali, i dipinti sono rimasti indisturbati per secoli e gradualmente dimenticati. In una conferenza stampa, Manescalchi ha mostrato un affresco nel quale manca evidentemente un personaggio in primo piano. La silhouette bianca presenta forti rassomiglianze con l'arcangelo Gabriele che compare nell'"Annunciazione" di Leonardo custodita negli Uffizi. Secondo Manescalchi, non è chiaro se l'angelo con questa silhouette "fantasma" sia stato rimosso o magari mai completato. Sulle pareti sono raffigurati anche diversi uccelli, uno dei quali assomiglia a uno schizzo del "codice atlantico" di Leonardo.

© 1999 - 2004 Le Scienze S.p.A.

Cina

La Stampa 31.1.05
L’UNICO PAESE A DAVOS AD AVERE SCRUTATO NEL FUTURO
La Cina vola verso il 2020
Alexander Weber


FORSE molti partecipanti al Forum di Davos vi diranno che sono rimasti impressionati da Chirac e da Clinton che hanno invitato il mondo sviluppato a lottare contro la povertà del mondo. Altri vi diranno che sono rimasti commossi dal premier tanzanese o di aver cercato con gli occhi Sharon Stone. Ma da economista che dimentica di avere un cuore, sono costretto a limitarmi a una cosa: ricorderò Davos di quest'anno per aver sentito le parole di Huang Chu, il vicepremier cinese.
Non è la prima volta che assisto a performance della nuova leadership cinese tra i monti del Fluela o sotto lo Schatzalp, ma Huang è circondato da un alone diverso: prima di accompagnare Hu a Pechino era già stato sindaco di Shangai quando la metropoli meridionale è diventata l'area di massimo sviluppo del mondo. Ha ogni credenziale per essere creduto quando parla di un nuovo mondo ancora sconosciuto. Infatti, molti manager e analisti a Davos hanno inghiottito le cifre che il politico cinese ha sottoposto sabato: entro il 2020 il Pil della Cina arriverà a 4 mila miliardi di dollari e il reddito pro capite salirà a 3 mila dollari l'anno.
Huang ha riconosciuto che si tratterà di un decennio di profondo cambiamento strutturale socio-economico con rischi di polarizzazione ricco-povero. Eppure, a Davos nessun politico oltre a lui ha parlato di prospettive fino al 2020 e ha semplicemente «saltato» gli anni tra il 2005 e il 2010, come se la storia vicina fosse già scritta e come se i veri obiettivi di interesse politico fossero quelli di lungo termine. Solo adesso posso ammettere di aver capito perché definiamo «epocale» l'arrivo della Cina nel mercato e perché essa modificherà radicalmente anche le prospettive politiche, forse trasformando alla fine anche le democrazie occidentali che fermano il loro orizzonte a scadenze elettorali che non superano appunto i 5 anni. C'è da chiedersi se il mondo dovrà cambiare per assecondare il respiro lungo di politica ed economia cinese.
Ora l'elefante sta crescendo un po' troppo in fretta per restare dentro a un negozio di animali e infatti sta strappando le catene. Per il secondo anno di fila il Pil cinese è cresciuto di oltre il 9%. Chiunque abbia rapporti commerciali con Pechino, a cominciare da Tokyo, dovrebbe rallegrarsi. Ma la dimensione dei fenomeni economici cinesi è sostanzialmente fuori controllo e garantisce la stabilità di un razzo spaziale: la Banca centrale compra dollari al ritmo di 30 miliardi al mese, che poi sterilizza all'interno, le banche cercano di selezionare il credito ai produttori, ma finanziamenti sono ormai disponibili al di fuori di ogni circuito, compreso attraverso gli investitori stranieri vogliosi di sfruttare subito l'attesa di rivalutazione del renminbi. I tassi d'interesse sono destinati a salire, mentre Pechino cerca di ristrutturare le grandi banche.
Quanto al consumo è vero che ha un po' riequilibrato l'eccesso di investimento, ma in nessun modo si può prevedere che cosa succederà nei prossimi anni. Su questo quadro, Huang ha gettato il suo sguardo da astronauta esperto, parlando di scienza e di tecnologia, pur con un occhio allo sviluppo sostenibile dell'ambiente e delle fonti energetiche. Ascoltando Huang parlare del mondo nel 2020 ho pensato in quel momento a Schroeder, Berlusconi, Chirac e agli altri e mi sono sembrati dei vecchi soprammobili.

La Stampa 31.1.05
A SETTEMBRE 2004 LA BANCA POPOLARE AVEVA PIU’ DI 500 MILIARDI DI DOLLARI
È a Pechino la cassaforte dell’economia americana
di
Andrea Gavosto
Da fine 2001 il dollaro ha perso il 40% del valore nei confronti dell’euro mentre le monete asiatiche, renmimbi in testa, tengono fisso il cambio.
Sono sempre più gravi i rischi di una crisi valutaria della banconota verde
LE prospettive dell'economia europea nel 2005 ruotano intorno all'evoluzione del cambio fra euro e dollaro. Rispetto alla fine del 2001, il dollaro ha perso ben il 40% del proprio valore nei confronti dell’euro, di cui il 10% nell'ultimo anno: un’ulteriore svalutazione creerebbe notevoli problemi di competitività alle esportazioni europee e rischierebbe di compromettere quel poco di ripresa cui stiamo assistendo.
Fare previsioni sui tassi di cambio è sempre impresa arrischiata. Tuttavia, la maggior parte degli economisti è concorde nel ritenere che la debolezza del dollaro sia destinata ad accentuarsi nel 2005. Quest'anno, infatti, il disavanzo nei conti con l'estero dell’America supererà il 6% del Pil: si tratta di un livello che, per qualsiasi altro paese, condurrebbe a una crisi valutaria. A differenza di quanto accadeva durante il periodo della «bolla Internet», quando il deficit Usa era largamente finanziato da acquisizioni di imprese statunitensi da parte di Europei e Asiatici, oggi lo squilibrio nei conti con l'estero viene prevalentemente coperto dall'acquisto di titoli di Stato, soprattutto da parte delle Banche centrali asiatiche. Si stima che la sola Banca Popolare della Cina detenesse a settembre scorso ben 514 miliardi di dollari di riserve. La possibilità che le banche centrali cessino di accumulare riserve in dollari e che i risparmiatori stranieri decidano, ai primi segni di un'ulteriore flessione della valuta americana, di disfarsi rapidamente dei titoli rende la posizione del dollaro estremamente precaria.
Per ricondurre il deficit in prossimità dell'equilibrio, la strada maestra è quella di una massiccia svalutazione del dollaro nei confronti delle altre valute, che ridarebbe fiato all'export netto degli Stati Uniti. Secondo le simulazioni di molti economisti, compresi quelli del Fmi, la flessione richiesta del dollaro nei confronti delle maggiori valute è di almeno il 40% rispetto ai valori attuali. Un deprezzamento che comporterebbe un cambio dollaro/euro oltre 1,80, ampiamente superiore alla capacità di sopportazione del nostro sistema produttivo, almeno nel breve periodo.
Esiste una via di uscita dagli squilibri americani meno indolore per l'Europa? Molto dipende dalle decisioni che prenderanno le autorità del Sud est asiatico, in primo luogo della Cina. Come è noto, la maggior parte delle valute dell'area, a cominciare dal renmimbi cinese, mantiene un cambio fisso con il dollaro. Di conseguenza, queste monete hanno accompagnato la svalutazione del dollaro rispetto all'euro, guadagnando competitività nei confronti dell'Europa. Il cambio fisso non risponde però ai fondamentali economici, ma solo al desiderio di mantenere le divise a livelli estremamente competitivi e, per questa via, continuare a incrementare il proprio export. I paesi dell'area detengono ormai avanzi commerciali da record nei confronti degli Usa: la sola Cina ha avuto nel 2004 un surplus commerciale di 160 miliardi di dollari, mentre il rapidissimo sviluppo della produttività in quest'area spingerebbe a un forte apprezzamento nei confronti del dollaro.
Anche dal punto di vista finanziario, la strategia dei paesi asiatici è poco comprensibile. Al fine di mantenere le valute a un livello artificiosamente basso, le Banche centrali asiatiche continuano ad accumulare riserve sotto forma di titoli del Tesoro americano: titoli che garantiscono rendimenti modesti e che, soprattutto, nel momento in cui venissero effettivamente incassati genererebbero significative perdite in conto capitale. La politica del cambio fisso rischia quindi di dissipare quote consistenti della ricchezza nazionale.
Per contro, una rivalutazione del renmimbi e delle altre valute dell'area (baht tailandese, dollaro di Singapore, ringgit malese, dollaro di Taiwan ecc.) rispetto al dollaro ridurrebbe l'enorme disavanzo degli Usa verso questi paesi. Il 40% di svalutazione del dollaro previsto dagli economisti avverrebbe quindi in prevalenza nei confronti delle valute asiatiche, preservando l'Europa dal trauma di un'ulteriore perdita di competitività. La Cina e gli altri paesi dell'area genererebbero sì minor crescita dalle esportazioni, ma, attraverso il meccanismo delle ragioni di cambio, vedrebbero aumentare la capacità di spesa dei loro cittadini, con un aumento dell'import da Europa e Usa, che taciterebbe le accuse di protezionismo dell’Occidente.
Se la rivalutazione fosse troppo violenta e repentina, il rischio per la Cina e gli altri paesi sarebbe quello di entrare in una fase di recessione. D'altro canto, più a lungo si evita di intraprendere quella che appare la via maestra per rimediare agli squilibri economici mondiali, più elevato sarà il prezzo da pagare poi.

Repubblica Affari e Finanza 31.1.05
Ormai la Cina ci batte anche nella burocrazia
di GIUSEPPE TURANI


Italia/Cina due mondi distanti. Gli imprenditori italiani partono per missioni "esplorative" a Shangai, Pechino Hong Kong e tornano affranti "non ce la faremo mai.".
Chissà. Intanto, tutti si raccontano aneddoti. Un'azienda che produce mobili di prestigio alle porte di Milano diciotto anni fa aveva chiesto al Comune il permesso per costruire un secondo capannone, gli affari andavano a gonfie vele. Il permesso è arrivato la settimana scorsa ma ormai è troppo tardi. La produzione andrà forse in Cina, o in India, dove questi permessi vengono concessi nel giro di una settimana, due al massimo. Circa un mese fa un professore italiano, che si era recato in visita all'Università di Pechino, aveva trovato lavori di interramento cavi nel cortile, con operai, buche, mezzi meccanici e tutto il pandemonio possibile. La mattina successiva, però, ha trovato un bel prato verde con alberi, panchine e studenti, il tutto in 24 ore tonde. Non male. Vinceranno loro?

psicologi...

Quotidiano.net 31.1.05
GIOCATTOLI "PERICOLOSI"
«Le nuove bambole sono troppo sexy», l'allarme degli psicologi


Roma, 30 gennaio 2005 - Allarme degli psicologi, le nuove bambole, sexy ed osè, sono diseducative. È quanto emerge da una indagine dell' Ipsa (Istituto Italiano di Studi Transdisciplinari), presieduto dal professor Massimo Cicogna.
Le ragazzine ne vanno pazze, tant'è che questo genere di bambole rappresenta, su diversi Toys Center in Italia, circa il 35% dell'intera quota di mercato. Ma gli esperti le bocciano senz'appello. E avvertono: il pericolo è reale e concreto.
Secondo l'inchiesta condotta su 350 ragazzine di età compresa tra i 6 e i 12 anni, emerge infatti che i giochi preferiti sono proprio queste bambole, capaci di incarnare perfettamente le tendenze contemporanee in salsa sexy e trasgressiva: le Barbie in versione sexy (32%) come la Versus Barbie, praticamente l'epigona di Donatella Versace o la Barbie lingerie, una biondina tutto pepe disabillie nel suo completino bianco fatto di reggiseno, culottes e reggicalze; le Bratz Dolls (23%), 5 bamboline di etnie diverse che indossano pantaloni aderenti, a vita bassa, zeppe, top scopri ombelico, trucco pesante e labbra abbondanti; le Tweggie color gel (16%) alte circa un metro, fattezze da quattordicenne, vestite con minigonna e magliettina aderente; gli accessori all'ultima moda delle Barbie e di Tania la sua omologa italiana: non più la casa delle favole o la piscina, ma la favolosa discoteca (18%).
Ma il quadro diventa ancor più preoccupante se si analizzano i motivi per cui le ragazzine amano questo genere di bambole, con cui giocano in media dall'una alle due ore al giorno, da sole o assieme alle proprie amichette. Simbolo e strumento di emancipazione, le fashion dolls, rappresentano per il 21% del campione intervistato il proprio alter ego, da truccare e vestire come loro vorrebbero ma non possono; per il 18% il proprio ideale di ragazza, portatrice di quelle caratteristiche considerate vincenti, come l'essere belle, sexy, intriganti; per il 16% traducono perfettamente l'icona della ragazza di oggi, mentre per il 13% costituiscono l'occasione migliore per confrontarsi tra le amiche sulle ultime tendenze della moda.
Non a caso, arriva dall'America l'ultima moda delle bambole-clone della propria figlia a 119 dollari. Dalla ricerca emerge infine chi in realtà «ingrassa» il mercato delle bambole, ovvero chile regala alle bambine. A sorpresa si rivelano i papà gli «hard buyer» di bambole per le figlie (40%), mentre le mamme, educatrici a tempo pieno, accontentano le bambine solamente nel 28% dei casi.
Curiosamente, ma forse neanche tanto, i nonni sono piuttosto allergici a questo genere di regali (12%). Infine gli zii: che a mo di compensazione tendono a regalare bambole all'ultimo grido nell'occasione di feste o compleanni (8%). Paolo Crepet, psichiatra spiega cosl i motivi di questa nuova moda. Mentre un tempo le bambole erano troppo «bambole» e rappresentavano sottolineature e rinforzi dell'infanzia, le «fashion dolls» rappresentano un'anticipazione dell'adolescenza nell'infanzia. «Non so -dice- quanto sia giusto o sano ma credo che siano situazioni da gestire, tanto dai genitori quanto dagli educatori. Se iniziasse una campagna che spinga gli italiani a lasciar fare i bambini ai bambini e, magari, gli adulti a comportarsi un pò meno da adolescenti credo che nessuno ci perderebbe. Io firmerei volentieri un appello perchi ogni età sia 'rispettata'.
Come dovrebbero essere, invece, le bambole consigliate dagli psicologi? Senza cadere nell'oscurantismo di un passato ormai lontano, occorre che siano portatrici dei valori positivi e insieme vincenti della donna moderna. Come spiega la psicologa Maria Rita Parsi: «Il processo di accelerazione dei tempi purtroppo fa parte della nostra società: da una parte non si cresce mai, perché comunque si allungano l'infanzia e l'adolescenza, dall'altra parte si favorisce una crescita immediata con stimoli dellamoda, degli atteggiamenti e quindi nei comportamenti. Le bambole dovrebbero dare la possibilità alle bambine di intervenire, per esempio, permettendo di cambiare gli abiti. E soprattutto dovrebbero essere a misura dell'età delle bambine alle quali si donano. Magari attraenti, belle, divertenti, ma con una maggior gradualità dell'età».