venerdì 4 febbraio 2005

al cinema Filangeri di Napoli

una segnalazione di Marco Pizzarelli

il Venerdì di Repubblica 4.2.05, pag.72
un piccolo articolo sulle rassegne cinematografiche .
Il cineforum del dottor Freud
Napoli, cinema Filangeri, dal 7 al 10 febbraio


Alberto Castellano e lo psichiatra Ignazio Senatore hanno curato questa rassegna di film di Marco Bellocchio (nella foto Lou Castel in I pugni in tasca), Woody Allen, Ingmar Bergam, Claude Chabrol, Luis Bunuel . Registi che hanno sempre scandagliato l'animo dei loro personaggi con gli strumenti della psicoanalisi . Partecipano agli incontri : Carlo Verdone, Salvatore Piscitelli, Giuliana De Sio, Francesco Nuti .
Pagina a cura di Federica Lamberti Zanardi

archeologia
l'antico impero di Srivijaya

Liberazione 4.2.05
Malaysia.
Scoperta nella giungla una città perduta


Un'antichissima città millenaria, forse la prima capitale di un impero scomparso, è stata ritrovata nella giungla della Malaysia. Lo ha scritto ieri la stampa locale. Dopo 12 anni trascorsi a studiare vecchi manoscritti, un ricercatore, Raimy Che-Ross, ha concentrato le sue ricerche nello Stato di Johor, nel Sud del Paese, e vi ha scoperto alcune «formazioni insolite», secondo quanto ha raccontato il giornale The Star. Queste formazioni, secondo Che-Ross, potrebbero essere le fondamenta e le scarpate che circondavano la prima capitale dell'impero malese Srivijaya, fiorito nel VII secolo, noto co il nome di Kola Gelanngi, o Perbenddaharaan Permata (Tesoro di gioielli). Il governo di Kuala Lampur proseguirà le ricerche e una spedizione sarà organizzata quest'anno.

a conti fatti...

Affaritaliani.it 3.2.05
Sanità/ Un malato psichiatrico costa fino a 36mila euro l’anno in assistenza. Dall'Università di Verona un progetto per razionalizzare la spesa


Da un minimo di oltre 5mila a un massimo di 36mila euro: è quanto costa in un anno l’assistere un paziente psichiatrico. Il dato emerge dalla ricerca “Psycost”, condotta da un pool di psichiatri del Centro Ricerca Oms di Verona (http://www.psychiatry.univr.it/) su 1.250 pazienti affetti da patologie serie, quali depressione e schizofrenia, selezionati per storia personale. I malati, età media 43 anni, provengono da cinque città (Roma, Bologna, Napoli, Verona e Legnano) e sono stati ripartiti su tre pacchetti di cura: il primo di base poco superiore a 5mila euro, il secondo “riabilitativo” da 26mila euro e il terzo “intensivo” da 36mila euro l'anno. Obiettivo della ricerca, capire quanto costa un paziente psichiatrico al Ssn e individuare un sistema che razionalizzi il finanziamento di servizi e strutture.
"Con la ricerca, ora si ha un parametro di riferimento preciso con cui si può realizzare un sistema di finanziamento in linea con i Paesi Europei e gli Usa", spiega Michele Tansella, psichiatra e direttore del Centro. In sostanza, si potrebbe, grazie ai tre “pacchetti” di cura ideali, finanziare anticipatamente i servizi e le strutture. Quello base da poco più di 5mila euro all’anno, per esempio, riuscirebbe a comprendere cinque visite specialistiche psichiatriche (198,63 euro l'una), tre colloqui informativi di sostegno (63,46 euro l'uno), sei interventi per riabilitazione (41 euro l'uno), tre somatoterapie (42 euro l'una) e tre visite domiciliari (142,75 l'una). Nel costo totale, pari a 2.581,17 euro per sei mesi, ci sono anche psicoterapie individuali (18,40 euro) e di gruppo (13,34) e attività educativo occupazionale (79,36 euro).

origini del Logos occidentale
Mario Vegetti a Rimini

Corriere della Romagna 4.2.05
Caos e cosmo fra Esiodo e Platone All’origine del sapere occidentale


Caos e cosmo fra Esiodo e Platone è il titolo della conferenza inaugurale del settimo ciclo delle Meditazioni riminesi che si aprirà questa sera alle 21 al Teatro degli Atti, con un intervento di Mario Vegetti, docente di storia della filosofia presso l’Università di Pavia, preceduto da una lettura di brani tratti dalla Teogonia di Esiodo, con le voci narranti di Pietro Conversano e Lucia Ferrati accompagnate alle percussioni e clarinetto da Ivan Gambini. La Teogonia di Esiodo e il Timeo di Platone sono due grandi narrazioni, poetica la prima, filosofica la seconda, di un’impresa eroica: la vittoria dell’ordine sul Caos delle origini, la formazione di un cosmo retto dal buon governo di Zeus e della ragione. Ma né l’una né l’altra possono considerare definitiva questa vittoria. Il Caos permane, ai margini del cosmo, e costituisce la minaccia insopprimibile e permanente di un ritorno al disordine, di un collasso della civilizzazione. C’è però anche un aspetto positivo in questo permanere del caos originario: l’impegno a considerare l’ordine non come un fatto acquisito una volta per tutte, ma come un compito che si ripropone sempre di nuovo. Nella Teogonia, Esiodo, lo scrittore più antico di cui si abbiano notizie storiche, tenta di organizzare sistematicamente la materia mitologico-­religiosa che nell’opera omerica appariva confusa e frammentaria. Esiodo così prospetta in termini sequenziali un prima (epoca in cui a dominare era la Dea madre terra) e un dopo, in cui la divinità più importante è Zeus, Dio maschio garante della giustizia. Dal caos nacquero Gea dall’ampio petto, prima di tutto, Eros, Erebo, Notte. Dalla notte nacquero i suoi contrari, L’Etere luminoso e il Giorno. Da Gea nacque Urano, il cielo, i monti, il mare. Quindi Eros diede origine al ciclo degli accoppiamenti e delle generazioni. Le nozze fra Gea (la terra) e Urano (il cielo) generano i Titani fra cui anche Crono che spodesterà il padre Urano. Gea non potendo più sopportare che Urano tutti i figli nascondeva, e non li lasciava venire alla luce, nel seno di Gea, spinse Crono a tagliare con una scure i genitali del padre. Crono prese quindi il posto del padre e unendosi a Rea, generò molti figli che inghiottiva appena nati, temendo di essere detronizzato come egli stesso aveva fatto con Urano. Rea, addolorata, decise finalmente di ingannare Crono e dopo avere partorito, al posto del figlio appena nato, diede a Crono una pietra che egli divorò. Il piccolo, che era Zeus, venne nascosto in una grotta del monte Ida con la complicità di Gea. Divenuto adulto costrinse il padre a rigettare tutti i figli che aveva divorato. Fra loro c’era Ade a cui Zeus attribuì il dominio degli inferi e Poseidone che divenne signore del mare. Zeus quindi impose il suo dominio sul mondo, destinato a durare in eterno. Il regno di Zeus non fu senza difficoltà. Dovette infatti lottare contro i Titani, vecchie divinità che cercavano di respingere l’universo verso il suo selvaggio passato spodestando il dio giovane e giusto. Con l’aiuto dei Ciclopi e dei Centimani, Zeus ebbe la meglio sui Titani e fissò per sempre l’ordine dell’Universo. Il re degli dei contrasse una serie di matrimoni da cui nacquero le maggiori divinità olimpiche. Mario Vegetti insegna storia della filosofia presso l’Università di Pavia. È stato Direttore del Dipartimento di Filosofia ed è attualmente membro del Comitato scientifico della Scuola avanzata di formazione integrata. Ha dedicato i suoi studi prevalentemente agli aspetti scientifico-­epistemologici ed etico­politici del pensiero antico. È membro del comitato scientifico delle riviste “Iride” e “Paradigmi”. Ha organizzato presso l’Università di Pavia numerosi convegni internazionali, fra i quali quelli sulla scienza ellenistica (1982), sulle opere psicologiche di Galeno (1986), sulla tradizione della Repubblica di Platone nel pensiero antico (1997­1998) e nella tradizione medievale e umanistica (2000), curando la pubblicazione dei relativi atti. Ha tradotto e commentato opere di Ippocrate, Aristotele e Galeno. Ha diretto un’opera collettiva in tre volumi dal titolo Introduzione alle culture antiche (Torino, Boringhieri) e curato la traduzione e il commento della Repubblica di Platone, di cui sono stati finora pubblicati i primi quattro volumi (Napoli, Bibliopolis) .

oltraggio alla religione
Milano vigila...

Corriere della Sera 4.2.05
CENACOLO AL FEMMINILE
Stop ai manifesti «Sono un’offesa alla religione»


Milano. Stop ai cartelloni con il Cenacolo «al femminile» che avrebbero dovuto lanciare la collezione estate 2005 della casa di moda Marithé e François Girbaud. Lo ha stabilito il Comune in base al parere dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria: «Richiama le fondamenta del credo cristiano. Non può essere oggetto di parodia». Sotto accusa, la gigantografia in cui il Cristo e 11 apostoli sono donne. Un solo uomo: a torso nudo, abbracciato a un’«apostola».

Bocciata l’«Ultima Cena» al femminile
«Foto provocatoria»: il Comune vieta l’affissione dei cartelloni della casa di moda Girbaud Il Giurì: un giovane a torso nudo tra i simboli sacri? Così si offende il sentimento religioso
Annachiara Sacchi


Milano. La scena ritratta è quella dell’Ultima Cena, Gesù circondato dai dodici apostoli. Le pose - almeno nella parte superiore del tavolo - sono quasi identiche a quelle dipinte da Leonardo da Vinci nell’affresco che ancora oggi viene ammirato da migliaia di visitatori in Santa Maria delle Grazie. Solo che il Cristo - nella fotografia di Brigitte Neidermair per la campagna pubblicitaria della casa di moda Marithé e François Girbaud (agenzia Air) - questa volta è una donna. Sono donne anche le modelle che interpretano gli undici discepoli. C’è solo un uomo, di spalle, a torso nudo. Nella posizione che, nel Cenacolo, è occupata da san Giovanni. Una fotografia provocatoria, che doveva campeggiare nelle vie di Milano (in particolare su un ponteggio di corso Venezia) per lanciare la collezione primavera estate 2005 della griffe francese. Niente da fare: il Comune ha vietato l’affissione dopo aver sentito il parere, preventivo, dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria (Iap).
Secondo l’authority, che ha sede in via Larga ed è nata quasi 40 anni fa, la campagna «richiama inevitabilmente le fondamenta stesse del credo cristiano, ovvero l’istituzione dell’Eucarestia, il simbolismo della messa, il suo perpetuarsi nel culto. Una siffatta rappresentazione (di elevata concentrazione di simboli teologici) non può essere ripresa e, per di più, fatta oggetto di parodia a fini commerciali senza che le convinzioni religiose di almeno una parte della popolazione (grande o piccola che sia non importa perché il principio varrebbe anche nel caso di un credo religioso del tutto minoritario in Italia) ne risultino offese».
Nella campagna Girbaud, è scritto nel rapporto dell’istituto, il fatto che un apostolo-donna abbracci il busto nudo di un uomo «non fa altro che accrescere in chiave offensiva l’imitazione, così come l’utilizzo del tutto gratuito di simboli cristiani come la colomba, il calice, l’atteggiamento delle dita del Cristo-Donna».
Ma i pubblicitari del marchio si difendono: «In un mondo governato dagli uomini la nostra campagna propone una visione alternativa e rappresenta una risposta a un mondo macho». Lo stesso Francois Girbaud si domanda: «Se gli apostoli fossero stati donne il mondo come sarebbe stato?». Affascinato dalla lettura de «Il Codice da Vinci» di Dan Brown - secondo cui anche Maria Maddalena avrebbe partecipato all’ultima cena, nascosta sotto le sembianze femminili di Giovanni - lo stilista avrebbe pensato a un Cenacolo ribaltato, con donne al posto degli uomini e viceversa.
Il parere dell’Istituto, comunque, «era preventivo e non vincolante», precisa il suo segretario generale, Vincenzo Guggino. «Si trattava di una consulenza privata e riservata. Noi possiamo intervenire in forma repressiva solo a posteriori». Come successe per la campagna Benetton di Oliviero Toscani: fu ritirato il famoso bacio tra un prete e una suora ideato da Oliviero Toscani, ma anche lo spot di una donna con le stimmate e di una Madonnina da cui scendevano lacrime di sangue. «Il problema - continua Guggino - non è il mostrare un simbolo, ma la manipolazione del simbolo stesso. Soprattutto quando c’è traccia di irrisione, di parodia. È questo che può dare fastidio».
Eppure la decisione del Comune fa discutere, soprattutto perché lo stop alla campagna è arrivato in anticipo, a spot non ancora uscito. «Ma noi applichiamo solo il regolamento - replica Maurilio Sartor, direttore del settore Pubblicità di Palazzo Marino -: ci siamo limitati a chiedere un parere alle agenzie competenti. La stessa cosa succede con la Sovrintendenza, con la polizia municipale, con il settore arredo urbano e beni ambientali. Insomma, dove non si sa, si chiede. E si seguono le regole».

depressione
si parla ancora della macchinetta magica...

segnalato da Sergio Grom

Corriere della Sera 4.2.05

Pacemaker anti-depressione sotto pelle
Sì alla vendita negli Usa: impulsi elettrici al cervello. «Solo quando le altre terapie non funzionano»
Adriana Bazzi


Il pacemaker anti-depressione è a un passo dalla commercializzazione, almeno negli Stati Uniti. La Fda, l’ente federale americano per il controllo dei farmaci e delle apparecchiature mediche, ha dato l’ok «con la condizionale» alla vendita: l’azienda produttrice, la Cyberonics di Houston, dovrà soltanto perfezionare alcuni aspetti che riguardano i controlli di qualità. Così fra pochi mesi migliaia di americani, colpiti da forme di depressione refrattaria ai normali trattamenti, avranno a disposizione un’opzione terapeutica in più: un elettrostimolatore da impiantare sotto la cute del torace, capace di inviare impulsi al cervello attraverso il nervo vago (la tecnica si chiama infatti Vns, stimolazione del nervo vago).
Almeno il 20 per cento di chi soffre di depressione maggiore, cioè della forma più grave della malattia (quella che abbassa il tono dell’umore, fa perdere la voglia di vivere, evoca pensieri di morte e colpisce una persona su cinque nel corso della vita) non risponde alle cure tradizionali, farmaci e psicoterapie, e nemmeno all’elettroshock: ecco perché gli studiosi sono sempre alla ricerca di nuove soluzioni. L’idea di utilizzare, come alternativa terapeutica, il neuro-pacemaker è venuta per caso a Mark George, un radiologo americano dell’Università del South Carolina: questo dispositivo era già usato per combattere crisi epilettiche non controllabili con i farmaci e i ricercatori avevano visto che i pazienti manifestavano uno stato di euforia. L’apparecchio, infatti, è dotato di due fili che vanno a stimolare il vago, un nervo che arriva dai visceri, passa attraverso il collo e raggiunge diverse aree del cervello. Nel caso delle crisi epilettiche, provocate da un’eccessiva attività elettrica di gruppi di neuroni, la stimolazione del vago porta a una normalizzazione della situazione; nel caso della depressione, questi impulsi servono, al contrario, per attivare certe aree del cervello, come l’ipotalamo, che giocano un ruolo chiave nella depressione e per stimolare la produzione di neurotrasmettitori, come la serotonina, carenti nei depressi.
Per il momento l’Fda ha raccomandato l’impiego del dispositivo soltanto quando un paziente con depressione cronica o ricorrente non risponde ad almeno quattro trattamenti antidepressivi diversi, condotti «a regola d’arte» e comunque quando ha più di diciotto anni d’età.
«Siano di fronte a una nuova possibilità terapeutica - commenta Michele Tansella psichiatra all’Università di Verona e direttore del Centro di riferimento dell’Oms nella stessa città - ma occorre, come sempre, una certa dose di cautela. Innanzitutto non si devono accendere speranze in pazienti che invece non sono idonei a terapie di questo tipo: ancora oggi, soprattutto in Italia, non sempre vengono percorse adeguatamente tutte le strade terapeutiche, soprattutto quelle psicoterapiche. E poi bisognerà valutare bene l’efficacia: le sperimentazioni condotte finora parlano di un 30 per cento di risultati positivi».
Negli Stati Uniti il trattamento Vns costa circa 20.000 dollari, spese chirurgiche comprese. «Una cifra che andrà rapportata alla situazione italiana», ricorda Tansella che ha appena concluso una ricerca chiamata Psycost condotta per valutare i costi dell’assistenza ai pazienti psichiatrici in Italia, compresi i depressi gravi. «Per stimolare le strutture pubbliche a prendersi carico di questi malati con continuità - spiega Tansella - abbiamo studiato pacchetti di cura, con interventi differenziati, che costano da 5 mila a 36 mila euro l’anno, da contrapporre ai rimborsi per ogni singola prestazione».

contro le mutilazioni genitali
le donne vincono a Gibuti

Corriere della Sera 4.2.05
Alla Conferenza di Gibuti i religiosi hanno tentato di far dichiarare legittima l’escissione parziale del clitoride ma le delegate si sono ribellate
No alle mutilazioni genitali, vince il fronte delle donne
Sono 120 milioni le bambine e le donne africane menomate
DAL NOSTRO INVIATO Cecilia Zecchinelli


GIBUTI - È terminata con urla e fischi, poi con grida di vittoria e abbracci tra le delegate la Conferenza sull’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili (Mgf , per gli addetti ai lavori), in corso per due giorni a Gibuti, l’ex colonia francese sul Mar Rosso.
Un tentativo dei religiosi islamici partecipanti all’incontro di dichiarare «legittima l’escissione parziale del clitoride a condizione che ad eseguirla siano specialisti e chirurghi» è finito nel nulla dopo le fortissime proteste delle donne presenti al convegno. Una vera rivolta che ha spinto il ministro del Culto di Gibuti a dichiarare che «in nome di Dio misericordioso e clemente, quella frase viene cancellata dal documento finale».
Organizzata dal governo locale e da No Peace Without Justice , l'Ong per i diritti umani fondata dall’europarlamentare Emma Bonino, all’interno della grande campagna lanciata nel 2003 al Cairo contro la «circoncisione femminile», la Conferenza aveva visto per due giorni una spaccatura profonda. Da un lato gli Ulema islamici: una quarantina di religiosi con copricapi ricamati e barbe intenti a scambiarsi erudite citazioni da Corano e Detti del Profeta in arabo classico, sul tema degli organi genitali femminili e sul fatto che la loro asportazione - simbolica, parziale, totale - sia proibita, legittima o perfino obbligatoria. Una discussione quasi surreale se non fosse che sono almeno 120 milioni le bambine e le donne africane colpite ancora oggi da Mgf , con diffusioni, in Paesi come Gibuti o la vicina Somalia, fino al 98% della popolazione femminile.
Dall’altro lato donne di tutto il mondo, soprattutto africane. Attiviste dei diritti umani, responsabili di Ong, medici, ma anche ministre di governi, che hanno raccontato i primi successi della campagna e discusso le nuove sfide. Emma Bonino ha annunciato che «dopo otto Paesi, anche Gibuti ha ratificato il Protocollo di Maputo», coraggiosa carta dei diritti della donna africana lanciata nel 2003, che sancisce anche l’illegalità di ogni mutilazione e che entrerà in vigore quando i Paesi saranno 15. La ministra degli affari interni del Kenya, Linah Kilimo, ha spiegato come «la questione Mgf sia finalmente passata da una questione privata a un ambito di politica nazionale e regionale».
Ma è stato nella stanza laterale, quella degli Ulema, che si è potuto capire come la battaglia sia ancora in corso. Accerchiati da donne allibite, gli Ulema si sono dilungati in dissertazioni anatomiche-religiose che per la prima volta nella storia hanno avuto un pubblico. Il numero due della potente università religiosa egiziana di Al Azhar, sheikh Ismail El Deftar, ha ammesso che «nel Corano non c’è indicazione di questa pratica». In sostanza, ha però concluso, se la mutilazione totale (clitoride, piccole e grandi labbra, ovvero la cosiddetta circoncisione faraonica diffusissima in Africa centro-orientale) «è proibita dall’Islam», quella parziale «è legittima anche se non obbligatoria, purché non abbia conseguenze per la salute». Stesso parere da un altro sheikh di Al Azhar, Mohammad Othman. E ben più pesanti sono stati gli interventi degli Ulema locali: l’imam gibutino Mohammad Amin ha perfino dichiarato, tra gli applausi, che «ogni tentativo di rendere illegittima la circoncisione parziale porterà noi religiosi a dichiararla obbligatoria».
«È vergognoso, gli Ulema sanno benissimo che l’Islam, come ogni religione, non ha niente a che fare con questo orrore», ha detto Boge Gabre, epidemiologa etiope. «Molti di loro difendono le Mgf ma poi la evitano alle loro figlie, sanno quanto è orribile», ha dichiarato indignata Hawa Aden, attivista somala. «Non mi ha sorpreso questa levata di scudi - ha commentato Daniela Colombo, presidente della Ong per i diritti della donna Aidos, partner della conferenza -. Tutte le religioni sono contro la donna». Ed Emma Bonino, soddisfatta della conclusione della Conferenza, ha sottolineato: «Per esperienza so che quando un dibattito diventa pubblico è già quasi una mezza vittoria, si esce da una mielosa generalizzazione, si scoprono i giochi. Il problema, adesso, è fargli uscire sempre più allo scoperto. E andare avanti».

sinistra
Cofferati è il passato, Bertinotti il presente

Corriere della Sera 4.2.05
Sinistra ds, Cofferati addio Gli elogi vanno a Bertinotti

«Ora è Fausto il riferimento dei 3 milioni del Circo Massimo» Il Correntone all’attacco: il leader ha dimenticato i movimenti
Maria Teresa Meli


ROMA - Non si sfiorano nemmeno nella bolgia dell’ex Palaeur. Fausto Bertinotti è seduto tra le delegazioni dei partiti ospiti. Sigaro (spento) in bocca, occhiali sulla fronte, chiacchiera per tutto il tempo con il capogruppo di Rifondazione comunista a Montecitorio Franco Giordano. A interrompere la conversazione solo le risate, ora dell’uno, ora dell’altro. Sergio Cofferati, invece, è assiso tra i maggiorenti della Quercia, in prima fila. Parla poco o niente, non sorride quasi mai. Bertinotti ha salutato questo congresso con un’intervista al Corriere della Sera in cui ha dato del democristiano a Fassino. Cofferati ha pagato il suo tributo alle assise dichiarando alla Stampa : voterò Massimo D’Alema (e il presidente della Quercia ha reso l’onore delle armi all’ex duellante con un magnanimo «gli voglio bene»). In platea c’è un diessino che conosce bene sia il leader del Prc che il sindaco di Bologna. E’ Paolo Nerozzi, segretario confederale della Cgil. Guarda l’amico di un tempo, Cofferati, e dice: «Sergio è finito quando ha detto di "no" al referendum sull’articolo 18. Poi ha deciso di fare il sindaco di Bologna e i vertici del partito sono stati contenti perché prima lo temevano. Ma così hanno fatto tutti quanti un gran regalo a Bertinotti: i tre milioni del Circo Massimo ora hanno lui come punto di riferimento». Già, il paradosso è che D’Alema e Fassino sono riusciti a "metabolizzare" Cofferati ma non hanno risolto il loro problema. Quella sinistra non allineata che rappresenta una parte dell’elettorato dell’opposizione, orfana del Cinese, si è accasata altrove, con Bertinotti, e continua a non volerne sapere dei vertici Ds.
Così, se Cofferati plaude alla relazione del segretario - «Va bene» - mentre Bertinotti sottolinea che «Fassino è rimasto sordo ai movimenti», due diessini che un tempo avevano scelto il Cinese come loro leader, Giovanni Berlinguer e Pietro Folena, danno ragione al secondo e non al primo. Dice Berlinguer: «Fassino ha trascurato molto il ruolo delle nuove generazioni e dei movimenti su cui invece dobbiamo puntare molto». Osserva Folena: «E’ incredibile, nemmeno una parola su quello che è accaduto in questi ultimi anni, sui movimenti». E l’esponente del Correntone aggiunge: «Io ormai ho rinunciato a capire Cofferati. Perché, ad esempio, ha dovuto dire che voterà per D’Alema? Aveva fatto trenta e doveva fare trentuno?». Del resto, come spiega anche Nerozzi, la dichiarazione di voto preventiva di Cofferati «ha fatto imbufalire tanti» nella sinistra Ds. E se un effetto ha avuto non è stato certamente quello di convincere qualche riottoso del Correntone a votare per D’Alema.
Intanto nella tribuna ospiti Bertinotti ride, scherza e conversa con gli altri leader politici. In platea Cofferati saluta gli altri dirigenti dei Ds, ma attorno a lui non c’è un clima da "ritorno del figliol prodigo". Il suo rientro in maggioranza era dato per acquisito già tempo fa. Quel Fassino che è riuscito a neutralizzarlo come avversario sospingendolo lungo la via di Bologna ora combatte con Bertinotti a cui, dal palco, ricorda che non è vero che i riformisti sono «la destra della sinistra».
E pensare che quando l’astro di Cofferati iniziò a tramontare D’Alema era convinto che andasse a finire altrimenti. Il presidente della Quercia, dopo un periodo di freddo, aveva ristabilito buoni rapporti con Bertinotti anche in nome della comune avversione al progetto politico del Cinese. D’Alema temeva l’offensiva di Cofferati sul partito ed era convinto invece di poter scendere a patti con la sinistra di Rifondazione. Il leader del Prc, invece, soffriva della concorrenza del Cinese. E in uno di quei giorni di rinnovato feeling il presidente della Quercia disse al segretario di Rifondazione: «La parabola discendente di Sergio è cominciata e noi lo accompagneremo alla porta». Così hanno fatto, ma oltre quell’uscio ha avuto inizio la parabola ascendente di Fausto Bertinotti.

Repubblica 4.2.05
La metamorfosi dell'ex idolo dei girotondi
al Congresso un intervento pacato, con un affondo
Il Cofferati "pacificato" all'attacco di Bertinotti
Appoggia Fassino e D'Alema, e chiede unità
"Primarie, non facciamo come in Puglia"
di MARCO BRACCONI


ROMA - Si definisce "pacificato". Si fa annunciare da una intervista nella quale annuncia il suo voto per D'Alema presidente. Sottolinea che a Fassino, e alla sua linea politica, non ha niente da obiettare. La metamorfosi di Sergio Cofferati, che ai tempi dei girotondi metà degli elettori di sinistra acclamava come leader dell'opposizione, è compiuta. E oggi al congresso Ds otterrà il suo definitivo sigillo.
Tempi lontani, quelli in cui il "Cinese" duellava con il lìder Maximo sul futuro del partito e occhieggiava a Girotondi e i movimenti. Oggi l'ex capo della Cgil è il sindaco della capitale diessina. Dopo la parentesi Guazzaloca, ha riportato a casa Bologna, ed è tornato a casa anche lui. Del resto, in tempi non sospetti, quando Cofferati sorvegliava l'area tra il Correntone (che stamattina ha annunciato il suo no al documento programmatico) e i new global, chi lo conosceva bene giurava: "Non durerà, Sergio è un vecchio riformista".
E infatti. Il "Cinese" sposa la sfida riformista di Fassino. Ma passa rapidamente ad altro. Dopo aver detto (e ripetuto) di aver apprezzato "i passi in avanti fatti da Pesaro in poi", dedica il resto del suo breve intervento alle primarie. Andando giù durissimo, senza mai nominarlo, contro Fausto Bertinotti. " Chi sostiene Prodi non può oscurarne la leadership".
La platea lo accoglie con lungo applauso. Poi lo ascolta in silenzio. Poi si scalda, e quanto, quando parla di primarie. Come Fassino, dice che "non devono essere una occasione di divisione". Come D'Alema, insiste sulla "visibilità" del partito di maggioranza relativa. Poi, l'affondo finale: "Nulla si faccia senza programma", candidature alle primarie comprese, dunque. E, soprattutto, "ciò che è stato in Puglia, non sia nelle primarie nazionali".
Che il dado fosse tratto, si sapeva da ben prima del congresso. Ma Sergio Cofferati oggi ha voluto mostrarlo, in tutta la sua evidenza, ad un partito con il quale "si sente in pace". Al quale, addirittura chiede di accelerare sulla Federazione, invitandolo già da ora a pensare al dopo. Dopo Pesaro, dopo questo congresso. Magari verso un "nuovo aggregato riformista" che al "Cinese" non sembra affatto dispiacere.

L'Unità 4.2.05
Bertinotti: potrei lasciare la segreteria. Ma poi chiarisce


ROMA. Fausto Bertinotti potrebbe lasciare la segreteria del Prc dopo 11 anni, al prossimo congresso del Prc? «Ho - dice in un'intervista all'Espresso il cui testo è stato anticipato - il dovere morale di non fare annunci prima del congresso. Ma non è vero che nella direzione politica l'età sia irrilevante. Ci sono leggi fisiche alle quali non voglio sottrarmi. Anzi, intendo assecondarle». Sulla frase è nato però un piccolo caso, risolto dallo stesso Bertinotti in tarda serata, quando ha smentito così: «La frase che mi viene attribuita dai titoli dei lanci di molte agenzie di stampa, “potrei lasciare la segreteria del Prc ma non cambio nome al partito” non è stata da me mai pronunciata, non corrisponde alla mia volontà ed è del tutto priva di fondamento».
Bertinotti, nell’intervista spiega che la sua operazione è opposta a quella di chi, «nel passato decennio, ha tentato di uscire dalla crisi del movimento operaio andando verso il pensiero liberale. Noi cerchiamo un nuovo inizio da sinistra, un'uscita della crisi verso sinistra».
Sul congresso Ds Bertinotti elogia Fassino che parla al Paese ma lo critica perché dimentica i movimenti. Ma, aggiunge, «in questo punto positivo si inserisce un'operazione politica che andrebbe analizzata. c'è l'abbandono dell'illusione di costruire una sinistra liberale e la ricerca di un approdo socialdemocratico, magari da mettere nella federazione, c'è la riscoperta dell'intervento pubblico nell'economia, dello stato sociale, ma anche il punto critico della sordità nei confronti delle istanze più critiche».

___________________________

Sul settimanale DIARIO da oggi nelle edicole
Enrico Deaglio a colloquio con
Fausto Bertinotti

pagg. 12-16

Date a Fausto.. Ma quanto bisogna dare a Fausto?

Un trenta per cento alle primarie. Non saebbe uno scandalo. Il Ministero dell'Economia e del Piano, e questo è effettivamente un mezzo scandalo. Il Segretario di Rifondazione Comunista alle prese con stalinisti e trotzkisti, si offre al centrosinistra con un programma di estremo buon senso.

«vinceremo. Soprattutto perché loro perderanno»


Patrimoniale? Non dirò mai questa parola:

«Non voglio creare problemi a nessuno. Ci sono molti modi per indicare l'equità fiscale.

Costretti a vincere

«In realtà c'è una grande voglia di centro, ma l'Ulivo vincerà perché tutti vogliono cacciare Berlusconi»
___________________________

storia
«anni di piombo»

Corriere della Sera 4.2.05
Primavalle, gli ex divisi dalle rivelazioni di Morucci
Piperno: sapevo la verità sul rogo mentii per salvare Potere operaio
Marco Imarisio


MILANO - «Ora, compagni, potete gridare tutti "Lollo libero" senza troppi problemi!». Finiva così. Diciotto mesi dopo. Il libro venne pubblicato nel 1974, a un anno e mezzo di distanza dalla notte tra domenica 15 e lunedì 16 aprile in cui bruciarono vivi due dei figli di Mario Mattei. Si intitola «Primavalle, incendio a porte chiuse», edizioni Savelli. È una controinchiesta fatta da un gruppo di 25 giornalisti e militanti. Come allegato, c’è un documento politico della direzione di «Potere operaio» che spiega i motivi politici dell’iniziativa. «La montatura del caso Primavalle si presenta come modello di utilizzazione politica da parte delle istituzioni di un’occasione che gli viene offerta dal sottobosco politico rappresentato dal groviglio di faide e di furberie di un gruppo di fascisti di borgata».
È una reliquia di quelle che si trovano sulle bancarelle specializzate in editoria politica anni Settanta. Rischia di diventare altro, soprattutto dopo le parole di Valerio Morucci. In una intervista al Giornale , l’ex militante di Potere operaio e delle Brigate rosse ha nuovamente raccontato di come, pistola alla mano, fece confessare Marino Clavo, appena incriminato per la strage insieme ad Achille Lollo e Manlio Grillo. Ha detto anche di avere informato subito i vertici di Potere operaio: sono stati tre dei nostri. Ecco perché quei 18 mesi che separano la strage dalla pubblicazione dell’inchiesta rischiano di avere una piccola importanza storica. I capi di Potop erano a conoscenza dell’identità dei tre assassini. Sapevano della loro colpevolezza, eppure li difesero a mezzo stampa, arrivando a farli assolvere in primo grado.
«Morucci non mente, è andata così. Forse dà troppo peso alla confessione che ottenne da Clavo. Non penso che possa essere stata valutata come definitiva». Franco Piperno, uno dei fondatori di Potere operaio, dice che fu una questione di metodo. Una pistola alla testa di un compagno, per farlo confessare. «Può darsi che Valerio ce lo abbia detto, ma il modo in cui ottenne quella confessione mi impressionò. Mi soffermai più su quello, ad essere sincero». Piperno fa uno sforzo per ricordare. Dice: «Comunque ci ponemmo il problema della loro difesa, anche alla luce dei loro alibi, che si dimostravano sempre più fasulli. Ma se erano stati loro, eravamo comunque persuasi si trattava di dabbenaggine omicida. Non avevano l’intenzione di uccidere, e di questo ne sono ancora convinto oggi. Li conoscevo bene, tutti e tre».
Così partì la campagna di controinformazione, che molto contribuì all’assoluzione in primo grado dei tre militanti. Il documento politico allegato al libro insiste sulla simmetria degli opposti estremismi. «La montatura di Primavalle viene presentata come il contraltare all’uccisione - da parte degli squadristi fascisti di Milano - dell’agente di polizia Marino (assassinato tre giorni prima del rogo, ndr). In questo senso, è vero che colpire tre compagni vuol dire colpire l’intera organizzazione, e in modo indiretto, l’intera "rappresentanza politica" del movimento di classe e il movimento stesso». Piperno sospira: «Primavalle è stata per Potere operaio quello che il delitto Calabresi fu per Lotta Continua. Un caso ancora più atroce, se possibile, perché le vittime erano dei ragazzi». Era l’esatto contrario di quello che voleva essere Potere operaio: «Era qualcosa che riguardava i presupposti stessi dell’esistenza della nostra organizzazione».
Oreste Scalzone è furioso, e minaccia una lettera aperta a tutti i suoi ex compagni di militanza. Vuole spiegazioni, anche se sono passati 32 anni. «Non mi occupai del libro - ricorda - e non ne fui entusiasta. Ho sempre avuto orrore per le dietrologie di cui era infarcito. Era una cattiva azione sul piano culturale. Ma anche l’unico modo per evitare che al male si sommasse il male, quindi per strappare Lollo, che all’epoca era l’unico detenuto, all’ergastolo». L’altro leader storico di Potere operaio aiutò i tre militanti nella fuga («Non mi sono mai posto il problema della loro colpevolezza»). Quello su cui chiede chiarimenti è altro. Morucci, e quella pistola puntata alla testa di un compagno. «A me nessuno lo raccontò mai. Altrimenti avrei posto una questione che reputo valida ancora oggi. Se avessi saputo che altri compagni avevano tollerato quel gesto, me ne sarei andato da Potere operaio. Spero che Morucci dica il falso. Altrimenti significherebbe che è stato commesso un orrore per acquisire la verità e poi difendere comunque la menzogna. Sarebbe terribile».
È probabile che sia andata così. Morucci portò la verità ai suoi capi di allora, che scelsero un’altra strada. E forse le parole più sensate su questa storia le ha dette due anni fa un altro ex di Potere Operaio, Lanfranco Pace: «Come più volte è accaduto in quegli anni - ha dichiarato ad Aldo Grandi che lo intervistava per il suo bel libro La generazione degli anni perduti -, e non solo a noi, fummo costretti ad assumere la difesa dei nostri tre compagni nonostante la loro colpevolezza. Perché facemmo questo? Perché non c’erano alternative. Se fossimo stati dei veri rivoluzionari avremmo dovuto ucciderli e farli ritrovare magari su qualche spiaggia deserta. Decidemmo così di difenderli fino in fondo».

Cogne

Corriere della Sera 4.2.05
La madre di Cogne: non permetterò all’assassino di farla franca
Franzoni: mi farò giustizia da sola


Parla Anna Maria Franzoni: «Dimostrerò chi è il vero assassino di mio figlio, non gli permetterò di farla franca. Mi farò giustizia da sola». Condannata in primo grado a trent’anni per la morte del piccolo Samuele, massacrato nella villetta di Cogne il 30 gennaio del 2002, Anna Maria Franzoni si prepara al contrattacco in vista del processo di appello che l’aspetta nel 2005. E in’intervista a Panorama oggi in edicola racconta quali saranno le sue prossime mosse. Non ultima: una fiction sulla sua storia. «Io, prima che dal giudice, sono stata condannata dai mass media, dall’opinione pubblica. Ora accetterò di difendermi davanti a questo tribunale del popolo», racconta la donna nella casa dei genitori a Monteacuto Vallese, sull’Appennino tosco-emiliano. «Ho capito che mio malgrado sono diventata un personaggio pubblico e in pubblico devo portare il mio dolore. Dirò quello che non vogliono che dica, le verità che tengo nascoste».
Prossima tappa: il ritorno a Cogne il prossimo 2 marzo in prima serata davanti alle telecamere di Giallo uno , al fianco della conduttrice Irene Pivetti. «Non accetterò mai di essere assolta perché incapace di intendere e di volere. Il mio obiettivo non è evitare la prigione. Voglio che venga condannato il vero assassino. Non immagina che cosa significhi sapere che l’omicida del proprio bambino gira indisturbato mentre tu, la madre, sei sotto processo», dice Anna Maria Franzoni. «Perché giudici e carabinieri non indagano sull’uomo che gli abbiamo indicato come possibile assassino?».

referendum
il punto di vista de L'Unità

L'Unità 04 Febbraio 2005
L’inganno in nome del sacro embrione
VITTORIA FRANCO, senatrice Ds


Il fronte del no al referendum sulla legge 40 ha già deciso la sua strategia comunicativa, come si capisce dalle numerose prese di posizione degli ultimi giorni: impostare una campagna ideologica che pone al centro l'embrione e i suoi diritti. L'embrione è persona, dicono. È un essere umano fin dal concepimento e come tale va trattato. Dunque, niente congelamento, anche se questo costringe a ripetute stimolazioni ormonali le donne che si sottopongono alla fecondazione assistita; niente diagnosi preimpianto per verificare se l'embrione è affetto da malattie ereditarie in caso di coppie a rischio; obbligo di trasferimento anche per embrioni incapaci di svilupparsi o malati, salvo poi abortire un feto di qualche settimana. Si pretende in questo modo di chiudere con una legge una discussione che dura da secoli senza che sia stato ancora possibile giungere a posizioni condivise. Il fronte del no ha stabilito una posizione di comodo: dà per scontata, assumendola come vera, una convinzione etica che appartiene ad alcuni e non ad altri, e ne fa il perno della discussione trascurando tutte le conseguenze negative di quell'assunzione. Le obiezioni sono diverse; proverò a formularne qualcuna e a rovesciare le priorità del discorso.
1. Si accetta una concezione sacra dell'embrione occultando un dato fondamentale: che si tratta di un'entità in divenire che assume forme e nomi diversi a seconda dello stadio di sviluppo. Ciascuna di queste fasi può essere valutata diversamente sul piano etico, come già accade in molte situazioni. In Inghilterra, ad esempio, la legge parla espressamente di pre-embrione e di embrione a partire dal quattordicesimo giorno dalla fecondazione.
2. Non è necessario riconoscere all'embrione diritti, sostenere che è persona, per elaborare forme di tutela morale. Sin da quando si è cominciato a legiferare su queste materie, sono state anche previste protezioni, proprio perché si tratta dell'inizio di una vita umana possibile e non di un semplice grumo di cellule. Lo faceva già nel 1990 in Inghilterra il Rapporto Warnock, dove si può leggere: "l'embrione umano ha diritto a un grado di rispetto superiore a quello accordato a un embrione di altra specie" e necessita di una qualche forma di tutela legislativa.
Il problema che si è subito posto, però, è se tale tutela possa essere assoluta o non debba invece essere confrontata con la tutela di altri soggetti e di altri diritti. In tutti i recenti documenti europei di bioetica si va affermando il cosiddetto principio del bilanciamento degli interessi, così riassumibile: la protezione dell'embrione va graduata a seconda della fase di sviluppo e bilanciata con la tutela degli interessi di coloro che sono già persone in senso giuridico.
Una prima conseguenza della tutela morale dell'embrione - distinta dal suo riconoscimento come persona titolare di diritti - è che esso non viene posto in cima alla gerarchia dei soggetti coinvolti, ma la sua tutela è ponderata con altri valori e posta a confronto con altri beni, come la sopravvivenza di un essere già nato, la salute della donna o la cura di malattie di cui può beneficiare l'umanità grazie ai progressi della scienza. Diventa allora eticamente legittimo mettere a disposizione della ricerca scientifica embrioni non utilizzati a fini procreativi, per scoprire nuove cure per patologie gravi. Poter curare malattie degenerative di persone già nate, o prevenirle, diventa eticamente altrettanto rilevante della tutela dell'embrione. Salvare la vita di persone altrimenti destinate a una morte precoce da gravissime malattie merita di divenire priorità etica rispetto alla intangibilità di un embrione nella fase iniziale del suo sviluppo e destinato a dissolversi perché non utilizzato.
In sintesi, è legittimo sostenere che riconoscere la tutela dell'embrione corrisponde a un bisogno etico condiviso, ma essa non comporta come automatica conseguenza il riconoscimento giuridico di diritti equiparabili a quelli dei soggetti già nati. In tal modo, non si vengono a creare conflitti fra diritti (ad esempio, fra quelli dell'embrione e quelli della madre che lo deve accogliere nel suo grembo perché esso possa arrivare alla nascita), ma semmai dilemmi etici. Non che i dilemmi etici siano meno drammatici, ma si risolvono con procedure diverse, facendo appello alla coscienza dei singoli e alla elaborazione della comunità interessata.
3. Questa discussione, pur importante, non deve però fare velo alle diverse conseguenze pratiche dell'una o dell'altra posizione. È un fatto che il riconoscimento di diritti all'embrione "sin dal concepimento" produce effetti devastanti per la salute delle donne e il benessere delle coppie che hanno problemi di sterilità. Produce sofferenza. Una legge che dovrebbe favorire i progetti di genitorialità di uomini e donne con problemi non altrimenti risolubili crea invece una serie tale di ostacoli e divieti da mortificarli e renderli irrealizzabili. Se partiamo dai casi concreti di persone che ricorrono alle nuove tecniche di riproduzione per avere un figlio e costruire una famiglia, per dare realtà al desiderio più umano possibile, apparirà certamente assurdo e incomprensibile questo concentrato di divieti che, in nome di un’astratta idea di vita, nega la nascita di una vita nuova.

crimini cattolici
i gesuiti - pragmaticamente - ammettono

Corriere della Sera 4.2.05
«La Civiltà Cattolica»: per i bimbi ebrei battezzati il Sant’Uffizio ribadì la dottrina tradizionale
«Ci fu antisionismo nella Chiesa»
Antonio Carioti


Sicuramente Pio XII non era antisemita, ed anzi operò attivamente in favore degli ebrei perseguitati dai nazisti, ma sotto il suo pontificato si riscontrava ancora nella Chiesa «un certo sentimento antisionista, presente sia nel popolo sia nella gerarchia cattolica». Così, sull’autorevole rivista dei gesuiti La Civiltà Cattolica , padre Giovanni Sale spiega il contenuto della nota della nunziatura apostolica a Parigi, pubblicata dal Corriere della Sera lo scorso 28 dicembre, che nell’ottobre 1946 riportava le disposizioni del Sant’Uffizio con cui si ordinava di non consegnare alle organizzazioni israelitiche gli orfani ebrei non battezzati accolti durante la guerra da istituzioni e famiglie cattoliche. Quanto al problema dei bambini sfuggiti alla Shoah cui era stato impartito il battesimo, lo storico gesuita, autore del volume Hitler, la Santa Sede e gli ebrei (Jaca Book), osserva che in materia la decisione del Sant’Uffizio, approvata da Pio XII, non faceva altro che riaffermare la dottrina tradizionale professata dalla Chiesa, che assegna al sacramento battesimale un «carattere indelebile». Essa implica, aggiunge padre Sale, che ad ogni bambino battezzato deve essere assicurata un’educazione cattolica, «ciò che può avvenire soltanto se le persone che ne hanno cura sono cristiane». Di conseguenza il Sant’Uffizio non poteva ammettere che i piccoli ebrei battezzati fossero restituiti al loro ambiente d’origine.
In campo dogmatico, sottolinea il gesuita, non vi furono differenze di vedute tra il Vaticano e i vescovi. La delicatezza della materia indusse però l’episcopato francese a ipotizzare l’adozione di un atteggiamento pratico flessibile. In particolare, ricorda padre Sale, venne prospettata l’eventualità di chiedere alla Santa Sede una «dispensa dalla legge ecclesiastica» per i bambini ebrei battezzati. Ma evidentemente l’ipotesi non ebbe seguito, poiché prevalse la «convinzione, molto radicata nella Chiesa, che le realtà spirituali per il credente sono le più importanti e quindi devono essere sempre tutelate e difese».
L’articolo della Civiltà Cattolica riconosce che il dibattito aperto dal Corriere si è sviluppato sulla base di una documentazione autentica. Padre Sale entra anche nella questione della restituzione dei bambini ai parenti: a suo avviso, essa è esplicitamente ammessa solo nel caso di piccoli ebrei non battezzati, mentre per i minori che avessero ricevuto il battesimo, «l’ipotesi più plausibile», è che la nunziatura apostolica a Parigi abbia tradotto le istruzioni del Sant’Uffizio con una formula ambigua, «perché intendeva lasciare ai vescovi, in tale controversa materia, una certa libertà di scelta». Nessuna divergenza sostanziale viene comunque individuata dalla Civiltà Cattolica tra la nota uscita sul Corriere e il coevo dispaccio della Segreteria di Stato, pubblicato dal Giornale , che si trova, oltre che negli archivi vaticani, nello stesso incartamento da cui proviene il documento riprodotto sul Corriere .
Si può peraltro aggiungere che nel 1953 il Sant’Uffizio esortò la Chiesa francese a «resistere nella misura del possibile» di fronte a una sentenza che disponeva la consegna alla zia israeliana dei due fratellini ebrei Finaly, battezzati dalla direttrice di un asilo di Grenoble che si era presa cura di loro per sottrarli alla Shoah.
A tal proposito Padre Sale sottolinea che la vicenda Finaly, poi risolta con il ritorno dei due orfani alla famiglia, fu un episodio pressoché isolato, perché in generale la Chiesa «non sfruttò la situazione a lei favorevole per imporre il cristianesimo a bambini ebrei ospitati presso istituti cattolici». E cita in questo senso l’omaggio rivolto nel 1958 a Pio XII, in occasione della sua scomparsa, dal rabbino capo di Israele, Isaac Herzog.
Lo studioso respinge ogni indebita ingerenza di «ambienti anticattolici» nel processo di beatificazione di Pio XII, mentre giudica di buon livello il dibattito suscitato dal Corriere , «a parte qualche deprecabile caduta di tono, che fortunatamente non ha avuto seguito e non ha abbassato il livello del confronto».
Quanto infine ai rapporti tra Chiesa cattolica ed ebraismo, padre Sale afferma che Eugenio Pacelli, nelle vesti prima di segretario di Stato e poi di Pontefice, si oppose sempre con fermezza al razzismo hitleriano. Altro, conclude, è il discorso sulle relazioni tra le due fedi in campo religioso, poiché «sarebbe anacronistico attendersi da Pio XII come Papa dichiarazioni dottrinali o anche gesti e atteggiamenti pratici concepibili soltanto dopo gli sviluppi del Vaticano II».

Cina

Corriere della Sera 4.2.05
L’ANALISI
Hu Jintao, il cinese che vuole dare una mano agli Usa
Il presidente è tentato dalla possibilità di rivalutare la moneta aiutando così il deficit americano
Danilo Taino


L’idea di salvare il capitalismo, o almeno di dargli una mano in un momento di crisi, attrae molto Hu Jintao, comunista, presidente della Repubblica Popolare Cinese. E oggi, a Londra, gli si apre una finestra di opportunità per farlo: se, come alcuni sostengono, la delegazione di Pechino presente alla riunione del G7 finanziario darà il via a un processo di rivalutazione dello yuan, la Cina si potrà accreditare come il Paese che ha fatto il primo passo verso la soluzione degli squilibri finanziari del mondo. Non sarà un’operazione facile, per Hu: i suoi tecnici gli consigliano prudenza e i rischi sono consistenti. Ma l’occasione politica è attraente. Succede che, dopo essere stati sottoposti a oltre un anno di pressioni internazionali, i cinesi sono ormai convinti di dover rivalutare la loro moneta, oggi agganciata a quella americana con un rapporto di 8,28 yuan per dollaro. Negli ultimi anni, le crescite dell’economia e delle riserve valutarie della Cina sono state impressionanti mentre il tasso di cambio è rimasto fisso: l’associazione delle imprese manifatturiere americane ritiene che, a questo punto, lo yuan (o reminbi, moneta del popolo) sia sottovalutato del 40%, il che darebbe a Pechino una capacità di esportazione micidiale e inaccettabile. Questa percentuale è probabilmente esagerata ma non ci sono dubbi sull’ampia sottovalutazione della moneta cinese. Le stesse imprese europee, italiane in testa, sono fortemente penalizzate dalla concorrenza delle merci cinesi, già molto competitive grazie al basso costo del lavoro e per di più agganciate a un dollaro che si svaluta sui mercati.
Alla riunione del G7 di oggi e domani, dunque, gli occidentali continueranno a fare pressioni su Pechino perché rivaluti o, ancora meglio, lasci fluttuare lo yuan in modo che si apprezzi. Ma ci sono due novità. Il Cancelliere dello Scacchiere britannico Gordon Brown ha invitato alla riunione dei Sette grandi (Usa, Giappone, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia, Canada) anche Cina, India, Russia, Brasile e Sudafrica. E, soprattutto, i cinesi - che saranno presenti con il governatore della banca centrale Zhou Xiaochuan e con il ministro delle Finanze Jin Renqing - sono pronti a discutere della questione: ieri lo ha confermato lo stesso Zhou.
Sui mercati, molti esperti dubitano che tra oggi e domani si annunci la rivalutazione: i tecnici cinesi sostengono di non essere pronti, di temere flussi speculativi fuori dallo yuan e di essere preoccupati per la stabilità del loro fragile sistema bancario. La Casa Bianca, però, sembra convinta che il momento della decisione sia vicinissimo: «Abbiamo visto che sono stati fatti dei passi consistenti - ha detto John Taylor, il sottosegretario al Tesoro che partecipa alla riunione di Londra (il segretario John Snow è malato) assieme al presidente della Fed Alan Greenspan -. I cinesi continuano a enfatizzare di volere arrivare a un cambio flessibile». E’ dunque probabile che Pechino dia ai ministri delle Finanze - anche se non pubblicamente - garanzie sui tempi della rivalutazione, che potrebbe avvenire entro sei mesi.
Il passo sarebbe di importanza fondamentale non solo per i rapporti tra valute e per gli scambi commerciali internazionali ma anche per mettere in via di soluzione gli sbilanci finanziari dell'economia americana e del dollaro. Nel 2004, gli Stati Uniti hanno avuto un deficit commerciale verso la Cina che si stima sui 160 miliardi di dollari (su un deficit complessivo di 600): una rivalutazione dello yuan potrebbe avviare un’ulteriore discesa del dollaro verso il complesso delle altre valute, un riaggiustamento della bilancia commerciale americana e, nel lungo periodo, una riduzione del deficit dei conti correnti.
Con la sua mossa, cioè, Pechino può dare il via alla soluzione di alcuni dei problemi strutturali dell'economia mondiale: proprio come fece in Asia durante la crisi del 1997, solo che questa volta la funzione «benevola» si eserciterebbe su scala globale. Ed è questa la ragione per la quale il presidente Hu vuole dare un segnale forte già al vertice di Londra: Pechino si presenterebbe da protagonista anche nell’assicurare la stabilità finanziaria mondiale e nel mettere il dollaro e l’economia americana sulla strada di risolvere i loro problemi.
La riunione di oggi e domani, dunque, potrebbe segnare una svolta: anche in fatto di valute, la Cina di Hu inizia a mostrare i muscoli.

crimini di guerra

Corriere della Sera 4.2.05
IMPUTATO PER «CRIMINI DI GUERRA»
Rumsfeld: forse eviterò la Germania


WASHINGTON - Potrebbe rinunciare alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco il segretario alla Difesa Usa Donald Rumsfeld. E potrebbe farlo perché in Germania è imputato in un processo per «crimini di guerra» in Iraq, aperto in seguito alle denunce di abusi nel carcere di Abu Ghraib. Lo ha detto lo stesso capo del Pentagono ieri: «È una cosa di cui dovremo tener conto». Deciderà nell’arco della prossima settimana. Il procedimento contro Rumsfeld è stato avviato dal Center for Constitutional Rights di New York, che ha deciso di presentare le accuse in Germania perché qui, nei casi di crimini di guerra, le leggi consentono di perseguire cittadini stranieri. Una situazione analoga si era verificata per Rumsfeld in Belgio.
_______________________________

su Agenzia Radicale
è uscita una lunga intervista in due parti di Paolo Izzo

con Annio G. Stasi e Mery Tortolini sul libro


"L'Ospite e l'Arlecchina"


in essa si parla anche di Massimo Fagioli, e può essere letta (nelle sue due parti) collegandosi ai seguenti indirizzi:

http://www.quaderniradicali.it/agenzia/index.php?op=read&nid=2403
e
http://www.quaderniradicali.it/agenzia/index.php?op=read&nid=2418

o, tutt'insiemo, su SPAZI
_______________________________