mercoledì 24 settembre 2003

test psicologici per i magistrati

Il Tempo 24.9.03

Manina misteriosa protegge la psiche dei pm


STA ASSUMENDO i contorni di un giallo la vicenda dell’emendamento sul test di attitudine psicologica per uditori e magistrati, presentato nei giorni scorsi dal senatore diessino Elvio Fassone (nella foto) al ddl governativo sull’ordinamento giudiziario, attualmente all’esame della commissione giustizia. Secondo quanto dichiarato dallo stesso Fassone, infatti, nei giorni scorsi era stata recepita una sua proposta che mutuava dalla Francia il sistema di test attitudinali psicologici periodici obbligatori previsti per i neo magistrati o per i togati di lungo corso. Interpellato dal Velino per avere maggiori particolari, Fassone si è però accorto, scorrendo il testo del suo emendamento, che il riferimento all’equilibrio psicologico del magistrato è scomparso. “Immagino”, ha dichiarato, “che qualcuno abbia considerato implicito nel concetto di ‘equilibrio’ del magistrato anche l’aspetto psicologico. Avevo pensato, sulla base delle mie esperienze di diritto comparato, che quanto previsto oltralpe, potesse funzionare anche da noi. Dopo i 31 mesi di tirocinio, infatti, gli uditori vengono sottoposti a una serie di valutazioni tecniche e psicologiche. Nel maxiemendamento mi era sembrato opportuno proporre lo stesso schema per la futura scuola della magistratura. Inoltre, si prevedevano verifiche costanti anche per i magistrati in carriera”. Nemmeno il relatore Luigi Bobbio riesce a risalire alla “manina” che ha estromesso la psicologia dal provvedimento: “Presumo anch’io, come Fassone, che in sede di redazione si sia considerato implicito il riferimento all’equilibrio psicologico ma non saprei dire chi ha corretto il testo”. Il giallo continua...
Da Il Velino

«che cos'è la logica?»

Giornale di Brescia 24.9.03

Incontro con Piergiorgio Odifreddi, docente all’Università di Torino e autore di un saggio sulla storia d’una disciplina nemica dei falsi idoli
La logica, un diavolo che aiuta l’igiene mentale

intervista di Emiliano Ippoliti


Cos’è la logica? «Viceversa, se fosse così, lo sarebbe; e se era così, lo sarebbe; ma dato che non è così, allora non lo è. Questa è logica». La spiegazione datane dallo scrittore inglese Lewis Carroll in Attraverso lo specchio (continuazione di Alice nel paese delle meraviglie) può renderci chiaro, con una dose di ironia, uno degli aspetti più interessanti della logica: il suo carattere pervasivo, la sua connessione con tutti i campi dell’attività umana, a partire da quello linguistico. Ma Piergiorgio Odifreddi, docente di Logica matematica all’Università di Torino e apprezzato divulgatore scientifico, nella sua ultima opera intitolata Il diavolo in cattedra (Einaudi) ci offre un punto di vista ancor più stimolante: la logica, a suo dire, sarebbe opera del diavolo. Per dimostrarcelo il professor Odifreddi ripercorre i momenti cruciali del pensiero razionale: da Platone e Aristotele fino al teorema di Kurt Gödel, passando per l’opera del filosofo e scienziato tedesco Gottfried Wilhelm von Leibniz e il dibattito di fine Ottocento sulla nozione d’infinito potenziale e attuale, di cui furono grandi attori il tedesco Richard Dedekind e il russo Georg Cantor; si sofferma sul pensiero del logico tedesco Gottlob Frege, promotore di una matematica fondata su basi puramente logiche, e su Bertrand Russell che ne inficiò il progetto comunicandogli un paradosso che minava dalle fondamenta l’edificio teorico del logicismo; quindi passa a parlare del ruolo e delle prospettive dell’Intelligenza Artificiale, a partire dal teorema di Alan Turing, e delle motivazioni che spinsero il matematico ungherese John von Neumann, presso la prestigiosa Università di Princeton, a ideare e costruire una macchina che rappresentò il primo prototipo di computer. I logici, insomma, hanno la diabolica, ma fruttuosa, abitudine di non accontentarsi di ciò che vedono e sentono, di spaccare il capello in quattro.
- Prof. Odifreddi, «Il diavolo in cattedra» è un titolo insolito e curioso per un testo dedicato alla logica. Che cosa gliel’ha suggerito?
«Un paio di riferimenti letterari, che si trovano nella Divina Commedia e nel Faust di Goethe, dove il diavolo impersona lo spirito della logica. "Forse tu non pensavi ch’io loico fossi!", fa dire Dante al demonio. Egli, infatti, è il simbolo della divisione o della separazione, come dice il suo stesso nome, derivato dal greco diabolé, " calunnia", mentre Dio è il simbolo dell’unione. La logica è il pensiero dualistico per eccellenza: separa il vero dal falso, così come il diavolo rappresenta la separazione del male dal bene».
- Cos’è la logica?
«Etimologicamente, è lo studio del logos, ossia, a seconda delle accezioni del vocabolo greco, del linguaggio, del pensiero e del rapporto. Per questo la logica è così pervasiva, e la si studia in tanti dipartimenti universitari: matematica, filosofia, informatica, linguistica, psicologia...».
- Qual è il suo legame con la filosofia e la matematica?
«In matematica il bisogno della logica è sorto con la scoperta degli irrazionali, cioè di grandezze non "commensurabili". Ma anche con la constatazione che alcune delle intuizioni matematiche, sia aritmetiche che geometriche, erano corrette, mentre altre erano sbagliate. C’era dunque bisogno di confermare o refutare le intuizioni mediante ragionamenti corretti, e la verifica della correttezza dei ragionamenti è appunto il pane quotidiano della logica. Quanto alla filosofia, si è avvertita una necessità simile con la scoperta dei paradossi, primo fra tutti quello del mentitore: il fatto, cioè, che la semplice frase "sto mentendo" non possa essere né vera né falsa. Anche qui c’era il bisogno di capire come fosse possibile che il linguaggio generasse contraddizioni tanto facilmente, sfuggendo di mano all’uomo senza che nemmeno se ne accorgesse. In Occidente, che è l’unico ambito di cui tratto nel mio libro, la logica nacque con la filosofia greca classica. Platone introdusse i primi rudimenti di quella che oggi chiameremmo l’analisi logica del linguaggio. Aristotele e gli stoici, invece, isolarono e classificarono i modi fondamentali del ragionamento, ossia il modo in cui si mettono insieme le proposizioni».
- Cosa può insegnarci un viaggio fino alle radici storiche della logica, dall’antica Grecia a noi?
«Ci può far vedere come molti degli sviluppi moderni fossero in realtà già stati raggiunti dai Greci e siano poi stati dimenticati per secoli, ritrovati dagli scolastici medievali, e di nuovo dimenticati. Da un lato, questo ci conferma la loro validità: se una cosa succede una volta, può essere un caso; se si ripete due volte, può essere una coincidenza; ma se accade tre volte, è preme dita zione! Dall’altro lato, il fatto che per due volte si siano dimenticate le scoperte dei Greci e degli scolastici ci spinge a far tesoro di ciò di cui ci siamo riappropriati, per evitare che finisca di nuovo dimenticato in eventuali nuovi "secoli bui"».
- Qual è il principale contributo dato dalla logica al pensiero scientifico del Novecento?
«L’influsso più diretto è venuto tramite il neopositivismo del Circolo di Vienna, che a sua volta s’ispirava a una delle opere logiche più importanti di inizio secolo: il Trattato logico-filosofico di Ludwig Wittgenstein. Ma anche la tecnologia ha beneficiato della logica: il computer, ad esempio, che è l’innovazione più radicale dei nostri giorni, fu inventato da Alan Turing nel 1936 per risolvere un problema di logica. Da lì ha origine il legame con l’informatica».
- La logica potrà contribuire anche alla scienza del futuro, e come?
«Le applicazioni della logica a volta sono inaspettate. Per fare un esempio, Kenneth Arrow e Amartya Sen, premi Nobel per l’economia, hanno elaborato la teoria delle scelte sociali usando semplici strumenti logici. O per farne un altro, John Bell ha dimostrato con un argomento di logica elementare che nel famoso dibattito fra Einstein e Bohr sulla meccanica quantistica, era il secondo ad avere ragione. Ma, più in generale, la logica è utile soprattutto come igiene mentale: l’analisi delle nozioni e dei ragionamenti permette di decostruire le tante illusioni che purtroppo infestano il pensiero in ogni tempo, compreso il nostro. Come le malattie fisiche, anche quelle intellettuali vanno diagnosticate e curate, e la logica è la cura più sperimentata e sofisticata. Vale la pena di conoscerla e usarla».

il tempo degli antichi: il Medio Evo

Corriere della Sera 24.9.03

Un convegno a Parma analizza il «tempo degli antichi» attraverso oltre mille anni di arte, architettura e urbanistica
Medioevo, tre culture in riva al Mediterraneo

di Arturo Carlo Quintavalle


Nel Medioevo, nei mille e passa anni fra l’arte paleocristiana e Giotto, che cosa vuol dire antico, che cosa vuol dire passato, che cosa tempo? E esiste un solo tempo degli antichi o ve ne sono diversi, e magari contrapposti, visto che presto, dal VII e VIII secolo, le culture sulle rive del Mediterraneo sono tre: la occidentale, la bizantina, l’islamica? È questo il tema del Convegno internazionale di studi Medioevo: il tempo degli antichi che si apre a Parma oggi a Palazzo Sanvitale e che fino al 28 concentrerà le 54 relazioni dei maggiori studiosi di Medioevo delle Università di mezzo mondo.
Nella Alexiade, Anna Comnena (agli inizi del dodicesimo secolo) è la principessa che alla corte di Bisanzio vede arrivare i comandanti della Prima Crociata, osservando che i principi d’Occidente sono rozzi, evidentemente sporchi, non sanno usar le posate, dunque sono estranei alla civiltà altissima della grande capitale, la metropoli d’Oriente.
Ecco, in che tempi vivevano i Crociati e in che tempi invece i civilissimi imperatori d'Oriente? Certo, mondo occidentale e Bisanzio hanno le stesse radici nell’Impero romano e Agostino ne La città di Dio sostiene che l’espansione dell’Impero è stata voluta dal Signore perché meglio si diffondesse la religione cristiana. Dunque, il tempo è prefigurato dal volere divino? Certo, ma i due Imperi, quello d’Occidente rinato con Carlo Magno e l’altro d’Oriente mai interrottosi dal tempo di Costantino, propongono un rapporto diverso con il passato. Per questo, un’importante serie di relazioni analizzerà la lunga durata del tempo di Bisanzio (Andaloro, Popova, Muratova, Ricci) testimoniando di un’organizzazione del territorio, delle architetture, delle immagini e, dunque, di una continuità con l’antico estranea comunque al Medioevo d’Occidente.
Qui, infatti, puoi prendere i frammenti romani e riutilizzarli, persino riusare le tessere dei mosaici, o copiare gli archi di trionfo nei portali scolpiti delle chiese, o i capitelli o i manoscritti (Kilerich, Castineiras, Valenzano, Peroni, Calzona, Caillet, Casartelli, Zanichelli, Gandolfo), ma alla fine la continuità, l’idea del tempo misurato secondo gli anni degli imperatori appare lontana. Semmai sono i pontefici di Roma a segnare un tempo nuovo e diverso in Occidente.
E l’Islam? L’Islam in apparenza riprende esso pure i frammenti del mondo romano o bizantino; così, per esempio, alla moschea Al Azar del Cairo, a fine dell’XI secolo, i capitelli di reimpiego bizantino sono moltissimi, e nella moschea di Cordoba i capitelli (quelli non fatti ex novo) sono riutilizzi di pezzi romani, tardo-antichi, visigotici; eppure qui, e in ogni altro luogo simbolico dell’Islam, l’idea non è quella delle chiese d’Occidente che intendono mostrare la continuità col mondo paleocristiano.
Nel mondo islamico è vero l’opposto, si cita, si riutilizza per dimostrare che tutto il passato rende omaggio, diventa nuova immagine negli edifici religiosi dell’Islam.
I tempi dell’antico nel Medioevo sono diversi e, a volte, si fanno scoperte singolari. Come Alain Erlande-Brandenburg che, scavando, trova che le navate delle chiese gotiche di Francia sono fondate su quelle delle antiche basiliche paleocristiane, dunque quello spazio nuovissimo nasce dall’antico.
Oppure come Xavier Barrai, che ritrova la geografia imperiale del rosso porfido e quella dei marmi per le sepolture dei santi e dei sovrani, e Tullio Gregory, che analizza la consapevolezza medievale del rapporto con un antico che, da Platone a Aristotele, appare irraggiungibile modello, «nani sulle spalle dei giganti» come scrive Giovanni di Salisbury. II dialogo con l’antico trasforma l’intera civiltà del Medioevo, lo dimostrano Enrico Castelnuovo e Salvatore Settis, che analizza l’età di Federico II, e decine di altri studiosi con loro.
Nei racconti de Le mille e una notte (composte nel IX secolo ma trascritte nel XV in Egitto) il palazzo, quello del sultano, quello del califfo, è il luogo delle meraviglie; ma qui non si raccolgono frammenti antichi, non si mostrano frammenti del passato, ma automi, fontane meravigliose, insomma creazioni dell'oggi.
Il mondo islamico nel Medioevo vive nella contemporaneità, esalta nuove tecnologie, per dimostrare la sua forza, la sua espansione enorme. Diverso il rapporto con il tempo in Occidente, la Chiesa ha scandito il recupero del mondo del passato costruendo il parallelismo fra Vecchio e Nuovo Testamento, prefigurato appunto dal Vecchio, per cui la storia esiste, certo, ma è come un cerchio che torna su sé stesso, direbbe Le Goff, e il tempo è l’anno cristiano che ritorna.
Così, nelle culture attorno alle sponde del Mediterraneo, si confrontano tempi differenti e modi diversi di citare il passato: i modelli appaiono costanti e stabili a Bisanzio; si utilizzano invece frammenti del passato romano o delle culture così dette barbariche nelle varie aree dell’Occidente. Comunque, il rapporto con il passato serve per dignificare attraverso di esso la città, l’edificio, il manufatto. Nel mondo dell’Islam il rapporto con il passato è funzione del presente. Per questo, gli storici arabi delle crociate descrivono gli invasori dell’Occidente come sanguinari, ma soprattutto come incivili, come selvaggi. Per questo, i tempi degli antichi nel Medio Evo sono anche confronto di racconti storici diversi sulle rive del Mediterraneo.

quale film rappresenterà l'Italia agli Oscar?

Corriere della Sera 24.9.03

Film italiano per l’Oscar, giuria contestata
Da Monicelli a Moretti, appello contro i 112 nuovi votanti. Rondi: nomine legittime


Acque agitate nel mondo del cinema italiano. Oggetto della contesa la composizione della giuria del David di Donatello, che non solo assegna ogni anno i ben noti premi ma designa anche il film da candidare alla corsa per l’Oscar (l’1 ottobre l’annuncio), sperando venga poi inserito da Hollywood nella cinquina. Ieri, una cinquantina di illustri cineasti, da Moretti a Monicelli, da Procacci a Marco Risi, da Giordana a Barbareschi, da Occhipinti a Barbagallo, da Soldini alla Buy a Piccioni, hanno sottoscritto un appello al presidente dell’Ente Gian Luigi Rondi: nel documento si contesta la decisione di allargare la giuria di 112 nuovi votanti proprio alla vigilia della designazione del titolo italiano per la statuetta americana.
I favoriti sembrano i film di Avati e Salvatores, a sorpresa potrebbero spuntarla Giordana o Ozpetek, in lizza anche Faenza e Bellocchio.
Ma perché 112 nuovi giurati fanno tanto discutere? Ufficialmente i firmatari della protesta sostengono che sia mancato un confronto tra le categorie interessate, anche se tra i votanti ci sono comunque nomi famosi come Salvatores, Abatantuono, Argento, Costanzo, Lavia, Scaparro. Nella lista ci sarebbero però anche tanti personaggi poco significativi per il cinema.
«Impossibile tornare indietro - dice il presidente dell’Ente David, Gian Luigi Rondi - l’allargamento è legale e legittimo. Gli spagnoli del Goya, per esempio, hanno 700 votanti, i Cèsar francesi addirittura 3500. Noi finora ne abbiamo avuti 380, tra ex vincitori e personalità varie della cultura».
«Perciò, visto che siamo diventati un’Accademia, abbiamo deciso in consiglio direttivo l’allargamento e il 7 luglio abbiamo inserito i nomi, comunicati da autori, produttori ed esercenti. Per ora non possiamo tornare indietro, rischieremmo cause civili con gli interessati. In ogni caso c’è la massima trasparenza: tutti i prescelti sono su Internet, chiunque può giudicare».
Non sono tutti d’accordo e molti si esercitano in cine-dietrologia. Sarà una mossa per contrastare Pupi Avati, presidente di Cinecittà o Gabriele Salvatores distribuito dalla Medusa?
I nuovi nomi a chi saranno più graditi: al ministero dei Beni culturali, all’Agis, alla Rai che cerca rivincite dopo il mancato Leone d’oro di Venezia per Marco Bellocchio, all’Anica? A chi giovano?
Giordana che con La meglio gioventù trionfa in Italia e in Francia, dice che, come suo costume, accetterà i verdetti.
«Ma non è bello cambiare le giurie in corsa, mentre sarebbe giusto sapere chi sono i nuovi iscritti, anche se poi al momento del voto vince sempre il cuore e non il calcolo». Ottimista.
Monicelli aggiunge: «Chiaro che bisogna sapere chi sono i nuovi votanti e quale titolo hanno per questo ruolo». Pessimista il produttore Domenico Procacci della Fandango, che quest’anno non ha titoli in lizza per l’Oscar: «Eravamo d’accordo che dovevamo decidere tutti insieme sui nomi - afferma Andrea Occhipinti - e non che fossero decisi in blocco dalle associazioni e inseriti automaticamente durante l’estate. Vogliamo sapere chi sono e perché sono qui, a parte i soliti noti».
Lionello Cerri, il produttore di Soldini e Piccioni, fa parte del consiglio di presidenza del David: «I nuovi venuti devono sapere di cinema, andarci, giudicarlo, essere insomma moralmente responsabili del compito. Quindi va bene allargare la giuria, perché il numero ma che nomi sono passati? Io molti non li conosco».
E Gabriele Salvatores? Spiega che è rientrato nella giuria (da anni era un suo diritto poiché ha vinto l’Oscar) dopo un periodo di incomprensioni con l’Ente. Ammette che il ruolo è scomodo: «Sono in lizza per la designazione, altro non posso dire».

alla Feltrinelli di Piazza Piemonte, per chi è a Milano o dintorni

Corriere dela Sera, cronaca di Milano 24.9.03

L’INCONTRO
Dietro le quinte di «Buongiorno, notte»


Lui è il regista piacentino dei «Pugni in tasca», «L’ora di religione» e del recentissimo «Buongiorno, notte» sul sequestro di Aldo Moro. Lei è una giovane attrice romana (29 anni domani) che ha studiato teatro a Londra e ha fatto fortuna nel nostro cinema. Marco Bellocchio e Maya Sansa, che incontrano il pubblico questa sera alla Feltrinelli di piazza Piemonte (ore 21, ingresso libero, coordina Roberto Escobar), hanno lavorato insieme per la prima volta nel 1998 sul set di «La balia», in cui la Sansa interpretava una volitiva ragazza siciliana. E ancora siciliana e volitiva l’abbiamo ritrovata nella «Meglio gioventù» di Marco Tullio Giordana, penultimo ruolo cinematografico prima di «Buongiorno, notte». Nel film, presentato all’ultima mostra di Venezia, la Sansa è Chiara, terrorista e unica donna tra i carcerieri di Moro. La mancata premiazione al Lido ha fatto scandalo, ma non ha impedito al pubblico di riempire le sale e di lodare regista e interpreti. Chi li ama, li segua alla Feltrinelli.

Il medioevo, di Jacques Le Goff

(ricevuto da Paola D'Ettole)

Il sole 24ore, dal Domenicale del 21.03.09

Secoli allegri tra vino, donne e libri


L'età di mezzo rivisitata dallo storico francese ci appare diversa dagli stereotipi ai quali siamo abituati: furono tempi di grandi progressi, dal credito all'architettura, dalla musica alle buone maniere

di Jacques Le Goff

La società medioevale non aveva la nozione di progresso, sicché ai nostri occhi è un paradosso il contrasto che oppone la sua ideologia del declino e dell'instabilità (ruota della fortuna) ai progressi reali che vennero realizzati, in particolare nell'ambito della tecnologia. Cominciamo col dire che il medioevo conobbe, produsse l'espansione monetaria, simboleggiata in questa mostra dalle prestigiose monete d'oro, fiorino (fiorentino) e ducato (veneziano), testimoni sia della fioritura economica che permette, nel XIII secolo, di tornare a coniare moneta aurea, sia del dominio in questo campo delle grandi città commerciali italiane: Genova, Firenze, Venezia. Vi si potrebbe aggiungere lo scudo d'oro del re di Francia san Luigi IX, moneta effimera, non sostenuta da un'economia abbastanza forte, ma caricata di un'altra funzione: quella di essere espressione dello Stato quale si viene affermando nelle grandi monarchie cristiane, l'inglese e la francese.
Fra le novità tecnologiche di particolare impatto troviamo quelle legate alla moltiplicazione di monumenti spettacolari: le chiese e in special modo le cattedrali. Se non vi troviamo affreschi, troviamo però testimoniato l'affermarsi della fabbricazione del vetro, soprattutto del vetro colorato: le vetrate. É bene avere a mente e raffigurarsi davanti agli occhi il fatto che l'aspetto grigiastro assunto ai nostri giorni da monumenti e oggetti medioevali nasconde la realtà storica di un mondo invece coloratissimo.
Un'altra tecnica artistica ereditata dall'Antichità e praticata con brio dal medioevo è il mosaico. Come pensare al medioevo senza ricordare Venezia e i suoi mosaici?
L'economia medioevale è sostanzialmente un'economia rurale; il mondo predominante è quello della terra, dei contadini, presente nella mostra in due modi. Innanzitutto con l'evocazione della vigna e del vino, che i Romani avevano portato a nord delle Alpi. Il cristianesimo, che attribuisce profonda importanza simbolica e liturgica al vino, assimilandolo al sangue di Cristo, sviluppò la coltura della vigna financo in Britannia. Il tema del calendario, dei lavori dei mesi, che esaltò il lavoro agricolo nelle chiese medioevali, metteva decisamente in rilievo il vignaiolo. Del resto siamo a Parma, dove possiamo ammirare il superbo ciclo dei mesi scolpito dall'Antelami per il battistero, di cui proprio il settembre - la vendemmia - è stato generosamente prestato. Né possiamo dimenticare che il medioevo è l'epoca in cui, al di là del significato religioso, il vino diviene la bevanda prediletta dell'aristocrazia e della borghesia europee e, secondo le diverse zone climatiche, disputa il primo posto nel gusto delle masse alla cervogia, antenata della birra.
Ci sono poi gli attrezzi da lavoro, testimonianze fondamentali di una civiltà. La mietitura, nel medioevo ma poi fin quasi ai giorni nostri, si faceva con la falce e il falcetto; la vigna veniva mondata con la roncola. I progressi della tecnologia medioevale sono altrettanto clamorosi nel campo tessile: basti pensare all'introduzione del telaio verticale. La lavorazione dei tessuti conobbe una grande fioritura; i suoi prodotti si sono conservati fino a oggi grazie alla produzione di stoffe di lusso (il medioevo è l'epoca della diffusione della seta). In particolare, il lusso clericale, considerato dalla Chiesa come indispensabile al prestigio dell'alto clero, ha richiesto la creazione di magnifici paramenti, che appunto ancor oggi ci permettono di misurare l'importanza dell'attività liturgica durante tutti i secoli che chiamiamo medioevali.
Il medioevo è anche l'epoca della grande diffusione dello scritto. Esso rivoluziona le pratiche del dominio, del governo, del potere a livello sia cittadino sia ecclesiastico o di Stato. A questo si associa il trionfo del libro, reso possibile dall'adozione sempre più generalizzata, tra il IV e l'VIII secolo, del codice - il libro appunto - di contro al rotolo antico, scomodo e poco pratico. Il libro è uno dei grandi prodotti della civiltà medioevale.
Valorizzazione dello scritto che crea inoltre strumenti atti a sostenerne l'efficacia. Tra i più importanti ricordiamo, in assenza della firma, che compare tardivamente, gli oggetti capaci di garantire l'autenticità di un atto pubblico o privato e del suo autore, potentato o no: i sigilli. Il sigillo si diffonde ampiamente e a tutti i livelli della società medioevale, tanto che riescono a impossessarsene, usarlo, imporlo, persino dei contadini.
I luoghi dove più si utilizzano gli strumenti costituiti dalla scrittura e dal libro sono le scuole. Nell'alto medioevo la scuola è di fatto riservata ai futuri ecclesiastici. Si trovano per lo più solo nei monasteri o nelle sedi episcopali (scuole cattedrali) e accolgono un numero assai limitato di rampolli dell'aristocrazia laica. Con la rinascita del XII secolo e l'espansione urbana si assiste a una vera e propria esplosione di scuole. Al vertice si insediano quelle particolari corporazioni di docenti e di studenti che sono le università: Bologna, Parigi, Oxford - poi le università dell'Europa centrale e settentrionale, fondate nel corso dei secoli XIV e XV. Istituzioni potenti, che ricevono i loro statuti da papi, sovrani, potentati. Si vedono in questa mostra le carte di fondazione concesse dal papa Clemente VI e da Carlo IV, re di Boemia, re di Germania e imperatore, alla prima grande università dell'Europa centrale, Praga.
Una delle grandi creazioni intellettuali e politiche del medioevo consiste nell'elaborazione del diritto. La rinascita del diritto romano, nei secoli XII e XIII ne è un aspetto, ma forse ancor più importante è il fatto che fossero messe per iscritto le consuetudini orali su cui si reggeva la vita quotidiana delle masse e che venisse elaborato un nuovo diritto, che si occupava di aree importantissime come l'usura (dunque, l'economia), il matrimonio, il diritto canonico.
Un pullulare di professionisti e di mestieranti del diritto permea la vita delle città e degli Stati. Oltre alla figura del notaio, che ha lontane origini nel mondo romano, umili praticanti operano nella quotidianità delle norme giuridiche. Le radici dello Stato di diritto vanno cercate nel medioevo, in superficie e in profondità.
Infine, mentre il libro si democratizza e predomina, soprattutto nelle università, la scrittura corsiva, con l'uso di numerose abbreviature (per le necessità degli studi bisogna produrre testi e dispense in serie), negli strati superiori della società aumentano, sia fra i laici sia fra i chierici, i possessori di libri di lusso, che sono sempre libri illustrati. In un'epoca di quasi monopolio maschile della cultura (per secoli non ci saranno donne nelle università), compare inoltre e si estende un pubblico femminile, sia nobile sia borghese, cui sono destinati i libri di pietà chiamati , anch'essi illustrati.
Ma il mondo medioevale è un mondo di gente che sogna, ma a differenza di uomini e donne dell'antichità, che potevano farsi aiutare da interpreti professionali, numerosi e operanti persino nei mercati, non avevano a chi rivolgersi perché la Chiesa medioevale proscriveva l'interpretazione dei sogni, attribuiti per la maggior parte a Satana, o all'indecenza di corpi travagliati dall'indigestione, dall'ubriachezza o dal desiderio erotico. La Chiesa riconobbe dunque agli inizi solo alcune categorie di sognatori privilegiati: santi, re, monaci; poi si moltiplicarono nell'arte le raffigurazioni di sognatori illustri, mentre l'interpretazione dei sogni si faceva sempre più democratica. Gli artisti medioevali giunsero a definire una postura quasi liturgica per la persona che sogna: per lo più non supina, ma coricata su un fianco e appoggiata su un braccio. Il sogno diventa un genere letterario. Dai sogni di Carlo Magno nella Chanson de Roland fino al Roman de la Rose il sogno è stato un grande tema, che ha sublimato questo aspetto della quotidianità di uomini e donne. Il sogno infine s'inserisce nel crescente affinamento dei costumi che Elias ha chiamato . Buone maniere a tavola, scene d'amore, bagni, si diffondono in un'atmosfera signorile in cui gli oggetti lussuosi delle arti minori - specchi, avori, gioielli - occupavano un posto centrale. Sogni e scene cortesi sono presenti e frequenti nella società del XV secolo, che il grande storico olandese Johan Huzinga ha chiamato L'Autunno del medioevo.
Il medioevo non è il mondo triste, pieno di gemiti, di cui troppo spesso si parla e si scrive. Al contrario, ha conosciuto il riso, si è divertito, è vissuto in mezzo a sonorità e melodie. Ha inventato o perfezionato non pochi strumenti musicali. Ha fatto progredire l'arte corale con il canto fermo, chiamato anche gregoriano. Ha aperto la strada alla polifonia e, sul finire, grazie anche a nuove forme di devozione - la Devotio moderna ha creato una forma musicale moderna, l'Ars Nova. Abbiamo poche testimonianze sulla musica profana e sulla danza aristocratica, ma sappiamo dai testi che furono praticate abbastanza da suscitare l'ostilità, fortunatamente inefficace, del clero. E tuttavia la presenza eminente della musica nella società e nella cultura medioevali ha avuto sovente come teatro il luogo cruciale di quella società e di quella civiltà: la chiesa. Il medioevo infatti ha sviluppato anche uno strumento destinato a enorme fortuna: l'organo. E in più, anche se in ritardo rispetto all'India e all'Estremo Oriente, ha diffuso suoni legati alla liturgia, questo autentico calendario sonoro dell'Occidente. Parliamo delle campane, che dai campanili, a partire dal VII secolo e più tardi dalle torri civiche, hanno risuonato con sempre maggior forza in tutto l'Occidente medioevale.
Dalla Bibbia gli artisti hanno fatto uscire un grande, regale musicista: Davide, e attraverso di lui hanno innalzato al trono uno strumento - liuto o arpa - e una pratica sacra dall'origine: la danza.
Nell'ambito del gioco, le pratiche e i divertimenti sono stati numerosi. Anche qui, per lo più con una frontiera netta a separare i giochi degli strati superiori della società da quelli dei ceti popolari. Certo nel medioevo non si è praticato lo sport come si faceva nell'Antichità e come si tornerà a fare nell'Europa del XIX secolo, ma i giochi di palla sono stati presenti, tanto che l'origine del nostro calcio è da ricercarsi proprio nel medioevo. In questa mostra compare uno dei giochi più tipici dei divertimenti aristocratici, segno ancora una volta delle influenze orientali, giacché arriva dall'Asia per tramite degli arabi tra XI e XII secolo: gli scacchi. Acquisteranno tale prestigio che un bell'esemplare del XII secolo verrà attribuito a un possessore illustre, Carlo Magno. Circa l'anno 1300 il domenicano italiano Iacopo da Cessole, seguendo il gusto letterario dell'epoca per le opere di "moralità", redige il Liber super ludo scaccorum, nel quale l'interpretazione dei pezzi e del gioco degli scacchi dà luogo a una delle più interessanti descrizioni della società e delle mentalità medioevali.
Il mondo delle donne e degli uomini è ampiamente presente nell'arte medioevale. Certo nell'insieme predominano gli uomini: è il "medioevo maschio" descritto da Georges Duby; ma le donne sono ben presenti nelle rappresentazioni figurative, nelle quali si rende manifesto il loro potere di seduzione, nel bene e nel male. Ecco quindi che il tema evangelico delle vergini sagge e folli offre all'arte gotica lo spunto per belle statue dai forti contrasti. Il carattere che si vuole fondamentale della donna è la sua ambiguità, il suo essere volta a volta Eva o Maria. Ambiguità condivisa anche dai personaggi, che a volte il medioevo ricupera dai vecchi depositi mitici e popolari. Così anche le fate trovano posto nel mondo cristiano medioevale. Una di loro, Melusina, seduttrice di cavalieri, sedusse anche romanzieri e miniatori. Donna-serpente divenuta umana, feconda e benefica, dissoda terre, costruisce castelli, allatta i suoi figli. Ma la natura semi-diabolica di Melusina viene scoperta dal marito, che con ciò la condanna, sia pure involontariamente, ad abbandonare sposo, figli, dimora; potrà solo tornare di notte, lanciando descritte da Gérard de Nerval.
In questo mondo che spesso ignora la frontiera tra realtà e immaginazione si crede all'esistenza di un prestigioso animale simbolico, l'unicorno, interpretato come una vergine che fugge i cacciatori e va a rifugiarsi in grembo alla Madonna, la vergine per eccellenza. Dopo innumerevoli raffigurazioni, l'unicorno ispirò un capolavoro del XV secolo: il ciclo di sei grandi arazzi della , tra le opere più suggestive conservate al Musée du Moyen Age di Parigi.
Vedremo Maria tra i personaggi divini; tra quelli umani e femminili bisogna cominciare da Eva, che del resto nell'arte medioevale finisce col perdere la natura malefica. Nel suo ruolo di tentatrice, principale colpevole del peccato originale, Eva può incarnare la bellezza femminile, in particolare il nudo, forma in cui Maria non può certo essere raffigurata. Così esposta Eva rappresenta tra l'altro l'ossessione del corpo vissuta dalla società medioevale. I corpi delle donne aristocratiche incarnano sempre più, nella statuaria, nel ritratto, la bellezza femminile, conservando però nell'espressione del viso se non l'ambiguità certo almeno un'aura di segreto. É il caso della marchesa Uta, nella cattedrale di Naumburg.
La mostra si chiude con un'apertura: quella sull'Aldilà e sull'eternità. É il tipo di fine su cui ruminavano donne e uomini del medioevo, spintivi dalla Chiesa o anche all'interno della loro devozione personale. I rapporti tra i vivi e i morti costituiscono un aspetto fondamentale di ogni società. La società medioevale ha conosciuto un'evoluzione essenziale di questi rapporti. I vivi erano tenuti a pregare per i morti, ma a partire dalla fine del XII secolo seppero che avevano speciali doveri di preghiera verso una particolare categoria di morti: le anime del Purgatorio. É questo il momento in cui si inventa il terzo luogo del mondo ultraterreno. Da allora la geografia dell'Aldilà comprenderà cinque luoghi deputati, di cui due limbi (uno dei bambini e uno dei Patriarchi), e tre luoghi principali: Inferno, Purgatorio, Paradiso. L'Inferno e il Paradiso, a differenza del Purgatorio, dovranno durare in eterno: l'umanità medioevale cristiana aspira alla salvezza, spera di essere accolta in Paradiso. L'attesa della fine dei tempi, della fine della storia, che dovrebbe sfociare nell'eternità, ha ispirato la massima opera del medioevo, che non poteva mancare qui: la Commedia di Dante.
La presenza qui dell'Aldilà e dell'Eternità coinvolge due aspetti essenziali. Da un lato, il coronamento della storia umana è la risurrezione dei corpi, perché il cristianesimo, unico tra le religioni, ne ha fatto un dogma di fede. Dall'altro, questa è un'altra occasione per rendere manifesta l'importanza del corpo nella civiltà medioevale.
Infine, come eco alla creazione, evento fondatore della storia, quella società prevedeva per la propria fine un altro grande avvenimento. Poiché, durante il medioevo, ci si preoccupò sempre più attentamente della elaborazione del diritto e della giustizia, l'atto finale sarà un giudizio: il Giudizio Universale