giovedì 9 dicembre 2004

vi piace la bandiera della Ue? bene, anche alla madonna...

Il Gazzettino 9.12.04
Le dodici stelle della corona di Maria diventate la bandiera della Ue
Ar.Pa.

La proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione - l'8 dicembre del 1854 - si situa tra due apparizioni della Vergine: quella del 1836, alla francese suor Caterina Labouré e quella del 1858, a Bernadette Soubirou a Lourdes. Qui, quattro anni dopo la proclamazione del dogma, la Vergine, richiesta da Bernadette di rivelare il suo nome, disse in francese dialettale: «Io sono l'Immacolata Concezione». Per la prima volta si ebbe un avallo celeste ad un pronunciamento papale. La statua in cima alla colonna di Piazza di Spagna riproduce l'immagine di Maria quale fu descritta dalla veggente suor Caterina Labouré: la Vergine apre le braccia quasi all'abbraccio dei fedeli, poggia i piedi sulla luna, ed ha intorno al capo una corona di dodici stelle. A titolo di curiosità diremo che a questo si ispirò l'artista francese, Arsenne Hertz, quando vinse il concorso per la bandiera dell'Europa unita: dodici stelle su sfondo azzurro. E si dice che l'artista, cattolico praticante, aveva proprio pensato a quel versetto. Il dogma si celebra ogni 50 anni: celebrò il cinquantennio Pio X nel 1904, il centenario Pio XII nel 1954 e, ora, il centocinquantesimo anniversario Papa Wojtyla. Pio X incoronò con dodici stelle l'immagine della Madonna nel grande quadro della cappella del Coro in San Pietro. Per l'occasione aveva chiesto al giovane maestro della Cappella Sistina, don Lorenzo Perosi, di scrivere un «Tota pulchra». Il musicista gli riservò una sorpresa: trascrisse per il coro la partitura ad una voce che i ragazzi cantori cantavano ad una voce a Venezia, dove Pio X era stato patriarca. Il Papa nell'ascoltare il brano si commosse e, al termine, si inginocchiò in preghiera. Ci fu imbarazzo tra cardinali e vescovi, fino a quando don Lorenzo fece ripetere dai suoi cantori il brano. Poi il Papa si alzò, benedisse le dodici stelle e, prima di rientrare nel suo appartamento, fece chiamare il maestro e gli disse: «Mi è tanto piaciuto che l'ho voluto ascoltare una seconda volta».

embrioni

Repubblica 9.12.04
GLI EMBRIONI E L'USO DELLA SCIENZA
di Vittorio Sgaramella*

Quando nasciamo? La domanda è semplice; la risposta meno e varia da cultura a cultura. In Cina si nasce al concepimento; da noi al parto; gli inglesi (almeno come embrioni) nascono 14 giorni dopo il concepimento. In discussione non è il compleanno, ma l'evento chiave di un processo che inizia quando ovulo e spermatozoo (i gameti) si fondono, originano prima una nuova cellula (zigote), la prima d'un nuovo essere umano, poi un embrione e quindi una persona pienamente sviluppata e fisicamente e giuridicamente. Se tutto va bene. Ma in media 4 fecondazioni su 5 non procedono e finiscono in aborti spesso inavvertiti. Tre embrioni su mille si dividono in gemelli identici. Può avvenire anche il fenomeno opposto: due embrioni fraterni possono fondersi e originarne uno solo (se i due embrioni sono di sesso diverso si forma una chimera, un ermafrodito; se sono dello stesso sesso, il fenomeno può non essere neppure notato). Ai fini della comparsa di una persona, la fecondazione è necessaria, ma non basta. Il problema è come correlare lo sviluppo fisico con quello giuridico-legale: in breve quando diventiamo titolari di tutti i diritti dell'uomo, tra cui quello alla sopravvivenza, e dei corrispondenti doveri, tra cui quello della solidarietà.
Oggetto specifico del contendere è sino a quando è lecito usare embrioni per la sperimentazione biomedica, quasi sempre distruttiva, senza che questo sia perseguibile come un delitto. Sono secoli che filosofie, codici, arti s'occupano dell'inizio della vita e così miti e religioni. Anche la scienza vuol dire la sua: non cambierà millenarie credenze, ma nuove conoscenze dovrebbero aiutarci a capire meglio il fenomeno fisico, a meno che non lo si veda come interamente metafisico. Moltissimo dobbiamo alla fecondazione in vitro (Fiv), sviluppata in Inghilterra nel '70 e ai milioni di figli della provetta: nei soli Usa furono oltre 100mila nel 2001, il doppio del '96. Forse dieci volte tanto quelli persi nel processo.
La Chiesa insiste sulla coincidenza tra fecondazione e "animazione". La scienza è più possibilista e sottolinea la gradualità dello sviluppo delle caratteristiche umanizzanti, astenendosi dal resto. Le leggi dei paesi dove l'aborto terapeutico è ammesso subordinano lo statuto del feto di non piu di 3 mesi rispetto a quello della madre.
B. Knowles e colleghi suggeriscono che nel topo, ma probabilmente anche nell'uomo, durante il passaggio ovocita embrione il genoma subirebbe una massiccia riorganizzazione che continuerebbe sino a blastocisti (nell'uomo durerebbe 5 giorni). Questa riorganizazzione concorrerebbe a regolare le fasi cruciali della riproduzione, dalla fecondazione all'impianto dell'embrione. Ne uscirebbe un genoma personale che è unico e irripetibile, diverso da individuo a individuo, gemelli monozigotici compresi. Il genoma embrionale varierebbe quindi nel tempo, nel passaggio ovocita embrione, e non è escluso che vari anche nello spazio, nelle diverse cellule dell'embrione e poi nei diversi tessuti dell'adulto.
Dunque, come esseri nasciamo alla fecondazione; come persone potremmo nascere quando 5 giorni dopo il concepimento, il nostro genoma pare diventi distintamente nostro. Gli inglesi avevano scelto il termine di 14 giorni perché allora compare un abbozzo di sistema nervoso e quindi di sensibilità: prima questi "pre-embrioni" non sono ritenuti persone, ma esseri umani usabili nella sperimentazione biomedica, ovviamente previa autorizzazione delle autorità e consenso informato dei genitori. I 5 giorni di grazia suggeriti da quelle riorganizzazioni genomiche, se confermate nell'uomo, potrebbero fornire copertura legale almeno per l'individuazione degli embrioni Fiv comunque a rischio, da non impiantare ma da donare ai fini solidali della ricerca.
A questa logica risponde la proposta, saggia e condivisibile, che Amato ha illustrato su Repubblica il 13 novembre. Solo che ancorare l'inizio dello statuto protetto dell'embrione alla formazione del cosiddetto "ootide" non convince. A parte che il termine "ootide" è improprio, visto che l'omologo "spermatide" è usato per indicare un precursore dello spermatozoo. Ma più rilevante è il fatto che lo stadio in cui i due pro-nuclei materno e paterno si ritrovano nello zigote ma non si sono ancora fusi non è, né prelude alla fusio duorum gametum: quella era precedente. Non è neppure la fusio duorum nucleorum che pure sarebbe più appropriata come inizio d'un nuovo essere. I due nuclei nello zigote non si fondono, ma vengono prima replicati e poi assortiti in due coppie. Ciascuna coppia contiene un genoma materno e uno paterno, e costituirà il nucleo delle prime due cellule dell'embrione, pronte a formarsi al dimezzamento dello zigote che avverrà non appena i due pro-nuclei parentali si sono replicati.
La riproduzione parte con l'ingresso dello spermatozoo nell'ovocita: ma il nostro big bang ontologico non deve per forza coincidere con l'acquisizione dei nostri diritti/doveri di persona umana, che andrebbe invece vista come un processo graduale, dal concepimento alla morte. L'argomento che siamo stati tutti embrioni è suggestivo, ma poco più: appena prima eravamo tutti spermatozoi e ovociti. Tutto questo vale sia per gli embrioni Fiv non impiantati, sia per quelli donati appositamente a fini"terapeutici". Ora pare che questi ultimi, prodotti non da fecondazione sessuale, ma da trapianto di nucleo somatico in ovocita, proprio non ce la facciano a svilupparsi normalmente. E ciò forse anche per via delle riorganizzazioni di cui sopra, che nel caso della donazione per trapianto di nucleo sono ancora più complicate: nella donazione infatti si parla di "pseudo-embrioni". In alcuni paesi come Inghilterra o Corea, queste donazioni sono legali. Negli Usa la Harvard University ha chiesto autorizzazione a tentarle, ma solo con fondi privati e contro l'intransigente opposizione dei movimenti provita e di Bush.

* l'autore è professore di biologia molecolare

sinistra
Liberazione aderisce alla proposta del manifesto di un'assemblea per il 15 gennaio

Liberazione 9.12.04
ADERIAMO ALL'INIZIATIVA DEL MANIFESTO
Di Salvatore Cannavò

Aderiamo all'appuntamento nazionale promosso da il Manifesto per il 15 gennaio. Non si tratta di una formalità ma di una scelta consapevole. Certo, siamo il giornale di un partito che ha un ruolo molto importante in questo progetto - come attestano le dichiarazioni rilasciate - ma comunque un giornale che ha cercato di contribuire direttamente al dibattito della sinistra alternativa", alla costruzione dei movimenti, alla relazione tra forze ed esperienze diverse. Vi aderiamo, inoltre, con la volontà di costruire una relazione più avanzata tra i giornali dì questa stessa sinistra alternativa - noi, il Manifesto e Carta, ma pensiamo anche all'Unità - relazione fino a oggi piuttosto rarefatta, se si fa eccezione per alcune importanti iniziative editoriali comuni, ma che potrebbe costituire un elemento di novità che spesso la "nostra gente", quella che si schiera "senza se e senza ma" contro la guerra e il liberismo, ci richiede. Quindi un impegno convinto, una partecipazione non rituale,un contributo che speriamo sia interessante.
Del resto, l'avvio di un percorso unitario della sinistra radicale rappresenta una sorta di atto dovuto alla stagione dei movimenti apertasi a Genova nel 2001. Quell'evento fondativo, che ha consentito di costruire una novità assoluta nel panorama dei movimenti sociali, ripristinando contatti e relazioni che apparivano impensabili ed "evocando" una massa critica, soprattutto di giovani, che è andata ben al dì là della forza specifica delle realtà organizzate, da allora non ha mai avuto un corrispettivo sul piano più strettamente politico. Un deficit, questo, motivato da fattori diversi, e che non vogliamo in questa sede analizzare, ma che è stato avvertito come unl imite e un'opportunìtà mancata anche da quei movimenti che allora sembravanointeressati a partecipare a un rimescolamento delle carte della sinistra. Questa opportunità sembra oggi poter essere colta. Per le forme complesse e sofferte con cui ha visto la luce può essere utile, tuttavia, segnalare alcuni nodi da "curare" con attenzione affinché il percorso possa svilupparsi pienamente.
Il primo riguarda il rapporto con il movimento altermondialista. A noi sembra che questo debba avere un ruolo di primo piano ed essere coinvolto sia dal punto di vista dei contenuti che esprime che da quello delle realtà che rappresenta. Non ci si può limitare a un'iniziativa che faccia parlare solo i rappresentanti dei partiti o delle componenti di partito. Allo stesso tempo, è importante che l'esperienza di questi anni sia gelosamente salvaguardata e che del movimento si rispetti l'autonomia (così come del sindacato). E' un passaggio delicato in cuisi gioca il rapporto tra la "politica" partitica e quella sociale - due facceche la "crisi della politica" ha disunito e spesso messo in contrapposizione.
Il secondo nodo attiene alle difficoltà obiettive, che non dovrebbero essere esaltate ma nemmeno banalizzate. La notizia della chiusura della Rivista del manifesto è di ieri, i due principali partiti della sinistra si avviano a un congresso con inedite divisioni interne (4 mozioni nel congresso Ds, 5 in quello del Prc), e poi ci sono altre fratture consumatesi in questi ultimi mesi, gelosie mai sopite, e altro ancora. Tutto questo può essere relativizzato o, al contrario, drammatizzato da una discussione che non sia correttamente impostata e che non tracci chiaramente gli obiettivi possibili. Il terzo passaggio riguarda gli assi della discussione. Crediamo che abbia ragione Lisa Clark quando avverte dell'importanza che si discuta dei contenuti, magari tematizzandoli. Perché il rischio che ci si riduca a un progetto, a un percorso il cui fine sia solo quello di pesare sugli equilibri della futura alleanza di governo è concreto. Il fatto è che se si vogliono spostare in avantigli equilibri, l'accordo sui contenuti essenziali di una sinistra alternativa deve essere forte e sostanzialmente svincolato dal quadro politico. I punti non sono difficili da indicare, eppure vanno indicati guerra, liberismo, democrazia del/nel lavoro e democrazia tout court, migranti, cittadinanza e diritti sociali, ambiente e società sostenibile, neo integralismo e diritti delle donne sono forse quelli più importanti e più comuni. Altri ce ne possono essere e forse va realizzato un censimento.
Infine, si tratta di capire gli obiettivi. Possono essere molteplici ma vogliamo mdicarneuno immediato: potenziar el'opposizione al governo Berlusconi. Su questo versante c'è bisogno di uno scatto anche per collocare questa opposizione fuori dal mero "antiberlusconismo" - quello dei "mercenari", per intenderci - per parlare del berlusconismo come "autobiografia del paese" per utilizzare l'espressione del direttore del Manifesto,Gabriele Polo. Quindi si tratta di spostarla sul piano sociale e dell'opposizione alla guerra.
Nel corso dell'anno, nonostante una crisi verticale, il governo è riuscito a rafforzarsi e a rilanciarsi anche per un deficit di opposizione concreta sulle cose concrete. L'efficacia di un progetto di sinistra alternativa potrà essere misurata anche da come saprà incrinare questo processo.

sinistra
Zincone sulle opposizioni a Bertinotti interne al Prc

Corriere della Sera 9.12.04
CORRENTINE RIFONDAROLE, ATTENTE A NON AFFOSSARE BERTINOTTI
Cinque mozioni al prossimo congresso. La svolta «governista» del Comandante Fausto ha scatenato le minoranze trotzkiste, «sovietiche» e gauchiste. Ne abbiamo parlato con due «padri del Partito», Rina Gagliardi e Sandro Curzi. Sono preoccupati. Sentono puzza di anni '30.
di Vittorio Zincone

Una spiaggia calabrese. Il sole agostano che batte forte. Su un tavolo il Corriere dello Sera aperto a pagina 11. Claudio Grassi. leader dell'area dell'Ernesto (la destra di Rifondazione comunista «nostalgica dei soviet»), legge a bocca spalancata l'intervista con cui il segretario Fausto Bertinotti annuncia che il partito entrerà in un eventuale governo Prodi e che se tutto il popolo delle opposizioni si pronunciasse in favore di una guerra voluta dall'Onu lui si adeguerebbe. L'articolo tramortisce Grassi. E non solo lui. Tra i compagni di Rifondazione inizia un tam-tam disordinato di telefonate. Richieste di spiegazioni, lamentele, lettere di protesta. Marco Ferrando, zar dei trotzkisti dell'opposizione interna, chiede la testa del capo. Salvatore Cannavò, vicedirettore di Liberazione e portavoce dell'area Erre (i trotzkisti più vicini alla maggioranza bertinottiana) auspica una rapida retromarcia. Invece, no.
I contenuti di quell'intervista svolta diventano la base della mozione di maggioranza che Bertinotti porterà al prossimo congresso (marzo 2005): Rifondazione entra nella Gad-Alleanza ed è pronta a governare. Una posizione talmente forte da provocare un'esplosione nelle correnti del partito e la conseguente, inusuale, presentazione di almeno cinque mozioni congressuali: oltre a quella del segretario («Per una alternativa di società»), ci saranno quella dell'Ernesto («Essere comunisti») che ipotizza tutt'al più un accordo con l'Ulivo sul programma, quella di Erre (che prevede al massimo qualcosa di simile alla desistenza elettorale del '96), quella di Ferrando («I comunisti non si adeguano a Prodi») e quella di Claudio Bellotti, trotzkista dell'area Falce e Martello («Rompere con Prodi»). «In teoria ce ne sarebbe anche una sesta», spiega Rina Gagliardi, ex vicedirettrice di Liberazione ora nella direzione del partito.«Quella di Luigi Izzo, un simpatico capopopolo napoletano. Ma non credo che riuscirà a presentarla». Fatto sta che cinque mozioni sono incredibilmente tante per un piccolo partito come ilPrc. Ma soprattutto, per la prima volta, Bertinotti avrà un'opposizione di destra e una di sinistra. Lui, che di solito viene accusato dalla base ulivista di aver rovinato il governo Prodi e di aver fatto perdere alla sinistra le elezioni del 2001, per una sorta di narcisismo ideologico, ora subisce il contrappasso: apre pragmaticamente alla possibilità di entrare con dei ministri nell'esecutivo del Professore e per questo viene contestato dall'ala gauchista del suo partito.
«Un po' sono preoccupato», dice Sandro Curzi, che ha firmato il documento bertinottiano. Perché pensa che trotzkisti e stalinisti potrebbero danneggiare la leadership del Comandante Fausto? «No. Ma da ex direttore dell'organo del partito so quanto pesano le divisioni. In un movimento come Rifondazione le spaccature possono diventare aspre». Lo dice per esperienza personale? «Anche. Mi è capitato di sentire il gelo intorno a me per aver preso determinate posizioni. E poi il mio vice al giornale era il trotzkista Cannavò. A lui ho sempre detto che avrebbe dovuto scegliere tra la carriera politica e quella giornalistica. Ogni tanto mi metteva in imbarazzo firmando comunicati antibertinottiani con l'intestazione "vicedirettore di Liberazione". Il problema comunque è un altro...». Quale? «L'Ernesto, Erre, Progetto comunista (l'area di Ferrando, ndr) e gli altri. Non c'entrano un tubo con Stalin eTrotzky. Dovrebbero saperlo anche loro che i ragazzi d'oggi sono lontanissimi da quelle storie.
Il giovane tifoso del Livorno che si mette la maglietta con la faccia del "piccolo padre" lo fa solo perché sa che così fa incazzare sia la destra che la sinistra». Però sembra che Ferrando e i suoi al trotzkismo ci credano davvero. «Sì. E infatti l'ultima volta che li ho sentiti parlare, a Savona, mi sembrava di essere sintonizzato con una radio degli anni 40».
Lo stesso effetto alcuni trotzkisti ce l'hanno su Gagliardi. «Ferrando è brillante e dottrinario», dice. «Lo stimo molto. Ma quando lo ascolto mi pare di tornare agli anni '30». Salti nel passato a parte, però, tanto l'Ernesto (ex cossuttiani che non amano questa definizione e preferiscono essere chiamati neocomunisti) quanto le aree trotzkiste hanno punte acutissime di dissenso programmatico con il segretario.«Grassi», spiega Gagliardi, «oltre a richiamare la cultura politica comunista del '900, è contro la scelta non violenta di Bertinotti e poi ritiene che si debbano mettere molti paletti preventivi all'accordo con il centrosinistra. I trotzkisti, invece, con Prodi non ci prenderebbero nemmeno un caffè. Alla politica dei risultati raggiungibili preferiscono la semplice testimonianza ideologica».
Come finirà il congresso? È previsto che la mozione di maggioranza ottenga circa il 55%dei voti, quella dell'Ernesto il 25 e le tre fazioni trotzkiste il restante 20. Ma c'è anche chi sostiene che il «congresso a mozioni» alla fine accontenti tutti. Perche staccandosi nettamente (con tanto di voti ostili) dalla scelta «governista» di Bertinotti, soprattutto quelli di Erre e i seguaci di Ferrando potranno continuare a mantenere il loro ruolo comodo di oppositori a oltranza. Un ruolo che Bertinotti ha voluto abbandonare.

sinistra
un'intervista del manifesto a Fausto Bertinotti

Il Manifesto 9.12.04
BERTINOTTI: NESSUNO SI SENTA ESCLUSO
Incontro a sinistra. Il segretario del Prc dice sì: «Serve una discussione ampia e aperta, perché la sinistra di alternativa non inizia dove finiscono i riformisti»
Intervista a cura di Matteo Bartocci

«Non è che la sinistra di alternativa inizia dove finiscono i riformisti, per me dipende da dove sei collocato nella società». Fausto Bertinotti, per qualche giorno in vacanza lontano dall'italia, sostiene la proposta di assemblea avanzata dal Manifesto: «Tutto ciò che favorisce una discussione ampia tra le diverse forze che animano la sinistra alternativa secondo me è una buona idea. Per quanto ci riguarda - spiega Bertinotti - è un progetto che sosteniamo da tempo e il fatto che il confronto venga convocato dal Manifesto non può che essere d'aiuto, nel senso che nessuno può sentirsi escluso».
Chi dovrebbe partecipare?
Se pensassimo di parlare a un'area pari al 13 per cento dei voti che si collocano a sinistra dei Ds non avrebbe senso nemmeno iniziare a discutere. Sono convinto che la proposta del manifesto sia tanto più utile quanto più sarà aperta alla partecipazione composita diforze e soggettività politiche che si collocano nei partiti e nei movimenti, coinvolgendo associazioni, giornali, riviste, luoghi di ricerca.
Ma cosa può unificare soggetti così diversi tra loro? Perché si dovrebbe aderire?
Il primo punto, secondo me più importante anche dei contenuti, è il rapporto con i movimenti. È persino più importante del confronto programmatico in senso stretto. Perché quel rapporto definisce una determinata relazione con la società, anche se per sua natura «in progress» e a volte in forma incompiuta. Credo che a un confronto sulla sinistra alternativa debbano partecipare tutte le forze che in questi anni, a partire dal movimento dei movimenti, quello per la pace e del conflitto del lavoro, hanno scelto una collocazione interna e/o di confronto positivo con queste realtà.
Confrontarsi su quali contenuti?
Credo che il no alla guerra, la critica radicale alle politiche neoliberiste e l'opzione per una democrazia partecipata siano gli elementi programmatici da approfondire. Per inciso sono proprio gli argomenti che si devono alle esperienze di movimento.
Proprio i movimenti però sembrano ben poco convinti. Luca Casarini, per esempio, ha risposto al Manifesto che in questa fase «i movimenti devono difendersi dai partiti»
In un'area determinata dei movimenti è diffusa un'idea di società civile sostanzialmente priva del peccato originale, che curiosamente inizierebbe a manifestarsi proprio sulla soglia dei partiti. Io penso invece che quei partiti che si pongono, riuscendovi o meno, l'obiettivo di trasformare la società criticando l'ordinamento esistente costituiscono un elemento di organizzazione della società civile simile ai sindacati o ai movimenti stessi quando si organizzano in forme definite.
Tuttavia esiste davvero un problema di autonomia dei movimenti...
Esiste ed è fondamentale. Ma non vedo proprio che cosa ci sia da temere dal confronto. E poi non c'è nessuno che possa parlare a nome dei movimenti, se li intendiamo come quello per la pace o del conflitto del lavoro. Anche tra partiti e sindacati c'è sempre stato un rapporto complesso, con fasi alterne di dipendenza e autonomia. Come si fa a paragonare il sindacato degli anni '90 con quello dei consigli? Lo stesso vale per i partiti e per le componenti più organizzate dei movimenti. Io proporrei di indagare i movimenti secondo la categoria «luxemberghiana»: una necessità storica, in cui a ognuno tocca fare la propria parte. Poi chi ha più filo tesse più tela. Per questo inviterei tutte e tutti a partecipare all'incontro del 15. Del resto sono molte le esperienze che criticano la democrazia rappresentativa, basti pensare al pensiero femminista. Per quale ragione esperienze che si rifanno al femminismo non devono essere presenti? E se possono essere presenti loro perché non altri?
Tornando all'assemblea, in passato molti tentativi di questo genere sono falliti. Perché? E cosa si dovrebbe fare per evitare che accada anche stavolta?
Il rischio di fallire c'è sempre. «Provare e riprovare» diceva Gramsci. Ma nel rattrappirsi delle esperienze precedenti vedo limiti che penso possano essere evitati in questa assemblea: il primo è stato la partecipazione con riserva, nel senso che ognuno è intervenuto avendo già in mente un esito definito del percorso. Così è venuto meno il valore del processo e del percorso largo da parte di tutti e sono subito aumentate le resistenze. In questo modo si è deviato dall'obiettivo immediato, che è un'iniziativa politica: la ricerca di un agire in comune. A questo tentativo «pratico» si accompagna stavolta il tentativo di una «ricerca» politica. Se non fosse impegnativo il termine, direi perfino una ricerca neo-identitaria di cosa dovrebbe essere oggi una sinistra. Per questo dobbiamo discutere al primo punto di «che cosa facciamo insieme qui e ora», a prescindere da dove siamo collocati. Su questo non devono esserci impedimenti: non è che la sinistra alternativa inizia dove finiscono i riformisti. Non è così: penso alla sinistra Ds, che costituisce una componente indispensabile di questo processo.Tutti, senza pregiudizi per la loro collocazione, devono partecipare.
Da cosa può iniziare questa «ricerca politica comune»?
Come dicevo, la sinistra di alternativa dipende da dove sei collocato nella società. Io indicherei nel precariato la cifra o il codice riassuntivo della condizione dei soggetti sociali a cui dobbiamo guardare prioritariamente. Se non fosse troppo, direi il «nuovo» e il «vecchio» proletariato: non penso a soggetti definiti come l'operaio o l'operatore di «call center» ma a una coalizione lavorativa socialmente ampia. Questa è la base e il fondamento che costituisce il problema irrisolto per noi e per tutte le diverse forze politiche, di movimento e sindacali. Come dare forza di azione collettiva e proiezione politica programmatica a questa realtà sociale.
Di questi giorni analisi terribili: due terzi dell'umanità guadagna, se va bene, 2 dollari al giorno. E la fame è una realtà per 850 milioni di persone. Che rapporto tra questo «collasso»mondiale e il «declino» italiano?
Non esiste una reale possibilità di fuoriuscire dalla crisi della politica senza una soluzione delle crisi mondiali. I problemi a livello nazionale ti si ripropongono sempre su scala europea e su scala mondiale. Puoi anche avere i piedi piantati a Scanzano e Melfi, ma devi anche essere in grado di stare in un sistema di reti che ti portano a Bombay e Porto Alegre. E poi, se uno volesse essere ambizioso, direi anche in Cina.
L'Italia va in Cina cercando più commercio, anche quello di armi. Ma il centrosinistra non sembra sconfessare questa impostazione...
In questa dimensione globale mi sembra siano in campo due partiti «borghesi». Uno è barbarico, lo chiamerei «della fortezza» perché propone dazi, barriere, più protezionismo. L'altro sembra più «dolce» ma è assai strampalato: confida nella bontà della globalizzazione e del liberismo senza accettare le sue conseguenze orrende, che arrivano a provocare una crisi della civiltà. La sinistra alternativa europea deve uscire da questa polarizzazione e tornare a riflettere sul controllo sociale dei processi economici.

capitalismo globalizzato:
ogni 5 secondi un bambino muore di fame

Reuters.it
un bambino muore di fame ogni 5 secondi...

di Robin Pomeroy

ROMA (Reuters) - Il mondo sta facendo lenti passi in avanti verso l'obiettivo di dimezzare la fame nel mondo entro il 2015, ma può ancora farcela se raddoppierà gli sforzi, hanno detto oggi le Nazioni Unite.
In media ogni cinque secondi un bambino muore di fame, ha detto la Food and Agriculture Organisation (Fao) nel suo rapporto annuale.
Otto anni dopo la promessa fatta ad un vertice nel 1996 e con ancora 11 anni davanti, poche persone sono state liberate dalla morsa della fame e il numero delle persone malnutrite, dopo essere calato ai primi degli anni 90, sta salendo di nuovo.
La Fao stima che circa 815 milioni di persone nel mondo in via di sviluppo e 28 milioni nei cosiddetti paesi ex comunisti hanno troppo poco cibo per condurre vite attive e produttive.
Si tratta di appena nove milioni in meno del 1990-2, gli anni considerati la soglia di riferimento per misurare i progressi.
"Il numero di affamati resta troppo alto, i progressi inspiegabilmente bassi e il prezzo delle vite rovinate e delle risorse sprecate incalcolabilmante alto", ha detto Lynn Brown della Banca mondiale in una prefazione alla ricerca.
Tuttavia, il rapporto annuale della Fao, dal titolo "Insicurezza dell'alimentazione nel mondo", presenta segnali di speranza. Il numero di persone affamate nell'Africa subsahariana continua a salire, ma più lentamente di alcuni anni fa e, con una popolazione in crescita, la percentuale degli affamati è calata dal 36 al 33%.
Più di 30 paesi, inclusa la popolosa Cina, hanno ridotto la diffusione della fame di almeno un quarto.

DISTANTE MA RAGGIUNGIBILE
La Fao ritiene che l'obiettivo di riduzione della fame, sebbene ancora lontano, è "sia raggiungibile che affrontabile" e anche piccoli sforzi, se ben indirizzati, potrebbero fare la differenza.
La fame deve essere affrontata sotto due aspetti, scrive il rapporto: aumentando la produzione agricola nei paesi poveri e incanalando gli aiuti verso i più deboli e le mamme con i bambini.
L'assistente al direttore generale della Fao Hartwig de Haan ha posto speciale enfasi sui più giovani.
"Oggi i bambini di due anni sottopeso rappresentano un fardello per i futuri decenni a meno che non siano meglio nutriti. Resteranno menomati mentalmente e fisicamente per il resto della loro vita", ha detto a Reuters.
La Fao stima che i potenziali proventi perduti da queste persone nell'arco della loro vita, anche se sono agricoltori in grado di provvedere alla loro sussistenza, è compreso tra 500 e 1000 miliardi di dollari.
"Investire nella riduzione della fame è uno dei migliori investimenti da valutare", ha dichiarato de Haan.