La Stampa 16 Aprile 2005
UN REPORTAGE DAL MANICOMIO
Ho visto imperatori e profeti: ma i pazzi sono loro?
Joseph Roth
HO sentito di alcuni «casi» interessanti, e chiedo un appuntamento. Il dottore sarebbe disposto a ricevermi? Sicuro, molto volentieri. Mi accoglie un uomo alto, biondo, ben rasato, con lineamenti espressivi e simpatici occhi azzurri. «Dottor Theodosius Regelrecht, aspirante avvocato». Ha rinunciato al suo nome, della famiglia non vuol sentir parlare affatto, si presenta come «Regelrecht» e tanto basta. Sta scrivendo le sue memorie, afferma di averne viste di tutti i colori, e in ogni caso è un personaggio. «Lei è nel ramo “sfruttamento carta”?». La sua prima domanda è alquanto strabiliante, gli rispondo con un «sì» mogio mogio. «Ho perciò il dubbio onore» continua «di vedere in lei un esponente di quella non autorevole opinione che si dice “pubblica”? E uno di quei “liberi professionisti” che per una fatale svista della natura non possono battere il marciapiede e perciò battono articoli per i giornali? Allora, mi fa le sue domande?». «Che ne pensa della situazione politica dell'Austria, dottore?».
«L'Austria è un impero senza imperatore, non una repubblica. Il presidente, il cancelliere o come diavolo si chiama adesso il capo supremo, si convertirebbe al bolscevismo più spietato... in cambio di una corona regale. Tutte le nazionalità della vecchia Austria-Ungheria sarebbero pronte a far pace e a unirsi in una Federazione danubiana se solo potessero di nuovo prendere parte al corteo per il genetliaco dell'imperatore. E’ con grida di giubilo - come per una bufala andata a segno - che i giornali saluterebbero il procuratore di Stato dottor Mager, mi pare si chiami così, se potessero ripristinare la rubrica “La corte e il suo entourage”. Telepatici e lottatori al gran completo perderebbero di colpo l’intero loro pubblico, se una qualsiasi Altezza reale si degnasse di transitare ancora una volta a Grinzing davanti a un ospedale per feriti di guerra, e la nostalgia dei viennesi per la musica di Corte è così invincibile che, in mancanza di questa, si danno alle riunioni comuniste».
«Crede al comunismo, dottore?». «Forse verrà, ma in tal caso sarà un comunismo dal “cuore d'oro”. Del resto anche a Budapest gridano “Evviva Kun!” solo perché non possono più gridare “Evviva Kàrolyi!”». «Crede al ritorno della nronarchia?». «Ma che domanda è mai questa? Comunismo o monarchia - l'uno e l'altra sono austriaci, e non esistono. E comunque mi sono trattenuto abbastanza. Riferisca a quel manicomio che chiama se stesso “mondo” e per il quale lei scrive che io. dottor Theodosius Regelrecht, non ho la minima intenzione di tornarci. Non sono mica matto!».
E con ciò me ne sono andato. L'incontro successivo è con un dignitoso signore dalla barba grigia che porta sul capo una corona di carta colorata e si definisce «l'ultimo imperatore». Evidentemente anche lui legge il giornale perché esclama in continuazione: «Me, non mi deporranno!». La Sua triste Maestà è inavvicinabile, e perciò passo oltre.
Nel corridoio si fa avanti un omino magro magro. «Il dottor Regelrecht mi ha parlato di lei. Io sono qui, a sua disposizione. Ho sentito: la monarchia non esiste più, il Consiglio imperiale l'hanno mandato a casa e all'Assemblea nazionale un sottosegretario ha tenuto il discorso della Corona al posto dell'imperatore, spedito a tale scopo in Isvizzera. Oh, è la fine del mondo!». «Non è un po' troppo pessimista?». «Io? Al contrario! Vedo soltanto che il mondo abbraccia una nuova idea. Sono anni che lo vado predicando: “Il mondo è sottosopra”. Perciò mi hanno preso per pazzo. Ma adesso è sottosopra!». «Com'è arrivato qui?». «Oh, la casa è molto semplice! Sette prestiti di guerra li avevo tranquillamente sottoscritti. Ma quando mi invitarono ad aderire anche a un ottavo, mi prese un convulso di risa e gridai: “Il mondo è sottosopra!”. Se avessi avuto una crisi di pianto, di certo più adeguata alla circostanza, mi avrebbero sbattuto in prigione. Così sono arrivato qui e, intrattenendo per mesi e mesi rapporti con persone dotate di idee grandi e feconde e per questo definite “idiote”, ho avuto l'opportunità di approfondire la mia concezione del mondo. Le do un consiglio: venga da noi! Lei è uno scrittore, e non dovrebbe riuscirle difficile! Perché i medici non credono mai alla ragionevolezza altrui. Li capisco: gli studi che fanno e i colleghi che frequentano giustificano questa loro sfiducia. Ma lei venga da noi, fondi un giornale. Mi abbonerò subito. Deve essere un settimanale satirico, e lei non ha bisogno di inventare storielle spiritose! Le basterà pubblicare perizie psichiatriche e decreti ufficiali! E adesso la saluto!»...
CONGEDO. Detto francamente: mi pesa. Il blu della sera avvolge l'isola degli infelici - o dei beati? - nella foschia. Soltanto la cupola della splendida chiesa costruita da Otto Wagner brilla ancora. Che abbia ragione lui, il piccolo professore? Il mondo non è forse un manicomio? E non è utile assicurarsi per tempo un posticino caldo allo Steinhof? Forse lo farò. E - fonderò un giornale. Cerco collaboratori interessati...
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
sabato 16 aprile 2005
imputabilità di un serial killer
La Stampa 16 Aprile 2005
LA PERIZIA PSICHIATRICA SUL KILLER DELLA PROSTITUTA CATENA MOLINO
«Spinetti è sano di mente»
Giovedì sarà processato per omicidio e rapina
AOSTA. Roberto Spinetti, 40 anni, l’italiano residente a Zurigo accusato di aver ammazzato il 12 ottobre 2003 a Champdepraz Catena Molino, 31 anni, prostituta di Châtillon, è stato giudicato «capace di intendere e di volere» al momento dell’omicidio. Lo ha scritto lo psichiatra torinese Roberto Gianni nella perizia consegnata nei giorni scorsi al pubblico ministero Pasquale Longarini, titolare dell’inchiesta sul delitto di due anni fa.
A chiedere la perizia era stato l’avvocato di Spinetti, Anna Ferrazzano del foro di Salerno. Il legale ha già annunciato nei mesi scorsi di voler chiedere il rito abbreviato per il suo cliente, che giovedì sarà processato ad Aosta per omicidio volontario e rapina.
Roberto Spinetti, secondo la squadra mobile di Venezia che lo arrestò a Eboli dopo un inseguimento in autostrada, è un serial killer di prostitute. L’italiano residente in Svizzera è accusato di aver ucciso una prostituta e di averne ferita gravemente un’altra, dopo l’omicidio di Champdepraz. Non solo. E’ anche indagato per una lunga serie di rapine avvenute nel Nord Italia sempre ai danni di «lucciole» e per non aver pagato conti alberghieri nelle località che frequentava inseguendo la sua grande passione: i casinò. Spinetti arrivò in Valle all’inizio di ottobre 2003, soggiornando in un hotel di St-Vincent a due passi dal centro. La sera del 12, una domenica, uccise Catena Molino con 3 colpi di pistola, poi andò a giocare al Casinò. Il movente fu la rapina.
Spinetti girava l’Italia a giocare ai tavoli verdi e si manteneva il vizio con il crimine. Il suo arresto a Eboli fu l’epilogo dell’indagine che la questura di Venezia aveva avviato dopo il grave ferimento di una prostituta bulgara a Cavallino, località balneare vicina alla Serenissima. La donna, colpita alla nuca da un colpo di pistola calibro 7,65 dopo esser stata rapinata, è rimasta paralizzata. La polizia arrivò a Spinetti attraverso frammenti di testimonianze e grazie a un controllo incrociato sulle «celle» telefoniche in cui era stato rilevato il segnale emesso dal cellulare dell’uomo.
Le perizie hanno già stabilito che l’arma che Spinetti tentò di gettar via al momento dell’arresto, una Walter Patent 7,65 con matricola abrasa, uccise Catena Molino e, quindici giorni dopo a Classe (Ravenna), un’altra prostituta italiana.
LA PERIZIA PSICHIATRICA SUL KILLER DELLA PROSTITUTA CATENA MOLINO
«Spinetti è sano di mente»
Giovedì sarà processato per omicidio e rapina
AOSTA. Roberto Spinetti, 40 anni, l’italiano residente a Zurigo accusato di aver ammazzato il 12 ottobre 2003 a Champdepraz Catena Molino, 31 anni, prostituta di Châtillon, è stato giudicato «capace di intendere e di volere» al momento dell’omicidio. Lo ha scritto lo psichiatra torinese Roberto Gianni nella perizia consegnata nei giorni scorsi al pubblico ministero Pasquale Longarini, titolare dell’inchiesta sul delitto di due anni fa.
A chiedere la perizia era stato l’avvocato di Spinetti, Anna Ferrazzano del foro di Salerno. Il legale ha già annunciato nei mesi scorsi di voler chiedere il rito abbreviato per il suo cliente, che giovedì sarà processato ad Aosta per omicidio volontario e rapina.
Roberto Spinetti, secondo la squadra mobile di Venezia che lo arrestò a Eboli dopo un inseguimento in autostrada, è un serial killer di prostitute. L’italiano residente in Svizzera è accusato di aver ucciso una prostituta e di averne ferita gravemente un’altra, dopo l’omicidio di Champdepraz. Non solo. E’ anche indagato per una lunga serie di rapine avvenute nel Nord Italia sempre ai danni di «lucciole» e per non aver pagato conti alberghieri nelle località che frequentava inseguendo la sua grande passione: i casinò. Spinetti arrivò in Valle all’inizio di ottobre 2003, soggiornando in un hotel di St-Vincent a due passi dal centro. La sera del 12, una domenica, uccise Catena Molino con 3 colpi di pistola, poi andò a giocare al Casinò. Il movente fu la rapina.
Spinetti girava l’Italia a giocare ai tavoli verdi e si manteneva il vizio con il crimine. Il suo arresto a Eboli fu l’epilogo dell’indagine che la questura di Venezia aveva avviato dopo il grave ferimento di una prostituta bulgara a Cavallino, località balneare vicina alla Serenissima. La donna, colpita alla nuca da un colpo di pistola calibro 7,65 dopo esser stata rapinata, è rimasta paralizzata. La polizia arrivò a Spinetti attraverso frammenti di testimonianze e grazie a un controllo incrociato sulle «celle» telefoniche in cui era stato rilevato il segnale emesso dal cellulare dell’uomo.
Le perizie hanno già stabilito che l’arma che Spinetti tentò di gettar via al momento dell’arresto, una Walter Patent 7,65 con matricola abrasa, uccise Catena Molino e, quindici giorni dopo a Classe (Ravenna), un’altra prostituta italiana.
genialità:
Leonardo da Vinci
Panorama.it 15.4.05
Creazioni geniali
di Giorgio Ieranò
Un modellino creato sulla base dei disegni e degli appunti di Leonardo da Vinci.
Migliaia di disegni e progetti di Leonardo, molti dei quali mai compresi o analizzati, rivivono nelle pagine di un volume affascinante: macchine per librarsi in cielo, micidiali dispositivi per andare in guerra, ponti dal design modernissimo, elaborati strumenti musicali. Un viaggio da non perdere nella mente di un inventore unico nella storia
Per Leonardo da Vinci la guerra era «pazzia bestialissima». Ma, da uomo pratico qual era, sapeva benissimo che Ludovico il Moro, lo spietato signore di Milano, di quella pazzia era un appassionato. Così, nell'anno 1482, presentandosi al «Signore illustrissimo» della dinastia sforzesca, sa quali corde deve toccare. Nella lettera in dieci punti scritta a Ludovico, Leonardo, già famoso come artista e pittore, si offre infatti come ingegnere militare. E promette bombarde potentissime, ma anche «comodissime et facili da portare», propone di costruire «ponti leggerissimi e forti», suggerisce mirabolanti macchine da assedio e da battaglia: «Farò carri coperti, securi e inoffensibili, e quali entrando intra li inimica con le sue artiglierie, non è sì grande moltitudine di gente d'arme che non rompessimo. E dietro a questi potranno seguire fanterie assai, illese e senza alcun impedimento».
Il bellicoso Moro fu sedotto da queste prospettive. E prese Leonardo al suo servizio, per 17 anni, fino al 1499. Quando l'artista deve lasciare Milano perché Ludovico è stato travolto dalla sua stessa sete di battaglie, sconfitto sul campo e trascinato in prigione dai francesi. «Il Duca perse lo Stato e la roba e la libertà» annota sconsolato lo stesso Leonardo «e nessuna opera si finì per lui».
Nessuna, almeno, delle meraviglie ingegneristiche che Leonardo aveva promesso. E neanche la monumentale statua equestre di Francesco Sforza, padre del Moro, di cui ci restano molti disegni: il bronzo necessario a costruirla fu spedito da Ludovico a Ercole d'Este per farne cannoni contro i francesi. Ma a memoria del primo soggiorno milanese resta, tra l'altro, e non è poco, il grande affresco dell'Ultima cena in Santa Maria delle Grazie.
Comunque, del grande lavoro di progettazione di Leonardo, delle macchine portentose che egli andava pensando in quegli anni, danno testimonianza i numerosi fogli di disegni. Soprattutto quelli contenuti nel celebre Codice Atlantico, oggi conservato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. C'è di tutto in quei fogli: progetti avveniristici e probabilmente irrealizzati se non irrealizzabili.
Non solo macchine da guerra, come il primo abbozzo di un carro armato, ma anche macchine per volare, un'ipotesi di automobile, barche a pale come se ne vedranno un giorno sui fiumi d'America, strumenti musicali che suonano da soli. Che senso avevano quei progetti? Quanto erano visioni oniriche, astrazioni, creazioni dell'intelletto per l'intelletto, e quanto invece Leonardo si proponeva davvero come ingegnere e «profeta dell'automazione», come è stato scritto?
Due esperti italiani in disegno industriale, Mario Taddei ed Edoardo Zanon, hanno provato a raccontare visivamente trenta macchine leonardesche, estrapolandole dai disegni con l'aiuto delle nuove tecnologie informatiche e arrivando a modelli che, a differenza di quelli esposti in molte parti del mondo, sono perfettamente funzionanti. Ne è uscito un libro sorprendente, pubblicato ora dall'editore Giunti, Le macchine di Leonardo, Segreti e invenzioni nei Codici da Vinci, con i testi di Domenico Laurenza, esperto di iconografia scientifica rinascimentale.
Alle spalle c'è il lavoro di ricerca di Taddei e Zanon, i quali si occupano dell'interpretazione e divulgazione del genio fiorentino (con il progetto Leonardo3), e la collaborazione con il Museo di storia della scienza di Firenze, diretto da Carlo Galluzzi, che presenterà il volume il 18 maggio nell'iniziativa Leggere per non dimenticare (il volume sarà in libreria il 20 aprile). E i risultati sono per certi versi straordinari: non solo perché le ricostruzioni virtuali permettono di comprendere meglio gli stessi disegni leonardeschi, ma anche perché il senso di alcuni marchingegni risulta diverso da quanto comunemente si pensava.
Prendiamo, per esempio, la celebre automobile. È stata vista spesso come una specie di anticipazione del secolo XX, quasi che Leonardo fosse un antesignano di Henry Ford. Ebbene, l'ipotesi di Taddei e Zanon, basata su un riesame degli schizzi, è che questo marchingegno a molle non fosse altro che una macchina scenica, uno di quei congegni mirabolanti che si usavano spesso per le grandi feste rinascimentali. Rimase famoso, l'allestimento di una favola scenica sul mito di Orfeo ed Euridice, che Leonardo da Vinci fece rappresentare durante il suo secondo soggiorno milanese, per conto del nuovo governo francese. Una cupola che rappresentava una scenografia montana si apriva all'improvviso, mentre dal basso, tramite una botola, appariva a sorpresa un attore, come se arrivasse dagli inferi.
Del resto, anni prima, Leonardo si era presentato a Ludovico il Moro portandogli in dono una stranezza da usare proprio nelle feste, una lira a forma di teschio animale. E si può aggiungere un altro strumento musicale, la «pianoviola» automatica, creazione bizzarra ed estremamente complessa: un suonatore poteva indossarla sfilando in corteo, facendola suonare grazie allo sfregamento delle gambe contro un sistema di corde e crini di cavallo collegati a un meccanismo interno, e mantenendo entrambe le mani libere.
Le feste e la guerra: erano questi i due grandi universi dei signori rinascimentali, ed era a essi che Leonardo guardava, uomo del suo tempo piuttosto che profeta di un remoto futuro. Forse disegni bellissimi come quello dei «carri falcianti», un capolavoro proveniente da un codice conservato alla Biblioteca Reale di Torino, accompagnavano la lettera a Ludovico il Moro. I carri falcati erano macchine da guerra in uso fin dall'antichità: ma nella visione leonardesca la silhouette elegantissima del carro, la bellezza delle falci rotanti che dovevano fare strage di nemici, fa sembrare la guerra più che una «pazzia bestialissima» un'elegante parata.
Più ardita l'idea del carro coperto, fornito di cannoni, in un disegno conservato al British Museum di Londra: è il prototipo del carro armato. Prototipo, senza dubbio, mai realizzato: anche qui sulla vocazione ingegneristica prevale il genio visivo e visionario dell'artista. Quanto ama i chiaroscuri e gli sfumati nelle pitture, tanto Leonardo cerca linee nitide, nette e astratte nei disegni. Sfumature e chiaroscuri appartengono alla realtà, l'astrazione all'intelletto.
Come nota Laurenza nell'introduzione al volume dalla Giunti, «molte macchine progettate da Leonardo, le più spettacolari, non sono altro che forme di visualizzazione o materializzazione delle sue teorie scientifiche». È così anche per le molte macchine del volo, un tema su cui il grande inventore ha iniziato a ragionare partendo non tanto dai congegni ma dallo studio della dinamica e delle forze del corpo umano. Nelle ali meccaniche è evidente l'imitazione della natura, la fantasia di ricreare il volo degli uccelli. E anche alla famosa «macchina volante» Leonardo si riferirà chiamandola semplicemente «uccello».
È singolare vedere le macchine di Leonardo ricostruite con la computergrafica, in una dimensione che, come dicono gli stessi Taddei e Zanon, sta a metà tra il mondo del Rinascimento e quello della Playstation. Viene da chiedersi quello che avrebbe fatto Leonardo se avesse avuto davanti a sé un computer. Forse avrebbe inventato macchine perfette come un bravo disegnatore industriale. O forse, più probabilmente, avrebbe continuato a sognare i suoi sogni di uomo del Rinascimento.
Creazioni geniali
di Giorgio Ieranò
Un modellino creato sulla base dei disegni e degli appunti di Leonardo da Vinci.
Migliaia di disegni e progetti di Leonardo, molti dei quali mai compresi o analizzati, rivivono nelle pagine di un volume affascinante: macchine per librarsi in cielo, micidiali dispositivi per andare in guerra, ponti dal design modernissimo, elaborati strumenti musicali. Un viaggio da non perdere nella mente di un inventore unico nella storia
Per Leonardo da Vinci la guerra era «pazzia bestialissima». Ma, da uomo pratico qual era, sapeva benissimo che Ludovico il Moro, lo spietato signore di Milano, di quella pazzia era un appassionato. Così, nell'anno 1482, presentandosi al «Signore illustrissimo» della dinastia sforzesca, sa quali corde deve toccare. Nella lettera in dieci punti scritta a Ludovico, Leonardo, già famoso come artista e pittore, si offre infatti come ingegnere militare. E promette bombarde potentissime, ma anche «comodissime et facili da portare», propone di costruire «ponti leggerissimi e forti», suggerisce mirabolanti macchine da assedio e da battaglia: «Farò carri coperti, securi e inoffensibili, e quali entrando intra li inimica con le sue artiglierie, non è sì grande moltitudine di gente d'arme che non rompessimo. E dietro a questi potranno seguire fanterie assai, illese e senza alcun impedimento».
Il bellicoso Moro fu sedotto da queste prospettive. E prese Leonardo al suo servizio, per 17 anni, fino al 1499. Quando l'artista deve lasciare Milano perché Ludovico è stato travolto dalla sua stessa sete di battaglie, sconfitto sul campo e trascinato in prigione dai francesi. «Il Duca perse lo Stato e la roba e la libertà» annota sconsolato lo stesso Leonardo «e nessuna opera si finì per lui».
Nessuna, almeno, delle meraviglie ingegneristiche che Leonardo aveva promesso. E neanche la monumentale statua equestre di Francesco Sforza, padre del Moro, di cui ci restano molti disegni: il bronzo necessario a costruirla fu spedito da Ludovico a Ercole d'Este per farne cannoni contro i francesi. Ma a memoria del primo soggiorno milanese resta, tra l'altro, e non è poco, il grande affresco dell'Ultima cena in Santa Maria delle Grazie.
Comunque, del grande lavoro di progettazione di Leonardo, delle macchine portentose che egli andava pensando in quegli anni, danno testimonianza i numerosi fogli di disegni. Soprattutto quelli contenuti nel celebre Codice Atlantico, oggi conservato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. C'è di tutto in quei fogli: progetti avveniristici e probabilmente irrealizzati se non irrealizzabili.
Non solo macchine da guerra, come il primo abbozzo di un carro armato, ma anche macchine per volare, un'ipotesi di automobile, barche a pale come se ne vedranno un giorno sui fiumi d'America, strumenti musicali che suonano da soli. Che senso avevano quei progetti? Quanto erano visioni oniriche, astrazioni, creazioni dell'intelletto per l'intelletto, e quanto invece Leonardo si proponeva davvero come ingegnere e «profeta dell'automazione», come è stato scritto?
Due esperti italiani in disegno industriale, Mario Taddei ed Edoardo Zanon, hanno provato a raccontare visivamente trenta macchine leonardesche, estrapolandole dai disegni con l'aiuto delle nuove tecnologie informatiche e arrivando a modelli che, a differenza di quelli esposti in molte parti del mondo, sono perfettamente funzionanti. Ne è uscito un libro sorprendente, pubblicato ora dall'editore Giunti, Le macchine di Leonardo, Segreti e invenzioni nei Codici da Vinci, con i testi di Domenico Laurenza, esperto di iconografia scientifica rinascimentale.
Alle spalle c'è il lavoro di ricerca di Taddei e Zanon, i quali si occupano dell'interpretazione e divulgazione del genio fiorentino (con il progetto Leonardo3), e la collaborazione con il Museo di storia della scienza di Firenze, diretto da Carlo Galluzzi, che presenterà il volume il 18 maggio nell'iniziativa Leggere per non dimenticare (il volume sarà in libreria il 20 aprile). E i risultati sono per certi versi straordinari: non solo perché le ricostruzioni virtuali permettono di comprendere meglio gli stessi disegni leonardeschi, ma anche perché il senso di alcuni marchingegni risulta diverso da quanto comunemente si pensava.
Prendiamo, per esempio, la celebre automobile. È stata vista spesso come una specie di anticipazione del secolo XX, quasi che Leonardo fosse un antesignano di Henry Ford. Ebbene, l'ipotesi di Taddei e Zanon, basata su un riesame degli schizzi, è che questo marchingegno a molle non fosse altro che una macchina scenica, uno di quei congegni mirabolanti che si usavano spesso per le grandi feste rinascimentali. Rimase famoso, l'allestimento di una favola scenica sul mito di Orfeo ed Euridice, che Leonardo da Vinci fece rappresentare durante il suo secondo soggiorno milanese, per conto del nuovo governo francese. Una cupola che rappresentava una scenografia montana si apriva all'improvviso, mentre dal basso, tramite una botola, appariva a sorpresa un attore, come se arrivasse dagli inferi.
Del resto, anni prima, Leonardo si era presentato a Ludovico il Moro portandogli in dono una stranezza da usare proprio nelle feste, una lira a forma di teschio animale. E si può aggiungere un altro strumento musicale, la «pianoviola» automatica, creazione bizzarra ed estremamente complessa: un suonatore poteva indossarla sfilando in corteo, facendola suonare grazie allo sfregamento delle gambe contro un sistema di corde e crini di cavallo collegati a un meccanismo interno, e mantenendo entrambe le mani libere.
Le feste e la guerra: erano questi i due grandi universi dei signori rinascimentali, ed era a essi che Leonardo guardava, uomo del suo tempo piuttosto che profeta di un remoto futuro. Forse disegni bellissimi come quello dei «carri falcianti», un capolavoro proveniente da un codice conservato alla Biblioteca Reale di Torino, accompagnavano la lettera a Ludovico il Moro. I carri falcati erano macchine da guerra in uso fin dall'antichità: ma nella visione leonardesca la silhouette elegantissima del carro, la bellezza delle falci rotanti che dovevano fare strage di nemici, fa sembrare la guerra più che una «pazzia bestialissima» un'elegante parata.
Più ardita l'idea del carro coperto, fornito di cannoni, in un disegno conservato al British Museum di Londra: è il prototipo del carro armato. Prototipo, senza dubbio, mai realizzato: anche qui sulla vocazione ingegneristica prevale il genio visivo e visionario dell'artista. Quanto ama i chiaroscuri e gli sfumati nelle pitture, tanto Leonardo cerca linee nitide, nette e astratte nei disegni. Sfumature e chiaroscuri appartengono alla realtà, l'astrazione all'intelletto.
Come nota Laurenza nell'introduzione al volume dalla Giunti, «molte macchine progettate da Leonardo, le più spettacolari, non sono altro che forme di visualizzazione o materializzazione delle sue teorie scientifiche». È così anche per le molte macchine del volo, un tema su cui il grande inventore ha iniziato a ragionare partendo non tanto dai congegni ma dallo studio della dinamica e delle forze del corpo umano. Nelle ali meccaniche è evidente l'imitazione della natura, la fantasia di ricreare il volo degli uccelli. E anche alla famosa «macchina volante» Leonardo si riferirà chiamandola semplicemente «uccello».
È singolare vedere le macchine di Leonardo ricostruite con la computergrafica, in una dimensione che, come dicono gli stessi Taddei e Zanon, sta a metà tra il mondo del Rinascimento e quello della Playstation. Viene da chiedersi quello che avrebbe fatto Leonardo se avesse avuto davanti a sé un computer. Forse avrebbe inventato macchine perfette come un bravo disegnatore industriale. O forse, più probabilmente, avrebbe continuato a sognare i suoi sogni di uomo del Rinascimento.
terapie
La Stampa 16 Aprile 2005
MUSCOLI E CAREZZE
Primo esercizio sorridere di se stessi
IRENE CABIATI
Ventidue ore di allenamento instensivo per persone decise a cambiare: non si tratta di perdere chili nè di tonificare carne molliccia. La palestra non ha attrezzi e non ci sono vispi trainer ansiosi di farvi muovere a tutti i costi. Non è ginnastica, ma è una buona premessa per dare alla vita un ritmo diverso.
Si impara a sorridere con l’arte dell’ironia all’Accademia del Comico che da lunedì al 13 giugno tiene un corso di risoterapia in via Giolitti 27 con Rino Cerritelli, Matteo Andreone, Renato Trinca, Fabrizio Canciani.
Il metodo offre la possibilità di imparare a osservarci a riconoscere le difese che abbiamo eretto per nascondere i nostri difettucci senza renderci conto che forse sarebbe meglio dirottare le energie alla ricerca di atteggiamenti positivi.
Certo non è facile crederci, anzi talvolta è persino più comodo crogiolarsi nel tormento interiore del «tanto tutto va male, cosa posso farci...». Il fatto è che la comicità, a cominciare dal senso dell’autoironia, possono invece essere ottimi strumenti di vita. L’Accademia offre corsi anche per persone che lavorano con la sofferenza (negli ospedali, per esempio) o che lavorano e basta. E sul lavoro, si sa, la carica giusta, cominciando dall’autostima, è una buona risorsa, come lo è nella vita, nei rappori con gli altri.
Ecco alcune materie di insegnamento: risata e risate, effetti psico-biologici del riso; l’auto-ironia come risorsa; percezione comica e proiezione comica; stress positivo e negativo; liberare la testa dai pensieri ossessivi; sopravvivere alle leggi di Murphy.
MUSCOLI E CAREZZE
Primo esercizio sorridere di se stessi
IRENE CABIATI
Ventidue ore di allenamento instensivo per persone decise a cambiare: non si tratta di perdere chili nè di tonificare carne molliccia. La palestra non ha attrezzi e non ci sono vispi trainer ansiosi di farvi muovere a tutti i costi. Non è ginnastica, ma è una buona premessa per dare alla vita un ritmo diverso.
Si impara a sorridere con l’arte dell’ironia all’Accademia del Comico che da lunedì al 13 giugno tiene un corso di risoterapia in via Giolitti 27 con Rino Cerritelli, Matteo Andreone, Renato Trinca, Fabrizio Canciani.
Il metodo offre la possibilità di imparare a osservarci a riconoscere le difese che abbiamo eretto per nascondere i nostri difettucci senza renderci conto che forse sarebbe meglio dirottare le energie alla ricerca di atteggiamenti positivi.
Certo non è facile crederci, anzi talvolta è persino più comodo crogiolarsi nel tormento interiore del «tanto tutto va male, cosa posso farci...». Il fatto è che la comicità, a cominciare dal senso dell’autoironia, possono invece essere ottimi strumenti di vita. L’Accademia offre corsi anche per persone che lavorano con la sofferenza (negli ospedali, per esempio) o che lavorano e basta. E sul lavoro, si sa, la carica giusta, cominciando dall’autostima, è una buona risorsa, come lo è nella vita, nei rappori con gli altri.
Ecco alcune materie di insegnamento: risata e risate, effetti psico-biologici del riso; l’auto-ironia come risorsa; percezione comica e proiezione comica; stress positivo e negativo; liberare la testa dai pensieri ossessivi; sopravvivere alle leggi di Murphy.
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