venerdì 11 febbraio 2005

PIETRO INGRAO

Liberazione 11.2.05
PIETRO INGRAO: PRESIDENTE NON CAPISCO


Il lettore trova qui accanto il testo di un documento che perviene dal Quirinale e che è stato gentilmente trasmesso a
Liberazione da Salvatore Sechi, stretto collaboratore del Presidente della Repubblica. Suppongo che tale testo sia stato inviato a questo giornale a cagione di un appello pubblicato da Liberazione e rivolto al Presidente della Repubblica, in cui si tornava ad invocare l'applicazione e - come dire? - la riabilitazione dell'articolo 11 della Costituzione, che consente e legittima solo la guerra di difesa. Dico: "suppongo , perché il collaboratore del Presidente della Repubblica non ha dato a questo giornale nessuna spiegazione di quell'invio: o perché ritiene che a Liberazione sono dei sapienti per i quali non c'e bisogno di nessun lume, o perché siamo dei pali piantati lungo la strada o anche degli alberi fronzuti, con i quali non c'è modo di nessun dialogo, anche quando si tratta di una guerra condotta dal nostro Paese. Oppure perché le considerazioni esposte nel documento trasmesso dal Sechi siano di tale clamorosa evidenza, per cui non servano chiose. E allora, dopo aver letto quel testo giunto dal Quirinale, chi scrive queste righe ha domandato - come quidam de populo - al direttore di questo giornale un po' di spazio per esprimere un suo rozzo disagio. Ed è questo.
Chi scrive accende la televisione, legge il giornale, chiacchera per la strada o al bar: e apprende che in un paese chiamato Iraq si spara e si uccide, da molti mesi. E prova turbamento. Si interroga: che sono quegli spari, quel sangue, quei morti? È guerra oppure no? Chi l'ha promossa? L'Onu? Non mi pare. Gli Stati Uniti? Non mi pare. Forse è la guerra preventiva di cui ha parlato Bush? Pare. E chi sono e che fanno quei soldati italiani, anche loro in Iraq? Sono alleati di Bush? Così sembrerebbe. Alleati nella guerra. Tutti lo vediamo- da mesi e mesi - che là in Iraq ci sono corpi armati in conflitto. E muoiono persone - molte ormai- per mezzo delle armi. Eppure non è guerra. Almeno così sembra dire quel documento del Quirinale. E allora che sarà? Come mai ci sono morti e bare, e anche prigionieri, e torture? O invece queste sono notizie false, e i soldati italiani sono in visita di piacere agli irakeni, o a passeggio? In questi giorni c'è angoscia nel nostro Paese, perché una giornalista del
Manifesto, Giuliana Sgrena, nelle strade di Baghdad è stata rapita e imprigionata. E non sappiamo ancora dove è rinchiusa e addirittura se è ancora viva. E speriamo ardentemente che essa si salvi. Ma perché mai l'hanno rapita? E perché Giuliana si trovava a Baghdad, dove americani ed irakeni ed altri ancora sparano e si uccidono, e rapiscono e si maledicono? lo pensavo che tutto questo fosse perché in quei luoghi c'è una guerra, e perciò coraggiosamente Giuliana fosse andata a vedere e a testimoniare sulla tragedia di quelle terre. Ma forse mi sbaglio. Non riesco a trovare le risposte esatte. Sono confuso. Come sono difficili le leggi che si danno gli uomini: anche sull'uccidere. E pensare che a suo tempo presi la laurea in giurisprudenza: e sono stato anche deputato, per molti anni. E anche Presidente della Camera. Eppure non capisco. Leggo quella pagina che viene dal Quirinale e mi confondo. Non comprendo più perché in quelle aride terre irakene sparano a morte ormai da tanto tempo. Non capisco che fanno: anche loro, i soldati italiani. Scusatemi: non capisco.
Pietro Ingrao

Luciana Sica e Remo Bodei su Repubblica

Repubblica 11.2.05
I NUOVI INDIFFERENTI
Convegni/ Analisti, filosofi e scrittori discutono a Roma sui disagi contemporanei
Il malessere nasce dalle speranze deluse dal senso diffuso di non contare nulla Parla Remo Bodei
I modelli del passato sono tramontati Gli eroi della tivù sono i padroni dell'immaginario
LUCIANA SICA


«Nei paesi dell'Occidente in cui il benessere è relativamente esteso, una delle forme di disagio più diffuso è rappresentata dalle speranze deluse»: siamo nell'era dei frustrati, dice Remo Bodei, docente di Storia della filosofia all'università di Pisa. Da anni, l'originale traiettoria del suo pensiero viene seguita con attenzione quasi devota negli ambienti psicoanalitici. E certamente, al convegno in programma per domani a Roma, la sua relazione sui malesseri che segnano la condizione post-moderna è tra le più attese.
Professor Bodei, sono le aspettative tradite, le ambizioni ormai accantonate, i traguardi mai raggiunti a rendere infelici gli uomini del mondo più evoluto?
«È una questione politica: nelle società democratico-egualitarie - a partire da quella americana degli inizi del secolo scorso - tutti hanno formalmente accesso agli stessi diritti e dunque tutti, anche i più sfavoriti, aspirano a superare la soglia della propria condizione di partenza per innalzarsi ai vertici della piramide sociale...».
Ma solo uno su mille ce la fa, come dice la canzonetta.
«Esatto. Il punto è che si è aperta una grave falla nel dispositivo d'inibizione delle aspettative, collaudato da millenni. Le società tradizionali possedevano strumenti abbastanza efficaci per compensare gli uomini degli svantaggi della loro condizione, per giustificare le gerarchie. Ad esempio, l'accettazione dei limiti e delle privazioni della vita trovava il proprio risarcimento nella prospettiva religiosa di una ricompensa in cielo».
Oggi, almeno in Occidente, quest´argomento non sembra fare breccia nella gran folla dei frustrati.
«Una delle forme di compensazione che le moderne civiltà, e non solo occidentali, usano per fare accettare l'esistenza che ciascuno conduce consiste nel far vivere altre vite, per mezzo di una immaginazione alimentata più che altro dai media. Di fronte al prevedibile naufragio dei tanti che mai riusciranno a far collimare le vite sognate con la realtà, l'inflazione di vite parallele rappresenta una strategia di gestione delle frustrazioni».
In cosa differisce l'immaginario del passato da quello del presente?
«Nel passato erano soprattutto i modelli imposti dalla politica, dalla religione, dalla filosofia, dalla società o dalla famiglia a forgiare sia l'immaginario che la condotta effettiva degli uomini. Oggi, con il diffondersi dei mezzi audiovisivi - alla portata di tutti, anche degli analfabeti - il catalogo delle vite parallele accessibili all'immaginazione coinvolge miliardi di persone».
I nuovi eroi sono, in particolare, quanti hanno avuto successo o visibilità nei media...
«Certamente non si cresce nel culto degli eroi di Plutarco, avendo come vite esemplari da imitare quelle di Alessandro Magno, Caio Gracco, Cesare o Bruto. E neppure nella propensione - così viva nel Medioevo - all'imitatio Christi e alla santità...».
Effettivamente non si cresce così... Lei dice che oggi il senso della realtà rischia di dissolversi in un eccesso di fantasticherie? È un consolatorio principio d´irrealtà che prevale?
«La fuga nell'immaginazione significa sradicarsi dalla realtà e accumulare infelicità futura: o si vive in uno stato di perenne disancoramento dal mondo oppure col mondo bisogna farci i conti. Questo non significa farsi schiacciare dai condizionamenti, rinunciare a ogni aspirazione, a ogni speranza. Difendo la logica del desiderio, che non deve essere mai spenta, senza però accontentarsi di paradisi a prezzi stracciati. E magari con una qualche capacità di "autosovversione", coltivando l'attitudine a modificarsi, a cambiare, a non guardare alla propria vita con un senso perenne di mortificazione».
Autosovversione, lei dice. Bella idea, non troppo praticata... Ma questi nuovi eroi televisivi, padroni dell'immaginario collettivo, non rischiano alla fine di accentuare il senso di esclusione?
«La sua domanda mi fa pensare a un articolo di Marco Lodoli, uscito di recente sul vostro giornale... Lui - lo scrittore-insegnante - giustamente sollecitava i suoi allievi a non piegarsi ai tic di massa, dall'ombelico scoperto alle mutandine firmate. A conservare la propria personalità, a crescere nell´autonomia. Ma una ragazza gli fa notare: nessuno di noi può aspirare a una propria individualità, non contiamo e non conteremo mai niente, e allora tanto vale non pensarci e fare come gli altri... Beh, io l'ho trovata un'osservazione molto intelligente».
Molto amara, anche, visto che qui il senso del fallimento è percepito già nell'adolescenza...
«Sì, ma spiega come la consapevolezza di essere brutalmente esclusi dal banchetto, dalle luci della ribalta, possa spingere sulla falsariga del così fan tutti».

LA MALINCONIA PREVALE SULLA NEVROSI

SE RESTA SOLTANTO IL CORPO
interventi di Chianese Sanguineti e Yehoshua
di Luciana Sica

ROMA
. Non è la nevrosi - dice Domenico Chianese, presidente della Società psicoanalitica italiana - il modello più adeguato per rappresentare la forma collettiva contemporanea del disagio. Prevalgono modelli diversi come le perversioni, gli stati borderline più pericolosamente inclini alle forme della psicosi, e soprattutto certe condizioni melanconiche. «Non si ha né il tempo né lo spazio necessario per farsi un'anima»: la citazione della Kristeva, l'autrice del Sole nero, serve ad alludere al senso generalizzato di vuoto, di perdita diffusa di energie, d´assenza di progettualità.
Chianese: «Non userei quella parola abusata che è depressione, perché non è di questo che si tratta, ma piuttosto di quella "indifferenza dell'anima" di cui ha scritto Lucio Russo. Della difficoltà alla rappresentazione e alla simbolizzazione dovuta alla perdita di quei "garanti metasociali", per usare il lessico di Touraine, che sono l'autorità, le gerarchie, i miti, le credenze... Potrei parlare più semplicemente, giocando con una metafora pittorica, di uno "stato bianco", di una condizione inerte in cui gli "oggetti" che possono appassionare non si trovano, non si costruiscono e neppure s'inventano...».
Vengono in mente certe riflessioni amare ma poco contestabili sull'età della tecnica in cui siamo immersi: i soggetti senza più memoria né sguardo sul futuro, ridotti a numeri intercambiabili e destinati a funzioni prefissate, piuttosto che all´espressione di un qualche talento, sono condannati a vivere staccati dalle proprie più autentiche emozioni. E cioè: in uno stato di dissociazione.
Chianese: «Un discorso tutto a parte meriterebbero i giovani, in genere molto sofferenti. Lì è vistosa la frattura tra il Sé ideale e la possibilità di realizzare i propri ideali. Tra i ragazzi c'è un´enfatizzazione mediatica del lato immaginario e una scarsità di meccanismi difensivi rispetto a più probabili frustrazioni. Lo stesso culto del corpo, che nei giovani è un elemento particolarmente evidente, è un segno chiaro di grande disagio. L'assenza di un sistema simbolico in cui tende a crescere smisuratamente l'onnipotenza del corpo e l´incertezza sui suoi confini, contribuisce alla perdita di un orizzonte di senso».
"L´infelicità nella Civiltà", era il titolo originario a cui aveva pensato Freud per il suo celebre saggio del '29, Il disagio della civiltà. In quel libro di taglio anche antropologico, oggetto di molte riserve, in qualche caso dello stesso autore, Freud allude alla nevrosi - intesa come il costo della "rinuncia pulsionale"- come a un segno della faticosa accettazione del "principio di realtà", come all´incarnazione soggettiva del disagio strutturale della Cultura.
È evidente però che anche i disagi non sono più quelli di una volta, che cambia vistosamente il malessere dell'umanità contemporanea: «sull´orlo dell´abisso del presente», per dirla con Le Goff. La lezione di Freud va contestualizzata nella cornice più ampia di un´epoca storica e di una particolare temperie culturale, senza improbabili tentazioni universalistiche. È in questo senso che assume un sapore finalmente innovativo il tema di un convegno in programma tra domani e domenica a Roma, a Palazzo Altemps, che ruota intorno a "I disagi delle Civiltà", un titolo coraggioso per alludere ai nuovi disagi senza dimenticare che non esiste solo il primo mondo, cioè il nostro. A parlarne sono stati chiamati alcuni autorevoli psicoanalisti, non solo italiani - da Widlocher a Kaes, a Tuckett -, ma anche due scrittori di razza come Sanguineti e Yehoshua, e un drappello di filosofi, da Marramao a Bodei.
L'idea è però tutta di Chianese, è lui l´artefice di questo appuntamento: così che ha voluto chiudere i suoi quattro anni da presidente della Società psicoanalitica, oggi senz'altro più aperta che in passato: a succedergli sarà Fernando Riolo.

Piero Fassino

una segnalazione di Sergio Grom

L'Espresso in edicola

Attualità
Piero più Piero
intervista di Stefania Rossini


(...)
Lei crede in Dio?
Diciamo che credo nel soprannaturale e nella trascendenza. Questo sì».
(...)
Mentre parla di sè lei trasmette un rovello continuo. Scusi se glielo chiedo: ha mai pensato di andare in analisi?
«Di più. Ho pensato di fare lo psicoanalista».
Davvero?
«Non si meravigli. Avrei voluto anche fare lo storico o i giornalista, tutte professioni affini a quella del politico. In modi diversi ognuno indaga l'uomo e la società in cui viviamo. Per fare lo psicoanalista ho anche pensato di iscrivermi a medicina, poi le circostanze della vita mi hanno portato altrove».
Però non mi ha detto se ha fatto il paziente.
«Avrei voluto. Più di una volta ho preso contatti operativi, poi non sono andato. Ma, almeno consciamente, non per sfiducia e resistenza. L'analisi richiede molto tempo per lavorare su di sè e io non ne avevo a sufficienza. Ho sacrificato me stesso alla funzione che ricoprivo. E non so più se sia stato giusto#.
(...)

brevi dal web

Ilmanifesto.it 10 febbraio 2005
In Amazzonia geroglifi come a Nazca


Due studiosi brasiliani hanno scoperto nello stato amazzonico dell'Acre grandi geroglifi che ricordano le figure precolombiane di Nazca, in Perù. Sono oltre sessanta figure geometriche, cerchi, quadrati, ottagoni o fusioni tra gli uni e gli altri, di circa duecento metri di diametro, scavate nel suolo della savana attuale in fossi profondi anche più di tre metri. Come spesso avviene in questo casi, la scoperta è stata casuale. Alceu Ranzi, paleontologo dell'università dell'Acre, lo stato più occidentale dell'Amazonia brasiliana, alla frontiera con Perù e Bolivia, nel 1999 ha avvistato un grande quadrato perfetto dal finestrino di un volo commerciale diretto alla capitale dell'Acre, Rio Branco. Gli abitanti della zona, in gran parte fazendeiros di stanziamento recente, spiegavano le forme scavate per terra più che altro come trincee del tempo della rivolta dell'Acre del 1902-3, quando lo stato si staccò dalla Bolivia e venne comprato dal Brasile. Ma dopo un sopralluogo in loco, a Ranzi apparve chiaro che si trattava di vestigia di una civiltà antica in Amazzonia, capace di conoscenze geometriche e di lavoro organizzato su vasta scala.

corriere.it 11 febbraio 2005-02-11
Coinvolti un milione e mezzo di lavoratori. Le conseguenze: depressione, ansia, crisi di panico. Il dossier oggi in un convegno
«Troppe vittime». E il mobbing diventa reato
Disegno di legge in Senato: pene fino a 4 anni, sarà il datore di lavoro a dover dimostrare la propria innocenza


ROMA - Non sono dei lavativi. Al contrario: persone attaccate al lavoro, talvolta ambiziose, con posizioni ragguardevoli. Funzionari di alto livello, dirigenti in carriera. Un bel giorno diventano bersaglio di angherie diaboliche, finalizzate ad emarginarli. Come se in azienda fosse scattata una congiura silenziosa. Perfino i colleghi, alla fine, sembrano guardarli con espressione derisoria. Si vedono costretti con un ordine di servizio a cambiare ufficio, traslocando da un luminoso ambiente con segretarie e frigobar ad uno sgabuzzino asfittico, ingombro di scrivanie. Anche le loro mansioni vengono mortificate. Da manager a passacarte, scalda-poltrona. E loro soffrono, si macerano dentro. Fino ad ammalarsi e ad aver bisogno di aiuto psicologico. Depressione, ansia, crisi di panico. Mobbizzati. In Italia sono almeno 750 mila, il 4,2% dei dipendenti. Ma è una cifra sottostimata. Sarebbero un milione e mezzo. Per la prima volta il fenomeno è stato studiato dal punto di vista giuridico e scientifico in un dossier che verrà illustrato oggi in un convegno organizzato in Senato dal titolo «Mobbing oggi, dalla riflessione alla legge». Viene presentato il disegno di legge di iniziativa del senatore Luciano Magnalbò, An, avvocato, vicepresidente della Commissione Affari Costituzionali, che riunifica i numerosi testi bipartisan depositati in Parlamento. Il mobbing assume la configurazione di reato. Chi lo attua rischia fino a 4 anni di carcere. Tra le novità, una serie di strumenti per la tutela delle vittime. E’ prevista, tra l’altro, l’inversione dell’onere probatorio (ma solo per quanto riguarda la tutela civilistica). Toccherà al datore di lavoro dimostrare di non aver voluto nuocere intenzionalmente. In caso di condanna, saranno annullati tutti gli atti che hanno messo all’angolo il malcapitato. L’articolo 8 chiarisce che le norme valgono anche per i dipendenti dei «partiti politici ed associazioni», gli unici ancora esposti a licenziamenti ingiustificati.
«Il quadro normativo attuale è insufficiente - dice Luciano Tamburro, giuslavorista, da tempo impegnato in questi processi -. Serviva una legge specifica perché siamo di fronte a un fenomeno dilagante. Le grandi aziende ricorrono a questo sistema per sfoltire il personale, specie dopo le fusioni societarie. Anziché licenziarli li convincono ad andarsene». In questo caso si parla di mobbing strategico, distinto da quello di «perversione», perpetrato per il gusto di veder soffrire. C’è chi sa resistere agli assalti ( to mob in inglese significa attaccare, accalcarsi attorno a qualcuno) e chi soccombe. In genere uomini, 50 anni, dirigenti di alto livello in ministeri, Asl e società private, con laute retribuzioni. «A soccombere sono i soggetti più motivati. Gente forte, solida, ma la loro dignità si sgretola sotto i colpi delle angherie - li descrive Francesco Bruno, criminologo -. Gli scansafatiche non si ammalano».

corriere.it 10 febbraio 2005
Un contraccettivo femminile che funziona come un «Viagra» rosa
Un anello per aumentare il piacere della coppia
Due studi, uno finlandese e uno dell'università di Bari, confermano i risultati del nuovo metodo


Un anello aumenta il piacere sessuale della coppia. Ma non si tratta della fede nuziale, bensì di un contraccettivo femminile sbarcato in Italia nell’ottobre 2003. Secondo studi recenti sarebbe il vero “Viagra” rosa. O meglio: il “Viagra” per due. Perché il piacere sarebbe reciproco.
Uno studio finlandese su 600 donne e uno studio italiano, dell’università di Bari, su oltre 100 coppie fisse hanno dato risultati inequivocabili, anche se per il momento spiegabili solo attraverso ipotesi. La novità è che questa potrebbe essere la soluzione a uno dei motivi di crisi di una coppia: per il 50 per cento attribuibili ad una certa “frigidità” della donna e per una percentuale analoga a disturbi maschili legati proprio alla sfera del piacere. E l’uso dei contraccettivi sembra sempre avere agito in modo deleterio sulla percezione del piacere. «A volte per ragioni fisiologiche, più spesso per un effetto inibitorio di natura esclusivamente psicologica», spiega Ulla Agren, la ginecologa che ha condotto lo studio finlandese sui contraccettivi femminili. «Io ho potuto riscontrare questo effetto stimolante dell’anello su oltre 600 pazienti», dice non nascondendo una certa sorpresa.
A Bari, invece, Rosa Sabatini voleva proprio studiare il “rifiuto” della coppia verso i contraccettivi: dal preservativo alla pillola, dalla spirale all’anello, al cerotto. I soggetti della ricerca dovevano essere sposati o conviventi stabili e la ginecologa dell’università di Bari ha arruolato oltre 100 coppie. I risultati? «Dopo averlo sperimentato per 12 mesi – spiega la Sabatini - l’80 per cento dei casi presi in esame ha dichiarato di aver provato un notevole aumento del piacere nel corso dei rapporti». Senza volerlo è stato scoperto quello che molte aziende farmaceutiche ricercano da anni: la soluzione alla frigidità della donna, o meglio della coppia come insieme. Tant’è che l’università di Bari si appresta ad approfondire questi dati ampliando la casistica fino a 300 coppie.
Ma quali sono i fattori che determinerebbero questo aumento del piacere? «Sembrerebbero tre – dice Rosa Sabatini - : un fattore farmacologico per la presenza locale dell’estrogeno (migliora il trofismo della vagina e la sua lubrificazione) e di una minima dose di progestinico (evita il calo della libido); un fattore psicologico (sapere della presenza dell’anello crea un effetto di stimolo) e un fattore meccanico (il contatto dell’anello durante il rapporto potrebbe creare un leggero, impercettibile massaggio sulla superficie del pene e della vagina)».
L’anello ha un diametro di cinque centimetri ed è composto dello stesso polimero anallergico con cui vengono realizzate le lenti a contatto. Va applicato all’interno della vagina il quinto giorno dopo l’inizio del ciclo mestruale e lasciato nella stessa posizione per 21 giorni, durante i quali rilascia lentamente un mix di progestinico ed estrogeno, gli ormoni che inibiscono l’ovulazione. Ovviamente, come tutti gli altri contraccettivi femminili, non protegge dall’Aids o dalle malattie sessualmente trasmesse. Solo il preservativo ha anche questa efficacia. «Mai abbassare la guardia – avverte la Sabatini-. L’anello aumenta il piacere ma aumenta anche i rischi con partner occasionali. Massima precauzione e igiene quindi».
Quali i vantaggi rispetto agli altri metodi anticoncezionali? «Le altre tecniche per evitare la gravidanza possono comportare effetti collaterali, che spesso incidono negativamente sulla qualità della vita di coppia – continua la ginecologa di Bari –. Non è un caso se anche la pillola, il contraccettivo oggi più diffuso, alla lunga viene rifiutata dal 30 percento delle donne». Colpa dell’emicrania, delle perdite premestruali, della tendenza a ingrassare e dello stato di ansia, irritabilità o depressione che il trattamento può provocare. Disturbi praticamente assenti nel caso di utilizzo dell’anello, perché questo entra in circolazione localmente, senza interessare le vie di assorbimento gastro-intestinali, rilasciando una quantità di ormoni decisamente ridotta.
Poco «invasivo» quindi, ma il più percepito (almeno indirettamente) durante i rapporti sessuali. Con effetti, per l’82,4 delle donne e per l’80 percento degli uomini, sorprendentemente positivi. «Normalmente il contraccettivo ideale viene descritto così: “quello che si sente di meno” – conclude la Sabatini –. In questo caso, il paradosso potrebbe invece essere segno di una piccola rivoluzione».
E se l’unione di coppia trova nuovi stimoli, c’è sempre un anello di mezzo.

unionesarda.it 10 febbraio 2005
Cagliari. La storia di un soldato mandato nei Balcani e adesso sotto processo
Ho visto troppi cadaveri maciullati. Io diserto

«Ho visto troppi cadaveri maciullati». Dopo cinque missioni nei Balcani, un cagliaritano di 27 anni, Claudio Melis, si è ammalato di depressione. E ha disertato. Per questo stamattina sarà processato davanti al giudice militare. Rischia da sei mesi a due anni. Ma il suo legale, l'avvocato Roberta Cossu, chiederà le attenuanti perché l'orrore della guerra lo ha fatto ammalare. Paralizzato al letto da una malattia subdola e poco considerata, ma non per questo meno grave della Sindrome dei Balcani, che ha ucciso 36 militari mentre 300 combattono contro il cancro. Il padre, un maresciallo dell'esercito in pensione, racconta di un ragazzo che si alza raramente dal letto, che non parla, di una stanza buia e di una serranda che non si apre quasi mai. Ma un militare che non dà più notizie di sé si chiama disertore. E oggi il processo davanti al giudice militare.

farmacia.it 10 febbraio 2005
PSICHIATRIA: DEPRESSIONE, NUOCE A CUORE MODIFICANDO ORMONI


Starebbe in uno scompenso ormonale impercettibile il pericolosissimo legame tra depressione e malattia delle coronarie. Il sospetto arriva da uno studio su scimmie condotto da Carol Shively della Wake Forest University School of Medicine di Winston-Salem in North Carolina e pubblicato sul Journal of Biological Psychology, La depressione potrebbe creare uno scompenso degli ormoni sessuali femminili abbastanza piccolo da non essere rilevato dai medici, ma abbastanza grande da influenzare il sistema cardiocircolatorio. La ricerca, ha inoltre rilevato la Shively, e' la prima in assoluto su femmine di scimmie per indagare la depressione che prende chi riveste un ruolo sociale subordinato, depressione da 'rango sociale' che anche nell'uomo, si e' gia' dimostrata una minaccia per la salute del cuore pur rimanendo un mistero il motivo di questo legame tra salute della psiche e salute del cuore. La scelta di compiere questo studio sulle scimmie non e' casuale, ha aggiunto la Shively, infatti questi animali si prestano poi bene alla sperimentazione di farmaci anti-depressivi. Inoltre la depressione e' il 66% piu' comune tra le donne, ecco perche' le scimmie, in tutto 36 della specie 'Macaca fascicularis', sono state scelte femmine. Le 36 scimmie, divise in nove gruppi, hanno naturalmente sviluppato una struttura sociale gerarchica al loro interno e quelle che sono andate ad occupare il rango piu' basso ben presto sono andate incontro a depressione, manifestatasi con perdita di interesse per l'ambiente e tendenza a rimanere ferme 'a cuccia' nel loro territorio. Alla depressione seguono i primi disturbi del ritmo cardiaco e l'accumulo di grassi nocivi nel sangue, a sua volta un fattore di rischio cardiovascolare ben noto. Inoltre i livelli di ormoni femminili, estrogeni e progesterone, crollano in queste scimmie, segno che la depressione altera pure la funzione ovarica. In passato, ha fatto notare la studiosa, sia nell'uomo che nelle scimmie bassi livelli di estrogeni sono risultati associati a malattie vascolari. Nonostante la riduzione di estrogeni e progesterone, ha concluso la ricercatrice, le scimmie continuano ad avere un ciclo mestruale normale. Sorge dunque il sospetto che squilibri di ormoni quali estrogeni e progesterone, diminuiscano negli individui depressi ma che questo calo ormonale sia tanto impercettibile quanto nocivo per la salute del cuore.

corriere.it 11 febbraio 2005
DA VEDERE
Genesi di un film-verità sul figlio schizofrenico


Evento speciale domani mattina all’Anteo (via Milazzo 9, ore 10.30, ingresso 4 euro) per conoscere la genesi di un film insolito e unico: «Un silenzio particolare», storia vera di una famiglia alle prese con il problema di un figlio affetto da malattia mentale. A parlarne, dopo la proiezione, sarà il padre, lo sceneggiatore Stefano Rulli, questa volta regista e interprete insieme alla moglie, Clara Sereni, di un’odissea della comunicazione e della convivenza, quella che vede protagonista Matteo, il figlio di 26 anni, un io narrante schizofrenico che racconta se stesso affidandosi all’intensità dello sguardo e con una mimica proveniente direttamente dal profondo. L’opera è frutto di tre anni di lavoro ed è stata girata nel casale della fondazione Onlus Città del Sole, un agriturismo nei dintorni di Orvieto che accoglie i portatori di handicap e le loro famiglie. Insieme con Rulli intervengono Virgilio Baccalini dell’associazione Tartavela e Angelo Barbato, primario di Psichiatria a Garbagnate.

Gesu Cristo

una cosa curiosa nel Forum di www.quaderniradicali.it...
segnalata da Paolo Izzo

Cristo non è mai esistito: afferma lo storico Cascioli e
lancia una sfida al cardinale Biffi e alla Chiesa cattolica
Il libro-denuncia “La favola di Cristo” dimostra che Gesù è solo uno scambio di persona


VITERBO – “Gesù Cristo non è mai esistito ed è possibile dimostrarlo in maniera inconfutabile e comprovata, dissolvendo qualsiasi dubbio. Si è verificato uno scambio di persona”. E’ questa la dichiarazione sconcertante del famoso studioso e storico Luigi Cascioli. Nel suo straordinario e dettagliato libro-denuncia “La favola di Cristo” tutte le teorie della Chiesa cattolica crollano, cadendo una ad una, come in un gioco di domino. Questo lavoro di paziente e costante ricerca è costato allo scrittore cinque anni di studi approfonditi, un lavoro immenso, mastodontico che lo ha condotto a esaminare migliaia e migliaia di documenti, di testi ritenuti sacri e di iconografie. “Infatti nel saggio La favola di Cristo sono illustrate e spiegate con chiarezza tutte le falsità che la teologia cattolica non ha mai ritenuto di mettere in discussione” continua Cascioli. “E’ giunto il momento che il mondo sappia e conosca finalmente quale sia la verità storica, che piaccia no. Inutile tapparsi gli occhi dinanzi alla storia”. Cascioli invita caldamente il cardinale Biffi a partecipare insieme a un pubblico dibattito televisivo auspicando che la Rai, come network di informazione pubblica, e altre emittenti private, mettano a disposizione un programma adeguato di discussione che affronti – prima volta nella storia – il tema se Cristo è esistito. Una sfida che Cascioli si auspica venga immediatamente raccolta da Biffi o da qualsiasi altro rappresentante e teologo della Chiesa cattolica. Un incontro intellettuale che si preannuncia come la grande sfida del millennio.

PER VEDERE E ASCOLTARE L'INTERVISTA
a Luigi Cascioli sulla RAI del TG2 nella rubrica Mizar clicca sul link:
http://www.luigicascioli.it/tg2_ita.php

LA FAVOLA DI CRISTO - Libro-denuncia
per visualizzare la foto e dettagli di Luigi Cascioli clicca sul link:
http://www.ladysilvia.net/magaView/news/4690/attualita

www.luigicascioli.it