capital.it Trovacinema 25.5.05
Cannes a Roma, decennale di "Le vie del cinema"
La rassegna cinematografica di Cannes a Roma, "Le vie del cinema", è giunta quest'anno alla sua decima edizione e per l'occasione l'Anec Lazio, in collaborazione con l'Accademia di Francia e con il contributo di Francesco Martinotti, offre al grande pubblico della capitale un prezioso omaggio: la retrospettiva per il decennale, prima di gustare la manifestazione vera e propria.
Dodici film italiani, tra i più noti e rappresentativi nella storia della "Quinzaine des realisatures" e de "La semaine internationale de la critique", le due principali sezioni parallele del Festival di Cannes, verranno proiettati nella suggestiva cornice dell'Accademia di Francia a Villa Medici fino al 27 maggio e poi, in un secondo momento, nell'ambito della rassegna di Cannes a Roma.
Tra i film di rilievo, in programma domani sera, anche "Pelle viva" (1963) di Giuseppe Fina, vincitore al festival di Cannes del "premio della Jeune Critique" (1963), "I Cannibali" (1970) di Liliana Cavani, "Diavolo in corpo" (1986) di Marco Bellocchio e tanti altri film ancora.
La retrospettiva mira a consacrare i 10 anni di Cannes a Roma, anni densi di proiezioni, anteprime e cortometraggi provenienti da tutte le sezioni del festival.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
giovedì 26 maggio 2005
il Diavolo in corpo di nuovo sugli schermi a Roma
Corriere della Sera 26.5.05
DA VEDERE
Dalla Cavani a Bertolucci, gli anni italiani di Cannes
L'Accademia di Francia presenta «10 anni di Cannes a Roma», una selezione di film italiani presentati alla Sémaine de la critique e alla Quinzaine des réalisateurs dal 1962 al 2002. La manifestazione precede la rassegna «Cannes a Roma», con i film del festival di quest’anno, che si svolgerà dal 6 al 10 giugno. A Villa Medici (viale Trinità de’ Monti, tel. 06.4451208), invece, si vedranno nella Sala Michel Piccoli fino a domani dodici film italiani, con successivo trasferimento il 9 e il 10 giugno al cinema Roma. Tra le pellicole proiettate figurano anche alcune rarità come «I nuovi angeli» di Ugo Gregoretti, docu-film del 1962; «Pelle Viva» di Giuseppe Fina, mai distribuito in sala, del 1963; «I Cannibali» diretto da Liliana Cavani (foto) , del 1970, e opere più recenti fra le quali «Respiro» di Emanuele Crialese del 2002; «Prima della Rivoluzione» di Bernardo Bertolucci girato nel 1964; «Il Diavolo in corpo» di Marco Bellocchio del 1986.
DA VEDERE
Dalla Cavani a Bertolucci, gli anni italiani di Cannes
L'Accademia di Francia presenta «10 anni di Cannes a Roma», una selezione di film italiani presentati alla Sémaine de la critique e alla Quinzaine des réalisateurs dal 1962 al 2002. La manifestazione precede la rassegna «Cannes a Roma», con i film del festival di quest’anno, che si svolgerà dal 6 al 10 giugno. A Villa Medici (viale Trinità de’ Monti, tel. 06.4451208), invece, si vedranno nella Sala Michel Piccoli fino a domani dodici film italiani, con successivo trasferimento il 9 e il 10 giugno al cinema Roma. Tra le pellicole proiettate figurano anche alcune rarità come «I nuovi angeli» di Ugo Gregoretti, docu-film del 1962; «Pelle Viva» di Giuseppe Fina, mai distribuito in sala, del 1963; «I Cannibali» diretto da Liliana Cavani (foto) , del 1970, e opere più recenti fra le quali «Respiro» di Emanuele Crialese del 2002; «Prima della Rivoluzione» di Bernardo Bertolucci girato nel 1964; «Il Diavolo in corpo» di Marco Bellocchio del 1986.
Fabio Fazio
L'Unità 26 Maggio 2005
FABIO FAZIO: «I politici astensionisti? Ripaghiamoli con la stessa moneta: non votiamoli»
«Una legge cattiva. E cinica»
ROMA «La coscienza è una cosa complicatissima, non si può regolamentare per legge». Fabio Fazio, il popolare conduttore tv, creatore di Che tempo che fa, voterà quattro Sì al referendum sulla procreazione assistita del 12 e 13 giugno.
Non entra nel merito sul caso creato da Porta a Porta che nella puntata di lunedì ha escluso il Comitato referendario. Ma sull’informazione sul piccolo schermo, Fazio non esita a denunciare con forza: «In televisione si dice qualsiasi cosa, con una approssimazione impressionante...». E lancia un appello agli elettori italiani: «Non votate i politici che invitano all’astensione. Ebbene sì, ripaghiamoli con la stessa moneta: è una posizione del tutto inaccettabile la loro, che grida vendetta».
Ci spieghi il perchè dei suoi quattro Sì al referendum.
«È una battaglia che riguarda i diritti. È sull’estensione dei diritti che si misura un Paese. I divieti tendono ad uniformare».
Come i tanti divieti della legge 40?
«Esatto. Non si tiene conto della grande battaglia di civiltà per la cura di una malattia: la sterilità. Vietare per legge il tumulto che è nella coscienza è una cosa inaccettabile. Cattiva».
Mi dia un giudizio sulla legge 40 approvata dal governo di centrodestra lo scorso anno.
«Non è una cattiva legge. È una legge cattiva. Ha molta importanza la collocazione dell’aggettivo».
E perchè è cattiva?
«Tratta in modo cinico la fecondazione assistita, ignorando alcuni aspetti. Ignora i risvolti psicologici di chi desidera un figlio ed è sterile. Ignora i drammi dei bambini che potrebbero nascere malati».
I diritti sono di tutti. Eppure l’informazione sui referendum è scarsa o approssimativa. A cominciare dalla televisione. È dello stesso avviso?
«Si dice che la materia è complessa, che è un problema di coscienza. Quella coscienza, appunto, che è difficilissimo regolamentare per legge. In televisione a volte l’argomento viene manipolato in buona e in cattiva fede. Con un’approssimazione impressionante: viene detto che l’embrione è già un bambino. Anche quelli che vengono trasferiti nell’utero di una donna sono tali. Nessuno conosce la differenza. E a volte si mischia la fecondazione con la clonazione».
Poca chiarezza e inviti all’estensione. Faccia un appello...
«A scuola, nel 1970, ho studiato l’educazione civica. Mi è stato spiegato che l’esercizio del voto è il momento supremo che c’è nella vita di un paese. Insomma, il voto è sacro... Ritengo che la posizione di chi invita la gente a non andare a votare per questo referendum è inaccettabile, grida vendetta. Per cui ribadisco con forza il mio appello: ripaghiamo questi rappresentati politici con la stessa moneta. Non votiamo mai più questi signori».
L'Unità 26 Maggio 2005
LA GRANDE FUGA La ricerca dei centri di fecondazione rivela che se la legge non cambia, diventerà un fenomeno di massa
Fecondazione negata:
triplicati i viaggi all’estero
Il loro numero in un anno è triplicato. Sono gli italiani «fuggiti» all’estero a causa della legge sulla fecondazione assistita. Sono le coppie che escono dai confini nazionali per rivolgersi ai centri stranieri nella speranza di poter concepire un figlio ma anche per eseguire una diagnosi preimpianto o congelare gli embrioni. Un vero e proprio «boom», insomma: sono 3.610 gli italiani a praticare il «turismo procreativo». Le mete più ambite sono, secondo la ricerca condotta dal Cecos Italia, la Svizzera e la Spagna. Seguono nella classifica gli Usa e la Gran Bretagna.
Non solo: è la comunità internazionale degli scienziati a bocciare la legge 40 sulla fecondazione assistita, che sarà sottoposta a referendum il 12 e il 13 giugno. È stato il professor Carlo Flamigni a raccogliere i pareri di ventuno tra i maggiori esperti al mondo, tra cui il pioniere del congelamento degli embrioni Alan Trounson, il presidente della società europea di embriologia Arne Sunde e il padre della genetica preimpianto Lord Winston. Il quale ha preso carta e penna per dichiarare: «La legge promulgata dal Parlamento italiano ha connotazioni di crudeltà». Presentato a Roma anche un sondaggio Eurisko sugli italiani e la religiosità: ebbene, la maggioranza dei cattolici nel nostro Paese è favorevole all’eterologa.
FABIO FAZIO: «I politici astensionisti? Ripaghiamoli con la stessa moneta: non votiamoli»
«Una legge cattiva. E cinica»
ROMA «La coscienza è una cosa complicatissima, non si può regolamentare per legge». Fabio Fazio, il popolare conduttore tv, creatore di Che tempo che fa, voterà quattro Sì al referendum sulla procreazione assistita del 12 e 13 giugno.
Non entra nel merito sul caso creato da Porta a Porta che nella puntata di lunedì ha escluso il Comitato referendario. Ma sull’informazione sul piccolo schermo, Fazio non esita a denunciare con forza: «In televisione si dice qualsiasi cosa, con una approssimazione impressionante...». E lancia un appello agli elettori italiani: «Non votate i politici che invitano all’astensione. Ebbene sì, ripaghiamoli con la stessa moneta: è una posizione del tutto inaccettabile la loro, che grida vendetta».
Ci spieghi il perchè dei suoi quattro Sì al referendum.
«È una battaglia che riguarda i diritti. È sull’estensione dei diritti che si misura un Paese. I divieti tendono ad uniformare».
Come i tanti divieti della legge 40?
«Esatto. Non si tiene conto della grande battaglia di civiltà per la cura di una malattia: la sterilità. Vietare per legge il tumulto che è nella coscienza è una cosa inaccettabile. Cattiva».
Mi dia un giudizio sulla legge 40 approvata dal governo di centrodestra lo scorso anno.
«Non è una cattiva legge. È una legge cattiva. Ha molta importanza la collocazione dell’aggettivo».
E perchè è cattiva?
«Tratta in modo cinico la fecondazione assistita, ignorando alcuni aspetti. Ignora i risvolti psicologici di chi desidera un figlio ed è sterile. Ignora i drammi dei bambini che potrebbero nascere malati».
I diritti sono di tutti. Eppure l’informazione sui referendum è scarsa o approssimativa. A cominciare dalla televisione. È dello stesso avviso?
«Si dice che la materia è complessa, che è un problema di coscienza. Quella coscienza, appunto, che è difficilissimo regolamentare per legge. In televisione a volte l’argomento viene manipolato in buona e in cattiva fede. Con un’approssimazione impressionante: viene detto che l’embrione è già un bambino. Anche quelli che vengono trasferiti nell’utero di una donna sono tali. Nessuno conosce la differenza. E a volte si mischia la fecondazione con la clonazione».
Poca chiarezza e inviti all’estensione. Faccia un appello...
«A scuola, nel 1970, ho studiato l’educazione civica. Mi è stato spiegato che l’esercizio del voto è il momento supremo che c’è nella vita di un paese. Insomma, il voto è sacro... Ritengo che la posizione di chi invita la gente a non andare a votare per questo referendum è inaccettabile, grida vendetta. Per cui ribadisco con forza il mio appello: ripaghiamo questi rappresentati politici con la stessa moneta. Non votiamo mai più questi signori».
L'Unità 26 Maggio 2005
LA GRANDE FUGA La ricerca dei centri di fecondazione rivela che se la legge non cambia, diventerà un fenomeno di massa
Fecondazione negata:
triplicati i viaggi all’estero
Il loro numero in un anno è triplicato. Sono gli italiani «fuggiti» all’estero a causa della legge sulla fecondazione assistita. Sono le coppie che escono dai confini nazionali per rivolgersi ai centri stranieri nella speranza di poter concepire un figlio ma anche per eseguire una diagnosi preimpianto o congelare gli embrioni. Un vero e proprio «boom», insomma: sono 3.610 gli italiani a praticare il «turismo procreativo». Le mete più ambite sono, secondo la ricerca condotta dal Cecos Italia, la Svizzera e la Spagna. Seguono nella classifica gli Usa e la Gran Bretagna.
Non solo: è la comunità internazionale degli scienziati a bocciare la legge 40 sulla fecondazione assistita, che sarà sottoposta a referendum il 12 e il 13 giugno. È stato il professor Carlo Flamigni a raccogliere i pareri di ventuno tra i maggiori esperti al mondo, tra cui il pioniere del congelamento degli embrioni Alan Trounson, il presidente della società europea di embriologia Arne Sunde e il padre della genetica preimpianto Lord Winston. Il quale ha preso carta e penna per dichiarare: «La legge promulgata dal Parlamento italiano ha connotazioni di crudeltà». Presentato a Roma anche un sondaggio Eurisko sugli italiani e la religiosità: ebbene, la maggioranza dei cattolici nel nostro Paese è favorevole all’eterologa.
“vilipendio della religione”
L'Unità 26 Maggio 2005
Il caso
Vilipendio, reati Fallaci
Paolo Flores d'Arcais
Oriana Fallaci è stata rinviata a giudizio dal gip di Bergamo Armando Grasso per “vilipendio della religione”. Così i giornali. Più precisamente: ex articoli 406 e 403 del codice penale : art. 406: Delitti contro i culti ammessi nello Stato. Chiunque commette uno dei fatti degli articoli 403, ecc. … è punito ai termini dei predetti articoli ma la pena è diminuita. Art. 403: Offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di persone. Chiunque pubblicamente offende la religione dello Stato, mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la reclusione fino a due anni. La Corte Costituzionale ha sentenziato pochi giorni fa che la discrepanza nella sanzione verso le diverse religioni non è ammissibile).
Brutta giornata per il diritto. Anzi: pessima. Non serve a nulla sottolinearlo, però, se non si ha il coraggio della coerenza (invero modestissimo, in questo caso). Cioè: chiedere a voce unanime e ultimativa (senza se e senza ma, come si diceva quando una certa energia riformatrice percorreva ancora il Belpaese) l'unica misura perché analoghi rinvii a giudizio (e Dio non voglia, condanne) escano dall'universo dei pensabili. L'abrogazione secca degli articoli 402, 403, 404, 406 del codice penale.
Peccato che Pierluigi Battista, vicedirettore del Corriere della Sera, abbia dimenticato di farlo esplicitamente. Perché, se si rimane nel vago, ci si avvilisce nell'apologia soft del ministro Castelli «che ha meritoriamente definito l'accanimento giudiziario contro un libro come “coercizione del pensiero”». Pura piaggeria, questa sviolinata di Battista a Castelli. E “meritoria” un piffero, l'uscita del Guardasigilli celtico-padano. Perché l'accanimento giudiziario è il classico fuori tema: i reati sono previsti. Si tratta di abrogarli, non di ignorarli. Inutile prendersela con i magistrati. Responsabili sono i legislatori, vulgo i politici.
Questi articoli incriminati i magistrati cercano, in genere, di non applicarli, tanto sono forcaioli se presi alla lettera. Ma vigono. E se qualcuno li brandisce non è “accanimento”, purtroppo, ma proprio quel farsi “bouche des lois” che i garantisti pelosi (garantisti berlusconisti: un ossimoro senza poesia) pretendono dai magistrati.
E allora diciamo un rotondo “basta” a questi reati - incompatibili con la democrazia - e vediamo chi in Parlamento vuole invece mantenerli. Perché, sia chiaro, fedeli e ministri dei culti (al plurale, ovviamente, e in perfetta parità: il predicatore di Allah vale per la legge quanto il cardinale di Santa Romana Chiesa, e il fedele di Cristo il fedele di Maometto: Corte Costituzionale docet) sono già tutelati, in quanto persone e come ciascuno di noi, attraverso le norme che puniscono la diffamazione. Il vilipendio, invece, consente la mordacchia ad ogni critica delle religioni che il fedele ritenga offensiva. Nell'Italia di queste leggi ancora vigenti (vergognosamente) non la passerebbe liscia il buon vecchio Marx, ad esempio, che addebita alle religioni lo spaccio di droga (più che vilipendio: si beccherebbe anche l'accusa di diffamazione). Per non parlare di Feuerbach, di Nietzsche …
Il Corriere, forte del suo prestigio di primo quotidiano italiano, potrebbe perciò farsi promotore di una richiesta di firme parlamentari bipartisan (non parleremmo certo di cerchiobottismo, in questo caso) o di un referendum abrogativo, se le prime latitassero. Chiedendo magari il coinvolgimento delle altre grandi testate nazionali. Non credo che mancherebbe l'appoggio di questa.
Perché la questione non è solo italiana, ma ormai europea. Proprio mentre veniva firmato il rinvio a giudizio, un perseguitato vero dalle religioni, Salman Rushdie, ricordava al pubblico di Massenzio che il Labour (nomina NON sunt consequentia rerum!) di Tony Blair, nell'ipocrita tentativo di riconquistare i voti musulmani perduti con la devozione alla sciagurata guerra di Bush, ha già tentato due volte di far passare un “Bill” che castiga le critiche-offese alle religioni: bloccato fin qui dalla Camera dei Lord. L'Europa tutta avrebbe dunque bisogno di un segnale laico e liberale inequivoco.
Perché una volta tanto l'Italia - ferula del Corriere adiuvante - non prova ad essere la prima della classe? Si tratta infatti di promuovere, radicare, garantire la libertà di critica. Si sentano o meno offesi i credenti di tutte le religioni. Altrimenti, si finisce solo per promuovere un libro “stupido” (così Rushdie su Fallaci, in video da Giuliano Ferrara), sotto pretesto di un inesistente accanimento giudiziario e in colpevole rimozione di un vigente accanimento clerico-legislativo.
Il caso
Vilipendio, reati Fallaci
Paolo Flores d'Arcais
Oriana Fallaci è stata rinviata a giudizio dal gip di Bergamo Armando Grasso per “vilipendio della religione”. Così i giornali. Più precisamente: ex articoli 406 e 403 del codice penale : art. 406: Delitti contro i culti ammessi nello Stato. Chiunque commette uno dei fatti degli articoli 403, ecc. … è punito ai termini dei predetti articoli ma la pena è diminuita. Art. 403: Offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di persone. Chiunque pubblicamente offende la religione dello Stato, mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la reclusione fino a due anni. La Corte Costituzionale ha sentenziato pochi giorni fa che la discrepanza nella sanzione verso le diverse religioni non è ammissibile).
Brutta giornata per il diritto. Anzi: pessima. Non serve a nulla sottolinearlo, però, se non si ha il coraggio della coerenza (invero modestissimo, in questo caso). Cioè: chiedere a voce unanime e ultimativa (senza se e senza ma, come si diceva quando una certa energia riformatrice percorreva ancora il Belpaese) l'unica misura perché analoghi rinvii a giudizio (e Dio non voglia, condanne) escano dall'universo dei pensabili. L'abrogazione secca degli articoli 402, 403, 404, 406 del codice penale.
Peccato che Pierluigi Battista, vicedirettore del Corriere della Sera, abbia dimenticato di farlo esplicitamente. Perché, se si rimane nel vago, ci si avvilisce nell'apologia soft del ministro Castelli «che ha meritoriamente definito l'accanimento giudiziario contro un libro come “coercizione del pensiero”». Pura piaggeria, questa sviolinata di Battista a Castelli. E “meritoria” un piffero, l'uscita del Guardasigilli celtico-padano. Perché l'accanimento giudiziario è il classico fuori tema: i reati sono previsti. Si tratta di abrogarli, non di ignorarli. Inutile prendersela con i magistrati. Responsabili sono i legislatori, vulgo i politici.
Questi articoli incriminati i magistrati cercano, in genere, di non applicarli, tanto sono forcaioli se presi alla lettera. Ma vigono. E se qualcuno li brandisce non è “accanimento”, purtroppo, ma proprio quel farsi “bouche des lois” che i garantisti pelosi (garantisti berlusconisti: un ossimoro senza poesia) pretendono dai magistrati.
E allora diciamo un rotondo “basta” a questi reati - incompatibili con la democrazia - e vediamo chi in Parlamento vuole invece mantenerli. Perché, sia chiaro, fedeli e ministri dei culti (al plurale, ovviamente, e in perfetta parità: il predicatore di Allah vale per la legge quanto il cardinale di Santa Romana Chiesa, e il fedele di Cristo il fedele di Maometto: Corte Costituzionale docet) sono già tutelati, in quanto persone e come ciascuno di noi, attraverso le norme che puniscono la diffamazione. Il vilipendio, invece, consente la mordacchia ad ogni critica delle religioni che il fedele ritenga offensiva. Nell'Italia di queste leggi ancora vigenti (vergognosamente) non la passerebbe liscia il buon vecchio Marx, ad esempio, che addebita alle religioni lo spaccio di droga (più che vilipendio: si beccherebbe anche l'accusa di diffamazione). Per non parlare di Feuerbach, di Nietzsche …
Il Corriere, forte del suo prestigio di primo quotidiano italiano, potrebbe perciò farsi promotore di una richiesta di firme parlamentari bipartisan (non parleremmo certo di cerchiobottismo, in questo caso) o di un referendum abrogativo, se le prime latitassero. Chiedendo magari il coinvolgimento delle altre grandi testate nazionali. Non credo che mancherebbe l'appoggio di questa.
Perché la questione non è solo italiana, ma ormai europea. Proprio mentre veniva firmato il rinvio a giudizio, un perseguitato vero dalle religioni, Salman Rushdie, ricordava al pubblico di Massenzio che il Labour (nomina NON sunt consequentia rerum!) di Tony Blair, nell'ipocrita tentativo di riconquistare i voti musulmani perduti con la devozione alla sciagurata guerra di Bush, ha già tentato due volte di far passare un “Bill” che castiga le critiche-offese alle religioni: bloccato fin qui dalla Camera dei Lord. L'Europa tutta avrebbe dunque bisogno di un segnale laico e liberale inequivoco.
Perché una volta tanto l'Italia - ferula del Corriere adiuvante - non prova ad essere la prima della classe? Si tratta infatti di promuovere, radicare, garantire la libertà di critica. Si sentano o meno offesi i credenti di tutte le religioni. Altrimenti, si finisce solo per promuovere un libro “stupido” (così Rushdie su Fallaci, in video da Giuliano Ferrara), sotto pretesto di un inesistente accanimento giudiziario e in colpevole rimozione di un vigente accanimento clerico-legislativo.
«come uccidono le donne»
La Stampa 26 Maggio 2005
DOTTORESSA Giuliana Kanzà, lei è una studiosa psicoanalista. Ha scritto un libro, presentato al Salone del libro di Torino, dal titolo «Come uccidono le donne». È un titolo duro che riporta alla mente recenti casi di cronaca. Ma perché le donne uccidono?
«Innanzitutto bisogna dire che oggi il delitto prevalente compiuto da una donna e che ricade nella formula dell’incapacità di intendere e di volere, è appunto quella del figlicidio. Ritorna alla mente il delitto di Cogne e ora quello di Lecco. Semplificando potremmo dire che la donna è diversa dall’uomo perché è strutturalmente più vicina all’essere, all’amore e che di contro è meno sottoposta ai legami della legge, questa intesa in senso universale, simbolico. Così nel versante dell’amore, è capace di debordare nell’odio quando la sua angoscia non è presa in carico dall’uomo».
Significa che quando l’uomo che ti sta accanto non si prende cura di te e dei tuoi problemi, la donna scarica la frustrazione sull’essere che è causa del suo malessere?
«In un certo senso sì. Prendiamo quella che secondo il cattolicesimo è la famiglia per eccellenza, Maria, Giuseppe e Gesù. Giuseppe si è preso carico dei problemi di Maria, l’ha guidata in Egitto, ha organizzato il viaggio, ha caricato sulle sue spalle i problemi. Il disagio della società moderna è che l’uomo ha abdicato a questo compito e viene meno alla sua funzione di padre, punto di riferimento per se stesso, per la madre e per il bambino».
E per quanto riguarda i recenti casi di cronaca?
«Per quanto riguarda il caso di Lecco, appunto la madre può aver rimosso ciò che ha fatto, non lo tollera e il senso comune tende a rifiutare il delitto per eccellenza e a suffragare l’ipotesi di un estraneo. Salta fuori sempre lo stesso modello anche nel caso di Cogne, similitudini inquietanti: le modalità dell’omicidio, la pista dell’estraneo, la famiglia che si stringe intorno all’accusata. Un modello che ha avuto successo sui media e che ha generato un’imitazione».
Pensa sia un male socialmente curabile?
«No, se non nella struttura del “Disagio della società” come lo definiva Freud. Una società che concede tutto al godimento del sintomo, un godimento illusorio che porta ad esorcizzare le paure e che scatta quando non ci si vuole porre di fronte ai propri limiti, di fronte a un rapporto magari non perfetto ma che rappresenti un incontro dialettico e simbiotico».
DOTTORESSA Giuliana Kanzà, lei è una studiosa psicoanalista. Ha scritto un libro, presentato al Salone del libro di Torino, dal titolo «Come uccidono le donne». È un titolo duro che riporta alla mente recenti casi di cronaca. Ma perché le donne uccidono?
«Innanzitutto bisogna dire che oggi il delitto prevalente compiuto da una donna e che ricade nella formula dell’incapacità di intendere e di volere, è appunto quella del figlicidio. Ritorna alla mente il delitto di Cogne e ora quello di Lecco. Semplificando potremmo dire che la donna è diversa dall’uomo perché è strutturalmente più vicina all’essere, all’amore e che di contro è meno sottoposta ai legami della legge, questa intesa in senso universale, simbolico. Così nel versante dell’amore, è capace di debordare nell’odio quando la sua angoscia non è presa in carico dall’uomo».
Significa che quando l’uomo che ti sta accanto non si prende cura di te e dei tuoi problemi, la donna scarica la frustrazione sull’essere che è causa del suo malessere?
«In un certo senso sì. Prendiamo quella che secondo il cattolicesimo è la famiglia per eccellenza, Maria, Giuseppe e Gesù. Giuseppe si è preso carico dei problemi di Maria, l’ha guidata in Egitto, ha organizzato il viaggio, ha caricato sulle sue spalle i problemi. Il disagio della società moderna è che l’uomo ha abdicato a questo compito e viene meno alla sua funzione di padre, punto di riferimento per se stesso, per la madre e per il bambino».
E per quanto riguarda i recenti casi di cronaca?
«Per quanto riguarda il caso di Lecco, appunto la madre può aver rimosso ciò che ha fatto, non lo tollera e il senso comune tende a rifiutare il delitto per eccellenza e a suffragare l’ipotesi di un estraneo. Salta fuori sempre lo stesso modello anche nel caso di Cogne, similitudini inquietanti: le modalità dell’omicidio, la pista dell’estraneo, la famiglia che si stringe intorno all’accusata. Un modello che ha avuto successo sui media e che ha generato un’imitazione».
Pensa sia un male socialmente curabile?
«No, se non nella struttura del “Disagio della società” come lo definiva Freud. Una società che concede tutto al godimento del sintomo, un godimento illusorio che porta ad esorcizzare le paure e che scatta quando non ci si vuole porre di fronte ai propri limiti, di fronte a un rapporto magari non perfetto ma che rappresenti un incontro dialettico e simbiotico».
il nuovo libro di Rita Levi-Montalcini
L'Unità 26 Maggio 2005
Africa «primadonna»
Il sogno di una rivincita
RITA LEVI-MONTALCINI scrive Eva era africana: in un libro la speranza che le ragazze del continente nero possano acquisire il ruolo preminente che loro compete
di Pietro Greco
C’è un sogno schiettamente illuminista tra le righe di Eva era africana, il nuovo libro che Rita Levi-Montalcini ha appena pubblicato per i tipi della Gallucci (pp. 90, euro 10): il sogno che grazie all’istruzione, tradizionale e via internet, le ragazze del continente più povero e dimenticato del pianeta possano acquisire, in un futuro immediato o remoto, il ruolo preminente che loro compete - nella società, nella politica, nella scienza - e strappare l’Africa alla povertà, al sottosviluppo e all’indifferenza.
Il sogno illuminista che la senatrice a vita e Premio Nobel per la medicina affida a questo libro - in apparenza per ragazzi ma in realtà rivolto anche e, forse, soprattutto agli adulti - è schiettamente sociale. Rita Levi-Montalcini ha scritto Eva era africana perché conosce la condizione delle donne del continente nero: su cui, soprattutto nelle zone rurali, pesa sia la forte dominanza maschile sia la gran parte (quasi la totalità) delle fatiche lavorative. «Il nome di mia madre è affanno», scrive una ragazzina della Sierra Leone in una poesia che descrive la madre mentre ogni giorno si affanna a raccogliere la legna, si affanna a cercare l’acqua, si affanna a trovare una scodella di riso.
Ma Rita Levi-Montalcini sa anche - e lo scrive - che le donne africane non accettano in modo passivo questa condizione di affanno. Che sono spesso proprio le donne in prima fila nelle lotte per l’emancipazione in Africa e dell’Africa. Che è in quel continente più che altrove che il futuro è in mano femminile. Di qui la fiducia nelle «Eva africane».
Una fiducia, dicevamo, illuminista. Perché fondata sulle capacità - di per sé - emancipatrici della cultura. Dell’istruzione. Con i vecchi e i nuovi media. Con la lavagna e con internet. Ed è qui - è soprattutto qui - che le Eva di tutto il pianeta (ma anche i maschietti) possono dare un contributo determinante all’emancipazione delle Eva africane e dell’Africa intera. Aiutandole a organizzare l’istruzione. Aiutandole nell’accesso - finora negato - alla cultura.
La cultura alla quale fa riferimento Rita Levi Montalcini è una cultura razionalista, in cui ha un ruolo fondamentale la scienza. Non a caso il libro si apre con un omaggio all’Africa che proprio la scienza ha scoperto essere stata la «culla dell’umanità». E a quell’«Eva nera», una signora di una tribù africana vissuta meno di duecentomila anni fa, da cui discendono tutti gli attuali abitanti del pianeta. La scienza e la tecnologia possono aiutare davvero l’Africa a ridiventare la «culla dell’umanità». A lenire gli affanni di Eva. E gli aiuti alla formazione delle ragazze africane, in cui proprio la Fondazione Rita Levi-Montalcini si distingue, sono davvero essenziali. Tuttavia ci sono almeno due passaggi essenziali perché il sogno illuminista di Rita Levi-Montalcini si possa realizzare, in tempi più o meno vicini.
Uno è un «passaggio africano» e riguarda l’autentica rivoluzione culturale che deve avere per protagonista le donne di quel continente. Che oggi, è vero, sono protagoniste nelle battaglie sia per l’emancipazione sociale e civile, per lo sviluppo sostenibile dell’Africa. Ma in un contesto che stenta a riconoscerle ufficialmente. Che tenta ogni volta di recuperare la dominanza maschile minacciata.
L’altro è un passaggio più globale. Riguarda tutti noi. È il passaggio - anzi, la partita - che riguarda l’accesso alle nuove conoscenze e alle nuove tecnologie. Questo accesso è sempre più ineguale. All’interno degli stati e tra gli stati. E, manco a dirlo, l’Africa è il continente che più soffre per il mancato accesso alle nuove conoscenze (soprattutto alle conoscenze scientifiche) e alle nuove tecnologie. Senza un marcato riequilibrio del diritto all’accesso alle conoscenze, l’emancipazione delle ragazze africane e dell’Africa sarà molto più difficile. Se non impossibile. Da questo punto di vista non è affatto irrilevante, ma anzi è molto importante, che una donna come Rita Levi-Montalcini, anche con il suo nuovo libro, coltivi il sogno dell’emancipazione di Eva, l’africana.
Africa «primadonna»
Il sogno di una rivincita
RITA LEVI-MONTALCINI scrive Eva era africana: in un libro la speranza che le ragazze del continente nero possano acquisire il ruolo preminente che loro compete
di Pietro Greco
C’è un sogno schiettamente illuminista tra le righe di Eva era africana, il nuovo libro che Rita Levi-Montalcini ha appena pubblicato per i tipi della Gallucci (pp. 90, euro 10): il sogno che grazie all’istruzione, tradizionale e via internet, le ragazze del continente più povero e dimenticato del pianeta possano acquisire, in un futuro immediato o remoto, il ruolo preminente che loro compete - nella società, nella politica, nella scienza - e strappare l’Africa alla povertà, al sottosviluppo e all’indifferenza.
Il sogno illuminista che la senatrice a vita e Premio Nobel per la medicina affida a questo libro - in apparenza per ragazzi ma in realtà rivolto anche e, forse, soprattutto agli adulti - è schiettamente sociale. Rita Levi-Montalcini ha scritto Eva era africana perché conosce la condizione delle donne del continente nero: su cui, soprattutto nelle zone rurali, pesa sia la forte dominanza maschile sia la gran parte (quasi la totalità) delle fatiche lavorative. «Il nome di mia madre è affanno», scrive una ragazzina della Sierra Leone in una poesia che descrive la madre mentre ogni giorno si affanna a raccogliere la legna, si affanna a cercare l’acqua, si affanna a trovare una scodella di riso.
Ma Rita Levi-Montalcini sa anche - e lo scrive - che le donne africane non accettano in modo passivo questa condizione di affanno. Che sono spesso proprio le donne in prima fila nelle lotte per l’emancipazione in Africa e dell’Africa. Che è in quel continente più che altrove che il futuro è in mano femminile. Di qui la fiducia nelle «Eva africane».
Una fiducia, dicevamo, illuminista. Perché fondata sulle capacità - di per sé - emancipatrici della cultura. Dell’istruzione. Con i vecchi e i nuovi media. Con la lavagna e con internet. Ed è qui - è soprattutto qui - che le Eva di tutto il pianeta (ma anche i maschietti) possono dare un contributo determinante all’emancipazione delle Eva africane e dell’Africa intera. Aiutandole a organizzare l’istruzione. Aiutandole nell’accesso - finora negato - alla cultura.
La cultura alla quale fa riferimento Rita Levi Montalcini è una cultura razionalista, in cui ha un ruolo fondamentale la scienza. Non a caso il libro si apre con un omaggio all’Africa che proprio la scienza ha scoperto essere stata la «culla dell’umanità». E a quell’«Eva nera», una signora di una tribù africana vissuta meno di duecentomila anni fa, da cui discendono tutti gli attuali abitanti del pianeta. La scienza e la tecnologia possono aiutare davvero l’Africa a ridiventare la «culla dell’umanità». A lenire gli affanni di Eva. E gli aiuti alla formazione delle ragazze africane, in cui proprio la Fondazione Rita Levi-Montalcini si distingue, sono davvero essenziali. Tuttavia ci sono almeno due passaggi essenziali perché il sogno illuminista di Rita Levi-Montalcini si possa realizzare, in tempi più o meno vicini.
Uno è un «passaggio africano» e riguarda l’autentica rivoluzione culturale che deve avere per protagonista le donne di quel continente. Che oggi, è vero, sono protagoniste nelle battaglie sia per l’emancipazione sociale e civile, per lo sviluppo sostenibile dell’Africa. Ma in un contesto che stenta a riconoscerle ufficialmente. Che tenta ogni volta di recuperare la dominanza maschile minacciata.
L’altro è un passaggio più globale. Riguarda tutti noi. È il passaggio - anzi, la partita - che riguarda l’accesso alle nuove conoscenze e alle nuove tecnologie. Questo accesso è sempre più ineguale. All’interno degli stati e tra gli stati. E, manco a dirlo, l’Africa è il continente che più soffre per il mancato accesso alle nuove conoscenze (soprattutto alle conoscenze scientifiche) e alle nuove tecnologie. Senza un marcato riequilibrio del diritto all’accesso alle conoscenze, l’emancipazione delle ragazze africane e dell’Africa sarà molto più difficile. Se non impossibile. Da questo punto di vista non è affatto irrilevante, ma anzi è molto importante, che una donna come Rita Levi-Montalcini, anche con il suo nuovo libro, coltivi il sogno dell’emancipazione di Eva, l’africana.
la Destra: procreazione assistita e aborto: due bocconi da trangugiare uno per volta
ricevuto da Sandra Mallone
Corriere della Sera 26.5.05
Storace: «Aborto, Gasparri sbaglia i tempi.
Ma farò verifiche nei consultori»
Storace: parlare ora della legge 194 aiuta i sì alla fecondazione
La scelta di Fini? Così favorisce il raggiungimento del quorum
Margherita De Bac
ROMA — Di ritorno dall’audizione alla Camera dove ha appena annunciato che oggi firmerà il decreto per tagliare i prezzi del latte artificiale, il ministro della Salute appare un po’ stanco, ma non cade in trappola. E a chi cerca a ogni costo di fargli dire che cambierà la legge sull’aborto (in linea con tutte le affermazioni e le iniziative prese quando era governatore del Lazio) Francesco Storace risponde accorto, abile: «No, non è il momento. Credo che mettere altra carne sul fuoco farebbe gioco soltanto ai nemici della legge 40 sulla fecondazione artificiale. Si rischierebbe così di rendere il clima ancora più isterico, non vogliamo fare crociate».
Dunque, ministro, non è d’accordo con Maurizio Gasparri, il quale ha affermato che la 194 del ’78, sull’interruzione volontaria di gravidanza, è modificabile come tutte le leggi?
«Rispetto la sua opinione ma credo che non sia questo il momento opportuno per rilanciare un’iniziativa del genere. Significherebbe fare una scortesia a chi propone e si è dichiarato favorevole all’astensione. Mettere in dubbio l’integrità delle norme sull’aborto equivarrebbe a regalare un pieno di benzina ai sostenitori del sì. Insomma, è un argomento da non affrontare quando si commettono già tante sconcezze».
A quale si riferisce, in particolare?
«Beh, la cosa che mi ha schifato di più è la copertina di Diario dove la Madonna viene proposta come testimonial del sì alla fecondazione eterologa. Per non parlare poi delle interrogazioni presentate da alcuni deputati di centrosinistra (Margherita, Ds e Sdi) che si concedono ironie sulla spirale. Prendono lo stipendio per queste sciocchezze. Ritengo offensivo il loro comportamento. Basta, il dibattito sul referendum è un susseguirsi di polemiche e mi dispiace. Ecco perché dico: lasciamo perdere l’aborto, per favore».
Non è il momento per nuove polemiche, d’accordo. Ma quando le acque si saranno calmate e il referendum sarà lontano potrebbe rivedere la legge come ministro della Salute?
«Tra i compiti del ministro c’è quello di verificare lo stato di attuazione della legge. Senza essere animato da furori ideologici andrò a vedere se nei consultori si fa quello che è previsto dalla legge, cioè la prevenzione, se si cerca di convincere davvero le donne che la vita va salvata».
Lei adesso getta acqua sul fuoco. Ma vogliamo parlare di tutte le sue iniziative antiabortiste comegovernatore del Lazio? A pochi mesi dalla sua elezione dichiarò: «Chi vuole abortire dovrà andarsene in Umbria e Toscana ». Poi annunciò lezioni a scuola contro droga e aborto. Era un altro Storace, quello?
«No, sono sempre lo stesso. Sul principio della tutela della vita sono d’accordo e non condivido le pratiche abortiste. Ma vogliamo davvero riaprire il dibattito sulla 194? Sono sicuro che la Chiesa, che predica l’astensionismo, non gradirebbe la sovrapposizione col referendum».
Quando il Parlamento di Strasburgo nel 2002 varò la risoluzione sul diritto all’aborto lei lo criticò come documento irricevibile. Questo diritto per lei non esiste?
«Ho criticato quella risoluzione ritenendola un’ingerenza nelle politiche dei singoli Stati, un incentivo all’aborto. Sì, per una donna l’aborto è un diritto, ma anche una tragedia. E quindi bisogna evitare le condizioni perché arrivi a questa decisione».
Nel Lazio lei ha introdotto un contributo in denaro per le donne che rinunciano a interrompere una gravidanza. Riproporrebbe lo stesso modello come ministro della Salute?
«È una materia da ministro del Welfare più che di mia competenza. Certo, ritengo che vada portata avanti una politica di incentivo alla maternità».
Uno dei quesiti del referendum propone di abrogare quella parte della legge sulla procreazione medicalmente assistita che mette sullo stesso piano i diritti del concepito e quelli della donna. Se vincesse il no e l’articolo restasse immutato, secondo lei non potrebbe diventare un grimaldello per attaccare la 194 sull’aborto, come molti temono?
«C’è chi pensa che la vita cominci quando il bambino viene partorito e chi pensa che abbia inizio col concepimento. Io naturalmente appartengo alla seconda schiera. Tutti i requisiti del referendum pongono temi delicatissimi, come l’eterologa. Tutti quelli che dichiarano di votare no rischiano di far raggiungere il quorum. Ecco perché io mi astengo ».
Anche Fini l’ha detto: voterà tre sì e un no al quesito sulla fecondazione eterologa.
«Ripeto: dichiarando il no si favorisce il raggiungimento del quorum ».
La Camera americana ha approvato la legge che chiede di finanziare con denaro pubblico le ricerche sugli embrioni di nuova formazione e non solo le vecchie linee già esistenti. La parola passa al Senato, ma Bush ha annunciato che se il voto verrà confermato si opporrà con un veto. E se lei fosse Bush?
«Rigiriamo la domanda. Se Bush fosse italiano e potesse votare nel prossimo referendum, si asterrebbe».
Che cosa pensa della pillola del giorno dopo? Contraccettiva o abortiva?
«La mia posizione è nota». E il ministro rimanda a quando il Lazio approvò nel 2001 una mozione dove si sceglieva la seconda alternativa.
Corriere della Sera 26.5.05
Storace: «Aborto, Gasparri sbaglia i tempi.
Ma farò verifiche nei consultori»
Storace: parlare ora della legge 194 aiuta i sì alla fecondazione
La scelta di Fini? Così favorisce il raggiungimento del quorum
Margherita De Bac
ROMA — Di ritorno dall’audizione alla Camera dove ha appena annunciato che oggi firmerà il decreto per tagliare i prezzi del latte artificiale, il ministro della Salute appare un po’ stanco, ma non cade in trappola. E a chi cerca a ogni costo di fargli dire che cambierà la legge sull’aborto (in linea con tutte le affermazioni e le iniziative prese quando era governatore del Lazio) Francesco Storace risponde accorto, abile: «No, non è il momento. Credo che mettere altra carne sul fuoco farebbe gioco soltanto ai nemici della legge 40 sulla fecondazione artificiale. Si rischierebbe così di rendere il clima ancora più isterico, non vogliamo fare crociate».
Dunque, ministro, non è d’accordo con Maurizio Gasparri, il quale ha affermato che la 194 del ’78, sull’interruzione volontaria di gravidanza, è modificabile come tutte le leggi?
«Rispetto la sua opinione ma credo che non sia questo il momento opportuno per rilanciare un’iniziativa del genere. Significherebbe fare una scortesia a chi propone e si è dichiarato favorevole all’astensione. Mettere in dubbio l’integrità delle norme sull’aborto equivarrebbe a regalare un pieno di benzina ai sostenitori del sì. Insomma, è un argomento da non affrontare quando si commettono già tante sconcezze».
A quale si riferisce, in particolare?
«Beh, la cosa che mi ha schifato di più è la copertina di Diario dove la Madonna viene proposta come testimonial del sì alla fecondazione eterologa. Per non parlare poi delle interrogazioni presentate da alcuni deputati di centrosinistra (Margherita, Ds e Sdi) che si concedono ironie sulla spirale. Prendono lo stipendio per queste sciocchezze. Ritengo offensivo il loro comportamento. Basta, il dibattito sul referendum è un susseguirsi di polemiche e mi dispiace. Ecco perché dico: lasciamo perdere l’aborto, per favore».
Non è il momento per nuove polemiche, d’accordo. Ma quando le acque si saranno calmate e il referendum sarà lontano potrebbe rivedere la legge come ministro della Salute?
«Tra i compiti del ministro c’è quello di verificare lo stato di attuazione della legge. Senza essere animato da furori ideologici andrò a vedere se nei consultori si fa quello che è previsto dalla legge, cioè la prevenzione, se si cerca di convincere davvero le donne che la vita va salvata».
Lei adesso getta acqua sul fuoco. Ma vogliamo parlare di tutte le sue iniziative antiabortiste comegovernatore del Lazio? A pochi mesi dalla sua elezione dichiarò: «Chi vuole abortire dovrà andarsene in Umbria e Toscana ». Poi annunciò lezioni a scuola contro droga e aborto. Era un altro Storace, quello?
«No, sono sempre lo stesso. Sul principio della tutela della vita sono d’accordo e non condivido le pratiche abortiste. Ma vogliamo davvero riaprire il dibattito sulla 194? Sono sicuro che la Chiesa, che predica l’astensionismo, non gradirebbe la sovrapposizione col referendum».
Quando il Parlamento di Strasburgo nel 2002 varò la risoluzione sul diritto all’aborto lei lo criticò come documento irricevibile. Questo diritto per lei non esiste?
«Ho criticato quella risoluzione ritenendola un’ingerenza nelle politiche dei singoli Stati, un incentivo all’aborto. Sì, per una donna l’aborto è un diritto, ma anche una tragedia. E quindi bisogna evitare le condizioni perché arrivi a questa decisione».
Nel Lazio lei ha introdotto un contributo in denaro per le donne che rinunciano a interrompere una gravidanza. Riproporrebbe lo stesso modello come ministro della Salute?
«È una materia da ministro del Welfare più che di mia competenza. Certo, ritengo che vada portata avanti una politica di incentivo alla maternità».
Uno dei quesiti del referendum propone di abrogare quella parte della legge sulla procreazione medicalmente assistita che mette sullo stesso piano i diritti del concepito e quelli della donna. Se vincesse il no e l’articolo restasse immutato, secondo lei non potrebbe diventare un grimaldello per attaccare la 194 sull’aborto, come molti temono?
«C’è chi pensa che la vita cominci quando il bambino viene partorito e chi pensa che abbia inizio col concepimento. Io naturalmente appartengo alla seconda schiera. Tutti i requisiti del referendum pongono temi delicatissimi, come l’eterologa. Tutti quelli che dichiarano di votare no rischiano di far raggiungere il quorum. Ecco perché io mi astengo ».
Anche Fini l’ha detto: voterà tre sì e un no al quesito sulla fecondazione eterologa.
«Ripeto: dichiarando il no si favorisce il raggiungimento del quorum ».
La Camera americana ha approvato la legge che chiede di finanziare con denaro pubblico le ricerche sugli embrioni di nuova formazione e non solo le vecchie linee già esistenti. La parola passa al Senato, ma Bush ha annunciato che se il voto verrà confermato si opporrà con un veto. E se lei fosse Bush?
«Rigiriamo la domanda. Se Bush fosse italiano e potesse votare nel prossimo referendum, si asterrebbe».
Che cosa pensa della pillola del giorno dopo? Contraccettiva o abortiva?
«La mia posizione è nota». E il ministro rimanda a quando il Lazio approvò nel 2001 una mozione dove si sceglieva la seconda alternativa.
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