Emilia.net Lunedì 15 Dicembre 2003 ore 11:17
REGGIO EMILIA
Inaugurata a Rubiera la prima mostra sulla psichiatria
Allestita presso la Multisala Emiro presso la Multisala Emiro
RUBIERA (RE, 14 dic. 2003) - Il sindaco di Rubiera, Anna Pozzi, ha inaugurato a Rubiera, presso la Multisala Emiro, la prima mostra internazionale dal titolo: "Quello che la gente non sa riguardo alla psichiatria". Davanti a più di duecento persone, il sindaco ha dichiarato a nome dei colleghi assessori: "E' dovere delle istituzioni affiancare e sostenere questo tipo di iniziative. Ogni tipo di abuso, nella psichiatria ma non solo, è visibile ancora oggi con le epurazioni etniche ed è un lato dell'umanità che tutti noi dobbiamo combattere. Non credo che l'uomo sia cattivo per natura, che sia malato per natura, o deviante di natura, credo da sempre che queste siano frutto di interessi economici micro e macro. Gli uomini non sono, per fortuna, tutti uguali, però la diversità comporta pazienza. E' più semplice sedersi davanti alla tv e lasciarsi trascinare, ma se cancelliamo il contatto diretto con le persone il rischio è che qualsiasi atteggiamento diverso può essere etichettato.
Qualsiasi iniziativa rivolta a sottolineare che i diritti umani non devono essere violati, né in maniera eclatante né in maniera più subdola, devono aiutarci a farci riflettere … senza nascondersi …. Chi può dire che il mondo in cui viviamo non è pazzo… Ringrazio l'associazione che ha curato questa mostra, grazie all' "Emiro Multiplex" (multisala cinematografica Emiro), grazie al Comune di Reggio Emilia, alla Provincia, al Comune di Sassuolo per la loro presenza e anche per il Patrocinio che hanno accordato a questa iniziativa. ..."
Dal 1700 la psichiatria tenta di trovare una causa alla cosiddetta "malattia mentale", praticando esperimenti nel nome della ricerca, dalla ricerca della razza "pura" del 1940 al farmaco per "guarire" l'iperattività.
La mostra è una denuncia visiva dall'origine degli ospedali psichiatrici con trattamenti brutali e coercitivi ai giorni nostri con l'abuso di psicofarmaci.
Oggi, negli Stati Uniti, sono più di sei milioni i bambini a cui vengono regolarmente prescritti farmaci psichiatrici che alterano la mente, per il "disturbo" dell'apprendimento e comportamentale chiamato Sindrome da Deficit di Attenzione e Iperattività o ADHD. Due milioni di bambini assumono antidepressivi e farmaci antipsicosi. Stiamo parlando del 10% circa (in crescita) della popolazione in età scolastica, che fa uso di farmaci prescritti per qualche forma di malattia mentale. Alcuni parlano di crisi della gioventù, affermando che l'80% dei bambini che avrebbero bisogno di terapie per la salute mentale in effetti non le stanno ricevendo.
Oggi in Italia si parla di ADHD, di "malattia". Lo psicofarmaco usato per curare questa "fantomatica" malattia è stato approvato dal nostro Ministero della Salute; vi sono almeno due centri di sperimentazione attivi, mentre sedicenti organizzazioni scientifiche si stanno dando da fare per diffondere a medici, insegnanti e genitori il verbo secondo il quale questi fanciulli devono essere "curati".
Gli odierni programmi per la salute mentale nella comunità non rappresentano un grande miglioramento rispetto ai precedenti. Il trattamento delle persone con gravi problemi mentali si limita alla prescrizione di psicofarmaci che sono più dannosi dei loro predecessori. In altre parole, i giorni di Bedlam non sono finiti con lo svuotamento dei manicomi, si sono semplicemente spostati all'interno della società.
Al contempo, la psichiatria ha reso popolare la pratica del consumo di psicofarmaci per migliorare la salute mentale. Il risultato è stata un'esplosione dell'uso di farmaci psicotropi nella società in generale.
Insieme al Sindaco di Rubiera hanno tagliato il nastro l'assessore alla cultura del Comune di Reggio Emilia, il sindaco del Comune di Canossa, l'assessore Vincenzi delegato dal Sindaco del Comune di Sassuolo ed altri Consiglieri Comunali di Modena e provincia.
[...]
La mostra rimarrà in esposizione all'Emiro Multisala fino al 17 dicembre 2003. E' aperta nei giorni feriali dalle 19,45 alle 23,00 e sabato e domenica dalle 14,45 alle 23,00.
Ad oggi la mostra è stata visitata da 2000 persone entusiaste e al contempo shockate dalle raccapriccianti verità apprese
[...]
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
lunedì 15 dicembre 2003
Lauryn Hill su pedofilia e preti: scandalo in Vaticano
La Repubblica 15.12.03
L'artista spiega il suo proclama anticlericale al concerto di Natale nell'Aula Nervi
"Non faccio la brava ragazza neanche se canto in Vaticano"
Lauryn Hill: ho solo voluto dire la verità
Non ho chiesto io di venire, spero abbiano capito i riferimenti alla tragedia della pedofilia e l'invito a pentirsi
di CARLO MORETTI
ROMA - Il mattino dopo il clamoroso j'accuse in Vaticano contro la leadership della Chiesa e contro quei preti pedofili che hanno tradito la fiducia dei fedeli che credevano in loro, Lauryn Hill riparte di buon'ora per l'America. Ma, prima che metta piede sull'aereo che la porterà a New York, accetta dopo qualche momento di ritrosia di parlare di quanto è avvenuto la sera prima nella sala Nervi, di fronte a 7 mila e 500 spettatori e a tanti cardinali e vescovi che tutto si sarebbero aspettato dalla cantautrice americana, tranne che li ricoprisse di insulti. Un discorso durissimo subito criticato dalla conduttrice della serata Cristina Parodi che l'ha definito «un comizio forte e polemico», chiedendo poi scusa «al clero e a chiunque si fosse sentito offeso». Una pronta reazione che è stata molto elogiata dal Vaticano.
Signora Hill, perché ha accettato l'invito a partecipare al Concerto di Natale in Vaticano se dice di non riconoscersi nella leadership della Chiesa di Roma?
«Non ho bussato io alla porta del Vaticano chiedendo di cantare al Concerto di Natale. Sono stata invitata con pressanti richieste che sono continuate anche dopo aver spiegato che non sarei venuta per fare qualcosa che mi fosse richiesto ma per rappresentare me stessa per come sono, come artista e come persona. Sono stata chiara su questo punto, ma chi mi ha invitato ha continuato a farlo anche dopo questa mia puntualizzazione. Erano tre anni che mi arrivavano richieste per una mia partecipazione, quest´anno si sono fatte più pressanti ed ho accettato».
Dicono che lei si è comportata da «grande maleducata», dicono che non si accetta un invito per poi sparlare dell´ospite in casa sua?
«Maleducata? Io ho detto soltanto la verità, ma forse dire la verità è diventato un affare da maleducati».
Il fatto è che nessuno si aspettava un proclama in un concerto come quello in Vaticano, per tradizione molto paludato: va in onda la sera di Natale?
«Quello che ho detto è, in sintesi, un invito al pentimento. E il pentimento è esattamente ciò che ho cantato in diverse forme nelle canzoni del mio ultimo album unplugged. Dunque ho ripetuto, esprimendolo a parole, ciò che ho già detto nelle mie canzoni: se qualcuno mi invita deve conoscere le cose che canto, altrimenti perché lo fa?».
Forse il suo intervento verrà tagliato dalla registrazione prima della messa in onda?
«È nel pieno diritto degli organizzatori di farlo».
Quando ha deciso che avrebbe letto quel discorso?
«A questa domanda mi sembra di avere già risposto. Ma mi spiegherò meglio. Viviamo in un sistema di comunicazione per cui tutto deve essere vendibile, inscatolabile, catalogabile: dunque si invita Lauryn Hill e si pretende da Lauryn Hill che si comporti come la brava ragazza carina che viene a cantare le sue canzoni carine al concerto di Natale. Io non ho chiesto di venire, sono stata insistentemente invitata, non sono io a dover fare un passo di cambiamento verso chi mi invita, dovrebbe avvenire il contrario. Io sto crescendo, imparo dai miei sbagli, cerco di rendermi migliore e di seguire Dio. È finito il tempo in cui mi sentivo costretta ad essere come gli altri volevano che io fossi. Diciamo che hanno voluto invitare a un concerto formale una persona informale».
Perché tra tanti temi di cui poteva parlare lei ha scelto proprio la pedofilia? C'è in questa decisione anche qualche ragione personale? Ha conosciuto persone coinvolte nello scandalo in America?
«Tutti noi abbiamo conosciuto persone coinvolte nello scandalo della pedofilia in America. Chi in Vaticano non ha voluto capire le cose che ho detto, chi ha voluto ignorare il riferimento alla pedofilia e l'invito al pentimento, sarebbe sordo a qualsiasi verità scomoda. Se qualcuno lancia l'allarme per un palazzo in fiamme, chi scappa si lamenterà per il dolore al collo, per la slogatura della caviglia, soltanto quando sarà fuori vedendo la grandezza dell'incendio potrà essere riconoscente».
Lei parla per immagini, come i profeti?
«Anche Bob Marley è stato a lungo frainteso, in vita e anche dopo. Poi sono andati a rileggere i suoi testi. In molti alla fine hanno capito?».
IL DISCORSO
"Quante famiglie mandate in rovina dagli abusi di coloro in cui credevano"
ROMA - Quello che segue è il passaggio contro la pedofilia nel discorso di Lauryn Hill durante la registrazione del Concerto di Natale in Vaticano: «Mi dispiace se qualcuno di voi si sente offeso o se si aspettava qualcosa di diverso. Ma vi chiedo: cosa dire delle vite di quanti sono stati offesi da voi? Quelle famiglie che si aspettavano di ricevere Dio e invece sono state fregate da Satana? Chi si dispiace per loro, per gli uomini, per le donne e per i bambini danneggiati psicologicamente, emozionalmente, mentalmente dalla perversione sessuale e dagli abusi di coloro in cui essi credevano? Vite del clero dissipate inseguendo cose innaturali. Famiglie lasciate andare in rovina dopo una vita di investimenti in false speranze».
L'artista spiega il suo proclama anticlericale al concerto di Natale nell'Aula Nervi
"Non faccio la brava ragazza neanche se canto in Vaticano"
Lauryn Hill: ho solo voluto dire la verità
Non ho chiesto io di venire, spero abbiano capito i riferimenti alla tragedia della pedofilia e l'invito a pentirsi
di CARLO MORETTI
ROMA - Il mattino dopo il clamoroso j'accuse in Vaticano contro la leadership della Chiesa e contro quei preti pedofili che hanno tradito la fiducia dei fedeli che credevano in loro, Lauryn Hill riparte di buon'ora per l'America. Ma, prima che metta piede sull'aereo che la porterà a New York, accetta dopo qualche momento di ritrosia di parlare di quanto è avvenuto la sera prima nella sala Nervi, di fronte a 7 mila e 500 spettatori e a tanti cardinali e vescovi che tutto si sarebbero aspettato dalla cantautrice americana, tranne che li ricoprisse di insulti. Un discorso durissimo subito criticato dalla conduttrice della serata Cristina Parodi che l'ha definito «un comizio forte e polemico», chiedendo poi scusa «al clero e a chiunque si fosse sentito offeso». Una pronta reazione che è stata molto elogiata dal Vaticano.
Signora Hill, perché ha accettato l'invito a partecipare al Concerto di Natale in Vaticano se dice di non riconoscersi nella leadership della Chiesa di Roma?
«Non ho bussato io alla porta del Vaticano chiedendo di cantare al Concerto di Natale. Sono stata invitata con pressanti richieste che sono continuate anche dopo aver spiegato che non sarei venuta per fare qualcosa che mi fosse richiesto ma per rappresentare me stessa per come sono, come artista e come persona. Sono stata chiara su questo punto, ma chi mi ha invitato ha continuato a farlo anche dopo questa mia puntualizzazione. Erano tre anni che mi arrivavano richieste per una mia partecipazione, quest´anno si sono fatte più pressanti ed ho accettato».
Dicono che lei si è comportata da «grande maleducata», dicono che non si accetta un invito per poi sparlare dell´ospite in casa sua?
«Maleducata? Io ho detto soltanto la verità, ma forse dire la verità è diventato un affare da maleducati».
Il fatto è che nessuno si aspettava un proclama in un concerto come quello in Vaticano, per tradizione molto paludato: va in onda la sera di Natale?
«Quello che ho detto è, in sintesi, un invito al pentimento. E il pentimento è esattamente ciò che ho cantato in diverse forme nelle canzoni del mio ultimo album unplugged. Dunque ho ripetuto, esprimendolo a parole, ciò che ho già detto nelle mie canzoni: se qualcuno mi invita deve conoscere le cose che canto, altrimenti perché lo fa?».
Forse il suo intervento verrà tagliato dalla registrazione prima della messa in onda?
«È nel pieno diritto degli organizzatori di farlo».
Quando ha deciso che avrebbe letto quel discorso?
«A questa domanda mi sembra di avere già risposto. Ma mi spiegherò meglio. Viviamo in un sistema di comunicazione per cui tutto deve essere vendibile, inscatolabile, catalogabile: dunque si invita Lauryn Hill e si pretende da Lauryn Hill che si comporti come la brava ragazza carina che viene a cantare le sue canzoni carine al concerto di Natale. Io non ho chiesto di venire, sono stata insistentemente invitata, non sono io a dover fare un passo di cambiamento verso chi mi invita, dovrebbe avvenire il contrario. Io sto crescendo, imparo dai miei sbagli, cerco di rendermi migliore e di seguire Dio. È finito il tempo in cui mi sentivo costretta ad essere come gli altri volevano che io fossi. Diciamo che hanno voluto invitare a un concerto formale una persona informale».
Perché tra tanti temi di cui poteva parlare lei ha scelto proprio la pedofilia? C'è in questa decisione anche qualche ragione personale? Ha conosciuto persone coinvolte nello scandalo in America?
«Tutti noi abbiamo conosciuto persone coinvolte nello scandalo della pedofilia in America. Chi in Vaticano non ha voluto capire le cose che ho detto, chi ha voluto ignorare il riferimento alla pedofilia e l'invito al pentimento, sarebbe sordo a qualsiasi verità scomoda. Se qualcuno lancia l'allarme per un palazzo in fiamme, chi scappa si lamenterà per il dolore al collo, per la slogatura della caviglia, soltanto quando sarà fuori vedendo la grandezza dell'incendio potrà essere riconoscente».
Lei parla per immagini, come i profeti?
«Anche Bob Marley è stato a lungo frainteso, in vita e anche dopo. Poi sono andati a rileggere i suoi testi. In molti alla fine hanno capito?».
IL DISCORSO
"Quante famiglie mandate in rovina dagli abusi di coloro in cui credevano"
ROMA - Quello che segue è il passaggio contro la pedofilia nel discorso di Lauryn Hill durante la registrazione del Concerto di Natale in Vaticano: «Mi dispiace se qualcuno di voi si sente offeso o se si aspettava qualcosa di diverso. Ma vi chiedo: cosa dire delle vite di quanti sono stati offesi da voi? Quelle famiglie che si aspettavano di ricevere Dio e invece sono state fregate da Satana? Chi si dispiace per loro, per gli uomini, per le donne e per i bambini danneggiati psicologicamente, emozionalmente, mentalmente dalla perversione sessuale e dagli abusi di coloro in cui essi credevano? Vite del clero dissipate inseguendo cose innaturali. Famiglie lasciate andare in rovina dopo una vita di investimenti in false speranze».
storie dell'uomo
l'imposizione del cristianesimo a Milano
Corriere della Sera 15.12.03
LE FEDI IL CRISTIANESIMO DI AMBROGIO DOVETTE IMPORSI IN UN CONTESTO DI TRANSIZIONE, RICCO DI SPINTE CONTRADDITTORIE
Culti egizi, paganesimo, eresia ariana: qui c’era un puzzle religioso
di Gian Guido Vecchi
«Non da molto tempo la Chiesa milanese aveva introdotto questa pratica consolante e incoraggiante, di cantare affratellati, all’unisono delle voci e dei cuori, con grande fervore. Era passato un anno esatto, o non molto più, da quando Giustina, madre del giovane imperatore Valentiniano, aveva cominciato a perseguitare il tuo campione Ambrogio, istigata dall’eresia in cui l’avevano sedotta gli ariani...». La cronaca migliore delle tensioni religiose nella Milano del IV secolo la offre il più grande genio e scrittore della cristianità. È nelle "Confessioni" che Agostino, appena arrivato a Milano per essere battezzato con l’amico Alipio e il figlio Adeodato («frutto del mio peccato», scrive, salvo aggiungere con orgoglio e amore paterno: «Era appena quindicenne, e superava per intelligenza molti importanti e dotti personaggi...»), descrive lo stato d’animo della cristianità «ortodossa» alle prese con l’eresia, «vigilava la folla dei fedeli ogni notte in chiesa, pronta a morire con il suo vescovo, il tuo servo». Periodo ricco e convulso, il quarto secolo. Nell’anno 313, con l’Editto di Milano, Costantino aveva riconosciuto il cristianesimo come uno dei culti ammessi, i concili di Nicea (325) e Costantinopoli (381) avevano definito i capisaldi del Credo distinguendo l’ortodossia dalle credenze «eretiche» e nel 380, infine, l’editto di Tessalonica aveva fatto del cristianesimo la sola religione dell’Impero. Ma le eresie restavano più che mai vivaci, specie in una città ancora più cosmopolita di quanto non sia oggi, un crogiuolo di popoli e tradizioni, dallo gnosticismo al culto egiziano di Iside, «regina dagli innumerevoli nomi».
Lo stesso Agostino aveva aderito in gioventù al manicheismo. Ma è l’arianesimo a preoccupare più di tutti il vescovo Ambrogio. Ario negava la «consustanzialità» di Padre e Figlio che si sarebbe definita una volta per tutte a Nicea. Ma l’arianesimo prospera e a Milano il momento di massima tensione comincia giusto nel 386, l’anno prima del battesimo di Agostino. La corte imperiale, filo-ariana, insedia un vescovo ariano ed esige una basilica per il culto, i soldati arrivano a circondare la basilica Portiana. Dietro tutto questo c’è una questione essenzialmente politica, oltre che religiosa: gli ariani sono tutt’uno con la corte, Ambrogio rivendica con forza l’indipendenza della Chiesa dal potere imperiale in materia di culto.
Dopo il battesimo, nella notte di Pasqua tra il 24 e il 25 aprile 387, Agostino farà ritorno in Africa. L’inizio del quinto secolo vede la nascita di capolavori che fondano il pensiero cristiano, dalle "Confessioni" (400) al "De Trinitate" (400-416) e il "De Civitate Dei" (413-426). La lotta alle eresie si fa serrata - ariani, manichei, domatisti, pelagiani. Negli occhi c’è sempre l’esperienza milanese, i fedeli che custodivano l’ortodossia pregando nelle chiese, «là mia madre, ancella tua, che per il suo zelo era in prima fila nelle veglie, viveva di preghiere. Noi stessi, sebbene freddi ancora del calore del tuo spirito, ci sentivamo tuttavia eccitati dall’ansia attonita della città».
Corriere della Sera 15.12.03
L’incontro lento tra un pastore e un innovatore
di Armando Torno
L’incontro tra Ambrogio e Agostino dobbiamo immaginarcelo lento, meditato. Per due anni, tra il 384 e il 386, il futuro autore delle "Confessioni" ascoltò le prediche al popolo di questo vescovo dal corpo gracile e dallo spirito indomabile. Al battesimo del 387 ci arrivò costruendo la sua fede ogni giorno, cercando di lasciarsi alle spalle i turbolenti scolari di Cartagine, le illusioni del sapere dell’Accademia che aveva toccato con mano a Roma (Cicerone e Carneade non cercavano la verità ma il più probabile), la poca moralità dei manichei e infine la retorica. Agostino tornò alla fede della fanciullezza, ma con l’energia che gli ha insegnato Ambrogio. Ambrogio offre ad Agostino una fede forte, sebbene la cultura del discepolo sia ancora permeata dal materialismo manicheo. Crede, ma non conosce la pace intellettuale. È ad esempio convinto che Dio sia spirito, ma non riesce a concepirlo in tal modo; avverte l’importanza della libertà, ma non capisce come sia possibile. Il suo camminò si illuminerà leggendo le "Enneadi" di Plotino. Nel VII libro delle "Confessioni" egli ci racconta la discesa nel suo intimo: «Entrai e vidi con gli occhi dell’anima, qualunque fossero, vidi al di sopra di essi e al di sopra della mia intelligenza una luce immutabile». Capì anche che ogni sostanza, in quanto tale, è buona e che il male altro non è che la privazione del bene: per questo non può essere un primo principio. Intuì infine - e questa è la forza che gli dà Ambrogio - che tutte queste considerazioni possono anche diventare superbia. Il vescovo di Milano gli aveva anche instillato il bisogno di accordare gli atti dell’esistenza con le risorse della fede. Ci sarà poi un momento in cui la sua vita si confonderà con le opere, mentre quella di Ambrogio sarà un modello pastorale. Agostino è un oceano di idee, di contaminazioni, di suggerimenti per tutta la storia che verrà; quando Ambrogio lo convertì non c’era ancora una teologia latina vera e propria, dopo Agostino saranno necessari secoli per interpretarla, applicarla, viverla. Senza Agostino la filosofia occidentale sarebbe più povera di idee intorno al tempo, al male, all’utopia. Insomma, avrebbe parlato diversamente di Dio. Petrarca e Lutero, il giansenismo di Pascal e molte intuizioni rinascimentali (Platone si lesse sovente passando dalle sue pagine), solo per fare clamorosi esempi, sarebbero diversi senza Agostino. Infine, le riflessioni di Heidegger sull’essere e la temporalità prendono le mosse da lui, da questo santo che capì l’importanza di cambiarne la concezione. La vera sconfitta del paganesimo sarebbe passata appunto attraverso una diversa visione del tempo. Impossibile valutare a fondo la sua opera. L’editrice Città Nuova di Roma il prossimo anno terminerà di pubblicare tutto quanto Agostino ci ha lasciato, sia nel testo originale latino sia - per la prima volta - in traduzione italiana: saranno circa 50 mila pagine. Chi avrà la pazienza di sfogliarle, si accorgerà che anche una semplice lettura dei titoli dei paragrafi equivale a un ripasso della civiltà occidentale.
LE FEDI IL CRISTIANESIMO DI AMBROGIO DOVETTE IMPORSI IN UN CONTESTO DI TRANSIZIONE, RICCO DI SPINTE CONTRADDITTORIE
Culti egizi, paganesimo, eresia ariana: qui c’era un puzzle religioso
di Gian Guido Vecchi
«Non da molto tempo la Chiesa milanese aveva introdotto questa pratica consolante e incoraggiante, di cantare affratellati, all’unisono delle voci e dei cuori, con grande fervore. Era passato un anno esatto, o non molto più, da quando Giustina, madre del giovane imperatore Valentiniano, aveva cominciato a perseguitare il tuo campione Ambrogio, istigata dall’eresia in cui l’avevano sedotta gli ariani...». La cronaca migliore delle tensioni religiose nella Milano del IV secolo la offre il più grande genio e scrittore della cristianità. È nelle "Confessioni" che Agostino, appena arrivato a Milano per essere battezzato con l’amico Alipio e il figlio Adeodato («frutto del mio peccato», scrive, salvo aggiungere con orgoglio e amore paterno: «Era appena quindicenne, e superava per intelligenza molti importanti e dotti personaggi...»), descrive lo stato d’animo della cristianità «ortodossa» alle prese con l’eresia, «vigilava la folla dei fedeli ogni notte in chiesa, pronta a morire con il suo vescovo, il tuo servo». Periodo ricco e convulso, il quarto secolo. Nell’anno 313, con l’Editto di Milano, Costantino aveva riconosciuto il cristianesimo come uno dei culti ammessi, i concili di Nicea (325) e Costantinopoli (381) avevano definito i capisaldi del Credo distinguendo l’ortodossia dalle credenze «eretiche» e nel 380, infine, l’editto di Tessalonica aveva fatto del cristianesimo la sola religione dell’Impero. Ma le eresie restavano più che mai vivaci, specie in una città ancora più cosmopolita di quanto non sia oggi, un crogiuolo di popoli e tradizioni, dallo gnosticismo al culto egiziano di Iside, «regina dagli innumerevoli nomi».
Lo stesso Agostino aveva aderito in gioventù al manicheismo. Ma è l’arianesimo a preoccupare più di tutti il vescovo Ambrogio. Ario negava la «consustanzialità» di Padre e Figlio che si sarebbe definita una volta per tutte a Nicea. Ma l’arianesimo prospera e a Milano il momento di massima tensione comincia giusto nel 386, l’anno prima del battesimo di Agostino. La corte imperiale, filo-ariana, insedia un vescovo ariano ed esige una basilica per il culto, i soldati arrivano a circondare la basilica Portiana. Dietro tutto questo c’è una questione essenzialmente politica, oltre che religiosa: gli ariani sono tutt’uno con la corte, Ambrogio rivendica con forza l’indipendenza della Chiesa dal potere imperiale in materia di culto.
Dopo il battesimo, nella notte di Pasqua tra il 24 e il 25 aprile 387, Agostino farà ritorno in Africa. L’inizio del quinto secolo vede la nascita di capolavori che fondano il pensiero cristiano, dalle "Confessioni" (400) al "De Trinitate" (400-416) e il "De Civitate Dei" (413-426). La lotta alle eresie si fa serrata - ariani, manichei, domatisti, pelagiani. Negli occhi c’è sempre l’esperienza milanese, i fedeli che custodivano l’ortodossia pregando nelle chiese, «là mia madre, ancella tua, che per il suo zelo era in prima fila nelle veglie, viveva di preghiere. Noi stessi, sebbene freddi ancora del calore del tuo spirito, ci sentivamo tuttavia eccitati dall’ansia attonita della città».
Corriere della Sera 15.12.03
L’incontro lento tra un pastore e un innovatore
di Armando Torno
L’incontro tra Ambrogio e Agostino dobbiamo immaginarcelo lento, meditato. Per due anni, tra il 384 e il 386, il futuro autore delle "Confessioni" ascoltò le prediche al popolo di questo vescovo dal corpo gracile e dallo spirito indomabile. Al battesimo del 387 ci arrivò costruendo la sua fede ogni giorno, cercando di lasciarsi alle spalle i turbolenti scolari di Cartagine, le illusioni del sapere dell’Accademia che aveva toccato con mano a Roma (Cicerone e Carneade non cercavano la verità ma il più probabile), la poca moralità dei manichei e infine la retorica. Agostino tornò alla fede della fanciullezza, ma con l’energia che gli ha insegnato Ambrogio. Ambrogio offre ad Agostino una fede forte, sebbene la cultura del discepolo sia ancora permeata dal materialismo manicheo. Crede, ma non conosce la pace intellettuale. È ad esempio convinto che Dio sia spirito, ma non riesce a concepirlo in tal modo; avverte l’importanza della libertà, ma non capisce come sia possibile. Il suo camminò si illuminerà leggendo le "Enneadi" di Plotino. Nel VII libro delle "Confessioni" egli ci racconta la discesa nel suo intimo: «Entrai e vidi con gli occhi dell’anima, qualunque fossero, vidi al di sopra di essi e al di sopra della mia intelligenza una luce immutabile». Capì anche che ogni sostanza, in quanto tale, è buona e che il male altro non è che la privazione del bene: per questo non può essere un primo principio. Intuì infine - e questa è la forza che gli dà Ambrogio - che tutte queste considerazioni possono anche diventare superbia. Il vescovo di Milano gli aveva anche instillato il bisogno di accordare gli atti dell’esistenza con le risorse della fede. Ci sarà poi un momento in cui la sua vita si confonderà con le opere, mentre quella di Ambrogio sarà un modello pastorale. Agostino è un oceano di idee, di contaminazioni, di suggerimenti per tutta la storia che verrà; quando Ambrogio lo convertì non c’era ancora una teologia latina vera e propria, dopo Agostino saranno necessari secoli per interpretarla, applicarla, viverla. Senza Agostino la filosofia occidentale sarebbe più povera di idee intorno al tempo, al male, all’utopia. Insomma, avrebbe parlato diversamente di Dio. Petrarca e Lutero, il giansenismo di Pascal e molte intuizioni rinascimentali (Platone si lesse sovente passando dalle sue pagine), solo per fare clamorosi esempi, sarebbero diversi senza Agostino. Infine, le riflessioni di Heidegger sull’essere e la temporalità prendono le mosse da lui, da questo santo che capì l’importanza di cambiarne la concezione. La vera sconfitta del paganesimo sarebbe passata appunto attraverso una diversa visione del tempo. Impossibile valutare a fondo la sua opera. L’editrice Città Nuova di Roma il prossimo anno terminerà di pubblicare tutto quanto Agostino ci ha lasciato, sia nel testo originale latino sia - per la prima volta - in traduzione italiana: saranno circa 50 mila pagine. Chi avrà la pazienza di sfogliarle, si accorgerà che anche una semplice lettura dei titoli dei paragrafi equivale a un ripasso della civiltà occidentale.
scriteriato eurocentrismo neocolonialista
La Stampa 15 Dicembre 2003
INCONTRO CON ABDELWAHAB MEDDEB, LO STUDIOSO FRANCO-TUNISINO DIRETTORE DELLA RIVISTA «DÉDALE»
L’illuminismo può guarire l’Islam
di Francesca Paci
TORINO. SAMUEL Huntington: chi era costui? «I fondamentalisti hanno sfidato l’Occidente trent’anni prima che il luminare americano teorizzasse lo scontro delle civiltà». Parola dello studioso franco-tunisino Abdelwahab Meddeb, che a Parigi dirige la rivista internazionale "Dédale" e insegna letteratura comparata all'università di Paris X-Nanterre, in Italia per presentare il suo ultimo saggio "La malattia dell’Islam" (Bollati Boringhieri). La tesi della contrapposizione culturale però, non esaurisce le forze in campo. «C’è un secondo conflitto che lacera dall’interno il mondo musulmano, laici contro radicali. La posta in palio è l’interpretazione del Corano e il controllo di un miliardo di persone». Ieri, nella Striscia di Gaza, 20 mila palestinesi hanno ricordato il sedicesimo anniversario del movimento di resistenza islamica Hamas invocando la Jihad, la guerra santa. Altri sognano la pace disegnata a Ginevra.
L’Islam è malato d’integralismo, diagnostica Maddeb. «L’unico antidoto è l’Illuminismo, che ha guarito già il Cattolicesimo dall’intolleranza religiosa». Sembra facile. La comunità del Profeta Maometto comprende il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi e l’imam di Fuengirola Mohamed Kamal Mostafa, autore del decalogo su come picchiare la moglie indomita. «La chiave di volta è la contraddizione. L’Islam dell’età dell’oro sapeva produrre civiltà talmente elevata da assorbire le sacre scritture. Innovazione e tradizione in gioco dialettico fino alla sintesi dei filosofi Averroé e Avicenna» E oggi? «I nostri giovani sono istruiti ma non hanno cultura. Le università del Cairo, Casablanca, Algeri, non producono scienza dal XVII secolo e la tecnica appresa dai ragazzi negli atenei occidentali diventa nelle loro mani un’arma di vendetta». Come l’attentato dell’11 settembre alle Torri Gemelle di New York.
La Francia assorbe il colpo dei figli ribelli delle banlieu che rivendicano la liberté dell’orgoglio musulmano e rende legge la laicità dello Stato. Una misura saggia, secondo Maddeb. Ma fuori tempo massimo. «Il rischio della deriva dogmatica accompagna la storia dell’Islam dall’inizio, come l’antigiudaismo. Sapevate che già ai tempi del Profeta gli ebrei renitenti al nuovo messaggio venivano emarginati? Fino alla nascita d’Israele la corrente umanista ha sempre avuto la meglio. Nel 1948 è cambiato tutto: l’Islam radicale ha coniugato la frustrazione del mondo arabo per l’espropriazione della propria terra con la peggior lezione del nazismo europeo. Da allora la situazione è rovinata». Un’ipotesi audace: l’Islam avrebbe riscattato dunque la cattiva coscienza antisemita dell’Occidente? Il professore scuote preoccupato i folti capelli tagliati a Parigi, cortissimi sulla nuca e scalati intorno al volto: «L’Islam ha dichiarato guerra al resto del mondo perché protettore del suo nemico sionista. L’attuale caccia all’ebreo avviene nel nome di Allah». Una prospettiva ribaltata rispetto a quella degli attivisti filopalestinesi che una settimana fa sul sito israeliano di Indymedia apparentavano il premier Ariel Sharon ad Adolf Hitler.
La malattia dell’Islam è contagiosa, ammonisce Abdelwahab Meddeb. Dall’Europa al Medio Oriente. «In Israele cresce una corrente ortodossa che va in direzione opposta alla grande cultura ebraica del passato ed apre le porte all’integralismo». Non ci sono molte alternative: «Un nuovo Illuminismo internazionale o l’allargamento dello scontro delle civiltà».
INCONTRO CON ABDELWAHAB MEDDEB, LO STUDIOSO FRANCO-TUNISINO DIRETTORE DELLA RIVISTA «DÉDALE»
L’illuminismo può guarire l’Islam
di Francesca Paci
TORINO. SAMUEL Huntington: chi era costui? «I fondamentalisti hanno sfidato l’Occidente trent’anni prima che il luminare americano teorizzasse lo scontro delle civiltà». Parola dello studioso franco-tunisino Abdelwahab Meddeb, che a Parigi dirige la rivista internazionale "Dédale" e insegna letteratura comparata all'università di Paris X-Nanterre, in Italia per presentare il suo ultimo saggio "La malattia dell’Islam" (Bollati Boringhieri). La tesi della contrapposizione culturale però, non esaurisce le forze in campo. «C’è un secondo conflitto che lacera dall’interno il mondo musulmano, laici contro radicali. La posta in palio è l’interpretazione del Corano e il controllo di un miliardo di persone». Ieri, nella Striscia di Gaza, 20 mila palestinesi hanno ricordato il sedicesimo anniversario del movimento di resistenza islamica Hamas invocando la Jihad, la guerra santa. Altri sognano la pace disegnata a Ginevra.
L’Islam è malato d’integralismo, diagnostica Maddeb. «L’unico antidoto è l’Illuminismo, che ha guarito già il Cattolicesimo dall’intolleranza religiosa». Sembra facile. La comunità del Profeta Maometto comprende il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi e l’imam di Fuengirola Mohamed Kamal Mostafa, autore del decalogo su come picchiare la moglie indomita. «La chiave di volta è la contraddizione. L’Islam dell’età dell’oro sapeva produrre civiltà talmente elevata da assorbire le sacre scritture. Innovazione e tradizione in gioco dialettico fino alla sintesi dei filosofi Averroé e Avicenna» E oggi? «I nostri giovani sono istruiti ma non hanno cultura. Le università del Cairo, Casablanca, Algeri, non producono scienza dal XVII secolo e la tecnica appresa dai ragazzi negli atenei occidentali diventa nelle loro mani un’arma di vendetta». Come l’attentato dell’11 settembre alle Torri Gemelle di New York.
La Francia assorbe il colpo dei figli ribelli delle banlieu che rivendicano la liberté dell’orgoglio musulmano e rende legge la laicità dello Stato. Una misura saggia, secondo Maddeb. Ma fuori tempo massimo. «Il rischio della deriva dogmatica accompagna la storia dell’Islam dall’inizio, come l’antigiudaismo. Sapevate che già ai tempi del Profeta gli ebrei renitenti al nuovo messaggio venivano emarginati? Fino alla nascita d’Israele la corrente umanista ha sempre avuto la meglio. Nel 1948 è cambiato tutto: l’Islam radicale ha coniugato la frustrazione del mondo arabo per l’espropriazione della propria terra con la peggior lezione del nazismo europeo. Da allora la situazione è rovinata». Un’ipotesi audace: l’Islam avrebbe riscattato dunque la cattiva coscienza antisemita dell’Occidente? Il professore scuote preoccupato i folti capelli tagliati a Parigi, cortissimi sulla nuca e scalati intorno al volto: «L’Islam ha dichiarato guerra al resto del mondo perché protettore del suo nemico sionista. L’attuale caccia all’ebreo avviene nel nome di Allah». Una prospettiva ribaltata rispetto a quella degli attivisti filopalestinesi che una settimana fa sul sito israeliano di Indymedia apparentavano il premier Ariel Sharon ad Adolf Hitler.
La malattia dell’Islam è contagiosa, ammonisce Abdelwahab Meddeb. Dall’Europa al Medio Oriente. «In Israele cresce una corrente ortodossa che va in direzione opposta alla grande cultura ebraica del passato ed apre le porte all’integralismo». Non ci sono molte alternative: «Un nuovo Illuminismo internazionale o l’allargamento dello scontro delle civiltà».
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