Europa 24.4.04
Parla Pier Luigi Cervellati, urbanista della vivibilità
LA CITTA’ BELLA; CUORE DELL’EUROPA
Mentre il primo maggio entra in vigore il discusso codice dei Beni culturali e ambientali del ministro Urbani, il centrosinistra pone fra i punti forti del suo programma il recupero dei centri storici e la trasformazione delle periferie, sul modello vincente di Barcellona. “I patrimoni culturali sono elemento identitario dell’Europa e dell’Italia”, ricorda Giuliano Amato. E l’urbanista bolognese ammonisce che in un momento difficile per il paese, occorre pensare alle tante opere per ricreare la città e l’ambiente e non ipotizzare follie come il ponte di Messina.
di Simona Maggiorelli
E’ emergenza città, sempre più malate di inquinamento. E’ emergenza paesaggio, su cui pesa la mannaia del secondo condono promulgato dal governo Berlusconi, allievo che supera il maestro, Craxi, nell’uso e abuso di questo espediente per far cassa. Ma è anche, e soprattutto, emergenza beni culturali, da quando i ministri Tremonti e Urbani- più convinto il primo, più recalcitrante l’altro, ma alla fin fine senza spostare di troppo il risultato finale – si sono messi in testa che sia legittimo svendere il patrimonio pubblico italiano, come si trattasse di gioielli privati, di famiglia. Dalla Patrimonio spa creata da Tremonti, alle vendite lo scorso dicembre della manifattura tabacchi di Firenze e di altri immobili, fatte per decreto del ministero dell’economia, senza nemmeno consultare il ministero dei beni culturali. E poi, su su,, fino alle cartolizzazioni di questa settimana, a colpi di “fiducia”.
A giorni, il primo maggio, entrerà in vigore il nuovo, e discusso, codice dei Beni culturali e ambientali redatto da Urbani. Con norme assai controverse, come quella del cosiddetto “silenzio assenso”. Per la quale il demanio chiederà alla soprintendenza preposta di valutare l’immobile che si vorrebbe vendere. E se entro 120 giorni, la soprintendenza non dovesse rispondere, il suo silenzio verrà letto come un sì alla cessione. Facendo finta di non sapere che le soprintendenze territoriali, sempre più vessate da tagli e accorpamenti, non hanno personale sufficiente neanche per le mansioni ordinarie. “Un momento molto negativo per il nostro paese - ricorda l’urbanista Pier Luigi Cervellati - fu quando il ministro De Michelis, paragonò i nostri beni culturali al petrolio. Il nostro patrimonio non è fatto di petrolio, ma di opere d’arte che appartengono alla collettività, alle chiese, ai centri storici, come punto di riferimento della comunità. Se perdiamo questa nostra matrice – dice il professore, docente di Riqualificazione urbana all’Università di Venezia - perdiamo noi stessi, per imitare che cosa e chi ?”. “Come l’uomo, un territorio senza memoria impazzisce”, aveva ascritto nel suo "La città bella" ( Il Mulino,1991).
Che i patrimoni culturali, per come si sono formati storicamente, siano un elemento identitario per europei e italiani in particolare, pare un dato ineludibile. E che non si possa affidarli a una gestione privata come accade in America, lo storico dell’arte Salvatore Settis lo ha spiegato più volte, da ex direttore del Getty Research Institute di Los Angeles e a partire dal libro "Italia spa, assalto ai beni culturali" ( Einaudi, 2002). “I musei americani – dice - sono quasi tutti privati e si reggono su ingenti donazioni, non certo sulla biglietteria. Troppo spesso in Italia, per ingenuità, ma anche per disinformazione, quando si parla di gestione privata si pensa che il museo funzioni come un’azienda e che faccia profitti. Non è così”. “Ci affanniamo a imitare il modello americano - aggiunge Cervellati- a partire dalla costruzione di villettopoli, anonime e omologate. Non tenendo conto che negli Usa l’impatto è diluito su grandi spazi. Mentre noi non abbiamo spazi, ma luoghi, carichi di storia”.
Su come fare per recuperare i nostri centri storici, su come rendere le città più vivibili, s’interrogano in questi giorni spezzoni importanti del centrosinistra, in un dossier ancora in bozze. Nell’introduzione Giuliano Amato mette al centro la città, fra recupero, sviluppo, welfare.
“Che finalmente i politici ripartano dalla riflessione sulla città come luogo- commenta Cervellati - mi pare un segnale importante. C’è bisogno di una relazione forte fra urbanisti e amministratori, perché negli ultimi quindici anni, un po’ in tutta Europa i centri storici hanno subito un’involuzione”: Il pensiero corre a Firenze, a Roma, a Venezia, meta di un turismo di massa che si sofferma sempre dimeno su ciò che vede e sente. “Ma anche alla città magica di Ripellino, che quasi non esiste più – dice Cervellati - o ai sassi di Matera che, cosa che non accadde con il film di Pasolini, da quando è uscito La Passione di Cristo di Gibson, sono diventati meta di processioni turistiche”.
Una presenza turistica massiccia e non programmata, denuncia l’urbanista e architetto bolognese, porta a un recupero omologante, commerciale della città d’arte. Affollate di negozi, rischiano di perdere sempre più la loro identità, “mentre il nuovo regolamento dei Beni culturali dà poche rassicurazioni, preoccupato com’è della vendita, rischia di perdere il controllo su quello che è il bene più importante del nostro paese”. La sua analisi parte da un confronto con il passato, dalle piazze, una volta punto di incontro oggi perlopiù parcheggi, dalle strade, nate come punto di raccordo collettivo , ora sempre più intasate. “ La città è cambiata nella sua fisionomia, non ha più la contemplazione- spiega - Invece io penso che la città storica non solo rappresenti le nostre radici la nostra cultura, identità, ma abbia anche una funzione educativa, osservando questa nostra ricchezza di opere d’arte, chiese, di palazzi, di monumenti, di cortine edilizie mai banali”. Inevitabile allora un confronto problematico con le periferie, come renderle non più ghetti dormitorio? Come curarle dal degrado attraverso segni architettonici di bellezza? Cervellati lo aveva scritto anche ne "L’arte di curare la città" ( Il Mulino, 2000). Per poter intervenire, bisogna prendere atto di un fenomeno generalizzato: i centri storici sono sempre più usati e sempre meno abitati .”A Bologna –dice - la popolazione è calata a 350mila abitanti. Ma ci sono 100mila pendolari che ogni giorno vanno e vengono. Una volta il dualismo era fra città e campagna, oggi è fra città e periferia. Amministratori e urbanisti dovrebbero allearsi per invertire questa tendenza, innescando un policentrismo che cancelli questa discrasia”. In altre parole, fare in modo che “la metropoli- nel senso originario della parola che non vuol dire grande, ma matrice- diventi una città che genera città , rendendo la periferia non più tale”. Un processo che alcuni settori di punta dell’architettura, prendendo a modello l’intervento di riqualificazione di Barcellona operata da Bohigas, immaginano come una “contaminazione positiva degli spazi pubblici”, “come ricorso a metastasi positive che agiscano sul tessuto della città con il coraggio di ridisegnarlo, di rivoluzionarlo (Ugo Tonietti, nel saggio "Poeticamente abita l’uomo" in AAVV "L’architettura e la morte dell’arte" Nuove edizioni romane, 1996). E che Cervellati riconduce “sì una buona architettura, ma soprattutto una buona urbanistica”, che riguardi anche dei servizi di trasporto collettivi, funzionali. “Oggi - dice - si sta facendo l’esatto opposto, ipotizzando enormi follie come il ponte di Messina in una territorio dove non arriva la ferrovia. Per andare da Ragusa a Messina si impiegano otto ore. E intanto costruiamo un ponte per guadagnare un quarto d’ora. Quanto costerà alla collettività? Siamo ancora all’impresa della grande opera- conclude Cervellati - quando invece dovremmo occuparci di piccole opere, come costruire una piazza, un giardino. La mia preoccupazione , oggi, è come ricreare quel senso che la città ha avuto nei secoli in Europa come punto di riferimento culturale, innovativo, punto di evoluzione, più che di sviluppo. Città come urbs di cultura, di interscambio, di socialità, cose fondamentali nella vita di una persona”.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
lunedì 26 aprile 2004
l'Accademia dei Lincei
sula cancellazione di Darwin
Repubblica 25.4.04
Dopo l'appello degli scienziati su Repubblica si allarga il fronte
L'Accademia prepara una lettera di protesta al ministro Moratti
Il darwinismo abolito
i Lincei si ribellano
di ELENA DUSI
ROMA - Accademia dei Lincei, venerdì pomeriggio. In via della Lungara la Classe di Scienze è riunita in sessione plenaria. Due giorni passati a sgranare tutti i punti in programma, ma alla fine il nodo viene al pettine. La questione Darwin approda nella più blasonata istituzione culturale d'Italia, e non lo fa certo in maniera soft. La posizione degli Accademici contro i nuovi programmi, che non prevedono l'insegnamento di Darwin nelle scuole medie, è unanime, di condanna e si sta concretizzando in una lettera contro il ministero.
Si alza per primo il socio Ernesto Capanna, professore di anatomia comparata alla Sapienza di Roma, che a nome di un gruppo di colleghi annuncia: "L'evoluzione è stata cancellata dai programmi delle scuole, e la nostra Accademia non è stata nemmeno consultata. Abbiamo preparato la bozza di una lettera da inviare al ministro, o anche alla stampa. Ve la leggo".
L'evoluzione è una realtà dei fatti, c'è scritto, che non può essere confutata. Le idee di Darwin rappresentano una maniera di vedere i fenomeni naturali da cui non si può prescindere. Tutta la biologia moderna deriva da lì. La teoria scientifica dell'origine della vita, ne consegue, va necessariamente insegnata ai ragazzi durante le scuole medie. "Prima, sarebbe effettivamente troppo presto - sottolinea Capanna - ma dopo è troppo tardi".
La lettera, redatta da una ventina di zoologi e botanici, viene approvata da tutte le altre categorie di scienziati. Paleontologi, fisici, chimici fanno fronte unico nel difendere l'insegnamento di Darwin nelle scuole. "Qualche matematico - racconta Carlo Alberto Redi, biologo dell'università di Pavia - non aveva seguito le polemiche delle ultime settimane e non credeva a ciò che dicevamo. Ci invitava a leggere meglio i programmi ministeriali. Qualcosa doveva esserci sfuggito, non era possibile che Darwin fosse semplicemente scomparso dalla lista delle materie da insegnare. Effettivamente, la vicenda ha dell'incredibile". "Ci chiedevamo tutti - aggiunge Floriano Papi, etologo dell'Università di Pavia - chi mai avesse potuto suggerire un'idea simile al ministro".
Dei circa ottanta membri della classe di Scienze, una sessantina erano presenti venerdì. "Ma mancava proprio il presidente, Lamberto Maffei - spiega Capanna - così abbiamo preferito posporre l'approvazione finale del documento. E' stata solo una questione di procedure, perché tra noi l'unanimità è completa. Redigeremo la versione finale della lettera e la approveremo nella prossima seduta, fra un mese. Una dozzina di righe: basteranno". Redi aggiunge: "Ho parlato con i colleghi della classe di Discipline morali, filologiche e storiche. Vogliono partecipare anche loro alla nostra presa di posizione".
La condanna dei nuovi programmi scolastici in via della Lungara ha messo d'accordo sia scienziati laici che cattolici. A differenza di quanto avvenuto negli Stati Uniti - dove la polemica anti-Darwin era alimentata da motivazioni religiose - in Italia (al di fuori del ministero dell'Istruzione) non si leva nessuna voce a difesa dei nuovi programmi. "Tutti - sottolinea Capanna - ci siamo trovati d'accordo nella necessità di non mescolare problemi scientifici a letture scritturali. Fede e scienza marciano su binari differenti. Su questo l'accordo è stato unanime. E pensare che i vecchi programmi erano stati approvati nel '79, in piena era democristiana".
Dopo l'appello degli scienziati su Repubblica si allarga il fronte
L'Accademia prepara una lettera di protesta al ministro Moratti
Il darwinismo abolito
i Lincei si ribellano
di ELENA DUSI
ROMA - Accademia dei Lincei, venerdì pomeriggio. In via della Lungara la Classe di Scienze è riunita in sessione plenaria. Due giorni passati a sgranare tutti i punti in programma, ma alla fine il nodo viene al pettine. La questione Darwin approda nella più blasonata istituzione culturale d'Italia, e non lo fa certo in maniera soft. La posizione degli Accademici contro i nuovi programmi, che non prevedono l'insegnamento di Darwin nelle scuole medie, è unanime, di condanna e si sta concretizzando in una lettera contro il ministero.
Si alza per primo il socio Ernesto Capanna, professore di anatomia comparata alla Sapienza di Roma, che a nome di un gruppo di colleghi annuncia: "L'evoluzione è stata cancellata dai programmi delle scuole, e la nostra Accademia non è stata nemmeno consultata. Abbiamo preparato la bozza di una lettera da inviare al ministro, o anche alla stampa. Ve la leggo".
L'evoluzione è una realtà dei fatti, c'è scritto, che non può essere confutata. Le idee di Darwin rappresentano una maniera di vedere i fenomeni naturali da cui non si può prescindere. Tutta la biologia moderna deriva da lì. La teoria scientifica dell'origine della vita, ne consegue, va necessariamente insegnata ai ragazzi durante le scuole medie. "Prima, sarebbe effettivamente troppo presto - sottolinea Capanna - ma dopo è troppo tardi".
La lettera, redatta da una ventina di zoologi e botanici, viene approvata da tutte le altre categorie di scienziati. Paleontologi, fisici, chimici fanno fronte unico nel difendere l'insegnamento di Darwin nelle scuole. "Qualche matematico - racconta Carlo Alberto Redi, biologo dell'università di Pavia - non aveva seguito le polemiche delle ultime settimane e non credeva a ciò che dicevamo. Ci invitava a leggere meglio i programmi ministeriali. Qualcosa doveva esserci sfuggito, non era possibile che Darwin fosse semplicemente scomparso dalla lista delle materie da insegnare. Effettivamente, la vicenda ha dell'incredibile". "Ci chiedevamo tutti - aggiunge Floriano Papi, etologo dell'Università di Pavia - chi mai avesse potuto suggerire un'idea simile al ministro".
Dei circa ottanta membri della classe di Scienze, una sessantina erano presenti venerdì. "Ma mancava proprio il presidente, Lamberto Maffei - spiega Capanna - così abbiamo preferito posporre l'approvazione finale del documento. E' stata solo una questione di procedure, perché tra noi l'unanimità è completa. Redigeremo la versione finale della lettera e la approveremo nella prossima seduta, fra un mese. Una dozzina di righe: basteranno". Redi aggiunge: "Ho parlato con i colleghi della classe di Discipline morali, filologiche e storiche. Vogliono partecipare anche loro alla nostra presa di posizione".
La condanna dei nuovi programmi scolastici in via della Lungara ha messo d'accordo sia scienziati laici che cattolici. A differenza di quanto avvenuto negli Stati Uniti - dove la polemica anti-Darwin era alimentata da motivazioni religiose - in Italia (al di fuori del ministero dell'Istruzione) non si leva nessuna voce a difesa dei nuovi programmi. "Tutti - sottolinea Capanna - ci siamo trovati d'accordo nella necessità di non mescolare problemi scientifici a letture scritturali. Fede e scienza marciano su binari differenti. Su questo l'accordo è stato unanime. E pensare che i vecchi programmi erano stati approvati nel '79, in piena era democristiana".
una stele più antica di quella di Rosetta
Repubblica 26.4.04
ARCHEOLOGIA
SCOPERTA UNA PIETRA PIÙ ANTICA DELLA STELE DI ROSETTA
IL CAIRO - Una nuova stele con iscrizioni in tre lingue (greco antico, demotico e geroglifico), più antica della famosa "stele di Rosetta" utilizzata dall´archeologo Champollion per decifrare l´antica scrittura egiziana, è stata scoperta a Tell Basta (Bubasti), una delle capitali del Delta del Nilo - nota per il culto della dea Gatta-Bast - da una missione archeologica tedesco-egiziana.
«È la pietra più bella e più importante del genere scoperta negli ultimi 120 anni», ha dichiarato il capo archeologo tedesco Christian Tietze, docente nell´università di Postdam, precisando che è stata scoperta vicino ad una statua alta 11 metri, che raffigura una figlia-moglie di Ramesse II, Merit Amon.
Datata al 238 avanti Cristo, la stele in granito grigio, alta 99 centimetri, larga 84 e spessa 65, riporta un "decreto canubiano" del periodo (246-221) di Tolomeo III Evergete (Benefico) che ne testimonia il potere ed il buon governo. In particolare indica una rettifica del calendario dell´ antico Egitto, che verrà applicata solo 250 anni più tardi, sotto Giulio Cesare.
Dei tre testi, quello greco è conservato nelle condizioni migliori e contiene 67 righe, quello demotico 24. «Questa è la quinta copia di una stele della quale sono state trovate altre quattro - ha detto l´archeologo Mohamed Abdel Maksud - ed è quella in migliori condizioni».
ARCHEOLOGIA
SCOPERTA UNA PIETRA PIÙ ANTICA DELLA STELE DI ROSETTA
IL CAIRO - Una nuova stele con iscrizioni in tre lingue (greco antico, demotico e geroglifico), più antica della famosa "stele di Rosetta" utilizzata dall´archeologo Champollion per decifrare l´antica scrittura egiziana, è stata scoperta a Tell Basta (Bubasti), una delle capitali del Delta del Nilo - nota per il culto della dea Gatta-Bast - da una missione archeologica tedesco-egiziana.
«È la pietra più bella e più importante del genere scoperta negli ultimi 120 anni», ha dichiarato il capo archeologo tedesco Christian Tietze, docente nell´università di Postdam, precisando che è stata scoperta vicino ad una statua alta 11 metri, che raffigura una figlia-moglie di Ramesse II, Merit Amon.
Datata al 238 avanti Cristo, la stele in granito grigio, alta 99 centimetri, larga 84 e spessa 65, riporta un "decreto canubiano" del periodo (246-221) di Tolomeo III Evergete (Benefico) che ne testimonia il potere ed il buon governo. In particolare indica una rettifica del calendario dell´ antico Egitto, che verrà applicata solo 250 anni più tardi, sotto Giulio Cesare.
Dei tre testi, quello greco è conservato nelle condizioni migliori e contiene 67 righe, quello demotico 24. «Questa è la quinta copia di una stele della quale sono state trovate altre quattro - ha detto l´archeologo Mohamed Abdel Maksud - ed è quella in migliori condizioni».
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