martedì 15 febbraio 2005

una segnalazione di Anna Maria Novelli e di Tonino Scrimenti:

Questa sera Carlo Patrignani su Telesalute (Roma), alle ore 20.30, presenterà anche i due "libretti" delle Aule Magne

la Sala Carlo V, al Maschio Angioino (Castel Nuovo) di Napoli

una segnalazione di Michael Louis Stiefel

www.exibart.com
http://www.exibart.com/profilo/eventiV2.asp?idelemento=16673

Nella pagina in cui viene proposta la mostra di Valeria Corvino attualmente in corso, si può leggere del Maschio Angioino in cui essa ha luogo che ci riporta con la memoria al 1996


Dal 3 al 26 febbraio 2005
Valeria Corvino - Allusione della Forma
Napoli
CASTEL NUOVO - MASCHIO ANGIOINO
Piazza Municipio (80133)
+39 0817955877 (info)

CASTEL NUOVO
La costruzione del Castel Nuovo (Maschio Angioino) iniziò nel 1279, sotto il regno di Carlo I d’Angiò, su progetto dell’architetto francese Pierre de Chaule.
Fin dall’inizio esso viene chiamato”Castrum Novum” per distinguerlo da quelli più antichi dell’Ovo e Capuano.
Durante il regno di Roberto d’Angiò, il Castello, divenne un centro culturale dove soggiornarono artisti, medici e letterati fra cui Giotto, Petrarca e Boccaccio.
Agli Angioini successero gli Aragonesi con Alfonso I, che seguendo la scelta dei precedessori, fissò la sua dimora reale in Castel Nuovo iniziandone i lavori di ricostruzione e facendo innalzare all’esterno, fra la Torre di Mezzo e quella di Guardia, il grandioso Arco di Trionfo per celebrare il suo vittorioso ingresso nella città di Napoli.
Attualmente il complesso monumentale viene destinato ad uso culturale ed è, tra l’altro, la sede del Museo Civico diretto da Alfonso Artiaco e Silvana Dello Russo. L’itinerario museale si articola tra la Sala dell’Armeria, la Cappella Palatina o di Santa Barbara, il primo ed il secondo piano della cortina, meridionale a cui si aggiungono la Sala Carlo V e la Sala della Loggia destinate ad ospitare mostre ed iniziative culturali di gran pregio.

SALA CARLO V
Questa Sala situata al primo piano del Castello ha ospitato grandi artisti di fama internazionale: Mimmo Paladino, Betty Bee, Massimo Fagioli, Andy Wharol.
una segnalazione di Michael Louis Stiefel

www.exibart.com
http://www.exibart.com/profilo/eventiV2.asp?idelemento=16673

Nella pagina in cui viene proposta la mostra di Valeria Corvino attualmente in corso, si può leggere del Maschio Angioino in cui essa ha luogo che ci riporta con la memoria al 1996


Dal 3 al 26 febbraio 2005
Valeria Corvino - Allusione della Forma
Napoli
CASTEL NUOVO - MASCHIO ANGIOINO
Piazza Municipio (80133)
+39 0817955877 (info)

CASTEL NUOVO
La costruzione del Castel Nuovo (Maschio Angioino) iniziò nel 1279, sotto il regno di Carlo I d’Angiò, su progetto dell’architetto francese Pierre de Chaule.
Fin dall’inizio esso viene chiamato”Castrum Novum” per distinguerlo da quelli più antichi dell’Ovo e Capuano.
Durante il regno di Roberto d’Angiò, il Castello, divenne un centro culturale dove soggiornarono artisti, medici e letterati fra cui Giotto, Petrarca e Boccaccio.
Agli Angioini successero gli Aragonesi con Alfonso I, che seguendo la scelta dei precedessori, fissò la sua dimora reale in Castel Nuovo iniziandone i lavori di ricostruzione e facendo innalzare all’esterno, fra la Torre di Mezzo e quella di Guardia, il grandioso Arco di Trionfo per celebrare il suo vittorioso ingresso nella città di Napoli.
Attualmente il complesso monumentale viene destinato ad uso culturale ed è, tra l’altro, la sede del Museo Civico diretto da Alfonso Artiaco e Silvana Dello Russo. L’itinerario museale si articola tra la Sala dell’Armeria, la Cappella Palatina o di Santa Barbara, il primo ed il secondo piano della cortina, meridionale a cui si aggiungono la Sala Carlo V e la Sala della Loggia destinate ad ospitare mostre ed iniziative culturali di gran pregio.

SALA CARLO V
Questa Sala situata al primo piano del Castello ha ospitato grandi artisti di fama internazionale: Mimmo Paladino, Betty Bee, Massimo Fagioli, Andy Wharol.

oggi anche L'Unità e il manifesto sui minori rinchiusi nel manicomio criminale

L'Unità 15 Febbraio 2005
Mantova, per i minori manicomio criminale
Durissime proteste per l’iniziativa del ministero della Giustizia. Psichiatria democratica: «Sconvolgente». I ds: un gruppo di parlamentari entri subito nella struttura
Roberto Monteforte

ROMA Minorenni con difficoltà psichiche rinchiusi in un Ospedale psichiatrico giudiziario a Castiglione delle Stiviere (Mantova): la «sperimentazione» del ministero della Giustizia interesserebbe una decina di giovani condannati e segnalati dai centri di giustizia minorile.
Tutto deciso in gran silenzio. Visto che la legge proibisce espressamente che minori possano essere rinchiusi in manicomi giudiziari. Sono stati gli operatori a lanciare l’allarme al Forum per la salute mentale, rilanciato dalla parlamentare di Rifondazione, Tiziana Valpiana, che ha chiesto immediatamente spiegazioni al ministero della Salute, visto la gestione del centro è affidata dal ministero di Grazia e Giustizia in concessione alla Asl di Mantova.
Il governo, per bocca del sottosegretario Stefano Cursi, ha assicurato che il reparto per i minori è collocato in un’ala separata, «garantendo così la non commistione con gli adulti per tutte le fasi del processo terapeutico». Contatti, però, con gli adulti vengono ammessi. Si parla di «circolazione negli spazi comuni» e di «partecipazione alle attività». La replica della Valpiana è stata secca: «Si tratta di una soluzione inaccettabile e indegna di un paese civile, che non può rinchiudere minori in un ospedale psichiatrico giudiziario. È una collocazione assolutamente inadatta ai minori e tale da precludere ogni speranza di recupero e reinserimento sociale, considerato che i minori, anche quando sono autori di reato e di difficile gestione, hanno bisogno di essere sostenuti all'interno di strutture adeguate».
Ci vuole vedere chiaro anche il Parlamento. La presidente del comitato sulla Giustizia minorile della commissione Giustizia, Marcella Lucidi (Ds), ha chiesto di mettere all’ordine del giorno una visita immediata all’ospedale giudiziario di Castiglione delle Stiviere. Troppe le cose, leggi alla mano, che non quadrano. Domani si saprà se e quando la visita si terrà. Quello che è certa è la condanna per questa «sperimentazione» del mondo scientifico e degli operatori.
«È una decisione assolutamente sconvolgente» stigmatizza il presidente nazionale di Psichiatria democratica, Rocco Canova. «Si è fatto tutto in grande silenzio» commenta. «Si pensa a strutture speciali per minori degli ospedali psichiatrici collocati addirittura all’interno di un “manicomio criminale”. Il governo parla di spazi separati, ma - spiega Canova - sappiamo bene che questo aumenta enormemente il pregiudizio da parte dell’opinione pubblica nei confronti di questi ragazzi che sono in difficoltà, che devono essere aiutati a superare la loro condizione e non essere segregati». Invece si sceglie la via repressiva: «Quando di peggio si possa immaginare: ospedale psichiatrico e carcere insieme». Vi è anche una critica «tecnica». «Le situazioni di minori con diagnosi psichiatrica o antisociale - spiega Canova - non vanno ghettizzate in strutture specifiche, bensì in comunità che abbiano il più possibile una situazione di accoglienza e che non siano esclusivamente rivolte a ragazzi con problemi psichiatrici». Diffida delle comunità iperspecialistiche: «Sono contro ogni idea di emancipazione e di recupero educativo del giovane. Si vogliono raggruppare insieme tutti i cosiddetti “matti”, minori antisociali o tossicodipendenti: è ciò che di peggio si possa pensare». E poi, ricorda, si può parlare di personalità antisociale per un adulto, ma per un minore è sbagliato. «Quella del minore è una situazione di evoluzione psicologica. Non possiamo ingessarlo in una diagnosi. Le difficoltà dei ragazzi non vanno etichettate, ma capite». La sua conclusione? «La diagnosi psichiatrica viene enfatizzata per legittimare la segregazione in un ospedale psichiatrico giudiziario». «Si sono rilanciati i luoghi della segregazione per chi può dare fastidio, per il diverso o l’immigrato. Questo è il dato culturale e politico inquietante: trovare un posto dove segregare le persone che possono dare fastidio. È indegno per uno Stato civile».
Il presidente della Consulta penitenziaria e del Piano carceri per il comune di Roma, Lillo Di Mauro, assicura che gli «ospiti» a Castiglione delle Stiviere sono minori «messi alla prova» dai giudici e non reclusi. Sarebbero dovuti essere affidati alle comunità esterne al carcere e inseriti in progetti per il loro recupero e inserimento. E invece sono finiti in un manicomio criminale. «Qualcosa non funziona nel rapporto di questo governo con i giovani. Il ministro Castelli si è accanito contro la giustizia minorile del nostro paese, una delle più innovative in Europa. Vuole sbattere in galera anche i minori. Taglia i finanziamenti necessari alla giustizia minorile». Cita la situazione di Roma dove il Centro per la giustizia minorile è riuscito a pagare sino al marzo 2004 gli stipendi degli operatori delle comunità di accoglienza e di recupero alternative al carcere. «Ora rischiano tutte di chiudere e i minori di finire in galera - commenta Di Mauro -. Così nei fatti Castelli impone il suo modello che il Parlamento gli ha bloccato».
«Quella che manca è l’idea di una salute mentale di comunità» commenta lo psichiatra Emilio Lupo, segretario di Psichiatria democratica. Emerge un modello repressivo. «Il problema è quello di uno sviluppo di una salute mentale e non quello di “contenere” le persone. Più che togliere problemi agli altri il compito è quello di farsi carico del disagio in tutte le sue forme con il concorrere di saperi e conoscenze diverse».

il manifesto 15.2.05
Minori nel carcere psichiatrico
Sezione ad hoc a Mantova. «Misura ottocentesca». Sirchia sorvola
MATTEO MODER

Incredulità da una parte, difese d'ufficio dall'altra. Queste le reazioni alla notizia, rilanciata ieri in prima pagina da Repubblica dell'apertura di una sezione per i minori (soprattutto stranieri) nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere (Mantova). Alessandra Cattel, avvocato e membro della Camera minorile di Roma, si è detta scioccata: non è concepibile che i minori siano rinchiusi in una struttura mista, dove cioè sono presenti anche adulti, e il fatto che ci sia una separazione tra i reparti non è una garanzia sufficiente». Cattel ha ricordato che una struttura di questo tipo sicuramente non è prevista dalla legge e ha detto che se fosse stata legale «ci sarebbero probabilmente finiti Erika e Omar, i fidanzatini assassini di Novi Ligure». Cattel ha rilevato che il principio fondamentale, nella giustizia minorile, è che «il ragazzo che commette un reato venga tolto dal circuito penale. Per questo si privilegiano le misure alternative al carcere, come l'affidamento ai servizi sociali o alle comunità». Il manicomio criminale quindi non è la soluzione. Il ministro per la salute, Girolamo Sirchia, al quale la deputata Tiziana Valpiana aveva presentato un'interrogazione denunciando così per prima la presenza di minori in un manicomio criminale, cade dalle nuvole. «Sono cose che vanno prima capite e misurate, poi valutate» ha detto. «Noi non siamo un carcere ma una struttura sanitaria che cura i propri pazienti, sia adulti che giovani» - ha esordito, sicuro, Antonino Calogero, direttore dell'ospedale psichiatrico giudiziario e della comunità psichiatrica protetta per minori di Castiglione delle Siviere. Si è detto stupito dello stupore, «e della faziosità» delle reazioni al reparto per minori ricavato accanto a quello femminile. «Valpiana - ha detto Peppe Dell'Acqua, tra i fondatori del Forum nazionale per la salute mentale, svoltosi in dicembre a Lido di Camaiore, dove questo fatto fu denunciato - aveva definito la vicenda `una soluzione inaccettabile e indegna di un paese civile'. Sottoscrivo in pieno. E' la prima volta dopo 40-50 anni - ha aggiunto - che si ritorna a costruire un istituto per minori, che abbiano la caratteristica del disturbo mentale e della devianza. Siamo nella peggiore delle tradizioni ottocentesche».

Com'è quel manicomio nella descrizone di un altro quotidiano:

La Provincia di Como 15.2.05
Il viaggio Nell'ex manicomio psichiatrico di Castiglione con il direttore: «700 uscite premio per 170 assassini malati di mente» Il nuovo carcere della Caleffi: tra l'atelier, il bar e la piscina
Anna Savini


I pazienti fanno jogging nel parco, nuotano in piscina, dipingono nell'atelier, bevono il cappuccino al bar o ordinano la pizza, vanno dal parrucchiere gratis, giocano a bocce con il sindaco e la gente di Mantova. Se fanno i bravi escono spesso in permesso premio, magari anche due volte al giorno. Piccolo particolare: hanno sparato, strozzato, defenestrato, massacrato, lapidato, iniettato aria nelle vene, accoltellato, ferito, ucciso e magari anche fatto a pezzi i corpi di figli o genitori, bambini piccoli o anziani, sorelle o amanti, mariti o sconosciuti. Però erano infermi mentali. Quindi non devono stare in carcere. Devono curare i loro problemi psichiatrici. Ed è questo che fanno, lontano da casa, protetti dalle mura di un posto che assomiglia a una beauty farm. Benvenuti all'ospedale psichiatrico giudiziario, ex manicomio criminale, di Castiglione delle Stiviere, dove un paziente su due è del centro nord perché sette delitti della follia su 10 avvengono lì. Immerso nel verde di una collina, stanze a due o quattro letti, nessuna guardia carceraria in giro, ma assistenza continua di 210 tra infermieri, educatori, assistenti, psichiatri, psicologi, medici. Benvenuti nella nuova casa di Sonya Caleffi e della giovane mamma di Caccivio che accoltellò la figlioletta di tre anni sull'altare della chiesa. La casa di Ferdinando Caretta che massacrò i genitori e il fratello, la fece franca, scappò a Londra salvo poi confessare la verità dieci anni dopo. La casa di 14 mamme (ma adesso ce ne sono dieci) che si sono disfate dei loro neonati come se fossero sacchetti della spazzatura. L'infermiera di Tavernerio è andata a vivere qui e avrà diritto allo stesso trattamento confortevole di tutti gli altri. In una stanza doppia, non si sa ancora con quale compagna autrice di quale delitto, ha già ricevuto la visita del convivente Gianmarco Belloni. Nella saletta comune con gli altri pazienti, sorvegliati solo da un addetto. «La prassi comune - spiega il direttore Antonino Calogero -. I nostri pazienti, che al momento sono 170 possono incontrare i parenti se sono autorizzati, ma noi li portiamo anche spesso fuori, per esempio in una piscina coperta a fare idroterapia. Abbiamo 700 uscite permesso all'anno, ma chi scappa è una minoranza. Anzi, direi che questo problema si verifica davvero raramente». Non vogliono scappare i pazienti. Si scappa da dove non si sta bene e a Castiglione, nell'Opg fondato nel 1939 e forse a rischio chiusura per i costi altissimi che il direttore non vuole svelare («la spesa maggiore è il personale, ma capirà che con il tipo di pazienti che abbiamo è necessario»), si sta benissimo. «I pazienti dormono fino alle otto del mattino, fanno colazione, c'è la terapia farmacologica e le attività previste per il recupero. La nostra struttura è convenzionata con il ministero della salute ma a differenza degli altri cinque che ci sono in Italia ha personale sanitario proprio. C'è anche un reparto per minori («autorizzato dal dipartimento minori del ministero di Giustizia») con personale a sè. «Di solito i pazienti hanno un percorso di cura decennale ma in genere dopo cinque, sei anni possono uscire. Solo che noi li dimettiamo soltanto se abbiamo attivato una convenzione con le comunità o con i servizi Asl perchè sono pazienti che hanno sempre bisogno di assistenza. All'origine dei reati che hanno commesso ci sono malattie mentali, depressioni maggiori e il nostro compito è quello di ricostruire il quadro psichico di ogni persona».

sogni
una mostra d'arte ungherese a Roma

Il Messaggero Martedì 15 Febbraio 2005
A Palazzo Falconieri la mostra di cinque artisti ungheresi tra fine ’800 e inizi ’900
La forma dei sogni in sessanta opere
di Fabiana Mendia

All'alba del XX secolo un gruppo di intellettuali ungheresi viene sollecitato dal pensiero occultistico ed esoterico e da Freud, comprende che per raggiungere la totale libertà di creare e rappresentare una realtà superiore è fondamentale esplorare alcune forme d'associazione fino a quel momento trascurate: l'onnipotenza del sogno, il gioco disinteressato del pensiero. Tivadar Csontvàry Kosztka, Lajos Gulàcsy, Anna Lesznai, Gyula Tichy e Attila Sassy sono tutti d'accordo a riconoscere la validità di modelli non presi dal mondo esterno, ma dall'interiorità. Rappresentano l'invisibile e con questa intuizione precedono di un paio di decenni Breton e i surrealisti che pubblicano il loro Manifesto nel 1924 a Parigi.
Le sessanta opere di Sogni Dipinti- Favola. Visione e sogno dell'arte ungherese 1890-1920 , esposte a Palazzo Falconieri, offrono una suggestiva e magica esperienza di conoscenza e contatto percettivo con la vita interiore e la sensibilità dei cinque protagonisti, che riescono a coinvolgere profondamente. C'è colore, estrema libertà nella stesura pittorica, attenzione alle componenti narrative, evocative e introspettive. Ma nonostante alcuni comuni denominatori, i giovani sognatori seguono percorsi paralleli, ma le loro ansie, paure, sentimenti, espressi con segni e forme diverse, li portano a dipingere una nuova armonia.
Kosztka e la Lesznai ambiscono a raggiungere un'identità primordiale e a riconoscere nel sogno il mezzo per tornare all'Eden. Il primo cerca però anche "grandi motivi"oltre l'esperienza onirica, ha voglia di cercare il colore e la luce, per cui compie alcuni viaggi in Italia, nel Mediterraneo, in Medio Oriente e nell'Africa Settentrionale. Sicuramente, per Kosztka il soggiorno a Roma (1881-82) ferma nella sua memoria l'esperienza diretta di Raffaello e la scoperta dei nazareni e dei preraffeilliti, interessante per la commistione tra sacro e profano.
Anna Lesznai scrive, dipinge e disegna le favole, insieme all'amico Gulàcsy. Il loro mondo si chiama "NàConxypan". Nell'opera grafica "Il viaggio della piccola farfalla a Lezna e nel vicino Regno delle Fate" (del 1913) si racconta di un viaggio per raccogliere la polvere di sogno da portare via.
La prima guerra mondiale ridimensiona il mondo dei sogni, delle fate e delle farfalle dei giovani artisti ungheresi. Alcuni non riescono più a volare: Gulàcsy si ammala di schizofrenia a Venezia alle prime notizie del conflitto, Kosztka diventa psicotico. Gli altri lentamente perdono l'equilibrio dell'anima. Ma di loro restano: Ultime illusioni, Sogni d'oppio, Estasi, le fiabe di un calamaio, Idillio, Mandorlo in fiore, Giardino antico, Rococò, Minuetto, Il sogno del fumatore d'oppio.

(Accademia d'Ungheria, palazzo Falconieri, via Giulia 1, Info: 06-6889671).

mentire

L'Arena Martedì 15 Febbraio 2005
Domani.
Frottole e bugie.
All’Upif si parla delle loro origini
Relatrice Teresa Sassaroli
di Giuseppe Corrà


Lavagno. Le bugie sono ancora di moda in un mondo in cui tutto rischia di divenire virtuale? Meglio parlarne all’Università popolare di istruzione e formazione. L’appuntamento è domani, alle 15.15, nella sala civica di San Pietro di Lavagno con la professoressa Teresa Sassaroli. La bugia ha sempre accompagnato la storia dell’uomo. Tutti la deprecano, ma continua a fiorire, anche se noi siamo fatti per dire la verità e quando raccontiamo bugie andiamo contro la nostra natura. A volte ci sentiamo a disagio; altre, invece, proviamo un sottile piacere nel narrarle sempre più grosse. Ma, chi sa davvero ascoltare s’accorge quando si tratta di frottole. Esistono tanti tipi di bugie. Quelle dei bambini, funzionali alla crescita, create dalla loro fantasia. Esse tendono a far percepire per vero quanto sognano o temono.
Vasta è la gamma delle bugie degli adulti che possono mentire anche tacendo: bastano pochi gesti, semplici insinuazioni. Si può mentire a fin di bene, come quando si parla ad un ammalato; ci sono le bugie dette per scherzo; le bugie generose quando si fa del bene in segreto, ma anche quelle dettate dal proprio tornaconto, quando si imbroglia per il proprio interesse. A preoccupare genitori ed educatori ci sono le tipiche bugie degli adolescenti. Essi snocciolano volentieri spacconate e vanterie con i coetanei, mentre con i grandi inventano scuse.
La vita quotidiana è tutta un intrecciarsi fra menzogna e linguaggio perché non esiste una società senza comunicazione. Occorre perciò condividere il linguaggio ed il significato delle parole, soprattutto per mezzo dei mass media e in particolare della televisione: la scatola magica che produce e insegna il presunto vero, le forme e i gesti dello stare insieme, il nuovo significato delle parole. La televisione mette d’accordo, ci fa condividere stili di vita, gesti e parole. La tv sa creare questo ambiente, perché tempo e spazio si confondono e tutto diventa possibile dalle fiction e ai reality.
Teologi e filosofi si sono divisi sulla bugia: i Sofisti affermano che il linguaggio è sempre menzognero perché le esperienze non sono parole. Sant’Agostino riconosce che il linguaggio è spesso limitato e oscuro. Per Kant la bugia non è mai lecita, per Schopenauer la menzogna può rappresentare una legittima difesa contro l’invadenza curiosa. Già Platone consigliava ai governanti di mentire per il bene del popolo e Machiavelli, più tardi, incoraggia il suo Principe a comportarsi da gran simulatore.
Anche la letteratura vive di finzione con le sue poesie, con il «dolce inganno» dove le parole spingono alle emozioni, al dolore, alla gioia o alla compassione. Pure con i romanzi. Oggi noi viviamo quasi gioiosamente nella menzogna, fra i valori iperbolici della new economy, i messaggi promozionali della pubblicità, le fiction della televisione, fino ai sogni quotidiani.

adolescenti

La Stampa 15 Febbraio 2005
QUATTRO INCONTRI, A PARTIRE DA DOMANI, PER OFFRIRE UN MOMENTO DI CONFRONTO SUI PROBLEMI E LE ESIGENZE DEI GIOVANI
Adolescenza, età di sfide e incertezze
L’Università e il «rischio di crescere»


AOSTA. «Il rischio di crescere. Dilemmi e opportunità di sviluppo nell’età adolescenziale»: è questo il titolo di una serie di 4 incontri per parlare delle sfide e delle incertezze di una età impegnativa. L’iniziativa è a cura dell’Università della Valle d’Aosta.
Il Comitato accademico delle Scienze psicologiche dell’ateneo regionale ha proposto la serie di conferenze, a carattere divulgativo, che si svolgeranno da domani fino a maggio. Lo scopo dell’iniziativa è quello di offrire un momento di confronto sulle problematiche dell’adolescenza, evidenziando i fattori sia di rischio sia di protezione di questa fase evolutiva.
La prima conferenza è fissata per domani alle 17, nella sede dell’Università in via dei Cappuccini 2 ad Aosta, nello stabile dell’ex Piccolo Seminario. Il tema è: «Relazioni familiari e rischio in adolescenza». L’obiettivo è quello di analizzare la relazione tra alcune caratteristiche del «funzionamento familiare» e lo sviluppo di componenti a rischio da parte dei giovani. «Sebbene non sia più considerata come il periodo più difficile della vita - dicono gli organizzatori degli incontri -, l’adolescenza resta una fase di sviluppo particolarmente delicata che coinvolge non solo i ragazzi, ma anche le loro famiglie».
Talvolta, nell’affrontare lo sviluppo, gli adolescenti hanno dei comportamenti che possono mettere in pericolo il loro benessere fisico, psicologico e sociale. E’ della massima importanza il ruolo della famiglia nel promuovere percorsi di sviluppo che siano caratterizzati dal maggior benessere possibile, con il forte coinvolgimento dei giovani. Interverranno la professoressa Elena Catellino dell’Università della Valle d’Aosta e la dottoressa Emanuela Calandri dell’Università di Torino.
I successivi appuntamenti sono in programma sempre alle 17, nella stessa sede. Mercoledì 16 marzo il tema trattato sarà: «I processi di socializzazione normativa degli adolescenti - Problemi teorici e problemi di metodo». I relatori saranno la professoressa Anna Rosa Favretto e la dottoressa Francesca Zaltron. Il 13 aprile si parlerà di: «Generi in costruzione - L’identità sessuale negli adolescenti», con relatrice la dottoressa Chiara Bertone. Ultimo incontro il 4 maggio, su un tema di drammatica attualità: «Il bere giovane». Relazioneranno il professor Amedeo Cottino e il dottor Luca Scacchi. Per informazioni: u-comunicazione@univda.it oppure telefonare al numero 0165-306752.

disturbi alimentari

Repubblica Torino 15.2.05
Quando il cibo è un problema
Aperto alle Molinette un reparto per i disturbi alimentari
Un problema che riguarda 6400 piemontesi e in particolare le ragazze: sottopeso 19 su 100
È il primo in Italia per la prevenzione e la cura dell'anoressia e della bulimia
Daniele Diena

L'angoscia d'aumentare di peso è tale che altera addirittura l'immagine corporea, fino a far vedere il grasso che non c'è. Sono i segnali dell'anoressia nervosa, disturbo del comportamento alimentare che porta a ridurre drasticamente il cibo ingerito fino ad arrivare, nei casi più gravi, a pericolosi digiuni. Insieme al suo opposto, la bulimia, caratterizzata invece da una fame insaziabile che spesso nasconde un'inconscia disistima di sé che porta appunto a colmare il senso d'inadeguatezza con grandi abbuffate, rappresenta un serio problema per 6400 piemontesi, 5000 dei quali sono bulimici e 1400 anoressici. Un tipico problema d'origine psicologica che riguarda soprattutto le ragazze (tra i 10 e i 34 anni la fascia d'età più colpita): ne soffrono infatti 7 su 100, contro l'1% dei maschi, e, stando ad un recente studio compiuto nelle scuole superiori piemontesi, addirittura 17 su 100 risultano sottopeso.
Per affrontare al meglio questo problema emergente è stato aperto alle Molinette il primo reparto italiano dedicato alla cura e alla prevenzione dei cosiddetti "disturbi del comportamento alimentare". Diretto dal professor Secondo Fassino, psichiatra, il centro, ideato su un modello londinese, rappresenta la prima realtà sanitaria che raggruppa sotto lo stesso tetto l'attività ambulatoriale, quella di day hospital e l'area di degenza riservata ai casi più gravi che rappresentano il 15-20% del totale. Successivamente un day hospital psichiatrico per i disturbi alimentari sarà abbinato al centro, cui già oggi afferiscono specialisti in dietologia, nutrizione clinica, endocrinologia e malattie del metabolismo. Innovativo anche il percorso terapeutico, studiato in modo da arrivare ad una cura personalizzata per ogni paziente.
Ma come succede che un giovane arrivi a questi disturbi? «All'origine dell'anoressia nervosa possono esserci alterazioni neurobiologiche, ma molto più spesso si deve all'inadeguatezza delle dinamiche interfamiliari, inoltre s'è visto che frequentemente s'accompagna a certi tratti ben precisi del carattere» dice Fassino, che era anche relatore di un convegno sull´argomento che si è tenuto nell´aula magna delle Molinette. Vediamo allora come si riconosce la futura anoressica. «È una perfezionista - dice Fassino - e una ragazza con un'esagerata preoccupazione d'evitare le situazioni per lei negative. Inoltre ha un'"Io" debole, è scarsamente autodeterminata e molto dipendente dai modelli esterni. Infine è condizionata, nell´inconscio, da una scarsa autostima».
Come evitare la trappola dell'anoressia e della bulimia? Gli esperti dicono che, problematiche personali a parte, aiuta molto a prevenire l'avere un corretto stile di vita e quindi d'alimentazione. «Questo vuol dire - spiega il dottor Giuseppe Maffi, dirigente del servizio e nutrizionista - che bisogna mangiare il giusto a tavola, sia come nutrienti che come quantità, non ridurre mai drasticamente le porzioni di cibo e soprattutto non usarlo come se fosse un farmaco». Che significa? «Significa che non si deve ricorrere al cibo come ad un sedativo o un antidepressivo per calmare l'insoddisfazione personale». E, per cambiare musica, non scordare di fare un po' d'attività aerobica: 40 minuti 4-5 volte a settimana ottimizzano il fabbisogno energetico e compensano gli eccessi alimentari.

Marco Bellocchio

Ansa.it 14.2.05
CINEMA: BELLOCCHIO GIRA 'IL REGISTA DI MATRIMONI'
OGGI IL PRIMO CIAK

(ANSA) - ROMA - E' stato battuto oggi il primo ciak del nuovo film di Marco Bellocchio 'Il regista di matrimoni'. Nel cast Sergio Castellitto, Donatella Finocchiaro, Sami Frey, Gianni Gavina, Maurizio Donadoni, Bruno Cariello. Ambientato e girato in gran parte in Sicilia, il film è prodotto da Filmalbatros, Rai Cinema, Dania cinematografica, Immagine Cinema e per la Francia Filmtel. Bellocchio racconta che la vicenda ha inizio con ''un regista, Sergio Castellitto, in crisi perché la figlia ha sposato un fervente cattolico catecumenale e perché gli tocca girare l' ennesima versione dei Promessi Sposi. Alla crisi si aggiunge un evento inaspettato, così decide di fuggire in un paesino della Sicilia profonda, dove incontra un regista di matrimoni...''. (ANSA).

innamorarsi

Yahoo! Salute lunedì 14 febbraio 2005
Psichiatria, Psicologia e Neurologia Tutte le notizie
A me gli occhi: tre minuti per innamorarsi
Emanuela Grasso

Bastano solo tre secondi per capire se una persona vi piace. In tre minuti, se vi va bene, siete già innamorati. Tutto il resto sono parole, parole, parole. Per perdere la testa non serve conoscere il carattere, le abitudini, i pregi o i difetti di un’altra persona: basta uno sguardo. Ma non uno sguardo qualunque: quello spontaneo, quello del momento in cui avviene il riconoscimento. Lo sostiene un lavoro condotto da Robert Kurzban, professore di psicologia dell’evoluzione alla University of Pennsylvania.
Il medico statunitense ha organizzato degli “speed dating”, cioè una sorta di appuntamento "al buio" velocissimo in cui una persona ha solo tre minuti di tempo per conoscerne un’altra, a ben dieci mila persone nel corso di un anno. Generalmente gli appuntamenti di questo tipo si svolgono in un bar e, seduti ad un tavolino davanti a qualcosa da bere, uomini e donne si incontrano per la prima volta. Ad ogni partecipante viene fornita una scheda nella quale deve descrivere le caratteristiche delle persone con cui ha parlato e dare loro un voto.
I partecipanti vengono osservati da alcuni ricercatori che ne valutano gli atteggiamenti, le movenze, gli sguardi, tutta la comunicazione non verbale insomma. Dal confronto tra le risposte al questionario e l’osservazione dei partecipanti allo studio Kurzban ha stabilito che se una persona è interessata ad un’altra lo capisce subito, in pochissimo tempo. È la famosa questione di pelle: è una cosa istintiva. In questo tipo di fascinazione non c’entrano niente il carattere, le passioni, i vizi o le virtù della persona che si ha di fronte.
Questi “speed dating” offrono agli psicologi qualcosa che raramente essi riescono a ritrovare nel corso di ricerche ben strutturate, cioè la spontaneità nel comportamento. “Il comportamento estemporaneo delle persone vale più delle risposte che ci danno ragionando sulle domande dei nostri questionari. Quello che abbiamo notato è che basta veramente uno sguardo per interessare o essere interessati da una persona”, sostiene il medico statunitense. Perciò occhi aperti più che mai, sempre e ovunque. Tre secondi possono cambiare la vita.

ibidem
A colpi di risate può nascere un amore
Paola Marano


Lei: mi deve far ridere. Lui: deve apprezzare le mie battute. In amore, c’è almeno una condizione che mette d’accordo uomini e donne, il senso dell’umorismo. Ciascun sesso infatti, almeno a giudicare da un’indagine condotta al Dipartimento di Psicologia della McMaster University, in Canada, percepisce lo humour in maniera diversa e, per fortuna, complementare.
Lo humour fa innamorare le donne, per loro il senso dell’umorismo è una dote irrinunciabile dell’uomo; insomma lei vuole un partner che la faccia ridere. Gli uomini invece non lo apprezzano molto nelle donne a meno che non si tratti solo di amicizia, quindi un uomo vuole una partner che prima di tutto sappia apprezzare le sue battute, e non una che faccia battute a sua volta. Il delicato equilibrio nella percezione dello humour da parte dei due sessi, quindi, aiuta naturalmente lo sviluppo di storie d’amore, ha rilevato in un’indagine su 150 studenti universitari Eric Bressler.
Gran parte della ricerca, ci ha raccontato Bressler, si è basata sulla somministrazione di questionari dati ad hoc dagli psicologi e distribuiti agli studenti. Nel 65 per cento dei casi, ha riferito Bressler, “in relazioni amorose o comunque sessuali gli uomini preferiscono le donne che ridono alle loro battute”. Nel 62 per cento dei casi invece le donne cercano un uomo che le faccia ridere. Ma in amicizia i canoni di scelta un po’ cambiano, soprattutto per gli uomini. Questi, ha precisato Bressler, cercano amiche con un buon senso dell'umorismo, insomma proprio le donne che tendono a scartare in amore. Invece le donne non cambiano preferenza ed anche in amicizia cercano uomini dotati di un ottimo senso dell’umorismo.
Il motivo di queste differenze tra i sessi? “È un po’ presto per stabilire qualunque deduzione generale sul comportamento umano nei confronti dello humour. Ma penso che la differenza trovata nei due sessi sia l’ennesimo riflesso di come uomini e donne alla ricerca di un partner potenziale, spesso ma non sempre, si concentrano su differenti aspetti caratteriali", ha ammesso Bressler. ”Credo che la tendenza maschile a innamorarsi di una donna che ami il suo senso dell’umorismo scaturisca dal più ampio bisogno dell’uomo di sentirsi apprezzato dalla propria partner. L’attrazione femminile per uomini con senso dell’umorismo suggerisce invece che le donne vedono nello humour maschile un buon parametro per stabilire se lui abbia o meno delle qualità”, ha proposto Bressler.

la sindrome di San Valentino

Ansa.it 14/02/2005 - 22:20
San Valentino: sindrome per difficoltà con altro sesso
Neuropsichiatra, colpisce 10% di giovani e adulti

(ANSA)-FIRENZE,14 FEB-Non c'è più solo il 'male d'amore', da un po' di tempo la psichiatria deve occuparsi anche della 'Sindrome di San Valentino'. Uno stato che porta 'mancanza di serenita' e, soprattutto, accentua le difficoltà esistenti nelle relazioni con l'altro sesso'. Il 10% delle persone - spiega il direttore dell'Istituto di Neuroscienze di Firenze, Pallanti - ha problemi nell'interrelazionarsi con l'altro sesso, specialmente le donne(60-65%) e a San Valentino i problemi crescono.
copyright @ 2005 ANSA
una segnalazione di Gianluca Cangemi

Repubblica 15.2.05

L'analista è morto a Roma
I DUE VOLTI DI CAROTENUTO
LUCIANA SICA

Con Aldo Carotenuto - stroncato da una crisi cardiaca all'età di settantadue anni - scompare uno dei protagonisti "storici" della cultura junghiana. Allievo del grande ed eccentrico Ernst Bernhard (il terapeuta di Fellini e della Ginzburg), studioso di fama internazionale, professore di Teorie della personalità alla Sapienza di Roma, Carotenuto è stato l'analista più chiacchierato di questo Paese, il più famoso e il più invidiato, il più amato e il più odiato.
I suoi detrattori - molto astiosi - parlavano di lui come dell'Alberoni della psicoanalisi italiana: per la sua tendenza che si è andata accentuando negli anni a pubblicare libri poco rigorosi, troppo "facili" e inclini al rosa. Gli amici, gli allievi, e soprattutto i pazienti - spesso di gran nome, come ad esempio Fernanda Pivano - lo hanno invece sempre difeso pubblicamente, lo hanno considerato piuttosto un uomo fragile e narcisista, magari infantilmente bisognoso di essere amato, comunque un intellettuale di grande generosità umana e professionale, e per certi versi geniale.
Una decina d'anni fa, il gran circo mediatico entrò in fibrillazione per un "incidente" indubbiamente solleticante - la denuncia di un'ex paziente sedotta e abbandonata, seguita dall'uscita del temibile dongiovanni dall'Associazione italiana di psicologia analitica (l'Aipa). Ma alla fine non è per questo episodio che si ricorderà Carotenuto: la pericolosa confusione tra stanza d´analisi e stanza da letto, i "transfert erotici" sono casi ricorrenti nel mondo dell'inconscio e hanno travolto diversi illustri custodi del sapere junghiano e freudiano, magari con meno clamore.
È invece la capacità di lasciare un segno originale che è decisamente più rara, e Carotenuto rimarrà come lo studioso che ha "scoperto" un capitolo illuminante della storia della psicoanalisi, ricostruendo per la prima volta il triangolo - non solo intellettuale - che ha avuto per protagonisti Jung, Freud e la meno nota Sabina Spielrein: il suo Diario di una segreta simmetria, pubblicato da Astrolabio nel 1980, è un libro fondamentale sul piano scientifico, non a caso tradotto anche in giapponese.
Quando, un paio di anni fa, fece la sua comparsa il film di Roberto Faenza - Prendimi l'anima - dedicato alla figura della Spielrein, ebrea russa bella e psicotica, paziente e poi amante di Jung, più tardi devotissima a Freud, comunque a lungo schiacciata dalla personalità dei due giganti, Carotenuto ne fu davvero molto ferito, disse di sentirsi "derubato", si dolse di essere stato citato solo nei titoli di coda: un po' troppo en passant, effettivamente.
Analista controverso ma coltissimo, appassionato della creatività umana e del suo rapporto con la malattia, Carotenuto ha dedicato molti dei suoi studi a scrittori come Pasolini, Kafka, Dostoevskij, Shakespeare, Bousquet. Una volta accantonati i pettegolezzi e le battute - quelle sì, troppo "facili" - bisognerà pienamente riconoscere il suo ruolo nel grande teatro della psicoanalisi, frequentato spesso da mediocri ragionieri dell'anima.
«Bisogna distinguere tra la produzione saggistica di Carotenuto e la sua personalità che conteneva elementi oscuri, come del resto si potrebbe dire per ogni individuo»: Mario Trevi, il grande autorevolissimo vecchio dello junghismo italiano, riconosce l'«importanza» di molti libri di Carotenuto, magari quelli meno celebri. Opere che hanno affrontato il pensiero asistematico e contraddittorio del maestro svizzero (Senso e contenuto della psicologia analitica, Bollati Boringhieri; Jung e la cultura italiana, Astrolabio), lo sviluppo psichico femminile (La scala che scende nell'acqua, Bollati Boringhieri), le tesi di Neumann sullo sviluppo della coscienza maschile (Il labirinto verticale, Astrolabio) fino al Trattato di psicologia della personalità (Cortina) e alla direzione per la Utet dei due volumi del Trattato di psicologia analitica.
I funerali di Aldo Carotenuto si terranno alle undici di questa mattina, a Roma, nella basilica di Santa Maria in Trastevere.

Cancrini (se può interessare) ne parla così:

Il Messaggero 15.2.05
Morto Aldo Carotenuto, psicoanalista dei sentimenti
Una vita per capire l’amore
di LUIGI CANCRINI

Quando qualcuno mi dice che Aldo Carotenuto ci ha lasciato mi rendo conto all’improvviso del contrasto che c’è fra il modo naturale con cui le cose che ha scritto fanno parte del mio mondo interno, del mio modo di ragionare e lavorare e la povertà complessiva degli scambi avuti direttamente con lui in questi anni. Come se quello che oggi se ne va fosse stato, per quello che ne so non soltanto con me, un uomo schivo, poco a suo agio nel gioco complesso delle relazioni interpersonali e sicuro di sé, invece, coraggioso e vitale solo nelle situazioni di studio e di lavoro. Situazioni da cui Aldo Carotenuto ha saputo come pochi altri, credo, utilizzare con tanta intelligenza le strade dello studio scientifico e del libro divulgativo, dell’articolo di giornale e dell’intervista televisiva nella battaglia più importante sua e di tanti di noi: quella centrata sul tentativo di proporre, in controtendenza con una cultura del riduzionismo teorico e della semplificazione grossolana di tutti i messaggi, la necessità di portare rispetto alla complessità estrema e spesso contraddittoria dei comportamenti umani e il contributo che possono dare, in questa direzione, le esperienze legate alla psicanalisi di Freud, alla psicologia analitica di Jung e la pratica moderna della psicoterapia.
Un esempio significativo di questo modo di muoversi da parte di Carotenuto è quello legato al Diario di una segreta simmetria: Sabina Spielrein fra Jung e Freud pubblicato nel 1980. Venuto in possesso del diario di Sabrina Spielrein e di un carteggio inedito fra tre personaggi chiave di una storia ancora in gran parte oscurata dalla necessità di salvare il mito relativo ai fondatori della psicoanalisi dalla conoscenza dei loro momenti di debolezza (una consegna seguita attentamente dai primi biografi di Freud e di Jung), Carotenuto decide prima di tutto di pubblicarli integralmente. «Velare pudicamente, nella figura di un grande alcuni aspetti sconcertanti scrive Carotenuto significa in definitiva non avere fiducia nel suo valore... quanti uomini sono stati influenzati da Freud e da Jung? Quanti si riconoscono in loro ragionando e studiando? Ebbene, a questo punto, qualsiasi informazione che possa rischiarare meglio il loro contributo alla scienza va conosciuta e fatto conoscere».
Il quadro che emerge da questa lettura del diario e delle lettere è, in effetti, un quadro sconvolgente per chi nei miti aveva creduto. Jung si trovò coinvolto in un rapporto affettivo complesso con una paziente bella, intelligente e sensibile. La curò ottenendo un miglioramento importante della sua sintomatologia e permettendo ad una “bambina inferma” di trasformarsi in una donna forte, capace di vivere la propria vita. Il prezzo pagato in quella occasione a questo lavoro di terapia, però, fu lo sviluppo di una storia di “amore psicoanalitico” destinato ad incidere profondamente e dolorosamente nella vita di tutti e due. Furono i turbamenti legati alla loro vicenda affettiva a spingerli verso Freud di cui ambedue cercarono il consiglio e l’aiuto. «Poiché però l’amicizia tra Freud e Jung si stava già guastando Sabina si trovò in mezzo a una situazione molto complessa di amore e di odio che vide i tre protagonisti dibattersi e perfino dilaniarsi, coinvolti all’interno di una vicenda profondamente umana». Una vicenda che nulla toglie, ovviamente, alla validità e alla vitalità dei contributi scientifici proposti da Freud e da Jung e che ci permette di inquadrarli, però, all’interno della fatica straordinaria, della inquietudine e della incertezza da cui questi contributi erano nati. Permettendoci di incontrare l’uomo che si nascondeva dietro il mito del fondatore o del maestro. Facendoci sentire meno sperduti e meno soli in quella continua e inquieta ricerca di una verità sempre sfuggente, sempre relativa, sempre e soltanto individuale su cui si basa, allora come oggi, ogni tentativo di fare psicoterapia. Aiutandoci a capire, soprattutto, che nessuno di noi sarà mai, sennò nel momento pericolosissimo del delirio, «il terapeuta perfetto, infallibile, che persegue sempre il bene del paziente: senza mai lasciarsi tentare dal desiderio di guarire una ferita personale o di soddisfare un proprio desiderio».
Tratto da La nostalgia della memoria , un libro di molti anni dopo, quest’ultima citazione mi aiuta a riproporre due questioni centrali nella vita e nell’opera di Aldo Carotenuto. L’insegnamento rivolto ai terapeuti sulla necessità di sentire fino in fondo la precarietà, a volte insostenibile, di un lavoro in cui si deve avere il coraggio di mettersi continuamente in questione e quello rivolto a un pubblico più ampio sull’idea per cui la vera saggezza non è mai quella di chi crede di sapere molto ma quella di chi sa di sapere troppo poco, di se stesso e degli altri, per pronunciare un qualsiasi tipo di giudizio definitivo. La verità psicologica, suggerisce Carotenuto, è sempre e solo quella che si trova insieme, nel corso di un incontro riuscito ed è questo, per me, il ricordo più bello che possiamo avere di lui: quello di un uomo capace di trarre, dalla percezione dolorosa del proprio limite, il desiderio di insegnarne la necessità e la invalicabilità. Insegnando al tempo stesso che l’uomo è davvero se stesso soltanto nel momento dell’incontro con l’altro.