venerdì 17 giugno 2005

Mauro, sull'Unità
«La sinistra non ha risolto il problema della sua identità, non sa che cos'è»

L'Unità 17 Giugno 2005
Mauro: «La sinistra ascolti i giornali»
IL DIRETTORE DI REPUBBLICA dice: è stato il primo referendum a porre domande fortemente etiche, ad aprire un dibattito.
La politica ha dato risposte propagandistiche o scientiste: non ha fatto la battaglia delle idee...
di Roberto Cotroneo

(...)
«Questo è stato il primo referendum che apre un problema di dibattito etico e che va affrontato con strumenti più culturali che politici».
E secondo te i giornali hanno dimostrato di averli questi strumenti?
«(...) I giornali li hanno usati questi strumenti. Li ha usati invece molto meno la politica (...)».
E cosa era importante?
«Cosa è importante. Il problema è da domani in poi. Da domani questo referendum porrà sul tavolo delle riflessioni di tipo etico difficilmente padroneggiabili con l'arma della politica (...)».
E secondo te, al di là degli schematismi, delle battaglie referendarie, dei risvolti politici, i giornali si sono resi conto che questa volta la partita era un'altra. Hanno intuito questa complessità?
«I giornali lo hanno fatto (...) La politica ha avuto delle risposte propagandistiche, o delle risposte di tipo scientista, e non ha pronunciato soprattutto a sinistra, delle parole alte».
Soprattutto a sinistra. È un j'accuse.
«L'ho già detto. La partita si perde se la destra parla della vita e della morte, e la sinistra parla di se stessa».
La sinistra sembra più che altro spaesata.
«Devono capire che in questa fase la battaglia principale è la battaglia delle idee, e non è la battaglia politica. La battaglia politica è una conseguenza di questa fase. Non era così 10 anni fa, forse non sarà così fra 10 anni. Ma la modernità oggi la attraversi se sei attrezzato dal punto di vista degli schemi culturali. E anche la mobilitazione dei cittadini a cui ti rivolgi la fai soprattutto sulla questione delle idee, non sulle questioni di politica spicciola».
Insomma, tu dici che è la politica a perdere, è la politica a fare un passo indietro. Eppure la battaglia delle idee è sempre stata appannaggio della sinistra...
«Se oggi dovessi scrivere un editoriale sulla sinistra so come lo comincerei, anche se non so come potrebbe proseguire: "la sinistra non fa la battaglia delle idee, ecco perché perderà"».
Aiuto, se lo dice il direttore di un grande giornale della sinistra siamo messi bene...
«Guarda che è un “perderà” di portata più profonda. Può darsi benissimo che per gli errori di Berlusconi si vincano le prossime elezioni come io mi auguro. Ma c'è un problema di parlare alla società italiana nel suo complesso».
Eppure dopo le ultime amministrative sembrava che non ci fossero dubbi. Cosa hanno provocato questi referendum, si è rotto un incantesimo?
«No. Io dico: può darsi benissimo che si vinca. Bene. Ma con quale cultura di governo andiamo? La cultura di governo chiama in causa il problema dell'identità. La sinistra non ha risolto il problema della sua identità, non sa che cos'è. Se non sa che cos'è, non sa quali valori comunica, non sa di quali valori è portatrice».
Però il dibattito innescato da questi referendum ha rispecchiato delle posizioni abbastanza chiare, almeno sui temi dei quattro quesiti.
«Certo. Non si sapeva prima se i Ds erano laici. Se glielo avessi chiesto probabilmente ti avrebbero detto: "dammi tempo fino a mercoledì per risponderti"... mentre oggi sono un partito che ha certamente deciso di avere un ancoraggio laico nella loro cultura».
E Rutelli ha fatto il cammino opposto?
«Rutelli ha fatto un ricentramento identitario sui valori neocentristi. I valori vicini alla Chiesa. Sono due identità diverse, ma almeno sono due identità. Però...».
Però?
«Tu non hai sentito un dirigente dei Ds che ha fatto questa battaglia a cui sia venuto in mente di dire, cose tipo: Amendola nel 1981 disse, o nel 1979 disse, la Iotti nel 1982 disse... No, non si fa più riferimento a un pensiero a una tradizione perché tutto è stato colpito dalla "radiazione" del comunismo. Secondo me perché questi dieci anni sono passati senza che nessuno dei dirigenti Ds - che certamente non sono più comunisti - sia andato in fondo alla tragedia del comunismo, l'abbia chiamato con il suo nome, abbia guardato gli orrori e gli errori, li abbia portati alla luce, se li sia caricati sulle spalle, e alla fine se ne sia davvero separato. A quel punto recuperando ciò che di distinto da quell'errore e da quell'orrore c'è nella tradizione del comunismo italiano. Solo così lo puoi recuperare».
Invece?
«E invece purché non si parli del passato non si parla di nulla. E quindi c'è un totale rifiuto della tradizione. Un socialista spagnolo, o francese, un socialdemocratico tedesco, un laburista inglese sa, rispetto ai temi dell'eutanasia, del divorzio, dell'aborto, qual è la sua cultura di riferimento. Poi naturalmente se ne può discostare. Però sa in quale fiume è immerso. Qui da noi non c'è niente, è tutto secco».
(...)
«No guarda: i giornali, noi giornalisti, non abbiamo niente da rimproverarci. È la politica che deve cominciare a preoccuparsi veramente, soprattutto a sinistra...».

contro il papa: l'assemblea di tutti i perdenti...
basterà?

La Stampa 17 Giugno 2005
Retroscena
Riccardo Barenghi

ROMA. HANNO firmato lo stesso appello e da oggi e domenica molti di loro si ritroveranno nella stessa sala all’hotel Ergife di Roma. Non solo giuristi importanti, ricercatori, medici scienziati famosi ma anche politici, intellettuali, giornalisti, ministri. Di destra, di sinistra, di centro. L’antiberlusconiano Furio Colombo accanto al berlusconiano Antonio Martino (ministro della Difesa), la comunista Maura Cossutta insieme alla craxiana di ferro Margherita Boniver (sottosegretario agli Esteri), Eugenio Scalfari (che ha firmato ma non ci andrà, e dopo vediamo perché) con Marco Pannella, che si unirono ai tempi del primo Partito radicale di Pannunzio (1955) per poi dividersi senza mai ritrovarsi. E naturalmente tutti i radicali, da Bonino a Capezzone, diessini di destra e di sinistra, repubblicani, liberali, socialisti, uomini opposizione e di governo o di nessuna delle due, donne come Prestigiacomo. Molti laici, tutti laici.
Sono mille quelli che hanno convocato la prima assemblea dei referendari dopo il referendum. Il numero non è casuale, lo sbarco in Sicilia, l’unità d’Italia, la presa di Roma pontificia dieci anni dopo, la fine del potere temporale del Papa. E l’allusione risulta ancora più esplicita dopo il risultato del voto (ma l’assemblea era stata convocata un mese prima). Non a caso domenica scorsa, a urne aperte, proprio Scalfari ha scritto su Repubblica che qui si rischia di tornare indietro, «al 1870 e alla caduta del regime temporale, ad un cattolicesimo ingessato pervaso di teocrazie, che la cultura moderna aveva contribuito ad evolvere verso un messaggio di pura fede, di misericordia e di carità...». E’ questa paura che muove i Mille di oggi. Che certamente rappresentano quei dieci milioni di sì, e forse anche tanti altri che non hanno votato magari per ragioni diverse dalla pura trasposizione delle fede religiosa in comportamento (non) elettorale.
Però hanno perso, questi Mille e quei milioni. Ma oggi – scelta indubbiamente coraggiosa – si ritrovano insieme per capire «che fare», come dice il segretario radicale Daniele Capezzone citando Lenin. Già, che fare? «Proprio per questo – racconta Scalfari – io non ci vado. Ho firmato l’appello, anche se di solito firmo solo quello che scrivo. L’ho firmato proprio perché lo scontro era così duro che ne valeva la pena. Ma adesso mi fermo, l’azione politica non mi riguarda direttamente, non è il mio ruolo. L’ho spiegato a Pannella, gli ho scritto una lettera dicendogli appunto perché non sarei andato e tantomeno avrei svolto una relazione che lui mi aveva gentilmente pregato di fare».
Pannella ovviamente gli ha risposto, ha provato a insistere rievocando anche le vecchie battaglie comuni (dopo tanti anni ci ritroviamo). E insomma: «Dobbiamo risuscitare l'entusiasmo». Scalfari non si è convinto, non ha voglia di improvvisarsi leader politico, ma da lontano incoraggia. «E’ come quando si dà una zolletta di zucchero al cavallo prima della corsa. Lui la mangia e poi corre. Io non posso correre con lui, non sono un fantino. Quel che posso fare è partecipare alla corsa con altri mezzi, come del resto faccio da cinquant’anni. Questo non è disimpegno ma il modo del mio impegno» (il carteggio sarà forse reso pubblico dallo stesso Pannella).
Il giurista Michele Ainis, editorialista de La Stampa, aprirà i lavori con una relazione incentrata sulle violazioni delle regole di questa campagna elettorale. Si va dalla data scelta (scoraggiamento della partecipazione) al diritto all’informazione (ridotto se non negato), dalle esternazioni istituzionali (illegali) alle condizioni del voto. Fantastico l’esempio di Fierozzo, paese trentino di 360 elettori dove ha votato solo l’1,39 per cento, ossia cinque persone. Quattro di loro hanno votato sì, una no. Essendo questo no l’unico votante del suo seggio, è stato facile sapere cosa avessero votato gli altri quattro. Tanto valeva firmare le schede.
Seguiranno scienziati e scienziate, si parlerà di fecondazione e di ricerca sulle staminali, di malattie per ora incurabili (Luca Coscioni) e di diritti non acquisiti. Aleggerà Zapatero sull’assemblea dei Mille, e la sua Spagna che ci ha superato su tutti i fronti. Dall’economia a quello delle libertà individuali e della possibilità di cercare e ricercare. Fino ai rapporti tra Stato e Chiesa (finanziamenti compresi), rapporti che a Madrid vanno in una direzione grazie alla battaglia politica aperta dallo stesso Zapatero, e che forse riuscirà anche a vincere nonostante la durissima reazione della Chiesa (cominciata con Wojtyla poco prima che morisse e continuata dai vescovi, che sabato manifesteranno contro la legge sui matrimoni gay).
Mentre qui vanno in senso opposto, grazie a Ruini e alla sua battaglia cultural-teologica-astensionista, alla fine politica e per una volta vittoriosa. La scommessa dei Mille perdenti di oggi è che quella volta resti solo quella volta, l’una tantum del Papa.

sinistra
Bertinotti d'accordo: si candiderà alle primarie

Quotidiano Nazionale 17.6.05
BERTINOTTI

Se nell'Unione si tenessero elezioni primarie per la premiership si candiderebbe anche il segretario del Prc Fausto Bartinotti. E' lo stesso leader comunista a dirlo intervistato da Radio Radicale. "L'Unione ha bisogno per vivere di una iniezione di democrazia e di partecipazione" dice Bertinotti. Le "turbolenze" che si sono registrate dentro il centrosinistra e "in particolare nell'Ulivo hanno determinato una situazione di grave disagio nel popolo dell'Unione". Oggi "a maggior ragione c'è l'esigenza che questa alternativa a Berlusconi si consolidi nella forma unica possibile, che è quella dell'Unione, ma perché L'Unione viva c'è bisogno di democrazia e di partecipazione, e le primarie sono uno di questi strumenti".
Per cui se "finalmente si decide così si farà del bene all'Unione, e naturalmente io penso che le primarie hanno bisogno di essere un grande esercizio di democrazia e come si sa la democrazia comincia almeno da due". Quindi lei si candiderebbe? "Naturalmente!" risponde Bertinotti.

sinistra
alla sinistra, senza idee nuove,
non resta che la Consulta... o San Marino!

L'Unità 17 Giugno 2005
Barbera: «La legge sulla fecondazione rischia l’incostituzionalità»

ROMA La legge sulla fecondazione assistita sulla quale non c'è stato quorum al referendum abrogativo di domenica scorsa potrebbe essere giudicata anticostituzionale dalla Consulta. A prospettare l'ipotesi in una intervista al settimanale Panorama in edicola oggi è Augusto Barbera, costituzionalista di area ds il quale ricorda che la Corte «autorizzando il referendum non aveva escluso di poter tornare sull'argomento in sede di eventuale giudizio di legittimità costituzionale». E aggiunge di ritenere che «è “questione non manifestamente infondata” la compatibilità con l'articolo 32 della Costituzione».
Infatti, spiega, «il divieto della diagnosi pre-impianto mette la donna nella necessità di dover accettare comunque l'impianto e qui ci potrebbe essere la lesione del diritto alla salute. Inoltre - aggiunge l'illustre costituzionalista - non escludo una questione di irragionevolezza, categoria alla quale la Corte è sempre più attenta, nella possibilità che viene invece offerta, di abortire entro il quarto mese. Come a dire che l'embrione è più tutelato del feto». Intanto il tribunale di Cagliari il prossimo 21 giugno dovrà decidere se girare gli atti di un ricorso in materia alla Corte. È il ricorso di «una coppia che - spiega Barbera - in base alla legge vigente si è vista rifiutare la diagnosi pre-impianto e si è rivolta la tribunale eccependo la violazione del diritto alla salute sancito dalla Costituzione».

L'Unità 17 Giugno 2005
FECONDAZIONE, SAN MARINO SI MUOVE
di Adriana Comaschi / Repubblica di San Marino

Proprio mentre l’Italia bocciava le modifiche alla legge 40, San Marino dava il via all’iter che potrebbe portare a norme molto simili a quelle che i «Sì» al referendum avrebbero disegnato. Il progetto di legge presentato
dal Segretario di Stato alla Sanità Massimo Rossini - ginecologo, allievo della scuola bolognese, esponente della sinistra - prevede infatti la diagnosi preimpianto, la fecondazione eterologa e la possibilità di utilizzare quanti ovuli siano necessari per portare a buon fine la fecondazione. Insomma, a due passi da casa migliaia di coppie italiane avrebbero l’opportunità di ricorrere a quelle tecniche che la legge 40 ha cancellato dai centri nazionali. La proposta è già stata fatta propria dal Congresso di Stato (sorta di Consiglio dei ministri). A luglio arriverà in Consiglio grande e generale, il “Parlamento” della Repubblica, per la prima lettura: per essere approvato dovrà passare anche una seconda lettura entro sei mesi. Prima ancora il testo verrà discusso dalla maggioranza, martedì prossimo.
Dunque l’iter è avviato a tutti gli effetti. Ma i risultati sono tutt’altro che scontati, e chiamano in causa i rapporti interni al “governissimo” che regge la Repubblica del Titano. Un'alleanza tra Dc e la sinistra del Partito dei Socialisti e dei Democratici, nata a fine 2003 per affrontare l’emergenza della crisi economica. Proprio da due consiglieri Dc è arrivata mesi fa la prima sollecitazione per regolare il vuoto legislativo sulla procreazione assistita, non vietata dall’ordinamento e dunque teoricamente possibile. E infatti San Marino già ospita due società, che tra le altre attività prevedono anche quelle legate al campo della Pma. Attività “congelate” a settembre 2004 proprio per l’assenza di una legge: ma che se il progetto del ministero dovesse passare sarebbero da subito operative.
Una parte della Dc presenta dunque un progetto di legge che assomiglia tanto alla legge 40. Per reazione, alcuni consiglieri di Rifondazione e del PdSD si fanno portatori di un testo molto più “permissivo”. Un vero exploit, per questo Stato di 26 mila abitanti dove ancora non si pratica l’aborto. Si muove allora il ministro alla Sanità, con un progetto «che non vuole essere una mediazione tra gli altri due ma un’iniziativa autonoma, in linea con il modello europeo». Un progetto che dà diritto di accesso alla Pma a persone coniugate o stabilmente conviventi, di sesso diverso, che vieta il ricorso a pratiche più “estreme” (congelamento di gameti del coniuge defunto, “utero in affitto”). Ma che autorizza a operare solo centri in grado di eseguire la diagnosi preimpianto di malattie o anomalie genetiche. «Questo è il punto che mi preme di più - sottolinea Rossini - la considero una battaglia di civiltà». Sulla strada c’è però da trovare l’accordo con la Dc. «Il dibattito è apertissimo- ammette il presidente del PdSD Giuseppe Morganti - e certo questo progetto è un ulteriore elemento di differenza tra i due principali partiti dell’alleanza, una differenza che però pensiamo di poter colmare».
Ma la conquista di una legislazione avanzata potrebbe avere anche notevoli ricadute economiche. Non è un mistero che da tutta Italia arrivino a San Marino richieste di aperture di nuovi centri di Pma, e questo già prima dello schiaffo uscito dalle urne del referendum. Un soggiorno nella Repubblica incastonata tra la Romagna e le Marche costerebbe infatti, a una coppia sterile, molto meno di uno dei tanti “viaggi della speranza” in Europa. Senza contare la comodità di un ambiente in cui si parla italiano, con standard sanitari garantiti da un’Authority rigorosa, novità di quest’inverno. Insomma per San Marino potrebbe aprirsi un business capace di rinverdire i fasti del paradiso fiscale che fu, prima del giro di vite “imposto” da Italia e Ue. «È vero, se na parla esplicitamente - riconosce Morganti -. Noi non vediamo la questione in termini di sviluppo economico, ma come una battaglia di civiltà. Poi certo se diventasse anche una fonte di sviluppo è ovvio che si deve prevedere la massima professionalità». L’approvazione di una norma di segno così diverso da quello della legge 40 potrebbe però irritare l’Italia in un momento delicato, quello della definizione dell’Accordo di cooperazione economica. «Vogliamo essere trasparenti e avere ottimi rapporti con l’Italia come con l’Europa. Ma anche mantenere le nostre differenze - minimizza Morganti - che ci sono sempre state». Più cauto il ministro dell’Industria Claudio Felici: «Il rapporto con l’Italia? Dal punto di vista politico è inevitabile tenerne conto. Questo non significa che non avremo una legge nostra, e che non possa essere diversa da quella italiana».

Marco Bellocchio a Napoli: il suo nuovo film e il cinema

Il Mattino 17.6.05
Chiuso il Napoli Film Festival
Bellocchio: vi racconto «Il regista di matrimoni»
eu.sp.

«È la storia di un regista che abbandona il set a cui sta lavorando e va in Sicilia, dove incontra un ”collega” che si occupa di matrimoni, diventando senza volerlo protagonista di una serie di peripezie che lo porteranno a impedire a una ragazza del posto di sposarsi». Marco Bellocchio non vuol dire di più di «Il regista di matrimoni», il suo prossimo film, girato a Cefalù, con Sergio Castellitto protagonista. Ospite ieri del convegno del «Napoli Film Festival» sugli «americani e il cinema italiano» con il critico valerio Caprara e i produttori della Criterion Collection (etichetta specializzata in restauri digitali di vecchie pellicole, compresa «I pugni in tasca» dello stesso Bellocchio), il regista colpisce la platea parlando «dello sguardo televisivo del cinema moderno: in passato avevamo la possibilità di rivedere il ”girato” su grande schermo, prima di passare alle fasi successive della lavorazione del film. Oggi si usano monitor televisivi e questo cambia la prospettiva del nostro lavoro». L’autore di «L’ora di religione» e «Buongiorno, notte» non ha paura di «sporcarsi le mani» affrontando i problemi determinati dalle novità di mercato: «Il desiderio di ogni dirigente televisivo è quello di produrre un film da prima serata, ma questo per un cineasta può voler dire una serie di condizionamenti pesanti. Meglio a quel punto vedersi trasmettere il film in seconda serata, e mantenere la propria libertà espressiva. Anche se mai del tutto. Per esempio, Quando hanno trasmesso ”L’ora di religione”, nonostante fosse notte tarda, hanno tagliato le scene in cui il protagonista bestemmiava. E questo accade dappertutto, non solo in Italia». Infine, una battuta su «La Cina è vicina»: «Il titolo lo scelse Emanuelli, e aveva un carattere derisorio, mentre oggi a giudicare da ciò che sta succedendo si è rivelato profetico. Sebbene il senso del mio film del 1967 andasse in tutt’altra direzione».
(...)

crimini del cristianesimo:
2005! una monaca 24enne muore crocifissa per esorcismo...

Agi 16.6.05 - 20.57 :
ROMANIA: MONACA MUORE CROCIFISSA, "È POSSEDUTA"

(AGI) Bucarest, 16 giu. - Romania: monaca 24enne incatenata a una croce per 3 giorni e lasciata morire di fame e sete per liberarla dal diavolo.. - Una monaca ortodossa romena e' morta dopo essere stata crocifissa da un sacerdote e quattro religiose che la accusavano di essere posseduta dal diavolo e intendevano praticare un esorcismo su di lei. La monaca, che si chiamava Maricica Cornici e aveva 24 anni, è stata incatenata a una croce e lasciata senza bere nè mangiare per tre giorni; in precedenza era stata imprigionata con le braccia e le gambe legate in un edificio annesso al monastero ortodosso della Santa Trinità di Tanacu, nella regione nordorientale della Romania. "Era malata e posseduta: abbiamo celebrato messe per salvarla. Dal punto di vista religioso, quello che abbiamo fatto era corretto", ha detto alla polizia padre Daniel, confessore del monastero. Il cadavere della ragazza è stato scoperto dal personale di un'ambulanza chiamata da alcune monache. Il patriarcato ortodosso romeno non ha preso posizione sull'episodio, in attesa di conoscere tutti i particolari sul tragico episodio. -162057 GIU 05

crimini del cattolicesimo: risposta al papista Messori
il Corsera insiste sul caso Mortara

Corriere della Sera 17.6.05
Il memoriale anticipato dal «Corriere» riaccende la disputa sul piccolo ebreo sottratto alla famiglia nel 1858 e poi divenuto sacerdote
«Il nostro avo bambino rapito e plagiato da Pio IX»

«Vorrei rassicurare Vittorio Messori: noi discendenti dei Mortara non siamo stati sollecitati da nessuno, come lui insinua nel suo libro, ma soltanto dalla nostra coscienza, a criticare la beatificazione di Pio IX. Semplicemente ci ha lasciati stupefatti che si proponesse come esempio da ammirare il responsabile del sequestro di un bambino sottratto alla sua famiglia». Sorride amaramente Elèna Mortara, docente di Letteratura angloamericana all’Università di Roma Tor Vergata e pronipote di una sorella di Edgardo, mentre respinge l’idea che qualcuno l’abbia aizzata contro l’ultimo Papa-re. E si dice «allibita» per il modo in cui la questione del bimbo ebreo strappato ai genitori nel 1858 viene ora ripresentata. «Non c’è niente di realmente inedito - continua - nel memoriale pubblicato da Messori, perché Edgardo aveva difeso Pio IX in molti altri scritti già noti. Segregato e indottrinato dai sei anni in poi perché diventasse sacerdote, aveva sviluppato il tipico attaccamento del prigioniero verso i suoi carcerieri che si osserva a volte anche nelle vittime adulte dei sequestri di persona. E aveva visto nel Pontefice una figura paterna, sviluppando un forte senso di colpa per i "dolori immensi" che, secondo quanto gli veniva ripetuto dallo stesso rapitore, pensava di avergli arrecato attirandogli contro tante polemiche. Non a caso soffriva di momenti di profonda angoscia, che Messori, con insinuazione di dubbio gusto, vorrebbe far risalire a un fattore ereditario, piuttosto che all’effetto degli incontestabili traumi subiti».
Nei rimproveri dello scrittore cattolico ai famigliari del bambino, la loro discendente avverte un grande astio: «Come si fa a dire che i genitori di Edgardo protestarono perché sobillati? Non è naturale che un padre e una madre reagiscano, quando si vedono portare via un figlio? La loro fu la legittima reazione ad un sopruso. E il padre Momolo fu un eroe coraggioso e sfortunato, "pellegrino del dolore", che cercò di combattere con la semplice parola un potere così crudele. Ed è grave che si difenda il sequestro e si accusino i Mortara di aver violato le leggi discriminatorie dello Stato pontificio, assumendo la domestica cristiana che impartì al bambino il presunto battesimo, di validità assai dubbia, del quale si ricordò solo cinque anni dopo, quando fu licenziata. È come se oggi si parlasse delle conseguenze delle leggi razziali fasciste (che tra l’altro prevedevano per gli ebrei lo stesso divieto di prendere a servizio i non ebrei), come se si trattasse di un semplice dato di fatto ineluttabile, senza esprimere un giudizio di valore su quelle stesse leggi».
Quanto poi all’atteggiamento della comunità ebraica romana, che non vide di buon occhio le proteste internazionali contro Pio IX, per Elèna Mortara è facilmente spiegabile: «Si trattava di persone intimorite, che vivevano chiuse da secoli in un ghetto, sotto il giogo di un potere dispotico, sottoposte a continue angherie (se ciò nonostante non se ne andavano, come si domanda ironizzando Messori, è perché a Roma vivevano da oltre duemila anni, da prima dei Papi, e sentivano la città come anche loro). È logico che il segretario della Comunità, Sabatino Scazzocchio, si riferisse a Pio IX con la massima deferenza; e tuttavia, anche in un contesto così difficile, ogni sforzo fu compiuto dai massimi esponenti della Comunità di Roma per cercare di far recedere il Papa dal suo atto. In realtà la pratica delle conversioni forzate durava da lungo tempo e il caso Mortara ne era all’epoca l’ultimo esempio. Solo che in quel caso l’abuso non venne sopportato in silenzio. E la famiglia trovò una vasta solidarietà nell’opinione pubblica mondiale, ormai sensibile al problema dei diritti umani».
Proprio quella mobilitazione, però, è nel mirino di Messori, che la giudica strumentale. «Sì, nel suo linguaggio allusivo sull’influenza degli ebrei affiorano pregiudizi antichi e pericolosi. Ma la campagna sul caso Mortara, soprattutto in Francia, coinvolse anche i cattolici liberali. Per esempio lo scrittore Victor Séjour, autore di un’opera teatrale sulla vicenda, rivendicava la sua fede nella Chiesa, ma si stupiva che il Papa potesse compiere un’azione contraria al valore cristiano della famiglia. Se il potere temporale dei pontefici ricevette allora un colpo così duro, come ammette Messori, fu perché la vicenda di Edgardo mostrò a tutti che si trattava di un regime oppressivo ormai anacronistico».
Ma perché Pio IX insistette tanto su una posizione che lo indeboliva politicamente? «Mi sembra il tipico errore di chi si considera il detentore assoluto della verità. Del resto tutta la vicenda si fonda su questa pretesa, fonte dell’intolleranza religiosa. Io auspico la comprensione e il dialogo tra le fedi. Amo il passo biblico di Isaia (11, 6-7) in cui si legge che il lupo abiterà con l’agnello e il leopardo giacerà con il capretto. Mi pare che prefiguri un futuro di dialogo e convivenza nel rispetto reciproco. Devo aggiungere però che il libro di Messori va nella direzione opposta. E mi auguro che dal mondo cattolico, specie dalle più alte autorità ecclesiastiche, giungano segnali diversi. Tra l’altro mi sconcerta l’affermazione di Messori che il caso Mortara, a norma del diritto canonico, potrebbe ripetersi ancora oggi. Sarebbe opportuno che la Chiesa facesse chiarezza su un punto tanto delicato».
Tuttavia, secondo Elèna Mortara, il libro di Messori non chiama in causa solo il mondo cattolico. «Mi rattristano attacchi così violenti al Risorgimento, che presentano l’unità dell’Italia come un evento negativo, quasi una conseguenza deprecabile del caso Mortara. Ma io rovescio l’impostazione di Messori. Secondo lui "Dio scrisse dritto su righe storte" perché da quel dramma derivò la conversione di Edgardo. Secondo me l’aspetto provvidenziale sta nel fatto che l’abuso compiuto da Pio IX, per lo scandalo che ne nacque, contribuì all’unificazione italiana sotto un regime liberale e alla fine della teocrazia pontificia».

«La strana Italia dei teocon»

Repubblica 17.6.05
La strana Italia dei teocon
La politica e i valori della tradizione cattolica
Una curiosa figura di intellettuale è scaturita dalle macerie ideologiche del paese
La cultura di sinistra e quella di destra davanti a valori e giudizi della Chiesa
Francesco Merlo

Il referendum è stato perso anche perché la sinistra era distratta dalle dinamiche di primazia leaderistica, con un profilo rissoso e confuso: a Bologna era più importante dimostrare il "tradimento" di Cofferati, Prodi si è rifugiato a Creta per studiare le mosse contro Rutelli, nel Sud anche i preti solitamente eliocentrici questa volta erano tolemaici. Nel mezzogiorno la battaglia laica per i valori della scienza è stata lasciata alle bandiere rosse di Rifondazione, che è il gruppo più antiscientifico e più ideologico. I raduni e i dibattiti sono stati invasi da femministe invecchiate che hanno riproposto linguaggi stereotipati e irritanti in un patetico revival degli anni settanta. L'embrione, i gameti e gli ovuli fecondati sono finiti nelle kermesse canore di piazza, con tutto il loro armamentario di automatismi senza creatività e leggerezza, senza un reale impegno sui valori alti del pensiero laico, che è materia sofisticata e difficile, continua messa in discussione di se stessi. La cultura di sinistra, nei suoi anni postcomunisti, ha sinora prodotto il giustizialismo, il moralismo, la subordinazione all'etica dell'economia e della politica, lo statalismo e l'assistenzialismo. Non c'è nulla dei valori fondanti della società contemporanea che ruotano tutti attorno all´individuo, ai diritti civili, alla nostra identità nazionale che non è data dall´ecumenismo cattolico ma dal pensiero liberale di Cavour, di Croce, di Einaudi, dalliperindividualismo umanistico di Dante e Machiavelli, da un cristianesimo ghibellino che sa anche vedere nel Papa un intralcio alla propria fede e ai propri progetti temporali: lo Scettro è lo Scettro e la Tiara è la Tiara. La sinistra è una Pompei di valori ottocenteschi e, pur con atteggiamento vagamente scientista, ha ancora una formazione da Frattocchie. Ha detto a Repubblica Umberto Veronesi: «La scienza in Italia ha un deficit culturale molto radicato» e «noi scienziati non abbiamo nessuna tradizione nell'arte della convinzione e del reclutamento, non sappiamo usare le parole giuste a formare la pubblica opinione, non abbiamo chiese, altari, confessionali» e, aggiungiamo noi, sezioni di partito. «La scienza non può pretendere il consenso senza dialogo». Dall'altra parte c´era una pur discutibile concezione della vita e della morte, che ha tagliato il traguardo del referendum sopra un asino. Per far fronte all'eruzione lavica del conformismo travestito da parola di Dio, alla fine si sono generosamente spesi l'eterno Pannella, l'indomabile Bonino, e il sempre più bravo e pacato Fassino.

In questo deserto è stata abbandonata l'Italia cristiana che pensa che la scienza sia un attributo di Dio e non il faustismo demoniaco che gioca con Frankenstein, un'Italia secolarizzata che viene accusata dai teocon d'essere "invertebrata" e "scristianizzata" e che invece è laica e responsabile, né anticlericale né clericale di complemento. Questa Italia cristiana, che non è andata al voto, non somiglia né a Faust né a Radio Maria ma non somiglia neppure alla sinistra. Contro la sinistra, si è astenuta. Ma contro la destra oggi non celebra la propria astensione come una vittoria sui valori laici e sulla secolarizzazione, vale a dire una vittoria su se stessa, ma la contempla impotente come nella Melanconia di Dürer, lo scorno per la banalizzazione di Cristo che faceva miracoli scientifici, ridando la vita ai morti e moltiplicando la ricchezza per i poveri, un Cristo scienziato e quindi misericordioso. Duemila anni fa Cristo faceva miracoli, duemila anni dopo Cristo fa scienza. Ma il problema è sempre lo stesso: ridurre la sofferenza degli individui. Nelle guerre di una volta vinceva l'esercito che si posizionava con il sole alle spalle. Ebbene, gli attivisti dell'astensione, con il sole alle spalle, sono riusciti ad annettersi anche quest'Italia cristiana secolarizzata, alla quale i laici e la sinistra non sanno parlare. E si sono ancorati alla miseria dell'indifferenza, al dato inerziale di chi non si interessa o non capisce o volta le spalle alla complessità e non vota. I pensatori neoclericali hanno lavorato indisturbati sulla parte più gaglioffa di noi, spacciandola per finissima scienza teologale, raffinatissima alchimia aristotelica: la resurrezione di Sant'Agostino contro la provetta. E ora descrivono un'Italia a loro immagine e somiglianza, un'Italia popolata di milioni di Pera, di Ferrara e di Socci: di pentiti del dubbio metodologico e di ex sofferenti di incertezza; di orfani del sole comunista, ancora persi nel buio a mezzogiorno; di spiritati sedotti dalle ingenuità del catechismo come categorie epistemologiche per schiavardare la secolarizzazione. Almeno Socci ha il merito di predicare un´etica politica basata sulla teologia, mentre Pera e Ferrara predicano una teologia basata sulla propria etica politica, e adesso litigano pure tra di loro. È il destino maccheronico degli atei devoti: antea sodali, id est "culo e camicia", post festum inimicissimi disputatores summa cum scientia "de ciccia et pugna".

Ma tra i falsi valori degli attivisti dell'astensione il più falso di tutti è il moderatismo. Ed è il valore che bisogna subito strappar loro di mano, in campo aperto, giorno dopo giorno. Se la moderazione è eleganza, sobrietà e misura, non è certo pratica da moderati il nominare invano il nome di Dio, peccato di estremismo oltre che violazione del comandamento, cafonaggine prima ancora che bestemmia. L'idea di legiferare in nome di Dio non è mai stata idea moderata, come ora dimostrano gli spasmi isterici dei neoclericali; la presunzione di Buttiglione e La Loggia di rappresentare, nientemeno, il 75 per cento degli italiani; l´idea di reclutare nel Partito Unico del Catechismo tre quarti di Italia; l'intolleranza vaticana verso i dissidenti come don Gallo a Genova o come padre Rodolfo Zecchino, sospeso dall´insegnamento dal vescovo di Verona. E sono segnali orribili la voglia di cacciare Fini dal suo partito e quella di punire Stefania Prestigiacomo, ridotti ad incarnare una destra moderna ma impossibile.

A questa intolleranza estremista, che nella Chiesa di Benedetto XVI sta assumendo la rigidità e lo schematismo della "Lettera tedesca" contro la dolcezza dello "Spirito italiano", va contrapposto il valore moderato della nostra tolleranza caritatevole, della classicità greca e non di Odino, l'allegro e colorato Olimpo al posto della Walhalla wagneriana così simile al paradiso mussulmano "all'ombra della spada". La nostra tolleranza è valore laico, politeistico, prezioso e antico quanto l'insondabilità del mistero della vita. Non c'è all'orizzonte postreferendario nessun valore moderato, c'è la commedia degli equivoci dell'etica, la tristezza di vedere clericali e anticlericali di nuovo in lotta, la brutta convinzione che se nel 1633 ci fosse stato un referendum su Galileo, il popolo italiano, chiamato a votare sull'eliocentrismo, avrebbe dato ragione alla chiesa tolemaica e geocentrica. Una parte, confusa dall'astronomia "onnipotente", si sarebbe astenuta dal pensare per non dover confliggere con le proprie convinzioni religiose, e un'altra parte si sarebbe astenuta per dedicarsi ai passatempi. Alla fine i Ruini d'epoca avrebbero celebrato la vittoria di Dio contro gli eretici, il trionfo dei Ferrara riconvertiti, dei santi Socci e Pera, con i loro pregiudizi che solo il rinascente anticlericalismo potrebbe trasformare in valori.

neurofisiologi:
da Newton e Gödel, alla caccia del "gene del calcolo"...

La Provincia 17.6.05
La matematica: nel territorio di genio e follia Nelle grandi menti della logica spesso si insinua la pazzia:
i casi Newton e Gödel

Elena Salvaterra

Isaac Newton e Kurt Gödel sono alcuni dei nomi ai quali è associata nella storia della matematica una traccia di genialità e un dubbio, ad oggi, irrisolto: se genio e follia siano facce contrapposte della stessa medaglia, elementi indissolubili di una sinergia vincente - quanto devastante - della quale non è dato sapere quale sia la causa e quale l'effetto, ammesso che di un rapporto di causa ed effetto sia corretto parlare. Certo è che di personalità semplici non si sia trattato, se è vero, come riferiscono le testimonianze storiche, che Newton si ammalò di un grave esaurimento nervoso che lo condusse ai confini della pazzia e Gödel si lasciò morire d'inedia (1978) per il timore che il cibo che gli veniva offerto dai medici che lo avevano in cura, per esaurimento dei nervi, fosse avvelenato. E certo è, stanti i rimandi alle pergamene ingiallite, che una competitività accesa, talvolta accecante, contribuì ad inasprire i tratti di personalità eccentriche per natura e in grave difficoltà a gettare un ponte con il mondo della "norma". Un ulteriore elemento di certezza, rispetto a questi personaggi, è l'incredibile eredità che essi hanno lasciato ai posteri. Traboccante quella di Newton definito dai suoi successori «colui che nel genio ha superato il genere umano». Allo scienziato inglese, nato a Wollsthorpe il 25 dicembre del 1642 e deceduto a Londra nella primavere del 1727, si devono l'elaborazione del concetto di "funzione derivata" - oggi comunemente "derivata" - chiamata da Newton "flussione" a sottolineare il carattere dinamico della funzione che misura la velocità di variazione, cioè di "flusso", della funzione di partenza, un concetto sviluppato sulla distinzione, nota all'epoca, fra la nozione di numero (il numero è "essere") e la nozione di funzione (la funzione è "divenire"). L'invenzione del prisma trasparente (1672) che permette di scomporre la luce bianca nei colori dell'iride e del telescopio a riflessione. La formulazione delle legge di gravitazione universale, valida per tutti i corpi, dalla luna alle stelle alla famosa mela, cui Newton approda partendo dalle tre leggi di Keplero. I Principia Mathematica (1686), considerato da molti il più grande lavoro scientifico di tutti i tempi, nel quale Newton enuncia le sue concezioni relative allo spazio e al tempo che egli considera "assoluti" e senza riferimento ad alcunché di esterno - teoria in seguita contraddetta da Einstein per il quale "spazio" e "tempo" sono concetti "relativi". L'elaborazione del concetto di etere che richiama a supporto della forza gravitazionale, dei calcoli delle orbite e delle velocità dei pianeti. Gli studi di curve matematiche particolari (le "coniche"), le leggi di movimento dei corpi in mezzi resistenti (fluidi), la determinazione della velocità del suono in diversi materiali. E, per concludere il résumé dei lavori più importanti del poliedrico scienziato, la formulazione dell'ipotesi, anticipatrice della moderna teoria dei "quanti", che la luce è composta da corpuscoli. Se con Newton si tocca con mano una genialità a tutto campo, priva di confini fra scienza e scienza, con Gödel si assiste a una genialità "focalizzata", centrata sulla matematica e sulla logica. Di origine austriache, Kurt Gödel espresse il cuore della sua genialità a venticinque anni (1931), con l'elaborazione del "teorema di incompletezza". Con tale concezione il matematico e logico austriaco pose i capisaldi di una teoria antiformalistica della matematica. Per la tradizione formalista il "dominio numerico" era regolato da due principi fondamentali in base ai quali ogni formula matematica era vera se dimostrabile e ogni formula matematica vera era dimostrabile. In altri termini, riducendo all'osso, non esisteva verità matematica che non fosse suscettibile di dimostrazione. Con il teorema d'incompletezza Gödel infranse l'illusione rassicurante dei formalisti, di un dominio numerico privo di 'stravaganze' logiche, dimostrando, per via metamatematica, che all'interno del mondo dei numeri esistono proposizioni - dette autoreferenziali - la cui verità non può essere dimostrata ma deve essere accettata in sé e per sé. Con l'"anomalia" delle formule autoreferenziali Gödel mostrò a una congerie di colleghi attoniti che non aveva senso parlare di una coerenza logica perfetta, assoluta, esistendo formule la cui verità si spinge oltre le regole della logica formale per trovare giustificazione in una dimensione, forse, inaccessibile alla "norma".

La Provincia 17.6.05
Che cosa ci rende soggetti portati o meno alla matematica? Esiste veramente una predisposizione biologica alla materia?
Gli scienziati alla ricerca dell'imprendibile gene del calcolo
Roberto Weitnauer


Per capire fino a che punto le facoltà cognitive dipendano dalla propria costituzione la scienza indaga sul rapporto tra geni e attività neurali, cercando anche di scoprire l'origine di malattie mentali. L'abilità matematica riveste qui un ruolo importante, perché, ricordando Galileo, la natura è scritta con i numeri, ossia nell'unico linguaggio universale che possiamo leggere. Le principali strutture delle specie viventi (testa, tronco, coda) dipendono dalle direttive di geni primari regolativi (omeogeni). Ci sono poi altri omeogeni e geni esecutori che provvedono a determinazioni successive più fini. La nostra evoluta e oblunga corteccia cerebrale consegue a un bivio genetico analogo a quello che porta a piedi al posto di zampe o a denti in luogo di zanne. Subentrano forse a questo stadio gerarchico dei programmi per i circuiti matematici? Se così fosse una loro disfunzione dovrebbe causare deficit caratteristici, analogamente a come avviene, ad esempio, per i geni alterati del daltonismo che comportano cecità cromatica. Ora, è vero che esistono sindromi che affliggono selettivamente le abilità numeriche e che talune aree parietali della corteccia sono note per la loro funzione digitale. Tuttavia, non si sono stabilite correlazioni tra geni e quelle aree o quelle malattie. Inoltre, le capacità matematiche possono attivare porzioni corticali oltre il solo emisfero sinistro, tradizionalmente assegnato all'analisi razionale. Ad esempio, alcuni idiot savant (si ricordi il film Rain man) brillano nei calcoli, pur avendo il lato corticale sinistro depauperato e dovendo quindi compensare con quello destro, dove risiede il senso artistico che costoro possono peraltro sviluppare notevolmente. Persino soggetti normali cui con tecniche apposite venga addormentato l'emisfero sinistro manifestano talora inattese prerogative artistiche e aritmetiche. I circuiti matematici non sono allora così rigidi e localizzabili. La compensazione neurale rende conto di un'elaborazione distribuita e flessibile. Se i sensi (input) e i comandi motori (output) trovano riscontri piuttosto precisi nei vari distretti della corteccia, meno chiara è la mappa neurale associativa che lega l'input all'output. Del resto, è facile riconoscere un dito che si muove, non così per una facoltà cognitiva, matematica compresa. È verosimile che i geni sovrintendano all'organizzazione della corteccia, ma, e ciò è cruciale, il cervello si sviluppa a dovere solo se le sue cellule nervose vengono variamente sollecitate. Siamo in presenza di un'economia biologica, dato che non è necessaria una quantità esorbitante di geni per specificare quest'organo complesso che si autocompleta fin dai primi stimoli. Nell'uomo c'è un vantaggio in più. L'assetto neurale permane sensibile agli stimoli ambientali per tutta la vita. Tale plasticità conferisce un'adattabilità tipica. A ciò si deve il nostro comportamento non stereotipato. E di tale intelligenza fa parte la visione matematica, ovvero la facoltà di riconoscere ciò che invece è sistematico e ripetitivo. Val la pena rammentare che la parola «matematica» significa «ciò che s'impara».

La Provincia 17.6.05
Numeri e parole: dentro il cervello
Roberto Weitnauer

Non di rado gli scienziati di una generazione minano le conquiste di quella precedente. Per la matematica è diverso. La bellezza di un teorema è eterna. La matematica affascina persino chi non vi è portato, poiché riflette verità cristalline, un po' come sosteneva Platone. Viene spontaneo chiedersi a cosa dobbiamo questo formidabile senso interiore di ordine e giustezza. La risposta rimanda all'evoluzione della corteccia, la parte più esterna e recente del cervello. Qui hanno luogo i processi responsabili della rappresentazione del mondo e del ragionamento. La nostra specie si è mantenuta grazie a un elevato scambio informativo. Da 200.000 anni a questa parte lo sviluppo dei lobi frontali ha comportato un riassetto neurale, promuovendo la costruzione di circuiti complessi per il governo coerente della comunicazione. Su tale aspetto permangono molti aspetti neurofisiologici oscuri, ma ci è noto che la corteccia risulta pianificata secondo aree funzionali e che anche il linguaggio presenta schemi modulari. Sappiamo inoltre che l'immaginazione, l'astrazione e la logica sono tratti distintivi della nostra specie parlante. Nella seconda metà del XIX secolo, il neurologo francese Paul Broca e quello tedesco Karl Wernicke scoprirono due aree corticali deputate alla comprensione e alla produzione del linguaggio. Indicativa nelle ricerche fu la presenza di anomalie specifiche. Ad esempio, Broca localizzò il suo modulo, riscontrando un danno preciso al lobo frontale sinistro di un paziente defunto che aveva saputo pronunciare solo: «tan». I concetti universali del linguaggio naturale e la logica della sintassi inducono a ritenere che il pensiero matematico non possa prescindere da quello verbale. I numeri sono dopotutto parole e le equazioni frasi compresse. La matematica codificata nella cultura è inoltre un fatto dell'ultimo minuto rispetto al ritmo evolutivo del cervello; appare sensato supporre ch'essa derivi dall'astrazione implicata dall'avvento del linguaggio. D'altronde, secondo vari studi la corteccia dispone di moduli numerici ad hoc. Le tecniche di brain imaging mostrano che durante i calcoli con gli interi si accendono porzioni definite del lobo parietale sinistro. L'argomentazione logica è invece appannaggio del lobo frontale. Esistono persone con danni alle aree frontali che non parlano, ma non hanno difficoltà aritmetiche. Viceversa, soggetti con abilità numeriche compromesse possono discutere fluentemente. C'è dunque un salto neurale dalle elaborazioni delle quantità, che - non lo si direbbe - anche bambini di qualche mese e taluni animali sanno in parte eseguire, alla matematica a tutto tondo. I moduli numerici sostengono uno sviluppo cognitivo associato alla maturazione delle aree logico-verbali. Contano qui gli stimoli dati da azioni e manipolazioni di oggetti che poi sono trasformazioni coordinate nel tempo e nello spazio, ossia operazioni, funzioni. Impariamo così a immaginare e fare modelli. Più che uno studio precoce sui libri, l'intelligenza matematica richiede un'interazione col mondo fisico. Un teorema è pur sempre una verità sul nostro universo circostante.

teenager e stupefacenti a Milano

Corriere della Sera 17.6.05
Charmet: normale per i teenager l’uso di stupefacenti
Aumenta l’uso di cocaina negli uffici, il consumo di antidepressivi e psicofarmaci, il doping. Mentre si abbassa l’età del primo contatto con le droghe: 11 anni per le ragazzine, con la tendenza all’uso continuativo a partire dai 15. Gli stupefacenti vengono consumati sempre più in casa e nei luoghi di lavoro. L’allarme sugli stupefacenti a Milano è contenuto in un’indagine dell’assessorato ai Servizi sociali del Comune, che, in occasione della giornata mondiale contro la droga (26 giugno), lancerà una nuova campagna di informazione. Spiega lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet: «Nella cultura giovanile il consumo di stupefacenti si è normalizzato. La relazione con la droga è spesso svincolata dalla percezione del danno e dei rischi».
«Nella cultura giovanile il consumo di stupefacenti si è normalizzato. La relazione con la droga, a differenza di quel che avveniva per i vecchi eroinomani, è spesso svincolata dalla percezione del danno e del rischio di dipendenza». Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra, presidente dell’istituto «Il Minotauro» e responsabile scientifico dell’associazione «L’amico Charly», commenta la ricerca del Comune sul consumo degli stupefacenti a Milano.
In che modo le campagne di informazione possono far breccia nella nuova cultura del consumo di droghe?
«L’obiettivo fondamentale dev’essere quello di aumentare la competenza degli adulti. I giovani sono alla ricerca di genitori, professori ed educatori preparati. Per loro è assai deludente trovarsi di fronte degli interlocutori incompetenti».
A che livello è la conoscenza del problema droghe tra gli adulti?
«Piuttosto basso. Finché i ragazzi avranno intorno soltanto mamme ansiose, padri che non se intendono e professori non abbastanza competenti, non sarà possibile creare un dialogo, una cultura che faccia davvero prevenzione».
L’informazione nelle discoteche è ancora utile?
«Sì, ma ormai parziale. Le campagne devono essere allargate a chi gestisce i locali e soprattutto ai luoghi dove i ragazzi vivono, i luoghi della normalità, e non quelli che abitualemente vengono considerati a rischio».
Come è cambiato il profilo del consumatore?
«Ormai tutte le ricerche concordano nel descrivere chi fa uso abituale di droghe come un individuo con buone relazioni sociali, che ricorre alle sostanze non per sognare, astrarsi dalla realtà o farsi del male, ma per aumentare le proprie prestazioni e le proprie capacità».
Milano, città della fretta e della brama di successo, può essere considerata più a rischio da questo punto di vista?
«È probabile, anche perché vediamo che già i ragazzini ricorrono a droghe "di prestazione". Una tendenza che può essere legata al più generale sviluppo socio-culturale orientato al successo. In quest’ottica si possono interpretare l’aumento del consumo di cocaina e anfetamine e il doping».
Il fatto che a usare droga siano sempre più giovani ben inseriti e con un discreto livello culturale, può far pensare a un consumo più consapevole?
«Di certo i consumatori attuali hanno una capacità di controllo maggiore sull’uso di sostanze stupefacenti. Ai loro occhi la figura del vecchio tossicodipendente emarginato è quanto di più riprovevole possa esserci».

la disperazione di Rossanda
«le donne non hanno amici»

il manifesto 16.6.05
RITIRARSI È UN ERRORE
Rossana Rossanda

(...)
Le donne non hanno amici. Possono essere appassionatamente amate, inseguite, sposate ma il loro potere sulla riproduzione è invidiato, consciamente o inconsciamente che sia, dall'altro sesso. Di qui l'ossessione ad appropriarsene, ingabbiare il corpo che riproduce o normarlo severamente. Si può capire: l'uomo può spargere seme ma se una donna non ci mette del suo per nove mesi, non avrà un figlio. La donna può farsi fecondare anche transitoriamente e da chi vuole e fare un figlio, l'uomo senza una donna che gli sia stabilmente accanto non può generare. Il nostro corpo è per una ventina di anni potente e sfuggente. Anche da questa invidia derivano certi comportamenti maschili perversi.

La scena pubblica, in cui l'uomo domina, interviene perciò da sempre sul corpo femminile, obbligando, proibendo o limitando. La chiesa, modello di patriarcato, ha sempre agito in questa direzione. Lo ha fatto anche ora e lo farà - ha ragione di temerlo Stefania Prestigiacomo - sulla 194. Atei devoti l'hanno preceduta per una strada su cui grandi teologi esitavano: l'ovulo fecondato sarebbe già persona. Possibilità di venire alla luce per un insieme organico ancora incompleto e persona portatrice di diritti sarebbero lo stesso. Come l'uovo sarebbe la gallina. Quel che una donna fa da sempre, e la scienza da quattro secoli, è che fino alla ventisettesima settimana circa quel che porti in grembo non può vivere perché il suo sistema respiratorio si forma per ultimo, respira per lui la madre, è in senso pieno una parte del corpo materno. Se ne è messo fuori, non c'è tecnica che possa farne un vivente. Ma già, gli adoratori della vita se ne infischiano dei viventi: i già nati che muoiono per fame e le madri per parto non li hanno mai agitati - sono morti naturali, dunque piacevoli alla natura e a Dio.

E' un errore che solo pochissime donne siano intervenute mentre il Parlamento interveniva su di esse. Peggio, una femminista doc come Anna Bravo, tramite un'istituzione doc come la Società delle storiche, ha definito violente e omicide, come tutto degli anni settanta, le donne che allora si sono battute per depenalizzare l'aborto, elucubrando sulla sofferenza del feto, che esse avrebbero ignorato, a prescindere se si possa parlare di sofferenza dove ancora manchi un sistema nervoso.

Insomma per mettere le mani sul nostro corpo se ne sono dette di ogni, e se ne diranno. Ritrarsi dalla scena politica dove si prendono queste decisioni è un errore suicida. Dichiarare che il patriarcato è morto e le donne sono libere e felici, sarebbe come se la classe operaia dichiarasse che, poiché ha preso coscienza di se stessa, il capitalismo è finito e il lavoratore è libero della sua sorte. Mettiamoci bene in testa che siamo in un conflitto antico e acuto, moltiplicato dalle possibilità, prima che dagli arbitri, della scienza. E che una libertà femminile è lontana dall'essere raggiunta. Anche in un paese così civilizzato - tanto che tre italiani su quattro hanno preferito disinteressarsene.

depressione post partum
come tratta l'argomento un media di massa come "Donna Moderna"

donnamoderna.it 15.6.05
La depressione post partum esiste!
Come riconoscerla e come curarla
Spesso viene sottovalutata, o persino ignorata. Eppure colpisce una mamma su dieci. Può risolversi in pochi mesi. Oppure diventare una malattia seria. Che in casi estremi porta anche all’omicidio. Ma combatterla è possibile. Ecco tutto quello che dovete sapere
di Antonella Trentin

«Se avessi ricevuto prima l’aiuto che ho trovato qui, forse non avrei fatto quello che ho fatto» ha singhiozzato Mery Patrizio, nel dire addio agli infermieri del carcere di San Vittore. Adesso è rinchiusa nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, insieme ad altre disgraziate Medee che, come lei, hanno ucciso il proprio figlio. Finché il tempo non sbiadirà i titoli di cronaca, “Mery” sarà la mamma di Casatenovo che il 18 maggio ha annegato il suo bambino di 5 mesi nella vaschetta che usava per fargli il bagno. Ma quale demone l’ha spinta a sopprimere un figlio desiderato per cinque lunghi anni? “Psicosi puerperale” è la risposta che leggeremo forse nella sua cartella clinica.

Una grave malattia mentale che colpisce le madri, per fortuna solo una su mille. La deriva estrema di un disturbo molto diffuso tra le donne che hanno appena avuto un bambino: la depressione post partum, frutto di solitudine e smarrimento. Se ne parla poco, ma colpisce una madre su dieci. Prima dell’arrivo del piccolo, infatti, la mamma viene seguita da ginecologi e ostetriche. Poi è abbandonata a se stessa. Nessuno le spiega come attaccare al seno il figlio, come cullarlo o consolarlo quando piange. E le urla del neonato sembrano la conferma della sua inadeguatezza.

La mamma in blu
Ma cos’è davvero la depressione post partum? Non va confusa con il “baby blues”, le lacrime facili che assalgono quasi tutte le mamme, quando i livelli ormonali di estrogeni e progesterone scendono a picco e i seni si gonfiano di latte. La depressione è una malattia. Anche se può avere gradazioni e intensità diverse. Alcune donne soffrono di semplici crisi d’ansia e momenti di pessimismo passeggeri, che si risolvono in pochi mesi, con qualche seduta di psicoterapia. Altre devono fare i conti con una malattia più severa, che richiede l’intervento di uno psichiatra e il ricorso ad antidepressivi. Come si spiega questa differenza? «Malgrado una credenza diffusa, la colpa non è degli ormoni» avverte Lino Del Pup, esperto di endocrinologia femminile e ginecologo dell’ospedale di Oderzo, in provincia di Treviso.

«Certo, alcune donne sono più sensibili di altre alle tempeste ormonali, ma questo non giustifica una depressione grave. Altrimenti basterebbe un esame del sangue per scoprire chi è vulnerabile». Se la causa non è fisiologica, cosa ferisce l’animo di una donna? «Una crisi d’identità. All’improvviso la madre si trova a tu per tu con un esserino minuscolo, indifeso, che dipende interamente da lei» spiega Giuliana Lino, psicologa del Dipartimento materno-infantile dell’azienda ospedaliera Careggi di Firenze. «La donna deve interpretare le richieste del neonato, allattarlo di giorno e di notte, lavarlo, cullarlo.

La sua vita è completamente assorbita dal piccolo. Non c’è spazio per gli amici o per il cinema, né per la cura del proprio corpo, ancora sformato dalla gravidanza». Non tutte reggono il peso delle nuove responsabilità, la gioia del bambino appena nato non basta più. Accade così che molte madri precipitino nel tunnel della malattia. Come Mara, che ha dovuto chiedere aiuto alle psichiatre del Centro per la cura della depressione femminile di Milano. Ogni giorno Mara tiene un diario dove registra le proprie emozioni.

Confessa di essere felice quando sua madre, neo-nonna, culla il bimbo, gli fa il bagnetto, lo porta a spasso. Invece di essere gelosa, si sente finalmente sollevata da un peso. Alessandra, invece, scrive durante la notte, tra una poppata e l’altra. Non riesce a dormire: «Mi sembra di non gestire più nulla» si dispera. «Il bambino piange e io non capisco cosa voglia. Torno con la mente alla vita di prima, alle serate libere insieme a mio marito, alle gite con gli amici. E allora mi pento: non lo dovevo fare, questo figlio». Giulia si vergogna dei propri sentimenti, dichiara di sentirsi un mostro: «Tutti mi dicono che sto attraversando il momento più bello della mia vita, ma quando ho visto per la prima volta mio figlio ho provato solo un grande fastidio».

Cioè quella sensazione di estraneità, classificata tra i numerosi sintomi della depressione. I primi segnali del disturbo. «La mamma piange, non mangia più oppure mangia troppo, soffre d’insonnia, perde il desiderio sessuale, ha l’impressione di non farcela, di essere inadeguata di fronte al compito» osserva Gian Carlo Nivoli, docente di Clinica psichiatrica all’Università di Sassari, autore del libro Medea tra noi (Carrocci editore). «Anche solo cambiare il pannolino o fare il bagnetto al bambino le sembrano una fatica insostenibile. Guai a dire, come fanno molti mariti: “Reagisci, dipende solo dalla tua volontà!”.

Queste donne sono paralizzate, prive di energia, apatiche. La depressione è una malattia seria. E come tale dev’essere diagnosticata in tempo e curata». Ma ecco il punto: chi sorveglia l’umore di una madre? Il ginecologo, il medico di base, la famiglia? Di fatto, quasi nessuno. Individuare i casi a rischio. Ma c’è qualche eccezione. Giovan Battista Cassano, celebre docente di psichiatria all’Università di Pisa, sta sperimentando un metodo per scoprire quali donne siano inclini alla malattia, e impedire che questa esploda davvero. In che modo? Sottopone alle pazienti una serie di questionari sin dal primo trimestre di gravidanza, durante gli incontri col ginecologo o l’ecografista, e per tutto l’anno successivo al parto.

Le risposte gli permettono di monitorare continuamente l’umore della donna. Se il metodo funzionasse, in futuro potrebbe essere adottato dalle maternità degli ospedali in tutt’Italia. «Il progetto è ormai avviato da un anno» spiega Cassano. «L’ho presentato al ministero della Salute e alla Fondazione Idea, che si occupa di studi e cura della depressione. Idea è diventata subito uno dei maggiori finanziatori». Oltre all’Università di Pisa, la ricerca coinvolge il dipartimento di psichiatria dell’Università di Napoli e quello dell’ospedale Fatebenefratelli-Oftalmico di Milano. Mille donne sono state già reclutate. «È presto per azzardare conclusioni» dice lo psichiatra. «Ma su una cosa posso sbilanciarmi: è bastato parlare con le partorienti, dimostrare una disponibilità all’ascolto, perché i casi di depressione riducessero della metà».

La prevenzione è possibile. Negli ultimi anni hanno capito quanto sia importante l’ascolto anche psicologi e ostetriche dei migliori consultori e reparti maternità. Tra i primi il Centro Nascita dell’ospedale Careggi di Firenze, che organizza corsi per le neomamme. «A differenza dei normali corsi di preparazione al parto che durano otto settimane, i nostri coinvolgono le future mamme già nel secondo trimestre, quando il bambino inizia a muoversi, e continuano fino a tre mesi dopo la nascita» spiega Giuliana Lino, psicologa del Careggi. «Parliamo di tutto, dalle aspettative sulla maternità a come vivere la gravidanza in uno stato di benessere». Il primo colloquio è un’occasione per ricostruire la storia della donna. «Spesso chi è a rischio di depressione l’ha già sperimentata in passato, ha una madre o una sorella che ne hanno sofferto, oppure dei malati psichici in famiglia. Ma noi, grazie al rapporto di fiducia che creiamo, siamo in grado di aiutarle».

Nei consultori familiari di Trieste, invece, le mamme si riuniscono in gruppi, ognuno coordinato da un’ostetrica, e si frequentano fino a quando il bambino non ha raggiunto il sesto mese d’età. «Alcune vorrebbero continuare, perché temono di sentirsi sole, senza appoggio» spiega Annamaria Cortese, ostetrica della Azienda per i servizi sanitari triestina. «Condividere le proprie ansie è terapeutico perché si scopre che sentimenti ambivalenti, persino negativi, nei confronti del nuovo nato non sono poi così rari. In più, se una mamma sta male e tende a isolarsi, tutto il gruppo si dà da fare per coinvolgerla di nuovo e strapparla alla depressione».

Un centro per guarire
«Ma la realtà nella maggioranza del Paese è diversa» spiega Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Psichiatria dell’azienda ospedaliera Fatebenefratelli-Oftalmico di Milano. «In molti casi la depressione post partum non viene riconosciuta, né diagnosticata». Mery Patrizio, per esempio, si era rivolta a uno psichiatra che aveva sottovalutato la gravità del suo male. «Non basta uno psichiatra qualunque» avverte Mencacci. «Servono specialisti che sappiano cosa accade nei momenti critici della vita di una donna». Proprio per questo, all’interno della clinica Macedonio Melloni di Milano, Mencacci ha creato un Centro studi per la prevenzione e la cura dei disturbi depressivi femminili. Il primo e l’unico in Italia. Qui le mamme non hanno più timore di nominare i fantasmi che le assillano.

E dal 21 dicembre scorso, giorno dell’inaugurazione, oltre cento di loro hanno varcato quel portone. Nelle tre stanze con le pareti rosa, le accolgono dieci psichiatre e psicologhe, pronte a tendere la mano e ad ascoltare. «Nei primi incontri cerchiamo di capire la profondità del disagio» spiega Roberta Anniverno, psichiatra, responsabile del Centro. «Chiediamo alla madre se il bambino è un figlio desiderato, come sono i rapporti con il partner, se stanno attraversando difficoltà economiche. Poi si decide la cura. Possono bastare semplici sedute di rilassamento, dove s’impara a tenere a bada l’ansia attraverso il controllo del respiro e la distensione dei muscoli. Oppure si sceglie la psicoterapia accompagnata dai farmaci, se la paziente soffre di vera depressione».

Anche la scrittura è una buona medicina. «Consigliamo alle mamme di annotare le proprie emozioni» spiega Anniverno. «All’inizio sono cariche di pessimismo, poi lentamente si intravede uno spiraglio». Com’è successo a Susanna, vittima di fantasie ossessive ricorrenti. Lei avrebbe voluto scacciarle, ma quelle le si insinuavano nella testa. Tenaci, cattive. «Penso che potrei far male al bambino, magari gettarlo dalla finestra» registrava nelle prime pagine del quaderno. «Così mi tengo lontana da tutte le finestre». Sono passati alcuni mesi e Susanna non ha più bisogno di adottare strategie. Sta molto meglio, segue una psicoterapia e il marito la aiuta ad accudire il bebè. «Non accade quasi mai che le mamme depresse diano seguito ai pensieri ossessivi» spiega Anniverno.

«Ma devono essere tenute sotto stretto controllo e prendere con regolarità i farmaci». Prima o poi usciranno fuori dal tunnel. «La depressione post partum passa» assicura Fiona Marshall, autrice di Mamma in blu, fortunato saggio di cui l’editore Salani sta curando un’edizione aggiornata, a settembre in libreria. «È importante dichiarare subito che l’incubo finirà» spiega la psicologa inglese. «Perché quando una donna si trova in preda a questa cupa e all’apparenza eterna condizione ha davvero bisogno di speranza».

C’è chi arriva a uccidere
Mery Patrizio: è accusata di avere annegato, il 18 maggio, il suo bambino di 5 mesi, Mirko Magni. La giovane madre dopo la nascita del figlio era caduta in depressione. Ora è rinchiusa nel carcere psichiatrico di Castiglione delle Stiviere (Mantova).

I sintomi da tenere d'occhio
Come può capire una mamma se soffre di depressione post partum? Esistono dei sintomi precisi, che la psicologa inglese Fiona Marshall elenca nel suo best seller Mamma in blu (Salani). Tensione e panico. La mamma non riesce a rilassarsi, è sempre irritabile, scoppia a piangere in ogni occasione. Ed è preda di attacchi d’ansia. Sensazione di non farcela. Tende a sbrigare con grande difficoltà anche le attività più semplici legate alla cura del figlio. Pensieri ossessivi. Si fissa su un’idea spesso assurda. Per esempio quella di non dare la giusta dose di latte al bambino, oppure che il marito abbia un’amante. Senso di isolamento. Si convince che non ci sia nessuno con cui parlare e non ha voglia di vedere neppure le amiche. E, nei casi più gravi, neanche di rispondere al telefono. Stanchezza. Si sente svuotata, sfinita, non riesce ad adattarsi ai ritmi delle poppate notturne. Soffre d’insonnia. In alcuni casi basterebbe un po’ di riposo per rimettersi in sesto. Disordini alimentari. La madre è inappetente o, al contrario, ha un’insolita, eccessiva voracità.

Un aiuto per le mamme
La depressione? Spesso fa rima con disinformazione. Ne sono convinti al Moige, Movimento italiano genitori (www.genitori.it, tel. 063215669), che organizza corsi per le puerpere nei reparti maternità. «Una donna, se non sa come allattare il suo cucciolo, è nei guai» spiega Elisabetta Scala, pedagogista, responsabile del progetto Bimbo sereno. «L’allattamento, infatti, è il tema centrale dei nostri incontri. Spieghiamo come attaccare il piccolo al seno, o come interpretare il pianto senza farsi travolgere dall’ansia. Quasi tutte le mamme hanno seguito un corso preparto, ma appena si ritrovano col bimbo in braccio non sanno più come comportarsi».

A chi rivolgersi
Se soffrite di depressione post partum, potete chiamare la Fondazione Idea (a Milano 02654126, a Roma 06485583): potrà fornirvi l’indirizzo di un centro pubblico specializzato nella vostra regione. Come quelli dell’ospedale San Martino di Genova (tel. 0105552744); dell’ospedale Sacco di Milano (0239042904); il centro per lo studio e la cura della depressione nella donna della clinica Macedonio Melloni (0263633313); quello dell’Azienda Istituti Ospitalieri di Cremona (3472944994) o della Asl 8 di Civitanova Marche (073382312). Tra i servizi più noti, anche l’ambulatorio della clinica psichiatrica dell’università di Pisa (050992626) e quello della clinica di psichiatria della II università di Napoli (0815666514). Oppure cercate sul sito www.ministerosalute.it il centro di salute mentale più vicino a voi. Dalla homepage cliccare la voce infos@lute.