mercoledì 26 novembre 2003

da clorofilla.it:
sul concordato preventivo

clorofilla.it > articoli > politica e istituzioni (lunedì 24 novembre 2003)

clorofilla è di nuovo in linea; l'aricolo originale, con immagini e link, può essere raggiunto cliccando qui

Concilare il rispetto delle leggi fiscali e della deontologia professionale è possibile. L'annoso conflitto si potrebbe facilmente risolvere. Ne sono convinti quei medici "sensibili" che devono garantire la cura anche a chi chiede l'anonimato. Per loro basterebbe ripristinare la disposizione originale del ddl di accompagnamento alla legge finanziaria. E' l'appello della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri ai ministri della Salute e delle Finanze, Sirchia e Tremonti

«Concordiamo la cura. Nel rispetto della Privacy»
di pdm


Roma - Vanno aumentando di ora in ora le firme dei medici che sottoscrivono l’appello di sostegno alla posizione della FNOMCeO, Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri, espressa con lettera inviata, l’altra settimana, a Giulio Tremonti e Girolamo Sirchia, titolari rispettivamente dei ministeri delle Finanze e della Salute.

Il tema della missiva riguarda il decreto legge di accompagnamento alla legge finanziaria per il 2004, che all'art. 33 istituisce il concordato preventivo.

I medici lamentano il fatto che nella formulazione iniziale di quel ddl, in caso di adesione era prevista, prima del misterioso intervento a Palazzo Chigi e contestualmente ad altri benefici, «la sospensione degli obblighi tributari di emissione dello scontrino fiscale, della ricevuta fiscale, nonché della fattura limitatamente a quella nei confronti di soggetti non esercenti attività di impresa o di lavoro autonomo».

In quel modo - sostengono - si tutelava il delicato rapporto che intercorre tra medico e paziente, permettendo allo specialista, purché ovviamente concordatario, di prestare la cura a chi ne fa richiesta salvaguardando eventualmente anche l’anonimato del paziente. «Si sarebbe così risolto - spiega dall’università di Chieti, la psichiatra Gioia Roccioletti - una delicata questione etica, ma nel testo del “decretone” approvato dal Parlamento non c’è più traccia di quel testo facendo venir meno – denuncia Roccioletti con altri firmatari del documento - questa acquisizione fondamentale per il corretto esercizio della professione medica».

Ecco dunque perché i medici, in particolar modo psichiatri e ginecologi, scendono ora in campo con il presidente della FNOMCeO, Giuseppe del Barone. La Federazione nazionale dei medici si appella in pratica al ministro delle Finanze affinché modifichi con emendamento governativo il testo del Concordato. Del Barone chiede cioè il ripristino di quella disposizione che avrebbe consentito di porre finalmente un termine all'annoso conflitto tra il rispetto delle leggi fiscali e il rispetto della deontologia professionale, in particolare di quella medica.

I camici bianchi sperano che il governo possa «rimediare celermente all'errore compiuto, già in sede di passaggio alla Camera della Legge Finanziaria» e si rivolgono ai ministri Sirchia e Tremonti per «un interessamento in tal senso». Un appello infine è rivolto anche al presidente della Repubblica Ciampi «in quanto vengono in rilievo valori fondamentali tutelati dalla nostra Costituzione, che potrebbero essere rafforzati con un intervento di semplice attuazione».

Leggi anche:
Finanziaria, il “decretone” blindato mercoledì alla Camera

Concordato, il giallo delle modifiche al Senato

Il Fondo. "Curare" la Finanziaria è (ancora) possibile
Concordato preventivo, dubbi accademici sulle modifiche. E' il caso, ma non solo, di talune prestazioni mediche, dove la necessità di subordinare la prestazione della cura alla disponibilità del paziente a essere identificato urta contro fondamentali principi di deontologia professionale. Il direttore del Dipartimento di Scienze economiche dell'università di Bari spiega perché l’eliminazione dell’obbligo di fatturare avrebbe consentito di affrontare finalmente alcuni gravi inconvenienti in alcuni settori delle professioni e dei servizi particolarmente sensibili.


Glossario

Documento di programmazione economica e finanziaria (il governo lo presenta entro il 30 giugno)
Il Documento di programmazione economica e finanziaria è uno strumento con il quale il governo definisce annualmente la manovra di finanza pubblica. Il Dpef va presentato da Palazzo Chigi al Parlamento entro il 30 giugno di ogni anno anziché entro il 15 maggio come in precedenza stabilito. Lo slittamento di questo termine è giustificato dalla necessità di far coincidere quanto più possibile le previsioni macroeconomiche elaborate dal governo a maggio con la compilazione dei documenti di bilancio che invece viene ultimata a settembre.
Il Dpef stabilisce i parametri economici essenziali utilizzati e le previsioni tendenziali dei flussi di entrata e di spesa, per i grandi comparti, del settore statale e del conto consolidato delle pubbliche amministrazioni. Inoltre indica gli obiettivi macroeconomici, gli obiettivi – rapportati al Pil – del settore statale e del debito, riporta gli obiettivi di fabbisogno complessivo e di disavanzo corrente. Ma il Documento di programmazione economica indica anche l’articolazione degli interventi collegati alla manovra di finanza pubblica necessari per il raggiungimento dei suddetti obiettivi.
In sostanza, lo scopo del Dpef è quello di permettere al Parlamento di sapere in anticipo le linee di politica economica del governo, il quale è politicamente impegnato a redigere il susseguente bilancio annuale di previsione secondo i criteri scaturenti dal dibattito parlamentare.

Legge finanziaria (il governo la presenta entro settembre)
La legge finanziaria è un insieme di disposizioni riguardanti la formazione del bilancio annuale pluriennale dello Stato. Introdotta in maniera permanente dalla legge 468/78, la Finanziaria deve essere presentata entro settembre di ogni anno dal governo contestualmente alla presentazione del bilancio. Essa dovrebbe essere approvata entro il 31 dicembre. Altrimenti il governo sarebbe costretto (come è già capitato) a far ricorso all'esercizio provvisorio del bilancio.
In sostanza la Finanziaria fissa il livello massimo di ricorso al mercato e quindi fissa il tetto delle spese da iscrivere nel bilancio annuale. Può contenere modifiche o integrazioni alle leggi che hanno riflessi sui conti dello Stato onde correlarli agli obiettivi di politica economica cui si ispirano il bilancio pluriennale e il bilancio annuale. La Finanziaria è stata insomma ridotta a una “legge omnibus”, per cui contiene le disposizioni più disparate. Essa deve inoltre essere approvata da entrambe le Camere prima della legge di bilancio ed ha una grande importanza politica perché concentra in sé (insieme ai disegni di legge collegati) la manovra economica destinata a governare il Paese.

Disegni e decreti di legge collegati alla Finanziaria (normalmente si approvano sei/nove mesi dopo la Finanziaria)
I disegni di legge (progetti legislativi d’iniziativa del Consiglio dei ministri) o i decreti (provvedimenti del governo immediatamente esecutivi) che il governo presenta insieme alla Finanziaria e alla legge di bilancio, affrontano normalmente questioni settoriali e vengono esaminati ciascuno nella commissione competente. Sono “collegati” sia temporalmente, perché sono presentati assieme alla Finanziaria, sia funzionalmente, perché sono considerati determinanti dal governo per il raggiungimento degli obiettivi complessivi di politica economica. Normalmente vengono varati anche sei o nove mesi dopo la Finanziaria. Ovviamente i disegni di legge hanno bisogno dell’approvazione parlamentare per diventare esecutivi, laddove i decreti divengono immediatamente operativi e devono poi essere convertiti in legge entro 60 giorni dal loro varo da parte di Palazzo Chigi.
In questi giorni si parla sui media di “decretone” a proposito di un maxidecreto che accompagna la Finanziaria 2004 e che ne garantisce la copertura per circa 13,6 miliardi di euro.

Legge di bilancio (da approvare entro fine anno)
E’ un pò l’atto finale dell'annata. Il provvedimento che approva il bilancio dello Stato presentato dal governo (il quale, in attesa di tale approvazione, può essere temporaneamente abilitato, mediante apposita legge, all'esercizio provvisorio del bilancio medesimo). La legge di approvazione del bilancio - a norma dell'articolo 81 della Costituzione - non può stabilire nuovi tributi e nuove spese. Per questo è accompagnata dalla Finanziaria.


la Libreria AMORE E PSICHE:

«è in vendita
il calendario del 2004»


MARCO BELLOCCHIO sul "Mereghetti" 2004, appena uscito...

Lospettacolo.it 25 novembre 2003 h.14:54
MEREGHETTI BOCCIA BERTOLUCCI
Critica negativa a "The Dreamers" nel nuovo Mereghetti 2004


È uscita la nuova edizione, la sesta, della “bibbia” del cinema: il dizionario di film e registi da sempre più venduto in Italia, il Paolo Mereghetti 2004.
Aggiornato all’estate 2003, il nuovo dizionario è in due volumi, uno sui film e l’altro sui registi e conta quasi ventimila schede. Quantità quindi ma anche tanta qualità, come d’abitudine: “è il solito, vecchio dizionario che si sforza di essere sempre più equilibrato fra informazioni, chiarezza espositiva, credibilità e speriamo – sottolinea l’autore – autorevolezza critica”.

Fra le ultime recensioni spicca la parziale bocciatura dell’ultimo Bertolucci, di cui Mereghetti salva solo la prima parte, criticandone invece "le variazioni morbose che puzzano di cattiva letteratura”. Promosso invece “Buongiorno, notte” di Bellocchio che mostra un efficace equilibrio tra minuziosa ricostruzione del quotidiano e una chiave espressiva intimista.

Il Mereghetti. Dizionario dei film 2004, di Paolo Mereghetti è edito da Baldini Castoldi Dalai

... E IN VENEZUELA

ADNKRONOS 25/11/2003 14:36
CINEMA: PRIMA RASSEGNA ITALIANA IN VENEZUELA


Roma, 25 nov. (Adnkronos) - Prima rassegna del nuovo cinema italiano in Venezuela. Dal 2 al 14 dicembre la "Cinematica national" di Caracas ospitera' infatti l'iniziativa nata da un'idea della presidente dell'associazione di lingua e cultura italiana "Italian in Italy" Giuseppina Foti e dalla regista e produttrice di origine italiana Milvia Piazza. Una scelta legata soprattutto alla presenza di una consistente comunità di italiani in Venezuela. I film selezionati per la rassegna venezuelana sono 'Io no' di Simona Izzo e Ricky Tognazzi, che parteciperanno alla serata inaugurale del 2 dicembre; 'Respiro' di Emanuele Crialese, anche lui presente all'inaugurazione; 'Il mio viaggio in Italia' di Martin Scorsese; 'Callas forever' di Franco Zeffirelli; 'Il piu' bel giorno della mia vita' di Cristina Comencini, 'Santa Maradona' di Marco Ponti; 'Luce dei miei occhi' di Giuseppe Piccioni; 'Il mestiere delle armi' di Ermanno Olmi; 'L'ora di religione' di Marco Bellocchio; 'Le fate ignoranti' di Ferzan Ozpetek. (Sin-Pec/Cnz/Adnkronos)

l'assassina di Firenze

La Repubblica - edizione di Firenze 26.11.03
L´INCHIESTA
La donna accusata di aver ucciso Rossana D'Aniello afferma che la sua vita è cambiata per quello che avvenne trent'anni fa
"Perseguitata dai compagni di classe"
Daniela Cecchin dice di essere stata nel mirino "perché anticomunista"
di FRANCA SELVATICI


«Io sono stata l'agnello. Non lo dico per autocompatirmi, ma veramente mi è successo questo». È il 14 novembre, sei giorni dopo l'atroce omicidio di Rossana D'Aniello, accoltellata a morte della sua casa in via della Scala. Davanti al pm Pietro Suchan è seduta l'assassina, Daniela Cecchin, 47 anni, individuata a tempo di record dalla squadra mobile. Prima di confessare, chiede di parlare di «episodi che sono successi 30 anni fa». «Quando ho iniziato il Michelangelo ero una ragazzina normale… Ho subìto una serie di umiliazioni, di prese di giro anche molto crudeli, di violenze, di sopraffazioni da alcuni dei miei compagni di classe… sono stati i miei persecutori, una cosa che è durata 5 anni… sono convinta che neanche se le ricordano queste cose, che per me invece sono state micidiali…».
Erano gli anni '70-'75. Gli insegnanti ricordano ragazzi splendidi, «gran bravi ragazzi». Lei invece è certa: è tutta colpa loro se dopo non è stata più capace di avere «rapporti affettivamente normali con le persone». «Era il periodo della contestazione… io ero cattolica e anticomunista… e mi hanno perseguitata proprio per questo… hanno cominciato a dirmi che ero reazionaria…». Ma nella sua sezione c'era un'insegnante cattolicissima eppure rispettatissima. Erano crudeli i compagni o era Daniela che già vedeva ovunque «ingiustizie e violenze»? Le stesse che sostiene di aver subìto nella ditta di Vicenza in cui ha lavorato per alcuni anni.
L'unica persona normale e gentile che ricorda di aver incontrato nella sua giovinezza è Paolo Botteri, suo compagno al primo anno di farmacia. «Un buon ragazzo, serio, colto, intelligente». Lo ha rivisto dopo quasi 30 anni, a fine settembre. «Mi sono come sentita montare un furore dentro… Il mio rancore è dilagato dopo 30 anni e l'ho come focalizzato su sua moglie… ho pensato che doveva avere avuto accanto a quest'uomo una vita serena, tranquilla, e l'ho paragonata al deserto della mia vita, a tutte queste ingiustizie e violenze che io ho subìto… e mi è venuto in mente di farle del male». Per questo è morta Rossana D'Aniello. «Non è che uno con la depressione debba ammazzare le persone», ammette l'assassina. Però nei confronti della sua vittima non ha parole di pietà. «La signora ha reagito cercando di difendersi?», le chiede il Pm. «Beh, certo», risponde asciutta.
«Ma se lei - le domanda il pm - ha ridotto in queste condizioni la signora D'Aniello che non le aveva fatto nulla… a questo compagno di scuola che secondo lei le ha rovinato la vita, ma cosa gli avrebbe fatto?». «Niente più che qualche telefonata», risponde sprezzante: «Lui, scusi il termine, è uno stronzetto e basta». «Lei è molto religiosa?», le chiede il magistrato. «Mi sta prendendo in giro?», si insospettisce. «No», le assicura il pm. «Sì. Sono religiosa. Ho molta più fiducia nella giustizia di Dio che in quella degli uomini».

Semerano

La Repubblica ed. di Firenze, 26.11.03
Oggi lo studioso a "Leggere per non dimenticare". La consegna del Fiorino d'oro
"Noi figli del Mediterraneo dobbiamo molto a Semerano"

Cacciari e le scoperte del grande etruscologo
Una conferma del legame fra greci e Oriente
"La conferma dell´intreccio fra Europa, Medio Oriente Mesopotamia"
"Un'opera quella del linguista di grande liberazione politica civile e culturale"

di BEATRICE MANETTI


Inseguendo le parole, Giovanni Semerano ha trovato un mondo intero. Da decenni il filologo fiorentino, autore del monumentale "Le origini della cultura europea", sostiene contro l'accademia che le lingue e la civiltà dell´Europa mediterranea non nascono dalla matrice indoeuropea. O meglio, che quella matrice non è l´unica. Navigando nel tempo sulla barca dell'etimologia, Semerano è arrivato all'arcipelago delle grandi civiltà mesopotamiche e mediorientali. Anche l'etrusco proviene da lì, come testimonia il suo nuovo libro, "Il popolo che sconfisse la morte". Gli etruschi e la loro lingua, che lo studioso presenta oggi a Firenze, a «Leggere per non dimenticare» (17.30) presso la Biblioteca Comunale di via S. Egidio, dove il vicesindaco Giuseppe Matulli gli consegnerà il Fiorino d'oro. Con lui, uno storico e un filosofo che gli devono molto: Franco Cardini e Massimo Cacciari.

Professor Cacciari, Semerano è contestato da molti filologi e linguisti, ma affascina i filosofi e gli storici. Perché?

«Non oso entrare in discussioni sugli aspetti tecnici dell'opera di Semerano. Vorrei che se ne apprezzasse la straordinaria visione d´insieme, e cioè che bisogna prendere radicalmente sul serio la dimensione mediterranea originaria della nostra civiltà. In questo senso l'opera di Semerano si colloca in un contesto di studi che hanno affrontato il tema delle origini della civiltà occidentale europea in un ambito mediorientale, mesopotamico e orientale. Non c'è niente di stupefacente, per uno storico della filosofia. Anzi, nelle ricerche linguistiche di Semerano noi filosofi abbiamo trovato conferma dell'intreccio che ha legato fin dalle origini letteratura greca e mondi orientali. Per gli etruschi è lo stesso, ma mi pare che in questo caso Semerano vada ancora di più lungo una strada già aperta dagli storici e dai filosofi».

La tesi di Semerano è che l'etrusco è una «koinè mediterranea»: questa espressione, oggi, non assume anche un significato più ampio?

«Ma certo, le ricerche di Semerano fanno capire come l'Europa non possa intendersi senza questa relazione costitutiva con il mondo mediorientale. Spazzano tutte le nefaste mitologie che l'Europa si è portata dietro dal Medioevo su una sua presunta identità razziale nei confronti dei mondi semitici. È un'opera di grande liberazione anche dal punto di vista politico, civile e culturale».

La ricerca delle origini linguistiche invita anche a una riflessione su temi che stanno scomparendo dal nostro orizzonte di pensiero: l'infinito, il sacro, la morte.

«La nostra civiltà si basa sulla scoperta dell'anima: se muore o sopravvive, se appartiene a Dio, se è materiale o immateriale. È un po' difficile immaginare la nostra civiltà senza questi discorsi. Che possono essere anche archeologia, ma archeologia non è soltanto il passato, è cio che sta al centro, ciò che comanda. Il passato in quanto passato è la più sciocca delle parole. La mia stessa costituzione fisica è determinata da una serie di eventi, di casi, di incontri precedenti. Quando riusciremo a nascere in provetta, allora il passato sarà veramente passato».

E stiamo andando in questa direzione?

«Penso di sì. La tendenza fondamentale del nostro tempo è a nascere da sé, questo la filosofia l'ha capito e la sua intuizione si sta avverando in termini tecnico-scientifici. Oggi ancora no, ma questo no sta diventando sempre più relativo. Fino ad allora, varrà la pena leggere i libri di Semerano».

Goethe e Ortega y Gasset

La Repubblica 26.11.03
Vita di un classico in una Europa che naufraga

lettera a un tedesco
Credevamo di essere gli eredi di un magnifico passato e di vivere di rendita
C'è oggi, nel 1932, qualche europeo che ha voglia di festeggiare gli anniversari?
Per la prima volta escono in Italia gli scritti del filosofo spagnolo sul grande poeta tedesco

di JOSÉ ORTEGA Y GASSET


Esce in questi giorni, nelle edizioni Medusa, il volume "Goethe. Un ritratto dall'interno", con quattro saggi di Ortega y Gasset, tutti inediti in Italia. Anticipiamo parte dell'intervento pubblicato su una rivista tedesca ("Die neue Rundschau") nel 1932, in occasione del centenario della morte di Goethe.

Lei mi chiede, caro amico, qualcosa su Goethe, in occasione del centenario, e io mi sono sforzato di rispondere ai suoi desideri. Da molti anni ormai non leggevo Goethe - perché? - e mi sono di nuovo calato nei corposi tomi delle sue opere complete. Presto, però, ho capito che la mia buona volontà avrebbe fallito, che non avrei potuto soddisfare la sua richiesta. Per molte ragioni. La prima: non mi sento in vena di centenari. Forse lei sì? C'è oggi qualche europeo che si trovi nello stato d'animo adatto per festeggiare centenari? Il 1932 ci preoccupa troppo per trovare spazio in qualche data a quel 1832. Questo non è, comunque, l'aspetto peggiore. Rendendosi così complessa la nostra vita nel 1932, il problema più grande consiste proprio nel suo rapporto con il passato. La gente non se ne rende ben conto, perché il presente e il futuro hanno sempre una drammaticità più spettacolare. Si dà il caso, però, che presente e futuro si siano ripresentati molte volte all'uomo in modi anche più difficili e aspri di oggi. Ciò che rende così insolitamente grave la nostra condizione attuale non affonda le proprie radici in queste due dimensioni del tempo quanto piuttosto nell´altra: se l'europeo fa un bilancio della propria situazione con perspicacia, si accorgerà che non dispera del presente né del futuro, ma precisamente del passato.
La vita è un'operazione verso il futuro. Si vive dall'avvenire, perché vivere consiste inesorabilmente in un fare, nel compiersi in sé di ogni esistenza. Chiamare «azione» questo «fare» significa imbellettare il lato tremendo della realtà. L'«azione» è solo l'inizio del «fare». È soltanto il momento in cui si decide ciò che si sta per fare. (...) Non basta l'azione - che è un mero decidersi -, ma è necessario fabbricare ciò che si è deciso, eseguirlo, ottenerlo. Quest'esigenza di effettiva realizzazione nel mondo, ben oltre la nostra mera soggettività e intenzione, è ciò che esprime il «fare». Questo ci obbliga a cercare mezzi per sopravvivere, per realizzare il futuro, e allora scopriamo il passato come arsenale di strumenti, di mezzi, di ricette, di norme. L'uomo che conserva la fede nel passato non teme il futuro, perché è sicuro di trovarvi la tattica, la via, il metodo per sostenersi nel problematico domani. Il futuro è l'orizzonte dei problemi; il passato la terraferma dei metodi, delle strade che crediamo di avere ben certe sotto i nostri piedi. Pensi, caro amico, alla terribile condizione dell'uomo per il quale, all'improvviso, il passato, le certezze, diventano instabili, un abisso. Prima, il pericolo pareva trovarsi soltanto di fronte a lui; ora è anche alle sue spalle e sotto i suoi piedi.
Non sta forse succedendo anche a noi qualcosa di simile? Credevamo di essere eredi di un magnifico passato e di poter vivere di rendita. Nel momento in cui il futuro ci incalza più fortemente rispetto alle ultime generazioni, ci voltiamo indietro cercando, come eravamo soliti, le armi tradizionali; ma impugnandole ci rendiamo conto che sono spade di canna, gesti insufficienti, attrezzo scenico che si rompe nell'impatto col bronzo del nostro futuro, dei nostri problemi. E improvvisamente ci sentiamo diseredati, senza tradizione, indigenti, come neonati senza predecessori. I romani chiamavano patrizi i figli di coloro che potevano fare testamento e lasciare un'eredità. Gli altri erano i proletari, discendenti ma non eredi. La nostra eredità consisteva nei metodi, ovvero nei classici. La crisi europea, tuttavia, che è la crisi del mondo, può essere vista come la crisi di ogni classicismo. Abbiamo l'impressione che le vie tradizionali non siano più utili per risolvere i nostri problemi. Sui classici si possono scrivere libri all'infinito. L'atteggiamento più semplice di fronte a un fatto è scriverci sopra un libro. Il più difficile è vivere di esso. Possiamo vivere oggi dei nostri classici? L'Europa di oggi non soffre di una strana proletarizzazione spirituale?
Il fallimento dell'università di fronte alle necessità attuali dell'uomo - il fatto gravissimo che in Europa l'università abbia cessato di essere un pouvoir spirituel - è soltanto una conseguenza di quella crisi, perché l'università è classicismo.
Non sono proprio questi i fatti che più contrastano con lo spirito dei centenari? Nelle feste dei centenari il ricco erede rimira compiaciuto il tesoro che i secoli hanno via via distillato. È triste e deprimente, invece, contare un tesoro di monete deprezzate. Questo serve soltanto a confermarci l'insufficienza del classico. Alla luce cruda, esigente, inesorabile, dell´attuale urgenza vitale, la figura del classico si scompone in mere frasi e smancerie. In questi ultimi mesi abbiamo celebrato i centenari di due giganti - sant'Agostino ed Hegel - e il risultato è stato deplorevole. Su nessuno dei due è stato possibile pubblicare una sola pagina proficua e incoraggiante.
La nostra disposizione è esattamente opposta a quella che potrebbe ispirarci atti di culto. Nel momento del pericolo la vita scrolla via tutto ciò che vi è di inessenziale - escrescenza, tessuto adiposo -, e cerca di spogliarsi, di ridursi al puro nervo, al puro muscolo. Qui sta la radice da cui può venire la salvezza dell'Europa, nella contrazione all'essenziale.
La vita è in sé stessa e sempre un naufragio. Naufragare non è affogare. Il poveretto, sentendo che s'immerge nell'abisso, agita le braccia per mantenersi a galla. Il movimento delle braccia col quale reagisce alla propria perdizione è la cultura - un moto natatorio. Quando la cultura non è che questo, realizza il suo significato e l'umano si eleva sul proprio abisso. Dieci secoli di continuità culturale producono, però, tra i tanti vantaggi, anche il grande inconveniente della sicurezza dell'uomo, la perdita di emozione del naufragio, e la cultura si gonfia di opere parassitarie e linfatiche. Deve, quindi, sopraggiungere una qualche discontinuità che rinnovi nell'uomo la sensazione dello smarrimento, vera sostanza della sua vita. Occorre che gli vengano meno tutti gli strumenti per galleggiare, che non trovi nulla a cui aggrapparsi. Allora le sue braccia si agiteranno di nuovo in modo salvifico.
La coscienza del naufragio, essendo la verità della vita, è già la salvezza. Per questo motivo io credo soltanto ai pensieri dei naufraghi. Di fronte a un tribunale di naufraghi è necessario citare i classici perché vengano date risposte alle domande perentorie che riguardano la vita autentica.
Che figura farebbe Goethe di fronte a questo tribunale? Si potrebbe sospettare che egli sia il più discutibile fra tutti i classici, perché è il classico alla seconda potenza, il classico che a sua volta si era nutrito dei classici, il prototipo dell'erede spirituale, cosa di cui egli stesso era chiaramente consapevole; in definitiva, rappresenta il patrizio tra i classici. Quest'uomo ha fatto assegnamento sulle rendite di tutto il passato. La sua creazione somiglia non poco a una mera amministrazione delle ricchezze ricevute e, per questo, nella sua opera come nella sua vita, non manca mai il lato filisteo che cela sempre un amministratore. Inoltre, se tutti i classici sono tali, in definitiva, per la vita, Goethe pretende essere l´artista della vita, il classico della vita. Deve, dunque, giustificarsi di fronte alla vita con maggior rigore.
Come vede, invece di mandarle qualcosa per il centenario di Goethe, ho piuttosto bisogno di chiederlo io a lei. L´operazione cui sarebbe necessario sottoporre Goethe è troppo grave e profonda perché possa tentarla chi non è tedesco. Osi lei. La Germania ci deve un buon libro su Goethe. Finora, l'unico leggibile è quello di Simmel, sebbene, come tutti i testi di Simmel, sia insufficiente, poiché quello spirito acuto, sorta di scoiattolo filosofico, non si poneva problemi sull'argomento che sceglieva, ma lo assumeva come una piattaforma su cui eseguire i suoi meravigliosi esercizi di analisi. Questo è stato, d'altronde, il difetto sostanziale di tutti i libri tedeschi su Goethe: l'autore lavora su Goethe, ma non lo mette in discussione, non opera al di sotto di Goethe. Basta osservare la frequenza con la quale sono impiegate le parole «genio», «titano» e altre snervate, che usano ormai soltanto i tedeschi, per capire che tutto è ridotto a sterile bigotteria goethiana. Tenti di fare il contrario, caro amico. Faccia ciò che ci proponeva Schiller: trattare Goethe «come una zitella orgogliosa, a cui bisogna far fare un figlio per umiliarla al cospetto del mondo». Ci scriva un Goethe per naufraghi.
E non credo che Goethe avrebbe sollevato reclamo davanti a un tribunale di vitali urgenze. Probabilmente la scelta più goethiana è di farlo con Goethe. Si comportò forse diversamente col resto, con tutto il resto? Hic Rhodus, hic salta. Qui c´è la vita, qui tocca danzare. Chi vuole salvare Goethe, deve cercarlo in questa direzione.

Dino Campana (1885-1932),
la prima celebre vittima dell'elettroshock

Corriere della Sera 26.11.03
Ripubblicati i «Canti Orfici» del geniale autore segnato dalla pazzia. Ma ancora una volta il suo ritratto umano non è attendibile
Campana, la chimera del poeta maledetto
di Sebastiano Vassalli


La ristampa, a cura di Renato Martinoni, dei "Canti Orfici" di Campana nei «tascabili» Einaudi, rappresenta un passo avanti per quanto riguarda la sistemazione dei contributi critici, nell’«Introduzione», nelle «Note ai testi» e nelle puntuali «Appendici». È invece un’occasione mancata, se si voleva restituire Campana alla sua storia di uomo e di scrittore. Quella storia, da quasi un secolo dà fastidio a tutti: ai familiari, ai concittadini, ai medici, alla società letteraria; e si è cercato di seppellirla sotto un cumulo di leggende, che fino al 1985 si appoggiavano all’autorità dello psichiatra Carlo Pariani, autore di una biografia dal titolo perentorio: "Vita non romanzata di Dino Campana scrittore". Carlo Pariani non era, come molti credono, il medico curante di Campana. Era un tale che andava a trovarlo in manicomio per una sua ricerca su genio e follia. Dino gli confidava di essere elettrico («Mi chiamo Dino, come Dino mi chiamo Edison... sono elettrico») e, tra un delirio e l’altro, gli raccontava ogni genere di balle. Gli diceva di essere stato cinque anni in Argentina; di essere andato a Odessa; di aver patito la prigione a Parma, a Bruxelles, a Basilea, eccetera.
Il 1985 avrebbe dovuto essere un anno di svolta per gli studi campaniani. In seguito alla pubblicazione (nel 1984) del mio romanzo-verità "La notte della cometa", dal municipio di Marradi incominciarono a venir fuori carte e carte (prima non c’era nulla) che avrebbero dovuto smentirmi e che invece confermavano quasi tutto della mia ricostruzione «romanzata». Campana, ovunque andasse, si lasciava dietro una scia di fogli di via, verbali di polizia e cose del genere, con date e timbri. Quelle date e quei timbri mandavano definitivamente all’aria la biografia del Pariani e avrebbero dovuto sgombrare il campo da molte leggende. Invece sono servite a costruire altre leggende, come quella riferita da Martinoni a proposito del servizio militare del poeta: «Dal gennaio ai primi di agosto del 1904, e qui torniamo alle notizie accertate, Campana è a Ravenna, dove presta servizio militare in qualità di soldato».
Notizie accertate un corno. Io non so su cosa Martinoni basi la sua affermazione, ma so che le cose stanno diversamente e che riguardano un periodo importante, di un paio d’anni, della vita di Campana. Le principali questioni non ancora risolte nella biografia del poeta sono appunto queste.

IL SERVIZIO MILITARE - Il Registro della leva e le altre carte dell’Esercito, che non si trovano a Marradi ma all’Archivio di Stato di Firenze, a proposito del servizio militare sono chiarissime: Campana è «volontario» ed è «allievo ufficiale». Sembra una sciocchezza, ma le scuole per ufficiali (non «sottoufficiali»: proprio «ufficiali») in Italia e in quell’epoca erano tre: quella di Cavalleria a Pinerolo, quella di Fanteria a Modena e quella della Marina a Livorno. I corsi di Modena duravano due anni e prevedevano quattro esami: caporale, sergente, sottotenente e tenente. Campana (è scritto nei documenti) passa l’esame di caporale e non passa quello di sergente. Espulso dall’Accademia, finisce il periodo di ferma da qualche altra parte. Dove?

LA SIFILIDE - Questo è il punto che suscita più malumori. Premesso che la prova provata della sifilide di Campana non potrà mai esserci, così come non potrà mai esserci per Nietzsche o per altri personaggi illustri morti di quel male, alcune osservazioni si impongono. La prima è che i comportamenti di Campana erano a rischio. Chi navigava nel mare delle «troie dagli occhi ferrigni» e delle prostitute del porto di Genova, prima o poi pescava quei pesci, cioè quelle malattie. La seconda osservazione è che tutto il decorso della malattia di Campana, dalla paresi facciale del 1915, alla distruzione del sistema nervoso con conseguente follia, alla morte in manicomio nel 1932 è quello, da manuale, di una sifilide nervosa: perché ostinarsi a negarlo? Cosa c’è da difendere: la famiglia? La categoria degli psichiatri? L’albo professionale dei poeti? Anche il lungo decorso della malattia non costituisce un’obiezione valida. Campana era giovane e forte (Soffici ne descrive le «gambe ercoline» e il «viso di salute»); e la sifilide può durare anche venticinque anni.

L’AMORE PER SIBILLA ALERAMO - Nell’Italia senza più uomini della Prima guerra mondiale, la poetessa Aleramo incontra un maschio giovane e forte, e lo fa suo. È l’estate del 1916. Ma dopo poche settimane di passione sfrenata si scopre che, se quel maschio non è al fronte, c’è una ragione. Incominciano le scenate e le botte. Nel gennaio 1917, Sibilla accompagna Dino dallo psichiatra Eugenio Tanzi, un luminare per quell’epoca; e la loro relazione finisce lì. Lei scappa, si nasconde, trascorre mesi e mesi «in stato di santità» («un record»), gli scrive «cane arrabbiato che mi hai morso...». A quanto pare, deve curarsi. Lui alterna periodi di lucidità ad altri di follia. Un giorno (nel settembre 1917) riceve una lettera su carta intestata di un albergo in Valsesia; parte per raggiungere la sua bella, ma lei non è più lì e lui viene arrestato come disertore...

L’ELETTRICITÀ - In manicomio, per molti anni, Campana viene fritto con l’elettricità. «Attrassi l’attenzione della polizia marconiana e mi ruppe la testa. Mi investì con una forte scarica elettrica. Credevo che mi avessero rotto una vena nel cervello!». L’uso e l’abuso dell’elettricità con i matti è iniziato nella Prima guerra mondiale, in tutta Europa, per tenere gli uomini nelle trincee e non ha ancora finalità terapeutiche accertate. Negli anni Venti è un uso sperimentale e punitivo, che sostituisce catene e botte. Gli apparecchi con cui si danno le scosse sono descritti e riprodotti nella vecchia Enciclopedia Treccani: rocchetti a corrente alternata, pennelli faradici e simili. Qualcuno di quegli strumenti è ancora visibile nei musei, là dove si sono volute conservare le attrezzature dei vecchi istituti manicomiali; ma già alla fine degli anni Trenta non venivano più usati.

Vorrei concludere questo articolo con una considerazione personale. Non credo che scriverò più su Dino Campana. Nel corso degli anni, ho fatto tutto ciò che poteva essere fatto per restituire quell’uomo alla sua verità. Non ci sono riuscito, e quest’ultima ristampa dei "Canti Orfici" ne è la prova. Consegno la memoria di Dino ai film melensi, alle biografie deliranti o troppo circospette, ai «chissà!» e alla strizzatine d’occhi, ai premi letterari a lui intitolati e alla compagnia di villeggianti che ogni estate si riunisce a Marradi per assegnarli. Hanno vinto loro. Addio, Dino