La Stampa 30 Maggio 2005
SULLA SCELTA INCIDERÀ LO SCONTRO SULLE NOZZE GAY E LA FECONDAZIONE ASSISTITA
La Spagna taglierà i fondi al clero
A fine anno scade la proroga dei finanziamenti di Stato
Gian Antonio Orighi
MADRID. Il governo del premier socialista (ed agnostico) José Luis Rodríguez Zapatero minaccia di tagliare i fondi pubblici alla Chiesa cattolica con cui è ai ferri più che corti per divorzio-lampo, nozze ed adozioni gay, clonazione terapeutica, fecondazione assistita. La spada di Damocle è stata annunciata ieri, con una intervista al quotidiano barcellonese «La Vanguardia» dal «padre di tutti i relativismi», il Guardiasigilli Juan Fernando López Aguilar, difensore a spada tratta dell'«allargamento dei diritti civili» come gli imeni omosessuali. Per capire appieno la portata alzo zero, bisogna prima ricordare che le dichiarazioni arrivano, non a caso, in un momento molto delicato: a fine anno scade l'ultima proroga della disposizione transitoria dell'attuale sistema di finanziamento ecclesiale, pattuito nell'87 tra la Conferencia Episcopal Española (Cee) e l'ex governo socialista del premier González. Allora le gerarchie religiose si impegnarano, nel giro di 3 anni, ad autofinanziarsi mediante l'apporto volontario dei fedeli via lo 0,5239% della loro dichiarazione dei redditi sulle persone fisiche. Un compromesso, però, mai rispettato negli ultimi 15 anni. Lo Stato, sia con González che con il premier popolare Aznar, ha sempre anticipato mensualmente (quest'anno 11,78 milioni di €, su 141,46 previsti per il 2005), molto più di quanto poi versavano i fedeli. E non ha mai chiesto indietro la differenza tra la somma anticipata e quella incassata. Un gap a fondo perduto pari, solo tra l'88 ed il 2002, a 450,89 milioni di €. In questo contesto, Aguilar suona la carica: «La realtà è che l'apporto dei fedeli non è sufficente, non arriva neppure al 70%. Quest'anno abbiamo sborsato 35 milioni di euro in più». E subito dopo, tuona: «L'Esecutivo e la Chiesa sanno che questa situazione non è sostenibile all'infinito. É razionale che convochiamo una negoziazione che potrebbe aver luogo quando scade l'ultima proroga, alla fine di quest'anno». Calendario alla mano però, come sottilineava 12 giorni fa il filo-socialista El País, significa che l'accordo sulla riforma del sistema di finanziamento ecclesiastico deve essere concluso prima della redazione della Finanziario 2006, nel prossimo autunno. Ma c'è di più. Il ministro alla Giustizia, da cui dipende il decisivo sottosegretariato agli Affari Religiosi, paventa anche tutta una serie di notevolissime riduzioni fiscali per i religiosi «che bisogna negoziare». Quali? Esenzione dell'Iva (concessa dall'89 contro il parere della Ue), imposte sui beni immobili, successioni, donazioni. Spiega López Aguilar: «Dobbiamo essere capaci di mettere sul tavolo queste questioni senza che si dica che ci scontriamo con la Chiesa. Non dobbiamo dimenticarci che è una situazione eccezionale della Chiesa cattolica, di cui non usifruiscono altre confessioni a cui sono costituzionalmente equiparate». Insomma, è la resa dei conti dell’Esecutivo «dei diritti civili» con la Cee. L' incitamento all' obbiezione di coscienza contro i matrimoni gay, promossa sia dal Vaticano che dalla Conferencia Episcopal è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E la chiesa spagnola per conseguire l' autosufficenza finanziaria avrebbe bisogno di percentuale fiscale pari al 7-8% della dichiarazione dei redditi sulle persone fisiche.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
lunedì 30 maggio 2005
sinistra
Bertinotti commenta il voto francese
AGI Roma, 29 maggio 2005 - 23:18
COSTITUZIONE UE: BERTINOTTI, SCONFITTI I NEOLIBERISTI
"Un fatto politico straordinario si è prodotto in Europa. Un europeismo di sinistra e di massa ha preso corpo e ha vinto. L'Europa neoliberista del Trattato Costituzionale e di Maastricht è stata sconfitta dalla democrazia del popolo francese". Lo ha detto il segretario di Rifondazione Comunista, Fausto Bertinotti, secondo il quale "una partecipazione al voto straordinaria, più alta di ogni competizione per il governo del Paese e più alta del precedente referendum su Maastricht, ha dimostrato quanto possa essere viva una passione per l'Europa quando può vivere nella democrazia, come in questo referendum, e quando prende corpo una proposta di un'altra Europa come è accaduto nella campagna per il No in Francia". "Per noi, come Partito della Sinistra Europea, e come Partito della Rifondazione Comunista, unico partito in Italia tra le forze democratiche e progressiste ad avere sostenuto il No - ha aggiunto - è una grande gioia quella che condividiamo con le forze della sinistra francese che hanno animato una nuova esperienza unitaria nella campagna contro il Trattato Costituzionale di un'Europa neoliberista", "l'irruzione della questione sociale in questo referendum si è rivelata decisiva". (AGI)
COSTITUZIONE UE: BERTINOTTI, SCONFITTI I NEOLIBERISTI
"Un fatto politico straordinario si è prodotto in Europa. Un europeismo di sinistra e di massa ha preso corpo e ha vinto. L'Europa neoliberista del Trattato Costituzionale e di Maastricht è stata sconfitta dalla democrazia del popolo francese". Lo ha detto il segretario di Rifondazione Comunista, Fausto Bertinotti, secondo il quale "una partecipazione al voto straordinaria, più alta di ogni competizione per il governo del Paese e più alta del precedente referendum su Maastricht, ha dimostrato quanto possa essere viva una passione per l'Europa quando può vivere nella democrazia, come in questo referendum, e quando prende corpo una proposta di un'altra Europa come è accaduto nella campagna per il No in Francia". "Per noi, come Partito della Sinistra Europea, e come Partito della Rifondazione Comunista, unico partito in Italia tra le forze democratiche e progressiste ad avere sostenuto il No - ha aggiunto - è una grande gioia quella che condividiamo con le forze della sinistra francese che hanno animato una nuova esperienza unitaria nella campagna contro il Trattato Costituzionale di un'Europa neoliberista", "l'irruzione della questione sociale in questo referendum si è rivelata decisiva". (AGI)
poeti
il manifesto 28.5.05
Poeti al servizio del dio della parola
Da Omero a Rimbaud, il racconto della vita di sette autori fra i più grandi di ogni tempo, in Amore lontano di Sebastiano Vassalli, da poco uscito per Einaudi
Attilio Lolini
Un romanzo sui poeti, ossia sulla parola poetica, in un tempo in cui i libri vengono venduti confezionati e surgelati, è un'impresa non da poco. A distanza di molti anni dal suo romanzo-verità su Dino Campana, La notte della cometa (dove la vita del grande marradese veniva liberata dai luoghi comuni cari ai critici ufficiali e ai professori universitari più o meno in buona fede), Sebastiano Vassalli torna, con Amore lontano (Einaudi, pp. 192, euro 16,50), a narrarci di poeti, tra i più grandi d'ogni tempo - Omero, Qohélet, Virgilio, Jaufré Rudel, François Villon, Giacomo Leopardi, Arthur Rimbaud - sollevando e spazzando la polvere che sopra di loro i secoli avevano accumulato, insieme alla retorica dei manuali e dei libri di testo che li rendevano (e li rendono tuttora) ostici e illeggibili a legioni di studenti. Liberati così dai paludamenti, dalle gualdrappe scolastiche, questi celebri e, in sostanza, sconosciuti personaggi tornano a vivere come uomini normali con le loro nevrosi e la loro ingenuità e con i vizi e le virtù di ogni umano ma con una vistosa eccezione, quella di aver pronunciato e scritto parole che hanno senso e valore per tutti, per ogni epoca, per ogni tempo. Ogni volta che il miracolo della poesia torna a manifestarsi, nota Vassalli, pare che sia per l'ultima volta anche se non è così. Certo il miracolo non è frequente ma si verificherà finché esisteranno le parole che uniscono a un qualcosa fuori dal loro mondo. Fin dai dai tempi di Omero, fino al «divino monello» Rimbaud, la poesia «trattiene» la vita, anzi è la vita. Proprio con il più antico poeta a cui sia stato dato un nome, Omero, si apre il romanzo di Vassalli: l'autore dell'Iliade e dell'Odissea, un cantore cieco in un tempo in cui la cecità era una condizione ideale per essere poeti, un cieco ossia un nessuno, un involucro vuoto di storie, un uomo che può essere Achille e Ettore, Polifemo e Penelope e tutti gli altri meravigliosi personaggi dei poemi e poi quell'Ulisse, che è la prima figura della letteratura occidentale, che rende narrabile un mondo che prima di lui non si poteva raccontare essendo dominato dalle forze della natura. Vassalli immagina e descrive la morte di Omero nella strada assolata piena di sassi e di polvere che era stata il palcoscenico della sua vita. È accompagnato da un ragazzo, Lica, che poi l'abbandona lasciandolo vagare in una terra ostile e pericolosa; cade, si rialza, cade ancora, poi vengono ad «assisterlo» i suoi personaggi, ma la sua fine è quella di uno dei tanti vecchi abbandonati del suo tempo e di tutti i tempi. Poi Qohélet, ossia il mitico autore dell'Ecclesiaste che, approssimativamente, si potrebbe anche chiamare l'uomo che parlava nelle assemblee, un poeta del tutto laico che ha anche il buon gusto di non negare l'esistenza di Dio (oggi diremmo un materialista o un illuminista). Da qui l'aspetto straordinario dei suoi versi che lo fanno vivere, dice Vassalli, anche fuori dalla Bibbia e da ogni tempo. Il «poeta» Qohélet è assai caro allo scrittore le cui tracce si trovano vistose nei suoi romanzi, così come Virgilio, l'autore dell'Eneide che Vassalli ha fatto «rivivere» nel suo racconto Un infinito numero.
Virgilio come poeta ufficiale dell'Impero romano prediletto da Augusto e autore delle Georgiche, un poema sull'ambiente naturale e sulla vita dei campi, che l'imperatore farà leggere pubblicamente ad Atella, nei dintorni di Napoli, davanti alla Corte, dallo stesso poeta e dal suo amico Mecenate, consacrando la fama del poco più che quarantenne Virgilio come poeta di Stato. Ma se si hanno ampie e dettagliate notizie sulla sua vita pubblica, poco si conosce, di quella privata. L'idea e il progetto dell'Eneide nascono ad Atella, durante la lettura delle Georgiche e da un progetto politico di Augusto che si proponeva di unire il mondo allora conosciuto. Ma ben presto il poeta si rende conto che l'imperatore è un tiranno e poi Virgilio è un cantore della natura, umbratile, malinconico, che non sarebbe riuscito a dare vita e risalto all'uomo nuovo romano destinato a governare il mondo e soprattutto a cambiarlo. Così il suo sogno svanisce mentre lui scrive l'Eneide, constatando che gli uomini non cambiano e anche di fronte a un'altra evidenza; dai buoni sentimenti e dalle buone intenzioni nasce soltanto una mediocre poesia. Il romanzo sulla parola di Vassalli approda poi a un poeta trovatore, Jaufré Rudel, che è l'inventore della poesia della distanza vista come «amore lontano», un sentimento completamente riflesso nelle parole. Della sua vita si sa pochissimo; sull'iniziatore della poesia moderna si possono narrare favole come già fecero tra gli altri, Haine, Rostand e il nostro Carducci. La pagine di Rudel sono tra le più belle di questo libro fino all'improbabile morte del grande poeta trovatore. Anche su François Villon sappiamo poco. Scampato alla forca, lui non crede di essere un poeta: poeti sono i grand'uomini come il professore Philippe de Vitry che lui si è divertito a mettere in burla per i suoi amici studenti della Sorbona, traducendo, scrive Vassalli, nel linguaggio delle cose reali, il suo celebre elogio del «vivere in libertà». Villon ha scritto versi per ridere e le sue poesie dicono della vita scapestrata e delle malefatte che lo portarono perfino a uccidere un prete in una rissa.
I sette poeti di Vassalli vanno a formare una narrazione dalla quale viene fuori un solo personaggio: la parola. Così è per gli ultimi mesi, a Napoli, di Giacomo Leopardi, con l'amicizia di Antonio Ranieri che poi la critica calunniò come poté: Ranieri che lo sottrasse al «borgo» di Recanati dove nacque e che odiò sopra ogni altra cosa, che lo protesse e curò fino alla morte, in un'amicizia vera e disinteressata che non fu capita né dai suoi familiari né dalla critica del tempo capitanata da Niccolò Tommaseo.
L'ultimo «personaggio» del romanzo è Arthur Rimbaud, la cui «stagione all'inferno» durò poco più di due anni che furono quelli del suo sodalizio con Verlaine. L'unico dio del quale gli uomini possono avere certezza, dice Vassalli, è il dio della parola che ogni tanto sceglie i poeti come suoi interlocutori. Nel caso del «divino monello» il rapporto fu breve e traumatico; a Rimbaud la poesia verrà «donata» come un lampo, come una «follia» che coinciderà con la sanguinosa stagione dell'adolescenza. Poi il più grande nostri dei poeti «contemporanei» sparirà non scrivendo più un verso. La sua metamorfosi sarà totale e perfino incomprensibile, da «veggente» si trasformerà in «ottuso». Non saprà mai d'aver scritto poesie sublimi che definirà «disgustose», d'essere stato «scelto» dal dio della parola come, probabilmente, l'ultimo dei suoi interlocutori.
Poeti al servizio del dio della parola
Da Omero a Rimbaud, il racconto della vita di sette autori fra i più grandi di ogni tempo, in Amore lontano di Sebastiano Vassalli, da poco uscito per Einaudi
Attilio Lolini
Un romanzo sui poeti, ossia sulla parola poetica, in un tempo in cui i libri vengono venduti confezionati e surgelati, è un'impresa non da poco. A distanza di molti anni dal suo romanzo-verità su Dino Campana, La notte della cometa (dove la vita del grande marradese veniva liberata dai luoghi comuni cari ai critici ufficiali e ai professori universitari più o meno in buona fede), Sebastiano Vassalli torna, con Amore lontano (Einaudi, pp. 192, euro 16,50), a narrarci di poeti, tra i più grandi d'ogni tempo - Omero, Qohélet, Virgilio, Jaufré Rudel, François Villon, Giacomo Leopardi, Arthur Rimbaud - sollevando e spazzando la polvere che sopra di loro i secoli avevano accumulato, insieme alla retorica dei manuali e dei libri di testo che li rendevano (e li rendono tuttora) ostici e illeggibili a legioni di studenti. Liberati così dai paludamenti, dalle gualdrappe scolastiche, questi celebri e, in sostanza, sconosciuti personaggi tornano a vivere come uomini normali con le loro nevrosi e la loro ingenuità e con i vizi e le virtù di ogni umano ma con una vistosa eccezione, quella di aver pronunciato e scritto parole che hanno senso e valore per tutti, per ogni epoca, per ogni tempo. Ogni volta che il miracolo della poesia torna a manifestarsi, nota Vassalli, pare che sia per l'ultima volta anche se non è così. Certo il miracolo non è frequente ma si verificherà finché esisteranno le parole che uniscono a un qualcosa fuori dal loro mondo. Fin dai dai tempi di Omero, fino al «divino monello» Rimbaud, la poesia «trattiene» la vita, anzi è la vita. Proprio con il più antico poeta a cui sia stato dato un nome, Omero, si apre il romanzo di Vassalli: l'autore dell'Iliade e dell'Odissea, un cantore cieco in un tempo in cui la cecità era una condizione ideale per essere poeti, un cieco ossia un nessuno, un involucro vuoto di storie, un uomo che può essere Achille e Ettore, Polifemo e Penelope e tutti gli altri meravigliosi personaggi dei poemi e poi quell'Ulisse, che è la prima figura della letteratura occidentale, che rende narrabile un mondo che prima di lui non si poteva raccontare essendo dominato dalle forze della natura. Vassalli immagina e descrive la morte di Omero nella strada assolata piena di sassi e di polvere che era stata il palcoscenico della sua vita. È accompagnato da un ragazzo, Lica, che poi l'abbandona lasciandolo vagare in una terra ostile e pericolosa; cade, si rialza, cade ancora, poi vengono ad «assisterlo» i suoi personaggi, ma la sua fine è quella di uno dei tanti vecchi abbandonati del suo tempo e di tutti i tempi. Poi Qohélet, ossia il mitico autore dell'Ecclesiaste che, approssimativamente, si potrebbe anche chiamare l'uomo che parlava nelle assemblee, un poeta del tutto laico che ha anche il buon gusto di non negare l'esistenza di Dio (oggi diremmo un materialista o un illuminista). Da qui l'aspetto straordinario dei suoi versi che lo fanno vivere, dice Vassalli, anche fuori dalla Bibbia e da ogni tempo. Il «poeta» Qohélet è assai caro allo scrittore le cui tracce si trovano vistose nei suoi romanzi, così come Virgilio, l'autore dell'Eneide che Vassalli ha fatto «rivivere» nel suo racconto Un infinito numero.
Virgilio come poeta ufficiale dell'Impero romano prediletto da Augusto e autore delle Georgiche, un poema sull'ambiente naturale e sulla vita dei campi, che l'imperatore farà leggere pubblicamente ad Atella, nei dintorni di Napoli, davanti alla Corte, dallo stesso poeta e dal suo amico Mecenate, consacrando la fama del poco più che quarantenne Virgilio come poeta di Stato. Ma se si hanno ampie e dettagliate notizie sulla sua vita pubblica, poco si conosce, di quella privata. L'idea e il progetto dell'Eneide nascono ad Atella, durante la lettura delle Georgiche e da un progetto politico di Augusto che si proponeva di unire il mondo allora conosciuto. Ma ben presto il poeta si rende conto che l'imperatore è un tiranno e poi Virgilio è un cantore della natura, umbratile, malinconico, che non sarebbe riuscito a dare vita e risalto all'uomo nuovo romano destinato a governare il mondo e soprattutto a cambiarlo. Così il suo sogno svanisce mentre lui scrive l'Eneide, constatando che gli uomini non cambiano e anche di fronte a un'altra evidenza; dai buoni sentimenti e dalle buone intenzioni nasce soltanto una mediocre poesia. Il romanzo sulla parola di Vassalli approda poi a un poeta trovatore, Jaufré Rudel, che è l'inventore della poesia della distanza vista come «amore lontano», un sentimento completamente riflesso nelle parole. Della sua vita si sa pochissimo; sull'iniziatore della poesia moderna si possono narrare favole come già fecero tra gli altri, Haine, Rostand e il nostro Carducci. La pagine di Rudel sono tra le più belle di questo libro fino all'improbabile morte del grande poeta trovatore. Anche su François Villon sappiamo poco. Scampato alla forca, lui non crede di essere un poeta: poeti sono i grand'uomini come il professore Philippe de Vitry che lui si è divertito a mettere in burla per i suoi amici studenti della Sorbona, traducendo, scrive Vassalli, nel linguaggio delle cose reali, il suo celebre elogio del «vivere in libertà». Villon ha scritto versi per ridere e le sue poesie dicono della vita scapestrata e delle malefatte che lo portarono perfino a uccidere un prete in una rissa.
I sette poeti di Vassalli vanno a formare una narrazione dalla quale viene fuori un solo personaggio: la parola. Così è per gli ultimi mesi, a Napoli, di Giacomo Leopardi, con l'amicizia di Antonio Ranieri che poi la critica calunniò come poté: Ranieri che lo sottrasse al «borgo» di Recanati dove nacque e che odiò sopra ogni altra cosa, che lo protesse e curò fino alla morte, in un'amicizia vera e disinteressata che non fu capita né dai suoi familiari né dalla critica del tempo capitanata da Niccolò Tommaseo.
L'ultimo «personaggio» del romanzo è Arthur Rimbaud, la cui «stagione all'inferno» durò poco più di due anni che furono quelli del suo sodalizio con Verlaine. L'unico dio del quale gli uomini possono avere certezza, dice Vassalli, è il dio della parola che ogni tanto sceglie i poeti come suoi interlocutori. Nel caso del «divino monello» il rapporto fu breve e traumatico; a Rimbaud la poesia verrà «donata» come un lampo, come una «follia» che coinciderà con la sanguinosa stagione dell'adolescenza. Poi il più grande nostri dei poeti «contemporanei» sparirà non scrivendo più un verso. La sua metamorfosi sarà totale e perfino incomprensibile, da «veggente» si trasformerà in «ottuso». Non saprà mai d'aver scritto poesie sublimi che definirà «disgustose», d'essere stato «scelto» dal dio della parola come, probabilmente, l'ultimo dei suoi interlocutori.
Ernesto Caffo
La Provincia 30.5.05
Lo psicologo Ernesto Caffo, fondatore di «Telefono azzurro», analizza la dinamica di protezione che inevitabilmente scatta dopo ogni dramma «La famiglia non abbandonerà l'omicida, nessuno l'accusi per questo»
Ernesto Caffo
La famiglia di Maria Patrizio l'ha difesa avvalorando fino alla fine la tesi della rapina finita in tragedia per il piccolo Mirko. Ora sono proprio loro, i familiari della giovane mamma, ad aver bisogno di molto aiuto per accettare un dolore tanto grande. Lo psicologo Ernesto Caffo, fondatore di Telefono Azzurro, raggiunto al telefono analizza la dinamica di protezione che si sviluppata attorno alla mamma omicida. «In questo, come in tanti altri casi, quando il dolore di un lutto derivante da una situazione traumatica emerge si cerca di rimuoverlo - dice lo psicologo Caffo - È come se non lo si volesse vedere perché si ritiene che non sia possibile, si cerca di non portare alla ragione una serie di elementi che erano magari presenti già prima, ma che nessuno aveva avuto il coraggio o l'abilità di leggerli. Il lutto mette infatti in discussione anche il proprio comportamento nei confronti delle persone che stanno attorno. Ci si chiede: come mai non mi sono accorto che aveva problemi tanto seri?». La valenza del legame affettivo vince su qualsiasi altra considerazione: «nel dolore si ritiene - aggiunge Caffo - che gli elementi positivi del legame siano più importanti di tutto. Il legame in famiglia spesso è fatto di tanti affetti e ciò che vince è la paura di perdere la persona. Questo succede anche con i bambini maltrattati e gli adulti che subiscono violenza. C'è un legame che non si vuole in nessun modo perdere e spinge a negare l'evidenza». Ed è a questo punto che secondo Caffo la famiglia di Maria Patrizio ha bisogno di grande aiuto, non di sentirsi puntare l'indice per aver difeso la donna. «Alla famiglia di questa mamma bisogna dare anche tempo di elaborare la situazione, bisogna aiutarla a capire, sapendo che questo porta una profonda sofferenza e che, se non guidata, questa elaborazione rischia di essere fortemente distruttiva. Il percepire un dramma come sta avvenendo ora può fare saltare le protezioni, portare alla separazione o alla malattia mentale. Si mettono in gioco gli investimenti fatti sulla persona amata, il futuro». E non sarebbe solo dei parenti stretti la rimozione dell'evento traumatico, «anche i vicini di casa in parte vivono la stessa condizione, il negare, il non credere è anche un modo per tirarci fuori, per proteggere le nostre competenze sul fatto, inconsciamente per non voler riconoscere di non essersi accorti del disagio della persona che ha ucciso». E si arriva al disagio di Maria Patrizio: «Sappiamo che il disagio non porta a situazioni drammatiche improvvise, ci sono sempre segnali da raccogliere con molta attenzione, anche quando sono spie di momenti di crisi passeggera. Ciò che sarebbe importante fare sarebbe costruire una cultura della responsabilità della cura dell'altro, in una società come la nostra che è sempre più frammentata e ristretta. Dobbiamo fare in modo che cresca una maggiore solidarietà attorno alle persone e che si possa intervenire con aiuti adeguati e tempestivi». Per una madre che vive un momentaneo disagio può, secondo Caffo, essere molto importante avere persone a fianco che la aiutano, anche nei compiti più semplici. «Il poter trovare un aiuto in un momenti di difficoltà può servire come il parlare, è dove si parla molto poco che nascono i problemi, il silenzio di chi sta attorno alla persona in difficoltà è come scaricarsi di responsabilità». Ma i casi di depressione post partum sono tanti? «Ci sono dati dell'Organizzazione mondiale della sanità a dirlo, sono migliaia, vengono rilevati in ogni reparto di ostetricia, rilevati e magari non seguiti». Quindi in Italia non ci sarebbe bisogno di strutture di aiuto alle neomamme in crisi. «In gran parte degli ospedali italiani l'assistenza psichiatrica e psicologica adeguata c'è già, basta la sensibilità dell'ostetrica che quando si accorge di una mamma fragile, e ci si accorge, può chiedere un aiuto al collega psicologo. La mamma in difficoltà va supportata per il dopo, per quando torna a casa, e spesso solo per pochi giorni». Le depressioni per fortuna nella maggior parte dei casi non sfociano in omicidi «ma in atti di violenza sì, ci sono mamme che scottano i bambini mettendoli a fare il bagno nell'acqua troppo calda, o che li vestono poco quando fa freddo, sono tutti comportamenti legati all'inadeguatezza dell'essere genitore». Questa inadeguatezza deriva da molteplici fattori, se è vero che, come sostiene l'Istituto superiore di sanità, fare la mamma non è istintivo come si pensa ma: «è un'attività complessa che richiede l'apprendimento di molte tecniche e astuzie varie. Non deve essere un dramma se inizialmente si incontra qualche insuccesso». «La fragilità di una neomamma - conclude Caffo - non dipende dall'età, può essere acuita dal fatto che la persona è sola o vive la maternità in modo difficile, o che non riesce ad avere un buon rapporto con il partner. Il bambino a quel punto diventa un capro espiatorio, anche perché quando è piccolissimo è un oggetto d'amore che spesso non gratifica. Il passaggio dall'adulto al genitore non è naturale».
Lo psicologo Ernesto Caffo, fondatore di «Telefono azzurro», analizza la dinamica di protezione che inevitabilmente scatta dopo ogni dramma «La famiglia non abbandonerà l'omicida, nessuno l'accusi per questo»
Ernesto Caffo
La famiglia di Maria Patrizio l'ha difesa avvalorando fino alla fine la tesi della rapina finita in tragedia per il piccolo Mirko. Ora sono proprio loro, i familiari della giovane mamma, ad aver bisogno di molto aiuto per accettare un dolore tanto grande. Lo psicologo Ernesto Caffo, fondatore di Telefono Azzurro, raggiunto al telefono analizza la dinamica di protezione che si sviluppata attorno alla mamma omicida. «In questo, come in tanti altri casi, quando il dolore di un lutto derivante da una situazione traumatica emerge si cerca di rimuoverlo - dice lo psicologo Caffo - È come se non lo si volesse vedere perché si ritiene che non sia possibile, si cerca di non portare alla ragione una serie di elementi che erano magari presenti già prima, ma che nessuno aveva avuto il coraggio o l'abilità di leggerli. Il lutto mette infatti in discussione anche il proprio comportamento nei confronti delle persone che stanno attorno. Ci si chiede: come mai non mi sono accorto che aveva problemi tanto seri?». La valenza del legame affettivo vince su qualsiasi altra considerazione: «nel dolore si ritiene - aggiunge Caffo - che gli elementi positivi del legame siano più importanti di tutto. Il legame in famiglia spesso è fatto di tanti affetti e ciò che vince è la paura di perdere la persona. Questo succede anche con i bambini maltrattati e gli adulti che subiscono violenza. C'è un legame che non si vuole in nessun modo perdere e spinge a negare l'evidenza». Ed è a questo punto che secondo Caffo la famiglia di Maria Patrizio ha bisogno di grande aiuto, non di sentirsi puntare l'indice per aver difeso la donna. «Alla famiglia di questa mamma bisogna dare anche tempo di elaborare la situazione, bisogna aiutarla a capire, sapendo che questo porta una profonda sofferenza e che, se non guidata, questa elaborazione rischia di essere fortemente distruttiva. Il percepire un dramma come sta avvenendo ora può fare saltare le protezioni, portare alla separazione o alla malattia mentale. Si mettono in gioco gli investimenti fatti sulla persona amata, il futuro». E non sarebbe solo dei parenti stretti la rimozione dell'evento traumatico, «anche i vicini di casa in parte vivono la stessa condizione, il negare, il non credere è anche un modo per tirarci fuori, per proteggere le nostre competenze sul fatto, inconsciamente per non voler riconoscere di non essersi accorti del disagio della persona che ha ucciso». E si arriva al disagio di Maria Patrizio: «Sappiamo che il disagio non porta a situazioni drammatiche improvvise, ci sono sempre segnali da raccogliere con molta attenzione, anche quando sono spie di momenti di crisi passeggera. Ciò che sarebbe importante fare sarebbe costruire una cultura della responsabilità della cura dell'altro, in una società come la nostra che è sempre più frammentata e ristretta. Dobbiamo fare in modo che cresca una maggiore solidarietà attorno alle persone e che si possa intervenire con aiuti adeguati e tempestivi». Per una madre che vive un momentaneo disagio può, secondo Caffo, essere molto importante avere persone a fianco che la aiutano, anche nei compiti più semplici. «Il poter trovare un aiuto in un momenti di difficoltà può servire come il parlare, è dove si parla molto poco che nascono i problemi, il silenzio di chi sta attorno alla persona in difficoltà è come scaricarsi di responsabilità». Ma i casi di depressione post partum sono tanti? «Ci sono dati dell'Organizzazione mondiale della sanità a dirlo, sono migliaia, vengono rilevati in ogni reparto di ostetricia, rilevati e magari non seguiti». Quindi in Italia non ci sarebbe bisogno di strutture di aiuto alle neomamme in crisi. «In gran parte degli ospedali italiani l'assistenza psichiatrica e psicologica adeguata c'è già, basta la sensibilità dell'ostetrica che quando si accorge di una mamma fragile, e ci si accorge, può chiedere un aiuto al collega psicologo. La mamma in difficoltà va supportata per il dopo, per quando torna a casa, e spesso solo per pochi giorni». Le depressioni per fortuna nella maggior parte dei casi non sfociano in omicidi «ma in atti di violenza sì, ci sono mamme che scottano i bambini mettendoli a fare il bagno nell'acqua troppo calda, o che li vestono poco quando fa freddo, sono tutti comportamenti legati all'inadeguatezza dell'essere genitore». Questa inadeguatezza deriva da molteplici fattori, se è vero che, come sostiene l'Istituto superiore di sanità, fare la mamma non è istintivo come si pensa ma: «è un'attività complessa che richiede l'apprendimento di molte tecniche e astuzie varie. Non deve essere un dramma se inizialmente si incontra qualche insuccesso». «La fragilità di una neomamma - conclude Caffo - non dipende dall'età, può essere acuita dal fatto che la persona è sola o vive la maternità in modo difficile, o che non riesce ad avere un buon rapporto con il partner. Il bambino a quel punto diventa un capro espiatorio, anche perché quando è piccolissimo è un oggetto d'amore che spesso non gratifica. Il passaggio dall'adulto al genitore non è naturale».
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