Corriere della Sera 5.3.03
L’ex leader dell’autonomia ricorda anche l’esperienza del carcere. «Arezzo? Troppo doloroso parlarne»
I terroristi e le «masse»: nuovo libro di Toni Negri
Nel testo, frutto di un dialogo con una psicanalista francese, riflessioni intimiste, considerazioni sul terrorismo e sul movimento dei No global
Giuliano Gallo
ROMA - Diavolo o idolo? Cattivo maestro o grande filosofo? E’ passato un quarto di secolo, ma Toni Negri continua a dividere, a provocare polemiche come alla fine degli anni Settanta, quando venne arrestato come «ispiratore» delle Brigate Rosse. Delle quali era stato anche accusato di essere il capo. Il quotidiano cattolico Avvenire gli dedicava ieri un’intera pagina, una pagina pesante: «Una semina di parole che può far sbocciare la lotta», diceva il titolo. E poi cinque colonne di analisi semantica del suo libro più importante, Impero , più di 100 mila copie vendute in tutto il mondo. Nel quale, secondo Avvenire , «è possibile rintracciare i germi di una continuità semantica con la lotta armata, anche se non v’è mai un invito all’assassinio politico». Ma c’è un altro libro del professore padovano, non ancora arrivato in Italia, destinato a suscitare ulteriori polemiche: si intitola Du Retour, abécédaire biopolitique . Un lungo colloquio con la psicoanalista francese Anne Dufourmantelle, dal quale emerge un Negri quasi intimista, che racconta di suo padre che era stato tra i fondatori del partito comunista nel ’21, del suo rapporto con la preghiera, del suo amore per Venezia, dei suoi amici francesi. Ma anche delle Brigate Rosse, degli anni passati in carcere, dei No global.
Impero , osservava qualche mese fa il settimanale francese Le Nouvel Observateur, è diventato «il libretto rosso» dei militanti No global, e ai nuovi movimenti anti-imperialisti Negri dedica ampi spazi anche nel suo nuovo libro. Per lui il punto di svolta del movimento è stato Genova. Dove, scrive «c’è stata una guerra a bassa intensità che si è mescolata a una polizia a intensità molto alta». Genova secondo il professore ha rappresentato «il più alto punto di fascismo delle istituzioni: un fascismo implicito, organico». Ci siamo trovati «ai margini della guerra - scrive ancora Negri - e la guerra, di fatto, è arrivata. Da allora lo stato di guerra è permanente, le manifestazioni di pace passano per degli atti di tradimento, le proteste per atti di sovversione... Tutto è potenzialmente terrorismo». E qui il filosofo si ricollega a Impero , il libro che disegnava il volto di un nuovo potere sovranazionale, nel quale le élite di potere «decidono ma senza mai considerarsi responsabili a livello etico». La guerra «diventata il fondamento dell’Impero». E come possiamo lottare contro l’Impero? «Il movimento No global ci mostra il cammino dell’esodo, che vuol dire anche l’accerchiamento del potere da parte delle masse, interpreta la globalizzazione contro la guerra, si introduce e si interpone fra le parti belligeranti... Il movimento No global è in realtà perfettamente globale. Ma le masse riusciranno a portarci fuori dalla guerra?».
Suggestioni, domande senza risposta, ragionamenti aspri e difficili da interpretare. Sono comunque la lettura della realtà in movimento che Negri interpreta, usando le stesse chiavi di lettura che ha sempre usato. Così come lineare e conseguente è la ricostruzione che il professore fa degli esordi del terrorismo in Italia: una risposta al «terrorismo di Stato» iniziato con la strage di piazza Fontana del ’69 e proseguito con le altre stragi dei primi anni Settanta. «Conoscevo alcuni membri delle Br - ammette Negri -, ho seguito tutta la loro costituzione dall’interno, e ho avuto anche una certa simpatia per il movimento, all’inizio. Ma a un certo momento hanno cominciato a uccidere. Evidentemente non ero più d’accordo!». E oggi? Dei morti di oggi il professore non vuole nemmeno parlare. «E’ troppo doloroso», dice solamente.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
mercoledì 5 marzo 2003
Corriere della Sera, 5.3.03
Dopo gli studi sull’innamoramento, la psichiatra Donatella Marazziti ha individuato la base biologica di un altro sentimento
Siete gelosi? Ve lo dirà l’esame del sangue
Serena Zoli
Uno su dieci quando si innamora è «pazzo di gelosia», o quasi. Il dubbio che lei, o lui, tradisca lo martella, l'immagine del partner con un altro, o un'altra, non dà tregua, il sospetto si appunta sui minimi particolari, spesso travisandoli, l'allarme è continuo e doloroso. Doloroso come un'ossessione? Sì, o quasi, dipende dalla gradazione di questa «pazzia d'amore» risultata comunque «eccessiva» in una persona su dieci. Non poco. «Questi dati vanno presi con cautela - avverte la ricercatrice dell'Università di Pisa che ha compiuto l'indagine - vengono da un primo studio sull'argomento perciò lungi dal considerarli definitivi. Ma indicativi, sì». Tanto indicativi da essere stati accettati per la pubblicazione da una delle più autorevoli riviste internazionali del settore, Neuropsychobiology , nel numero di gennaio che però esce oggi. La firma è quella della psichiatra Donatella Marazziti che da qualche tempo ha scelto di indagare le vie del cuore su base biologica. Il che vuol dire spostarsi dal cuore al cervello, ai suoi miliardi di cellule (neuroni), di connessioni (sinapsi), di sostanze chimiche di collegamento (neurotrasmettitori). Indagandoli come substrato, come la materia in cui si «son scritti» quelli che percepiamo quali sentimenti: se occorre, con l'aiuto di macchine che «fotografano» il cervello in azione e, come la Pet, sono già in grado di distinguere e denunciare un sorriso finto da un sorriso genuino.
Vuol dire che le famose prove d'amore presto le fornirà un laboratorio? M'ami e non m'ami risolto con esami del sangue anziché sfogliando la margherita? La dottoressa Marazziti esplode in una franca risata, però lancia anche un malizioso: «E chi lo sa, un domani...». Per ora i suoi studi indiziari sull'amore, oltre che nei convegni di psichiatria e neuroscienze, li ha raccolti in un libro di divulgazione scientifica, La natura dell’amore , uscito l’anno scorso da Rizzoli. Adesso, ecco questa sua indagine mirata a una parte del coinvolgimento sentimentale, la gelosia, che secondo Honoré de Balzac è addirittura l' alter ego dell'amore e una «deliziosa passione». «Può esserlo - dice Donatella Marazziti -. È questione di proporzioni. La nostra ipotesi, del gruppo di Pisa intendo, elaborata dal professor Giovanni Cassano, è che tra normalità e patologia vi sia un susseguirsi di tonalità, uno "spettro" di sensazioni, emozioni di diversa intensità che, come lo "spettro della luce", vanno dal bianco - anzi, dagli sfumati - della normalità, si fa per dire, al nero della patologia più grave».
La distinzione dove si colloca?
«Difficile risposta. Ma come parametro si può prendere la funzionalità o no per la vita della persona. Atteniamoci alla gelosia. Come per l'innamoramento, ho considerato una somiglianza tra il pensiero geloso e il disturbo ossessivo-compulsivo, Doc diciamo in gergo scientifico. La gelosia, come pure l'innamoramento, è un'idea ricorrente e persistente al pari dell'idea ossessiva. E poiché sappiamo che nel malato di Doc c'è un’alterazione del sistema serotoninergico consistente in un minor numero di trasportatori (proteine) della serotonina, mi sono chiesta: perché non misuriamo questi trasportatori negli innamorati?».
E ha constatato una somiglianza, come riferisce nel suo libro. E per la gelosia?
«Abbiamo costruito un questionario ad hoc, distribuito a 400 studenti. Ne sono tornati compilati 250 e, di questi, 24 quindi pressoché il 10 per cento, hanno rivelato una gelosia marcata. E tratti coincidenti con quelli espressi da malati di Doc, coinvolti nella prova come gruppo di controllo. Ma l'esame decisivo è stato quello del sangue: nei 24 gelosi sottoposti a prelievo abbiamo trovato - che momento di grande soddisfazione! - un calo delle proteine trasportatrici della serotonina».
La sua grande soddisfazione in che consiste, alla fine?
«Intanto, era la conferma della mia ipotesi di lavoro. Ma davvero importante è il fatto che per la prima volta è stato dimostrato che può esistere un correlato biochimico alterato in un comportamento normale».
E' la riprova, pare, che gli stessi meccanismi sono sottesi alla normalità e alla patologia. E che, forse, è appunto solo questione di tonalità, come nell’idea di «spettro» della vostra scuola.
«Già, la natura non spreca, usa le stesse sostanze, come la serotonina e gli altri neurotrasmettitori, per tante funzioni, ma il risultato cambia a seconda dei recettori, dei neuroni, che questi vanno a colpire. Comunque la mia indagine ha avuto un secondo tempo. Un anno dopo abbiamo cercato i 24 ragazzi, ne abbiamo rintracciato 21 e all'esame del sangue di nuovo i valori della serotonina sono risultati alterati come precedentemente. A questo punto li abbiamo sottoposti ai questionari dello "spettro" per evidenziare se soffrivano di qualche disturbo psichiatrico sottosoglia».
Forse è meglio che spieghi questo termine.
«Torniamo all'immagine dello spettro. Si può essere affetti da depressione o panico od ossessività a un livello sfumato, che non arriva alla soglia clinica della vera patologia. Ebbene, 18 su 21 dei ragazzi che erano risultati molto gelosi hanno rivelato disturbi sottosoglia. E la loro gelosia dell'anno prima portava la venatura tipica del disturbo sottosoglia: gelosia per paura di restare solo nell'ansioso, per scarsa stima di sé nel tendenzialmente depresso e così via».
A partire dal Cervello emotivo di LeDoux, ormai le neuroscienze hanno imboccato la via dello studio dei sentimenti?
«È, anzi: sarebbe una delle strade maestre. Proprio perché il substrato risulta analogo tra normalità e malattia».
È un argine che è grave superare. Perlomeno alquanto rischioso. A che cosa mira la psichiatria con questi studi?
«A curare, eventualmente».
Curare l'amore, la gelosia?
«Sì, perché no? Quando questi sentimenti si rivelino dolorosi, insopportabili. Il nostro compito è lenire la sofferenza, migliorare la vita».
Fra quanto sarà possibile curare il mal d'amore?
«Purtroppo si studia sempre e soltanto la serotonina da oltre un decennio a questa parte. Ma sono almeno una trentina i neurotrasmettitori importanti».
Dopo l'innamoramento, dopo la gelosia, ha in mente di sottoporre all'esame del sangue un altro sentimento?
«Sì, l'attaccamento. Quel bel sentimento che ti fa stare vicino a un partner anche se non è più quell'essere meraviglioso che vedevi nell'innamoramento. È un sentimento pacato, dolce, alla base della stabilità della coppia ma anche del legame genitori-figli o delle relazioni con gli amici. Un sentimento "elegante": così lo definiscono i colleghi americani».
Dopo gli studi sull’innamoramento, la psichiatra Donatella Marazziti ha individuato la base biologica di un altro sentimento
Siete gelosi? Ve lo dirà l’esame del sangue
Serena Zoli
Uno su dieci quando si innamora è «pazzo di gelosia», o quasi. Il dubbio che lei, o lui, tradisca lo martella, l'immagine del partner con un altro, o un'altra, non dà tregua, il sospetto si appunta sui minimi particolari, spesso travisandoli, l'allarme è continuo e doloroso. Doloroso come un'ossessione? Sì, o quasi, dipende dalla gradazione di questa «pazzia d'amore» risultata comunque «eccessiva» in una persona su dieci. Non poco. «Questi dati vanno presi con cautela - avverte la ricercatrice dell'Università di Pisa che ha compiuto l'indagine - vengono da un primo studio sull'argomento perciò lungi dal considerarli definitivi. Ma indicativi, sì». Tanto indicativi da essere stati accettati per la pubblicazione da una delle più autorevoli riviste internazionali del settore, Neuropsychobiology , nel numero di gennaio che però esce oggi. La firma è quella della psichiatra Donatella Marazziti che da qualche tempo ha scelto di indagare le vie del cuore su base biologica. Il che vuol dire spostarsi dal cuore al cervello, ai suoi miliardi di cellule (neuroni), di connessioni (sinapsi), di sostanze chimiche di collegamento (neurotrasmettitori). Indagandoli come substrato, come la materia in cui si «son scritti» quelli che percepiamo quali sentimenti: se occorre, con l'aiuto di macchine che «fotografano» il cervello in azione e, come la Pet, sono già in grado di distinguere e denunciare un sorriso finto da un sorriso genuino.
Vuol dire che le famose prove d'amore presto le fornirà un laboratorio? M'ami e non m'ami risolto con esami del sangue anziché sfogliando la margherita? La dottoressa Marazziti esplode in una franca risata, però lancia anche un malizioso: «E chi lo sa, un domani...». Per ora i suoi studi indiziari sull'amore, oltre che nei convegni di psichiatria e neuroscienze, li ha raccolti in un libro di divulgazione scientifica, La natura dell’amore , uscito l’anno scorso da Rizzoli. Adesso, ecco questa sua indagine mirata a una parte del coinvolgimento sentimentale, la gelosia, che secondo Honoré de Balzac è addirittura l' alter ego dell'amore e una «deliziosa passione». «Può esserlo - dice Donatella Marazziti -. È questione di proporzioni. La nostra ipotesi, del gruppo di Pisa intendo, elaborata dal professor Giovanni Cassano, è che tra normalità e patologia vi sia un susseguirsi di tonalità, uno "spettro" di sensazioni, emozioni di diversa intensità che, come lo "spettro della luce", vanno dal bianco - anzi, dagli sfumati - della normalità, si fa per dire, al nero della patologia più grave».
La distinzione dove si colloca?
«Difficile risposta. Ma come parametro si può prendere la funzionalità o no per la vita della persona. Atteniamoci alla gelosia. Come per l'innamoramento, ho considerato una somiglianza tra il pensiero geloso e il disturbo ossessivo-compulsivo, Doc diciamo in gergo scientifico. La gelosia, come pure l'innamoramento, è un'idea ricorrente e persistente al pari dell'idea ossessiva. E poiché sappiamo che nel malato di Doc c'è un’alterazione del sistema serotoninergico consistente in un minor numero di trasportatori (proteine) della serotonina, mi sono chiesta: perché non misuriamo questi trasportatori negli innamorati?».
E ha constatato una somiglianza, come riferisce nel suo libro. E per la gelosia?
«Abbiamo costruito un questionario ad hoc, distribuito a 400 studenti. Ne sono tornati compilati 250 e, di questi, 24 quindi pressoché il 10 per cento, hanno rivelato una gelosia marcata. E tratti coincidenti con quelli espressi da malati di Doc, coinvolti nella prova come gruppo di controllo. Ma l'esame decisivo è stato quello del sangue: nei 24 gelosi sottoposti a prelievo abbiamo trovato - che momento di grande soddisfazione! - un calo delle proteine trasportatrici della serotonina».
La sua grande soddisfazione in che consiste, alla fine?
«Intanto, era la conferma della mia ipotesi di lavoro. Ma davvero importante è il fatto che per la prima volta è stato dimostrato che può esistere un correlato biochimico alterato in un comportamento normale».
E' la riprova, pare, che gli stessi meccanismi sono sottesi alla normalità e alla patologia. E che, forse, è appunto solo questione di tonalità, come nell’idea di «spettro» della vostra scuola.
«Già, la natura non spreca, usa le stesse sostanze, come la serotonina e gli altri neurotrasmettitori, per tante funzioni, ma il risultato cambia a seconda dei recettori, dei neuroni, che questi vanno a colpire. Comunque la mia indagine ha avuto un secondo tempo. Un anno dopo abbiamo cercato i 24 ragazzi, ne abbiamo rintracciato 21 e all'esame del sangue di nuovo i valori della serotonina sono risultati alterati come precedentemente. A questo punto li abbiamo sottoposti ai questionari dello "spettro" per evidenziare se soffrivano di qualche disturbo psichiatrico sottosoglia».
Forse è meglio che spieghi questo termine.
«Torniamo all'immagine dello spettro. Si può essere affetti da depressione o panico od ossessività a un livello sfumato, che non arriva alla soglia clinica della vera patologia. Ebbene, 18 su 21 dei ragazzi che erano risultati molto gelosi hanno rivelato disturbi sottosoglia. E la loro gelosia dell'anno prima portava la venatura tipica del disturbo sottosoglia: gelosia per paura di restare solo nell'ansioso, per scarsa stima di sé nel tendenzialmente depresso e così via».
A partire dal Cervello emotivo di LeDoux, ormai le neuroscienze hanno imboccato la via dello studio dei sentimenti?
«È, anzi: sarebbe una delle strade maestre. Proprio perché il substrato risulta analogo tra normalità e malattia».
È un argine che è grave superare. Perlomeno alquanto rischioso. A che cosa mira la psichiatria con questi studi?
«A curare, eventualmente».
Curare l'amore, la gelosia?
«Sì, perché no? Quando questi sentimenti si rivelino dolorosi, insopportabili. Il nostro compito è lenire la sofferenza, migliorare la vita».
Fra quanto sarà possibile curare il mal d'amore?
«Purtroppo si studia sempre e soltanto la serotonina da oltre un decennio a questa parte. Ma sono almeno una trentina i neurotrasmettitori importanti».
Dopo l'innamoramento, dopo la gelosia, ha in mente di sottoporre all'esame del sangue un altro sentimento?
«Sì, l'attaccamento. Quel bel sentimento che ti fa stare vicino a un partner anche se non è più quell'essere meraviglioso che vedevi nell'innamoramento. È un sentimento pacato, dolce, alla base della stabilità della coppia ma anche del legame genitori-figli o delle relazioni con gli amici. Un sentimento "elegante": così lo definiscono i colleghi americani».
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