venerdì 17 dicembre 2004

una terza area del linguaggio?

Le Scienze 16.12.04
Una terza area cerebrale del linguaggio
La regione di Geschwind è connessa con quelle di Broca e di Wernicke

Il network cerebrale del linguaggio sembra molto più complesso di quanto si credeva. Alcuni ricercatori hanno scoperto che una nuova area cerebrale è connessa alle due regioni già note.
Utilizzando una variante della risonanza magnetica (la DT-MRI), Marco Catani del King’s College di Londra e colleghi hanno identificato una regione densamente connessa alle classiche aree di Broca e di Wernicke, la cui presenza era già stata ipotizzata ma il cui legame con le regioni classiche era sconosciuto. Battezzata "regione di Geschwind", in onore del neurologo americano Norman Geschwind che ne aveva studiato l'importanza linguistica decenni or sono, l'area è stata descritta in un articolo pubblicato sul numero del 13 dicembre 2004 della rivista "Annals of Neurology".
Il linguaggio viene generato e interpretato nella corteccia, la copertura più esterna del cervello. Paul Broca e Carl Wernicke, neurologi del diciannovesimo secolo, avevano notato che un danno alle specifiche aree corticali che oggi portano il loro nome produceva disturbi nella produzione oppure nell'elaborazione del linguaggio, ma non entrambi. Si scoprì in seguito che un grande fascio di fibre nervose collegava le due aree.
Tuttavia, molti indizi suggerivano che anche altre aree cerebrali contribuissero all'elaborazione del linguaggio. Ora Catani e colleghi hanno scoperto un percorso separato che connette le aree di Broca e Wernicke attraverso una regione nel lobo parietale della corteccia, che Geschwind aveva descritto già negli anni sessanta.
Marco Catani, Derek K. Jones, Dominic H. Ffytche, "Perisylvian Language Networks of the Human Brain," Annals of Neurology, pubblicato online il 13 dicembre 2004 (DOI: 10.1002/ana.20319).
Marsel Mesulam, "Imaging Connectivity in the Human Cerebral Cortex: The Next Frontier?" Annals of Neurology, editoriale, (DOI: 10.1002/ana.20368).

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staminali

una segnalazione di Franco Pantalei

ANSA.IT
MEDICINA: POSSIBILE CENTUPLICARE LE STAMINALI DEL CERVELLO

ROMA - Centuplicare la produzione di cellule staminali del cervello adulto: e' quanto e' riuscito a fare il gruppo guidato da Stefano Bertuzzi, ricercatore dell'Istituto Telethon Dulbecco presso l'Istituto di Tecnologie Biomediche del Consiglio nazionale delle Ricerche (CNR) di Segrate (Milano).
La ricerca, pubblicata on line sul Journal of Neuroscience e finanziata anche dalla Fondazione Cariplo, e' stata condotta in collaborazione con Rossella Galli e Angela Gritti, dell' Istituto di ricerca sulle cellule staminali del San Raffaele di Milano, diretto da Angelo Vescovi.
Anche se tradurre questa scoperta in cure richiedera' ancora molti anni, la ricerca e' un passo molto importante verso la possibilita' di riparare lesioni cerebrali e malattie neurodegenerative, come quella di Alzheimer e il morbo di Parkinson. Le ricadute potrebbero essere molto importanti anche per la cura di alcuni tumori.
Si tratta di un passo avanti fondamentale, anche se ''non dobbiamo dimenticare che questa e' una ricerca di base e che siamo ancora lontani dal letto del paziente'', ha osservato Bertuzzi. Ma senza dubbio, ha aggiunto, ''siamo entrati nella stanza dei bottoni del cervello''. Il gene scoperto dal gruppo di Bertuzzi si chiama VAX1. Non e' il primo freno alle staminali del cervello finora scoperto, ma secondo i ricercatori e' indubbiamente il piu' potente.
Due anni fa era stato il gruppo di Angelo Vescovi a scoprire un altro freno biologico delle staminali adulte del cervello nel gene EMX2: quando il gene e' spento le cellule immature si moltiplicano piu' rapidamente, mentre quando e' acceso le cellule maturano e proliferano meno..
Spegnendo il gene VAX1, le cellule staminali del cervello adulto si moltiplicano 100 volte piu' velocemente del normale. ''E' una scoperta importante - ha osservato Bertuzzi - perche' adesso diventa possibile modulare il funzionamento di questo gene per produrre cellule staminali''.
La conferma dell'importanza del gene-freno e' venuta dall'esperimento condotto su cellule staminali del cervello di topi adulti geneticamente modificati in modo da non avere il gene VAX1. Coltivando in laboratorio queste cellule, i ricercatori hanno osservato che si moltiplicano con un ritmo cento volte superiore rispetto a quanto avverrebbe in condizioni normali. ''Con questo lavoro i ragazzi del mio gruppo, in particolare Jose' Miguel Soria, hanno dimostrato che VAX1 e' un potente ostacolo alla moltiplicazione delle cellule staminali del cervello adulte. Il risultato piu' sorprendente e' che in assenza di VAX1 le cellule proliferano 100 volte di piu'''.
Il gene-freno e' una vecchia conoscenza dei ricercatori. Lo stesso gruppo di Bertuzzi lo aveva individuato come il gene fondamentale che guida la maturazione delle cellule staminali del cervello durante lo sviluppo embrionale. ''Adesso abbiamo aggiunto un altro tassello importante - ha detto il ricercatore - perche' abbiamo scoperto che nel cervello adulto il gene VAX1 reprime la formazione delle cellule staminali''. In condizioni fisiologiche e' quindi un gene essenziale perche' nel cervello si trovi presente sempre lo stesso numero di staminali. Ma poterlo disattivare rende possibile avere a disposizioni grandissime quantita' di cellule staminali neurali da usare in future terapie.

Ansa.it
Telethon: possibile centuplicare staminali cervello
17/12/2004 - 13:44

(ANSA) - ROMA, 17 DIC - Centuplicare la produzione di cellule staminali del cervello: e' quanto e' riuscito a fare l'Istituto Telethon Dulbecco di Segrate (Milano). Anche se tradurre questa scoperta in cure richiedera' ancora molti anni, la ricerca e' un passo molto importante verso la possibilita' di riparare lesioni cerebrali e malattie neurodegenerative, come quella di Alzheimer e il morbo di Parkinson. Gli impieghi potrebbero essere molto importanti anche per la cura di alcuni tumori.
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Repubblica 16.12.04 - SUPPLEMENTO SALUTE

L'anno raccontato dai medici
Con le staminali nuove speranze
Le ricerche hanno aperto nuove prospettive di cura I grandi esperti tracciano un bilancio del 2004 con un occhio rivolto al futuro biotecnologico. Intervista a Claudio Bordignon
di Daniele Diena

Il 2004 è stato l'anno delle staminali. Da tempo grande promessa e poi graduale conquista, più volte annunciata attraverso le pubblicazioni dei primi successi della cosiddetta "ricerca di base", la cura con le staminali, le "madri" di tutte le cellule, ha fatto finalmente registrare i primi, attesissimi, risultati concreti sui pazienti. Da Milano a Francoforte, da Boston a Roma fino a Torino, sono numerosi i centri di sperimentazione clinica avanzata che hanno pubblicato le prime casistiche di ammalati delle patologie più gravi con "storie" di regressione della malattia, ottenuta con le staminali, osservate con "follow up" fino a 2 anni. Siamo insomma ad una svolta importante per la medicina, e non solo, che sta avendo riflessi significativi anche sull'economia e perfino sul tessuto industriale. Ne abbiamo parlato con chi è in prima linea su questa frontiera emergente della ricerca e della terapia, il professor Claudio Bordignon, direttore scientifico dell'Istituto San Raffaele, di Milano.
Un anno di importanti avanzamenti scientifici e di nuove prospettive mediche, in particolare per le patologie cardiache.
"Sì, diversi tipi di cellule staminali sono state impiantate nelle aree infartuate del muscolo cardiaco, con risultati alterni e peraltro non sempre soddisfacenti. Le staminali emopoietiche ed i mioblasti del muscolo scheletrico quando si iniettano nel cuore non paiono riuscire a fondersi con il tessuto circostante e a ricostruire correttamente il tessuto cardiaco. In molti casi hanno portato un miglioramento della funzione cardiaca e delle condizioni del paziente, probabilmente per un effetto pro-angiogenico (produzione di nuovi vasi) prodotta dall'impianto di cellule staminali".
La strada invece più proficua?
"Assai più promettenti sembrano gli studi su cellule staminali "specializzate" nella riparazione di vasi e cuore, come quelli svolti da Ziegler dell'ateneo di Francoforte sull'uso delle EPC (endothelial progenitor cells) in Europa e negli Usa dal professor Anversa e successivamente da Schneider sull'uso di cellule staminali endogene".
Che cosa è emerso?
"I risultati sugli animali sono molto promettenti e l'applicazione sull'uomo è attesa a breve. Più conclusivi sono stati i risultati di nuovi metodi per bloccare i disturbi del ritmo cardiaco: una nuova e rivoluzionaria tecnologia ablativa, messa a punto dal dottor Pappone, al San Raffaele, e pubblicata sul "New England Journal of Medicine", è divenuta uno standard terapeutico per il sistema sanitario americano".
Un altro settore d'applicazione delle staminali è quello delle malattie neurodegenerative: cosa è stato fatto?
"Dopo i risultati parzialmente deludenti di uno studio randomizzato di diversi centri Usa, riguardanti il trapianto di cellule fetali nel cervello di pazienti affetti da Parkinson, la ricerca si sta focalizzando su cellule staminali neurali: il gruppo di Fred Gage, con il supporto della società biotech Stem Cells, Inc. sta finalizzando una serie di studi per il trattamento di malattie neurodegenerative congenite ed acquisite (Parkinson e sclerosi multipla). In quest'ultimo settore anche l'Italia è all'avanguardia col gruppo del S. Raffaele (Gianvito Marino ed Angelo Vescovi)".
Queste ricerche stanno rivoluzionando l'industria?
"Direi che l'esempio della californiana Stem Cell Inc. è sintomatico: certe terapie fortemente innovative, come l'uso medico delle staminali, poco si addicono alle strutture di ricerca e di marketing della grande industria farmaceutica. Di conseguenza nuove società biotecnologiche con modelli di sviluppo fortemente innovativi si fanno strada negli Usa come in Europa. Anche in Italia stanno sviluppando modelli terapeutici innovativi (MolMed, Bioxell, Genextra)".
Il progresso di questo filone di ricerca è però frenato dall'acceso dibattito sulle fonti da cui è lecito ricavare le staminali. Tra i nodi da sciogliere c'è l'ammissibilità o meno dell'utilizzo delle embrionali, che sarebbero ovviamente le più appetibili da parte dei ricercatori perché in grado di trasformarsi in tutti i tessuti dell'organismo. In alcuni paesi, come la Corea del Sud, stanno producendo risultati scientificamente avanzati, anche tramite la clonazione, che sollevano però grandi quesiti etici. Come uscire dall'impasse? Secondo il Bordignon è urgente "armonizzare la legislazione in materia a livello sovranazionale".

sinistra
crisi nella GAD: rinviato il vertice
D'Alema vuole decidere lui,
ma Bertinotti non cede

aprileonline.info 17.12.04
Regionali, Prodi costretto a rinviare il vertice. È crisi acuta nella Gad
Alla fine Romano Prodi ha dovuto far saltare il vertice dalla Gad previsto per questa mattina.

Il giro di consultazioni svolto ieri è andato male. Musi lunghi all'uscita da piazza Santi Apostoli, dove Prodi ha il suo ufficio. Franco Marini preconizza: domani non si risolverà nulla. Infatti.
I termini della questione sono noti. Lo scoglio più grosso, insieme alle bizze mastelliane sulla Basilicata, rinfocolate dalla bagarre andata in scena in aula l'altro giorno, è rappresentato dalla Puglia, dove Rifondazione non molla su Nichi Vendola. Proprio ieri dalla Margherita sono trapelate ampie disponibilità ad accogliere la candidatura del deputato di Terlizzi. Ma D’Alema, che in una intervista pubblicata oggi sull’Espresso si autoassegna il compito di «paciere» dentro la coalizione, taglia corto: «si accontentino di un assessorato importante, la presidenza è impossibile». Frase che ha fatto infuriare lo stesso Vendola («basta ipocrisie, è lui che ha messo il veto contro di me») e Franco Giordano, capogruppo del Prc alla Camera, che segue per il suo partito le trattative: «D’Alema sbaglia e in ogni caso noi aspettiamo Prodi». Così il ruolo di paciere è tramontato prima di sorgere. E il Prc, malignamente, fa sapere che se fosse scelto Boccia e questi perdesse, a perdere in realtà sarebbe D’Alema. Che mette le mani avanti: «Nella mia Puglia la situazione è a rischio» per le liti tra i partiti. Come se lui non c’entrasse nulla.
Del colloquio intercorso ieri tra Piero Fassino e Prodi, invece, non trapela molto. «Hanno parlato del rinvio alle camere della riforma dell’ordinamento giudiziario, della finanziaria e dei problemi noti» dicono, abbottonatissimi, in casa Ds.
Dopo il segretario della Quercia, il leader della Gad ha visto Marini, che uscendo si è detto scettico sulle possibilità che il vertice che doveva tenersi oggi potesse sciogliere i nodi. A chi gli chiedeva se si troverà soluzione a tutte le incognite il “lupo marsicano” rispondeva laconico: «Non solo in grado di dirlo». Infine è stata la volta di Nicola Mancino.
A pranzo il professore aveva consultato i suoi (Bordon e Monaco) prima di immergersi nel tour de force. Dal quale non è uscita alcuna soluzione. Ciò che rimane in piedi, però, è il principio. Rifondazione e Udeur dovranno avere un candidato ciascuno. E per sottolineare la cosa, Mastella e Bertinotti facevano sapere che non si sarebbero presentati all'appuntamento. Un motivo in più per rinviare il vertice.
La mossa potrebbe (vorrebbe) servire a far decantare le tensioni. Lunedì si riuniranno i grandi elettori in Puglia (il margheritino Boccia può contare sui 2/3 dei voti). Non è un mistero che Prodi avrebbe già indicato Vendola se non fosse per i Ds, e che la Margherita è ben disposta a far fare un passo indietro al “suo” Boccia.
Ma a questo punto quando la Gad si riunirà a Roma, a Bari ci sarà già stata una pronuncia pesante che non potrà non avere ripercussioni sugli equilibri nazionali. Questo, insieme alla minaccia di Mastella di uscire dall'Alleanza, fa precipitare la situazione della coalizione.
Oramai è crisi dentro la Gad. Mentre la maggioranza fa a pezzi il Paese, l'unico baluardo che resiste pare essere il Colle.

sinistra
Fausto Bertinotti interviene ad un convegno su Rosa Luxemburg

L'Eco di Bergamo 17.12.04
Rosa Luxemburg, storia e leggenda
Convegno dedicato alla rivoluzionaria.
Bertinotti: il capitalismo è totalizzante
di Gianluigi Ravasio

Ricostruire e rileggere il pensiero e l'azione di Rosa Luxemburg per ritrovarne gli elementi di attualità e approfondire il valore delle sue idee in campo economico: ha preso il via ieri il convegno internazionale organizzato dal Dipartimento di Scienze economiche dell'Università di Bergamo sul pensiero di Rosa Luxemburg, polacca di famiglia ebraica, nata nel 1870; nel 1898 a Berlino aderì all'ala marxista antirevisionista del partito socialdemocratico, nel dicembre del 1918 contribuì a fondare il partito comunista tedesco; venne uccisa nel gennaio del 1919 dopo essere stata arrestata a seguito della rivolta spartachista berlinese.
I lavori di ieri si sono aperti con gli interventi di Riccardo Bellofiore, organizzatore del convegno, e di Paul Zarembka (Università di Buffalo, Usa); nel pomeriggio Edoarda Masi (Istituto orientale di Napoli) e Maria Grazia Meriggi (Università di Bergamo) hanno tratteggiato la figura di «Rosa Luxemburg: la donna, la rivoluzionaria». «Rosa Luxemburg - ha sottolineato Riccardo Bellofiore, illustrando le finalità del convegno in programma sino a domani - è stata oggetto di facili leggende; non se ne parlava da molto tempo. Nell'ultimo periodo, in presenza di un mondo completamente cambiato, ci si è rifatti a questa figura in un modo che non ha molto a che fare con lei. Occorre discutere scientificamente le sue opere economiche, vedere in che misura i suoi problemi sono attuali: la situazione di oggi ci porta ad interrogarci su queste problematiche. È importante prendere sul serio Rosa Luxemburg come economista, i problemi che si è posta si sono rivelati fecondi».
Nel pomeriggio di ieri sono intervenuti anche Fausto Bertinotti, segretario di Rifondazione comunista, e Gianni Rinaldini, segretario nazionale della Fiom-Cgil. «Rosa Luxemburg - ha rimarcato Bertinotti - ci propone un grande problema irrisolto che si affaccia nei tempi di crisi: ha indagato i problemi che si pongono quando lo sviluppo capitalistico non è più in grado di produrre progresso storico spalancando, in tal modo, il rischio della barbarie: in questo senso è attuale. Pensa la storia aperta a entrambe le soluzioni: da una parte la barbarie e dall'altra il socialismo, la possibilità di costruire una nuova società». Oggi, ha concluso Bertinotti, «viviamo una fase di radicale cambiamento: è finito il mondo diviso in due blocchi, nel processo di globalizzazione è in atto una riorganizzazione del capitalismo, assistiamo alla nascita di movimenti come espressione di soggettività nuove. Si impone una riorganizzazione della rappresentanza: siamo di fronte al tentativo del capitalismo di diventare totalizzante, ma di fronte a questa sfida dobbiamo tentare, avere l'ambizione di riprovarci».
C'è una ripresa dell'interesse rispetto al pensiero di Rosa Luxemburg, ha sottolineato Rinaldini, «perché siamo in una fase segnata dalla vittoria del liberismo su scala planetaria: la mia impressione è che siamo in un momento di esplicitazione radicale dell'idea di liberismo senza più alcun contrappeso. Per certi aspetti, pur se in un contesto diverso, siamo di fronte al riproporsi di problemi che si ponevano all'inizio del Novecento. Il rapporto con Rosa Luxemburg sta proprio nella questioni non chiuse che ci vengono riproposte». Il convegno prosegue oggi nella sede di via Salvecchio: in programma, tra l'altro, interventi, di studiosi cinesi, americani e inglesi. Domani mattina la conclusione: tra gli interventi previsti anche quello dell'economista Luigi Pasinetti.

ancora sulla malattia mentale fra le truppe Usa

il manifesto 17.12.04
IRAQ, I MARINES IMPAZZITI PER LA GUERRA
Tra i soldati Usa dilagano le malattie mentali, come non si vedeva dai tempi del Vietnam
G.S.

[...]
Sul fronte americano non è solo il numero dei morti in Iraq a preoccupare pur se la cifra dei caduti si avvicina ai 1.300, e non è poco. Anche se nemmeno lontanamente paragonabile agli oltre 100.000 morti iracheni. Quello che gli Stati Uniti stanno per affrontare e stanno già affrontando è un "diluvio di decine di migliaia di soldati che tornano dall'Iraq con seri problemi mentali provocati dallo stress e dalla carneficina della guerra, denunciano i veterani e sostengono i medici militari", è l'allarme lanciato ieri dal quotidiano The New York Times. Su questo terreno il paragone con il Vietnam non è solo una previsione catastrofica ma è già una realtà. Secondo uno studio dell'esercito, un soldato su sei in Iraq presenta sintomi da depressione acuta, forte ansia o disturbi mentali post-traumatici, ma, secondo alcuni esperti, la percentuale potrebbe anche aumentare a uno su tre, la stessa registrata in Vietnam. Siccome finora, secondo il Pentagono, circa un milione di soldati statunitensi hanno servito in Iraq e Afghanistan, il numero di coloro che avranno bisogno di assistenza psicologica per problemi mentali potrebbero superare i centomila.
"C'è un treno in arrivo pieno di gente che avrà bisogno di aiuto per i prossimi 35 anni", ha detto al quotidiano di New York Stephen L. Robinson ventennale veterano dell'esercito che è ora direttore esecutivo del National Gulf War Resource Center. A fine settembre erano già 885 soldati evacuati dall'Iraq per problemi psichiatrici. Quello che era previsto come un rapido e breve intervento in Iraq si è trasformato in un terreno di battaglia che non si era più visto dai tempi del Vietnam, soprattutto a Falluja: imboscate a ogni angolo di strada, impossibilità di distinguere tra iracheni amici o nemici.
Gli effetti sui soldati americani sono disastrosi ed erano stati proprio "i disturbi post-traumatici da stress". Nel suo plotone di 38 militari, 8 hanno divorziato mentre erano in Iraq o da quando sono tornati in febbraio, sostiene Rieckoff, mentre su una compagnia di 120 uno si è suicidato (anche il numero dei suicidi nell'esercito si è moltiplicato). Troppi veterani si danno all'alcool e non riescono più a trovare un lavoro dopo il rientro. "E' quando ritornano e trovano che le loro relazioni non sono normali e che non riescono a mantenere un lavoro che si rendono conto che hanno un problema".
Per prevenire questi effetti l'esercito ha dispiegato "unità per controllare lo stress". Ma Rieckhoff ha detto di averne sentito parlare solo dopo essere rientrato e di non avere mai visto queste "unità" finché comandava un plotone in Iraq.


carta.it 16.12.04

Migliaia i soldati Usa che necessitano di cure psicologiche


Il sistema sanitario americano potrebbe dover far fronte a decine di migliaia di soldati di rientro dall'Iraq con gravi problemi di salute mentale. A lanciare l'allarme sono legali dei veterani e medici militari, citati oggi dal New York Times.
Stando ai risultati di uno studio commissionato dall'esercito, un soldato su sei tornato dall'Iraq denuncia sintomi di forte depressione, ansia o disordine da stress post-traumatico, ma il rapporto potrebbe salire secondo alcuni esperti a uno su tre. Considerando che finora circa un milione di militari hanno prestato servizio o in Afghanistan o in Iraq, stando a cifre fornite dal Pentagono, circa centomila soldati potrebbero aver bisogno di terapie psicologiche. "Sta arrivando un intero convoglio pieno di gente che avrà bisogno di aiuto per i prossimi 35 anni'', ha dichiarato Stephen L. Robinson, direttore del National Gulf War Resource Center, autore di un rapporto per il Center for American Progress, gruppo di ricerca statunitense, sul bilancio psicologico della guerra. Alla situazione di fortissimo stress vissuta sul fronte - spiegano gli esperti - va inoltre aggiunto il fatto che in nessun conflitto recente i soldati hanno avuto così poche certezze sulla durata del loro dispiegamento.

evoluzione dei rituali religiosi: una ricerca

Le Scienze 16.12.2004
Rituali religiosi in Messico
Sono una conseguenza della complessità sociale

In uno studio pubblicato sulla rivista "Proceedings of the National Academy of Sciences", alcuni archeologi hanno dimostrato - per mezzo delle datazioni con il radiocarbonio - come i rituali religiosi e l'organizzazione sociale si siano evoluti di pari passo nella regione di Oaxaca, in Messico. Nonostante si ritenesse già che i rituali di tipo religioso fossero un risultato della complessità sociale, finora ne esistevano ben poche prove fisiche.
Per determinare la storia dell'evoluzione delle antiche pratiche religiose, Joyce Marcus e Kent Flannery dell'Università del Michigan hanno usato datazioni al radiocarbonio di antichi edifici rituali e di numerosi oggetti trovati nella regione. Hanno così scoperto che il più antico sito rituale, un'area sgombra che assomiglia ai terreni di danza dei nativi americani, risale a circa 8.600 anni or sono. A quel tempo, la popolazione era soprattutto nomade, e la maggior parte dei riti venivano eseguiti quando il massimo numero di famiglie si riuniva per parteciparvi.
Con l'avvento di una società basata sull'agricoltura, incentrata su villaggi permanenti, i ricercatori hanno scoperto che i riti e i templi divennero meno accessibili a tutti, riflettendo l'aumento dell'ingiustizia sociale. Inoltre, alcuni rituali cominciarono ad essere eseguiti in specifici periodi dell'anno. I risultati suggeriscono che i riti si siano evoluti insieme ai cambiamenti nell'organizzazione sociale, dai cacciatori-raccoglitori nomadi agli abitanti permanenti dei villaggi fino alle società stratificate.

Joyce Marcus, Kent V. Flannery, "The coevolution of ritual and society: New 14C dates from ancient Mexico". Proceedings of the National Academy of Sciences (2004).

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storia
nel quarantesimo della morte di Togliatti

La Stampa 17 Dicembre 2004
STUDI DISCUTIBILI E CONCLUSIONI AFFRETTATE DEMONIZZANO IL SEGRETARIO DEL PCI
Togliatti, tutto il male vien per nuocere
Angelo d'Orsi

AL recente convegno della Fondazione Gramsci su Palmiro Togliatti, come in estrema sintesi in un pezzo per questo giornale, ho raccontato la storia di una laurea presa dal futuro leader comunista non con Luigi Einaudi, come si era sempre creduto, ma con Achille Loria, il discusso «Marx italiano», messo sulla graticola da Engels, Croce, Labriola e infine Gramsci. Un frammento non irrilevante di una biografia - quella di Togliatti - che per tanti aspetti, nonostante l'opera di tanti studiosi, a cominciare da Aldo Agosti, è da arricchire e precisare. Lo scoop è stato subito «buttato in politica», e molti vi hanno letto una conferma dell'ormai proverbiale «doppiezza togliattiana», e v'è chi si è spinto ben oltre, addirittura tirando in campo Orwell, la cancellazione della memoria, la contraffazione della storia e via imprecando.
Del resto, sul finire di questo anno di celebrazioni (quarantesimo della morte), caratterizzato nell'insieme da valutazioni serene - emblematica la testimonianza intelligente e spiritosa come sempre di Giulio Andreotti a conclusione del Convegno di Roma - sulla figura complessa e sull'opera ricca di drammatici chiaroscuri, ma decisiva per la lotta al fascismo prima, per la creazione della Repubblica democratica poi, sono usciti due libri che, pur affrontando due personaggi diversi, il primo Giovanni Gentile, l'altro Antonio Gramsci, finiscono per essere accomunati da una conclusione, ferrea, quanto, documenti alla mano, insostenibile.
La conclusione cui arrivano entrambi gli autori, Francesco Perfetti per Gentile, Luigi Nieddu per Gramsci, è che Palmiro Togliatti fu un personaggio orribile, autore, per via diretta o indiretta, delle «peggio cose» della storia italiana.
Stando a Perfetti, allievo di De Felice, esponente di un revisionismo oltranzistico, attraverso la sua rivista Nuova Storia Contemporanea, l'esecuzione di Gentile a Firenze da parte di una squadra dei Gap fu «la pagina più nera della storia della resistenza (rigorosamente scritta sempre con la minuscola) italiana». Libro deliberatamente a tesi, quello di Perfetti, che pretende di dimostrare, che Gentile fu ucciso non per una motivazione politica che voleva eliminare, a torto o ragione, chi stava in quei giorni incitando gli italiani a schierarsi compatti con il Duce e il Führer, invitando a dare la caccia ai «traditori», bensì per una ignobile «ragion di partito»: ossia il PCI, che per meschini interessi di bottega, voleva eliminare quella grande figura di intellettuale, per potere poi facilmente dar corso a una strategia gramsciana tesa a costuire l'egemonia, in vista della conquista del potere. Una storiografia ipotetica, di cui a Roma ha dato prova, a mio vedere, anche Elena Aga Rossi, sostenendo che Togliatti nel ‘64, alla vigilia della morte, in Urss era andato non in vacanza ma per far cadere Kruscev!
Del progetto contro Gentile, manco a dirlo, fu Togliatti il "deus ex machina", con la stolta collaborazione degli azionisti, che pure erano figli (infedeli) di Gentile, e che in tal modo, stando alla elucubrazione di Perfetti, Togliatti metteva in crisi, egemonizzando e insieme ponendo da parte. E dunque quando, da Dionisotti a Bobbio, furono espressi giudizi severi su Gentile e la sua filosofia, o, nel caso di Dionisotti (che poi avrebbe opportunamente spiegato e contestualizzato quel giudizio), anche di approvazione della sua esecuzione, gli azionisti rivelarono, secondo Perfetti, la loro pochezza morale, nonché la loro stoltezza politica.
Togliatti è il grande nemico di un Antonio Gramsci che, nell'altro libro, Luigi Nieddu addita alla pubblica ignominia, sulla base delle supposizioni più azzardate - ma bisogna riconoscergli di aver fatto qualche utile precisazione, qua e là, nella biografia gramsciana, pur ignorando deliberatamente tanta parte della storiografia evidentemente a lui non gradita. Addirittura vede in Gramsci (per lui solo un modesto giornalista, che diventa leninista senza aver conosciuto Marx, attraverso Croce e Gentile…), un ingenuo, ma non incolpevole agente dei bolscevichi fin dall'immediato indomani della Grande guerra, mentre dell'Ordine Nuovo (1919-20) si avanza il sospetto che venisse pagato dal solito «oro di Mosca», e ciò quando la Russia era in piena guerra civile, assediata dalle potenze imperialistiche, con problemi gravissimi di sopravvivenza…! Il Comintern, sempre lui, insomma, a pagare quattro ragazzotti sconosciuti torinesi (Tasca, Terracini, Togliatti, oltre Gramsci), per farne propagatori della sovietica Falce e Martello…
Ma c'è un Gramsci due, quello in prigione, circondato da agenti del PCI e del KGB (a cominciare da sua moglie, dalle cognate, e da quel figuro di Piero Sraffa, presentato come una macchietta stalinista…), che Togliatti non vuole libero (sciocchezza più volte smentita in sede storica), e che preferisce lasciar morire, anzi accelerandone la fine, con la complicità di parenti e del solito Sraffa. Per poi, subito dopo la morte di Gramsci (per la quale l'autore sostanzialmente scagiona il regime fascista!) costruirne il mito sempre al fine di edificare l'egemonia a sua volta finalizzata alla conquista del potere.
Insomma, Togliatti un genio del male, che - come ha sostenuto Ernesto Galli della Loggia al convegno romano - occorre finalmente portare davanti al «tribunale dell'etica». Finora noi storici avevamo creduto che il solo tribunale per i seguaci di Clio fosse quello della Filologia e della Metodologia, ma prendiamo atto della novità.
Mi permetto soltanto, a questo punto, di suggerire a Galli della Loggia di reclutare Perfetti e Nieddu come giudici a latere.