lunedì 13 settembre 2004

sul DSM-IV, dal Washington Post

Carmillaonline.com
Il boom delle sindromi psichiatriche
di Sheila M. Rothman
(Docente presso la Columbia University. L'articolo è tratto dal Washington Post)

Negli anni recenti, i tipi di comportamenti etichettati come malattie sono aumentati drammaticamente. La psichiatria moderna è pronta a trattare non solo depressione e schizofrenia, ma anche malumore, ansia e bassa autostima, sentimenti che la maggior parte di noi ha provato ogni tanto.
In nessun luogo questo si è sviluppato tanto chiaramente quanto nelle edizioni del manuale degli psichiatri, “Manuale Statistico e Diagnostico dei Disordini Mentali”, o DSM. Pubblicato dall’American Psychiatric Association, la cui prima edizione uscí nel 1952, elencava 60 categorie, che includevano la schizofrenia, la paranoia e altre aberranti forme di comportamento. In contrasto, la quarta edizione o DSM-IV, che uscì tre anni fa, ha più di 350 classificazioni (secondo il mio conteggio). Molti dei disordini descritti hanno criteri che si sovrappongono e deboli manifestazioni, e ognuno può avere sei o più sintomi. Pazienti che ne manifestano tre o più ricevono la diagnosi.
Dato che molti di noi hanno sofferto di almeno alcuni dei sintomi che caratterizzano le nuove malattie, il loro status come disordini solleva la prospetiva di definirci tutti come mentalmente malati. La proliferazione delle categorie di malattie sta iniziando ad offuscare la distinzione tra malattia e salute, tra persone e pazienti. Offrendoci di sollevarci dai malumori e dalle ansie che sono parte della vita quotidiana, i medici non stanno procurando altro che le cure per dati disturbi: essi sono pronti ad aiutarci rendendoci meglio che normali.
Prendete una delle nuove malattie classificate, disordine dismorfico del corpo. BDD, così è conosciuto, è caratterizzato dal passare eccessivo tempo ad esaminare se stessi allo specchio e grande preoccupazione per la taglia e forma di una parte del corpo. Ma come si distingue la malatia dalla vanità? In un suo recete libro, “The Broken Mirror,” Katharine Phillips, una psichiatra della Brown University School of Medicine che contribuì a stabilire i criteri del BDD, dice che più di 5 milioni di Americani (sia uomini che donne) ne soffrono. Ella ammise che “la differenza tra BDD e normale preoccupazione per l’apparenza può essere ampiamente una questione di grado.” Ma questo non dissuase lei, né l’American Psychiatric Association, dal classificarlo come disordine - e includerlo nel DSM-IV.
Un’altra nuova malattia, disturbo disforico premestruale (PMDD) è caratterizzato da irritabilità, tensione, tristezza, letargia, mal di testa, e aumento di peso. Ciò che trasforma questi comuni sintomi in una malattia è la [comparsa] temporale; essi di solito compaiono una settimana prima delle mestruazioni e scompaiono alcuni giorni dopo. Ma sintomi irrilevanti e transitori sono veramente indicativi di una malattia? E’ una (imperfetta) correlazione tra un normale ritmo corporeo e cambiamenti ormonali terreno sufficiente per trovare una patologia? Con la PMDD la linea di separazione tra normale e anormale diviene ambigua.
I curatori del DSM-IV, si trovano a loro agio ad espandere ulteriormente le già vaste categorie dei disordini mentali. Sotto il titolo “Altre Condizioni Che Possono Essere Oggetto Di Attenzione Clinica,” essi includono “problema relazionale tra i partner, problema di relazione tra fratelli, declino cognitivo correlato all’età, lutto, problemi accademici, problema occupazionale, e problema della fase di vita.” Mettete tutte queste categorie insieme e la divisione tra persona e paziente virtualmente scompare.
Questo è anche evidente nell’espansione del gruppo di malattie associate con i noti disordini alimentari. Il primo ad essere ampiamente riconosciuto, negli anni ’70, fu l’anoressia nervosa, i cui sintomi includono una intensa paura di guadagnare peso, amenorrea (in assenza di mestruazioni) e distorsione dell’immagine corporea, così che chi ne soffre pensa di essere grasso anche quando è sottopeso ed emaciato. L’anoressia fu seguita nella letteratura psichiatrica degli anni ’80 dalla bulimia nervosa, che è caratterizzata da abbuffate o diete croniche e persistente preoccupazione per il peso e la forma del corpo. Entrambi questi disordini rappresentano reali problemi per chi ne soffre, ma dato chi i sintomi possono sporadicamente apparire in persone sane, gli psichiatri sono obbligati a valutare “il contesto in cui il mangiare avviene,” secondo il manuale. Ciò che è “eccessivo consumo in un tipico pasto può essere considerato normale durante una celebrazione o il pasto di una festa.”
Vedendolo sotto qualsiasi altro aspetto, saremmo tutti candidati al trattamento psichiatrico il giorno del Ringraziamento.
In un articolo del New England Journal of Medicine intitolato “Running: An Analog of Anorexia?” Alayne Yates scrive che la ginnastica di routine può essere sintomatica di malattia. Una ginnastica troppo regolarei ?o, in termini psichiatrici, compulsiva– indica un “disordine di attività,” scrive Yates. Il problema non è il momento del comportamento(come nel PMDD) o il suo contesto (come nella bulimia nervosa), ma il suo scopo. Nella visone di Yates, l’eccessivo correre per perdere peso o controllarlo diventa patologico. Il comportamento può ben essere incluso nella prossima edizione del DSM: la psichiatria è chiaramente preoccupata dalle piste [podistiche], dai centri di fitness e dalle palestere.
Il dissolvimento della distinzione tra normale e anormale che queste nuove patologie suggeriscono è ancora più evidente nelle cosiddette “Sindromi ombra.” Proposta da John Ratey, uno psichiatra della Harvard Medical School il cui nuovo libro ha preso come titolo il termine, le sindromi rappresentano disordini psicologici “nascosti”. Le persone che sono “un po’” depresse o ansiose o hanno un brutto temperamento soffrono di esse. Benchè Ratey ammetta che i sintomi sono troppo deboli per rientrare in quelli che egli chiama “Il blocco reale del DSM,” tuttavia argomenta che sentimenti di questo tipo sono un genuino rischio: “La vita della gente può andare in pezzi...a causa di piccoli problemi.”
Questa straordinaria espansione delle malattie mentali coincide con il nostro aumentato interesse per il determinismo biologico. In verità, le due tendenze si rinforzano reciprocamente. Questo nuovo settore suggerisce che le caratteristiche una volta credute individuali e fluide sono, al contrario, altamente fissate dentro di noi. Biologi e genetisti stanno invadendo il campo della psichiatria, ipotizzando che le deficienze biochimiche, sovente causate da difetti genetici, scatenino depressione, aggressione e ansia. Anche se essi ammettono che le dinamiche famigliari possono essere rilevanti, mettono con determinazione la natura al di sopra dell’allevamento.
Nella loro visione – e in contrasto con il pensiero psichiatrico prevalente nel 20° secolo – la biologia conta di più. Non sorprende che questo orientamento stia generando nell’opinione pubblica un tipo di ansia genetica che recenti rapporti sulla clonazione aggravano solamente. Forse siamo realmente pupazzi al termine di una stringa di DNA – il nostro temperamento, come la probabilità di sviluppare cancro, è definito dai nostri geni.
La spiegazione più comunemente invocata per spiegare molte forme di comportamento irregolare concerne carenze della serotonina, uno dei naturali componenti chimici del cervello che trasmette il segnale tra le cellule nervose. In “The Broken Mirror,” la Phillips correla il dismorfismo corporeo ad “una anormalità del sistema neurotrasmettitore serotoninico .” Altri psichiatri hanno attribuito i disordini alimentari e di ginnastica, sindromi ombra e anche il PMDD a bassi livelli di serotonina. Qali sono le loro prove? I pazienti si sentono meglio una volta che i loro livelli di serotonina vengono alzati con la somministrazione di medicine chiamate SSRI, di cui il Prozac è il più comunemente prescritto. Poichè i pazienti con BDD sembrano rispondere a questi farmaci, la Phillips insiste che “La chimica cerebrale disturbata gioca un ruolo importante” in questa malattia.
Il ragionamento della Phillips si acorda con le argomentazioni che Peter Kramer propone nel suo bestseller, “Listening to Prozac”. Entrambi gli psichiatri ricorrono allo stesso ragionamento circolare: L’esistenza di una malattia è confermata perchè il trattamento avvia una risposta farmacologica positiva. Una volta i medici diagnosticavano la malattia e poi ne scoprivano la cura. Ora sono gli interventi che li ispirano a creare nuove malattie.
Accettate per un momento che l’accresciuto interesse per il proprio aspetto o che un pò di depressione costituiscano una malattia. Da quale tipo di medico uno dovrebbe andare e per quale tipo di trattamento? Gli psichiatri insistono che malgrado le cause biologiche di queste malattie, esse sono comportamento-correlate e sono perciò trattate meglio con i metodi psichiatrici. Benchè alcuni psichiatri contano ancora sulla psicoterapia a lungo termine, il Prozac o uno dei suoi equivalenti farmaceutici sono essenziali alla pratica di quasi tutti. E pazienti con una ampia varietà di problemi sembrano migliorare con il Prozac. La loro “autostima e autofiducia salgono,” dichiara la Phillips. Essi “si sentono più normali.”
Anche se le prove cliniche che confermano affermazioni come quelle della Phillips scarseggiano, l’entusiasmo è rampante. Il Prozac e sostanze SSRI simili sono state con successo usate nel trattamento classico dei disordini compulsivi-ossessivi (chi ne soffre può non essere in grado di lasciare la casa perchè il lavaggio delle mani o del pavimento dura tutta la giornata). Da quando molte delle nuove malattie scoperte sono caratterizzate da questi comportamenti ripetitivi o preoccupazioni, molti psichiatri sono convinti che gli SSRI funzioneranno bene anche per loro. Nel frattempo, gli aneddoti sostituiscono i dati. Il Prozac, Kramer sostiene, “sembra dare sicurezza sociale ai timidi abituali, trasformare i sensibili in esuberanti, conferire agli introversi le abilità sociali del piazzista.” La Phillips contribuisce: ” Gli scienziati con me vogliono essere prudenti.” Comunque, “I miei trattamenti di molti pazienti, molti dei quali hanno sofferto per decenni e che hanno risposto bene -qualche volta miracolosamente- a questi approcci, mi induce a difenderli.”
Ma altri medici specialisti stanno competendo nel trattamento di queste nuove malattie. Persone preoccupate per un sintomo fisico (forse un abbassamento della palpebra o un naso grosso) possono rivolgersi ad uno psichiatra per chiedere perchè sono così preoccupate per la loro apparenza. O possono rivolgersi ad un chirurgo plastico, dermatologo, oftalmologo o otorinolaingoiatra per risolvere il problema.
La più importante differenza tra questi specialisti è la comprensione della causa della malattia. Per gli psichiatri la preoccupazione del paziente per l’apparente difetto, non il difetto in sè, è la causa del problema. L’obiettivo è eliminare l’ansia (sia con la psicoterapia o le droghe), non modificare il corpo. Per il chirurgo non è un problema di ossesioni psicologiche ma di tessuti e ossa. Entrambi gli specialisti possono offrire una soluzione, ed entrambi dichiarano una alta quota di successi.
Le nuove categorie di malattie stanno stanno spingendo i medici a minimizzare la differenza tra cura e miglioramento, tra il far ritornare i pazienti normali ed il farli diventare meglio del normale. Kramer ha coniato il termine “psicofarmacologia cosmetica” per descrivere il trattamento dei pazienti il cui comportamento è stato ottimizzato con il Prozac. E Ratey usa gli SSRI per trattare le “sindromi ombra” sul presupposto che: “Per molti di noi, la normalità non è sufficiente. Il fatto che un temperamento cupo o un carattere pessimistico possano essere normali non significa che sia facile conviverci. Ma, se i medici fanno del miglioramento il loro obiettivo, tutti noi diventiamo pazienti perenni. Con questo ragionamento, il criterio per andare in uno studio medico diventerà una visone esistenziale della persona che uno potrebbe essere.
Che esaltante compito per i medici, e che angosciante posizione per noi. Nessuno vuole rinunciare ai benefici terapeutici che la medicina del 21° secolo porterà; alcuni di noi possono persino guadagnare un margine di competitività attraverso il miglioramento. Ma come si possa raggiungere questi obiettivi senza perdere la propria identità o divenire pazienti perenni è una delle più grandi sfide messe in atto dalla nuova psichiatria, biologia e genetica. Dopo tutto, nessuno di noi vuole spendere la migliore parte della sua vita nella sala d’attesa del medico.

Traduzione a cura di Tristano Ajmone

due articoli dal web:
disagi psichici nei preadolescenti e invecchiamento

www.kataweb.it 12 settembre 2004
Milano, 16:43
Disturbi psichici per 1 bimbo su 10

Secondo l'Istituto Eugenio Medea di Milano, in Italia un preadolescente su dieci è affetto da disturbi psichici. Il dato è emerso dal progetto Prisma (progetto italiano di salute mentale adolescenti) finanziato dal ministero della Salute, i cui risultati sono stati resi noti mercoledì scorso.
Lo stesso istituto, in seguito ad alcuni articoli usciti sull'argomento, interviene per meglio precisare i vari aspetti dell'inchiesta. Questo anche per ribattere a certe valutazioni sui metodi seguiti nell'indagine e a ipotesi sulla possibilità che lo studio fosse indirizzato anche all'introduzione del Ritalin, un medicinale molto discusso.
Nel suo intervento, l'associazione "La Nostra Famiglia" dell'Istituto Medea di Milano, ricorda che "il nuovo padiglione che verrà inaugurato si occuperà di ricerca, cura e riabilitazione di bambini affetti da sindromi rare, esiti di traumi cranici, tumori cerebrali, malattie neuromuscolari e paralisi cerebrali infantili".
"Non si tratta - si sottolinea nella nota - di "padiglioni da inaugurare e scatole di medicinali da acquistare", ma di una struttura che accoglierà bimbi gravissimi, quei bambini sui quali, purtroppo, la società ha deciso di investire poco o niente. Da tener presente che il nostro Istituto Scientifico è il maggiore in Italia per quanto concerne la riabilitazione in età evolutiva".
L'intervento prosegue rilevando che "gli strumenti utilizzati per l'indagine non sono un'invenzione dei nostri ricercatori, ma si tratta della CBCL 6-18 (Achenbach & Rescorla, 2001) [Child Behaviour ChekList], in assoluto la checklist più utilizzata nel mondo per studi sul disagio psicologico in età evolutiva, e della DAWBA (Development and Well Being Assessment), intervista semi-strutturata preparata dal Prof. Goodman, ricercatore del gruppo di maggiori epidemiologi inglesi (Rutter)".
"Le famiglie "campione" - continua la nota - non sono state irretite da "banditori di mercato": c'è stato un primo contatto dei nostri ricercatori con le scuole, che erano ovviamente libere di accettare o meno la proposta di indagine. Sono seguiti poi due diversi step con le famiglie disponibili a farsi intervistare: anche qui c'è stata, naturalmente, la piena libertà di accettare o abbandonare lo screening in ogni diversa fase".
L'intervento contesta quindi la tesi "preconcetta" secondo cui la ricerca sia stata effettuata per introdurre il Ritalin in Italia, rilevando che così facendo si manipolano i risultati dell'indagine, confondendo ansia, depressione e adhd: "Se il totale dei disturbi ammonta a circa il 9 per cento, l'adhd si attesta sul 2 per cento. I dati in questo senso sono nettamente inferiori alla media europea e americana: quale ricercatore in malafede andrebbe mai contro l'aspettativa stessa della sua ricerca?".
Nel suo intervento l'Istituto sollecita a non confondere "i bambini affetti da adhd con i bambini "distratti e a volte irrequieti": una diagnosi corretta, invece, differenzia quelli che sono "semplici" problemi di attenzione o di irrequietezza (la sindrome del bambino "pierino") dalla vera e propria malattia che si presenta con un corteo di sintomi ben identificabile".

Yahoo!Salute lunedì 13 settembre 2004, Il Pensiero Scientifico Editore
L'ottimismo rallenta l'invecchiamento

L'ottimismo e una visione positiva della vecchiaia, scevra di idee stereotipate che rimandino alla terza età come a un periodo di generale declino, sono linfa vitale sia per la mente che per il corpo aiutando entrambi a reggere bene il peso degli anni.
Lo hanno dimostrato due studi indipendenti entrambi apparsi questo mese sulla rivista Psychology and Aging pubblicata dalla American Psichology Association (APA).
Il fisico è mantenuto intatto da una visione ottimistica della vita secondo i risultati della prima indagine svolta dal team coordinato da Glenn Ostir della Università del Texas Medical Branch presso Galveston. La loro analisi ha infatti provato che il rischio di fragilità e infermità fisica in tarda età è tanto più elevato quanto meno ottimistica è la visione della vita e del futuro dell'individuo.
La mente, in particolare la memoria, è stata oggetto invece dell'altra indagine intrapresa dai ricercatori della North Carolina State University. Le performance dimostrate nello svolgimento di test cognitivi sono ridotte quando nella testa delle persone hanno messo forti radici idee negative della vecchiaia, frutto di stereotipi e luoghi comuni, ha rilevato il team-leader di questo studio Thomas Hess.
L'analisi svolta presso l'ateneo texano è durata sette anni durante i quali gli esperti hanno monitorato costantemente la salute fisica di un gruppo di 1558 adulti quantificando il suo declino negli anni. È vero che complessivamente vi è stato nei sette anni un aumento dell'incidenza di infermità, pari a quasi 8 punti percentuale. Ma i ricercatori hanno posto attenzione al grado di infermità o più semplicemente debolezza fisica di ciascun volontario constatando molte differenze individuali: il livello di infermità cresceva differentemente in base alle emozioni dominanti el singolo.
L'infermità, hanno precisato gli esperti, era misurata con una batteria di test fisici tra cui la misura della velocità nel cammino, della forza con cui si afferrano gli oggetti, della perdita di peso e dell'affaticamento. Invece la predisposizione ottimistica e non del loro stato d'animo era quantificata sottoponendo i volontari a una serie di questionari settimanali. A ogni individuo campione era stato chiesto di annotare scrupolosamente quante volte nell'arco dell'ultima settimana la sua mente era stata sfiorata da pensieri o frasi come "non sono da meno degli altri", "vedo il futuro con ottimismo", "mi godo la vita", "sono felice". Confrontando le misure di infermità e i livelli di ottimismo è emerso che più gli individui erano pervasi da emozioni positive minore era il grado di infermità individuale accumulata negli anni. Il rischio di infermità diminuiva del 3 percento per ogni "unità" in più sulla scala dell'ottimismo.
Nella seconda indagine i ricercatori hanno proposto un gioco di memoria a quasi 200 persone in due gruppi di eta', 17-35 e 57-82 anni. I volontari durante gli esercizi erano esposti a serie di parole con connotazione positiva o negativa ma tutte legate a concetti stereotipati di invecchiamento, per esempio invecchiamento come sinonimo di nervosismo, affaticamento, scontrosità oppure di saggezza e acume. Le loro performance mnemoniche venivano misurate con giochi di parole. Il gruppo dei più anziani mostrava performance mnemoniche ridotte quando era sotto lo stimolo di vocaboli che rimandavano a un'accezione negativa degli anni d'oro. Invece giovani e anziani avevano performance comparabili quando erano esposti a vocaboli dall'accezione positiva.
L'invecchiamento è un processo complesso dietro il quale sicuramente si muovono le fila di molti fattori ereditari e ambientali, hanno ricordato gli scienziati. Ma entrambi gli studi mettono l'accento sulla possibilità offerta a tutti noi di ritardare il decorso di questo processo facendo proprio un senso della vita intriso di ottimismo. È difficile per ora capire quali siano i passaggi molecolari, di certo molti e complicati, di raccordo tra età e umore, hanno concluso gli esperti, ma molte ricerche in precedenza hanno dimostrato come il tono dell'umore incida sul sistema immunitario e su altri meccanismi biologici critici per il nostro benessere.

Bibliografia. Ostir G, Ottenbacher K, Markides K. Onset of frailty in older adults and the protective role of positive affect". Psychology and Aging 2004; Vol. 19, 3.
Hess T, Hinson J, Staham J. Explicit and implicit stereotype activation effects on memory: do age and awareness moderate the impact of priming? Psychology and Aging, 2004; Vol. 19, 3


preti

Repubblica 13.9.04
Boston

Usa, pedofilia: oltre 100 nuove denunce per la diocesi

Dopo lo scandalo pedofilia infuriato sulla Chiesa cattolica Usa lo scorso anno, i vertici della diocesi di Boston, tra le più popolose comunità cattoliche d'America, si trovano a dover fronteggiare almeno altre 140 nuove denunce di molestie sessuali. La notizia appare oggi sul Boston Globe. I casi risalgono agli anni Cinquanta e Sessanta e i religiosi coinvolti sono tutti, tranne uno, protagonisti dello scandalo già venuto alla luce. Nel 2003 la diocesi aveva fatto fronte a 541 denunce di molestie pagando 85 milioni di dollari alle vittime dei sacerdoti pedofili. Stavolta però, secondo il 'Globe', la Chiesa di Boston non può permettersi di pagare.

una civiltà più antica delle Piramidi
sotto il lago Titicaca

L'Arena 12.9.04
«Ho trovato la città sommersa»
Un veronese ha partecipato alla spedizione in America Latina che nelle profondità del lago Titicaca ha individuato le tracce di un’antica civiltà. Fra cui uno straordinario idolo d’oro
«Volevamo provare che migliaia di anni fa l’acqua era molto più bassa e gran parte degli attuali fondali era emersa», dice Paolo Costa. «Il sogno? Far affiorare palazzi, case, statue»
Sott’acqua muri, strade, oggetti: un’Atlantide più antica delle Piramidi

di Bonifacio Pignatti

Un idolo d’oro, una civiltà sepolta sotto il lago navigabile più alto del mondo, isole sommerse, tracce di sacrifici umani, resti di manufatti più antichi delle Piramidi d’Egitto, perfino una parentela con i misteri di Atlantide, il richiamo al mitico Eldorado. Non sono gli ingredienti di una nuova puntata di Indiana Jones o il frutto della immaginifica vena dello scrittore Wilbur Smith. «È una delle più importanti scoperte archeologiche degli ultimi anni. Ed è stata un’emozione grandissima avervi partecipato da protagonista».
Parola di Paolo Costa, 32 anni di Zevio, di mestiere programmatore informatico all’Autogerma e per un mese all’anno - quello delle ferie di agosto - esploratore, speleologo e archeologo. Tutti gli anni così: aspetta in gloria l’estate non per godersi il mare o la montagna ma per calarsi in panni diventati la sua seconda pelle dal 1995, anno di iscrizione al gruppo speleologico di Montecchia di Crosara di cui è presidente lo zio Giovanni Confente, insomma una «malattia» di famiglia. Da allora la routine sono le escursioni e l’assistenza all’attività paleontologica di Bolca, la passione e il brivido sono le spedizioni in America Latina.
Paolo Costa da qualche giorno è tornato dalla Bolivia. Dove proprio con Giovanni Confente ha partecipato alla straordinaria spedizione sul lago Titicaca organizzata dall’associazione lecchese Akakor Geographical Exploring, una onlus nata nel 1992 per impulso del presidente Lorenzo Epis e lo slancio di un gruppo di speleologi allora quasi dilettanti e oggi ormai collaudati professionisti dell’avventura richiesti in mezzo mondo. «Ci siamo conosciuti qualche anno fa a un convegno», dice Costa, «e da allora partecipiamo alle loro spedizioni. Ciascuno si paga il viaggio, ma non basta: i costi elevati di materiali e trasporti - la missione sul Titicaca è costata 200 mila euro - richiedono la partecipazione di sponsor e l’appoggio di aziende ed enti pubblici».
Ascoltiamo il racconto di Paolo Costa: «Lo scopo della spedizione era provare una teoria formulata da Akakor. Dopo due esplorazioni precedenti, l’associazione è convinta che fino a 5-8 mila anni fa il livello del lago Titicaca fosse molto più basso, almeno 100 metri meno dell’attuale. Dunque il nostro obiettivo era scoprire basamenti, muri, monoliti sommersi a testimonianza del fatto che a quelle profondità un tempo non c’era acqua ma vita sociale. Nella speranza, ovviamente, che fondali un tempo emersi restituissero resti delle antichissime civiltà precedenti al periodo Incas - dal 500 al 1500 dopo Cristo - e stanziate nell’area del lago fin da 60 mila anni prima di Cristo, per esempio i Tiwanaku di cui già si conoscono vestigia terrestri».
Teoria affascinante, guardata con sospetto da gran parte dell’ establishment scientifico sudamericano, a maggior ragione da quando un inglese, Jim Allen, s’è fissato che proprio il Titicaca nasconda negli abissi la verità sulla celebre leggenda di Atlantide. Il risultato è che le due spedizioni di preparazione, nel 2000 e 2002, erano state accompagnate da non poche polemiche e in parte guastate dall’avversità dei campesinos locali per l’intrusione di stranieri su quelle montagne incantate ancora circonfuse da un’aura di sacralità. «Diversamente quest’anno», dice Costa, «non ci sono stati problemi con gli abitanti dei villaggi perchè abbiamo accettato di partecipare a riti di purificazione. Evitato il sacrilegio e convinti loro che non avremmo rubato nulla, abbiamo potuto lavorare bene».
La missione di quest’anno è stata seguita dagli archeologi boliviani del ministero della Cultura e da uno studioso brasiliano dell’Università di San Paolo, a differenza di altri loro colleghi disposti a dare credito scientifico alla «scommessa» di Akakor. Scommessa vincente, alla fine. «Abbiamo fatto due scoperte importanti, sott’acqua: l’isola sommersa Wilakota (“lago di sangue”), scomparsa ma testimoniata e tramandata da cronache spagnole dei conquistadores, e un’altra isola sulla quale nell’antichità si celebravano sacrifici umani di bimbi, anche questa tuttora presente nella memoria collettiva dei locali. In una grotta semisommersa sono stati ritrovati perfino i solchi lasciati dalla lama sulla roccia usata dal sacerdote per affilare il coltello. Nelle vicinanze sono comparsi vasi di tipo amazzonico, segno che gli antichi popoli venivano dalla foresta sulle Ande per compiere sacrifici. S’è capito che anche la celebre Isola del Sole, sacra agli Incas e sede del campo base della spedizione, in passato era una penisola. E che probabilmente sia quella sia altre isole sacre vanno cercate più in basso e non corrispondono a quelle indentificate attualmente. Insomma, se i riscontri scientifici daranno conferma dei rilevamenti compiuti da Akakor, ci sarà da riscrivere una parte dei libri di storia andina».
Ma l’emozione più grande dei 20 giorni di missione è arrivata subito, alla prima esplorazione. «A 81 metri di profondità abbiamo filmato qualcosa che brillava. Rivedendo le immagini, si trattava chiaramente di un idolo d’oro antropomorfo. Gli archeologi ne hanno fissato le probabili misure: 40-60 centimetri di altezza, 30 chili di peso. È incastonato nella roccia, segno che non è stato portato al largo dalle correnti. E segno, forse, che lì sotto si nascondono le vestigia di un’antica civiltà sommersa, una civiltà che potrebbe risalire a 5-10 mila anni fa, più antica delle Piramidi. Se laggiù ci fosse una città con palazzi, case, statue... È il nostro sogno, il sogno di ogni archeologo».
Il sito dell’idolo d’oro è stato tenuto segreto, per evitare le incursioni di saccheggiatori attirati dal miraggio dell’Eldorado e il rischio che qualche avventuriero provi a immergersi a quelle pericolose e gelide profondità. A 4000 metri di altitudine e con 11 gradi di temperatura superficiale dell’acqua non si scherza. Per questo la spedizione era stata fornita da un ente pubblico brasiliano di alcuni robot subacquei con telecamere (Rov) che hanno potuto riprendere i fondali alle quote non raggiungibili dalle squadre di immersione di Akakor. A 100 metri hanno rivelato l’esistenza di un muro di contenimento che ha ulteriormente suffragato la teoria dell’innalzamentro del livello del lago. «È lontano dalla costa, quindi non è caduto in acqua. Prova che quelle profondità una volta erano all’asciutto», dice Costa. Il quale ha fatto parte di una delle squadre incaricate di effettuare rilievi batimetrici con l’ecosonda, anche in questo caso con risultati oltre le attese, se è vero che sono stati rilevati percorsi subacquei ritenuti tracce di antiche strade in superficie».
Isole, muri, idoli sommersi... Alla conferenza stampa tenuta a La Paz al termine della spedizione i giornalisti non chiedevano che di Atlantide, la misteriosa civiltà sommersa. Era quello l’obiettivo di Akakor? «Guarda caso qualche giorno fa La7 ha trasmesso un documentario che illustrava la teoria di Jim Allen e utilizzava nostre immagini di spedizioni precedenti», dice Costa. «Ma le nostre ricerche con Atlantide non hanno nulla a che fare, e in Bolivia l’abbiamo spiegato».
Sui fondali del lago Titicaca la spedizione ha recuperato una cinquantina di oggetti - vasellame, soprattutto - ora depositati al museo di La Paz, dove veranno esaminati dagli studiosi locali. «Per i risultati scientifici della missione», dice Costa, «si dovrà attendere qualche mese, dopo che anche noi avremo passato in rassegna il nostro materiale, 35 ore di filmati subacquei, 5.000 foto digitali, chilometri di rilievi batimetrici».
La missione darà lavoro anche ai naturalisti. È stata la prima occasione di esplorare le acque del Titicaca dopo le immersioni del batiscafo di Jacques Cousteau nel 1968. «Ma mentre l’esploratore il francese era sceso solo fino a 60 metri», dice ancora Costa, «noi a 110 metri di profondità abbiamo fotografato pesci di una specie probabilmente non classificata, e enormi branchi di micro-organismi tipo plancton che i locali chiamano concha e che finora non sono mai stati studiati. Ne abbiamo recuperati campioni, saranno esaminati in Brasile».
E ora, Paolo Costa? «Forse di questa spedizione si farà un libro. Per quanto mi riguarda, me ne sto buono al lavoro per un anno e l’estate prossima si riparte. Dove? Il campo di ricerca preferito è la regione andina, ma chissà che in futuro...»

L’obiettivo della missione
A quasi 4.000 metri di altitudine da sempre sacro ai popoli andini

A 3.812 metri sul livello del mare, il Titicaca è il lago navigabile a più alta quota nel mondo. Esteso per 8.400 chilometri quadrati, si allunga fra la Bolivia e il Perù ed è grande quanto l’Umbria. La lunghezza massima è di 176 chilometri, la larghezza 70. È un lago profondo, con punte massime intorno ai 300 metri, e dalla notte dei tempi le sue rive sono abitate da popolazioni indigene che lo considerano sacro. Delle sue 36 isole le più famose sono l’Isal del Sol e l’Isla de la Luna, che secondo la mitologia degli Incas erano il luogo della creazione. Più che un lago unico, il Titicaca si presenta come due laghi congiunti dallo stretto di Tiquina: il Lago Mayor (in dialetto quechua «Chuchuito») è a nord e contiene le isole sacre; il Lago Minor («Huinamarca») è a sud e contiene diversi isolotti. L’acqua è dappertutto di un azzurro puro e splendente.
A portare la missione di Akakor sul Titicaca è la convinzione che sulle sue rive, ma anche nei fondali un tempo emersi, fossero fiorite raffinate civiltà preincaiche. Non solo la civiltà Tiwanaco che ha dato il nome alla missione - i precursori degli Incas vissuti sulle Ande dal 1500 avanti Cristo al 1172 della nostra era - ma anche popoli più antichi, risalenti a 5-10 mila anni prima di Cristo.

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l'arte preistorica

Il Giornale di Brescia 12.9.04
L’arte preistorica è il più grande archivio dell’epopea umana
Nella psiche degli antenati

Pubblichiamo uno stralcio della prolusione del fondatore e direttore del Centro camuno di Studi preistorici, creato 40 anni fa, al XXI Simposio internazionale di Valcamonica sull’arte preistorica e tribale. Come abbiamo riferito ieri, il prof. Emmanuel Anati ha anche ipotizzato una lingua comune a tutti i popoli preistorici del pianeta formata da un «alfabeto» di 28 ideogrammi.
Emmanuel Anati

Come consuetudine, i Simposi di Valcamonica propongono nuovi orizzonti, non si limitano a decantare il passato e non sono teatri per esibire erudizione e nozionismo. Anche quest’anno esploriamo territori vergini e molto di inedito sarà detto. Già lo vediamo dai testi delle comunicazioni. Lo studio dell’arte preistorica e tribale sta raggiungendo nuove frontiere. Grazie all’arte si ricostruiscono inediti capitoli di storia dell’uomo, si scoprono le sue vicende emotive, concettuali ed esistenziali. L’arte rivela la psiche di antenati vissuti migliaia di anni fa. L’arte rivela anche le remote origini della religione e del pensiero filosofico. L’arte ci mostra alcuni meccanismi del sistema cognitivo della mente umana nel corso dei millenni. Tutto ciò da un nuovo spessore al nostro bagaglio culturale. Ed è in tale ottica che accogliamo cultori di discipline diverse. Il XXI Simposio Internazionale di Valcamonica apre un nuovo capitolo nella storia della ricerca dell’arte preistorica e tribale, nuove prospettive vengono dalla cooperazione tra archeologia, antropologia e storia dell’arte, con filosofia, semiotica, psicologia, psichiatria, storia delle religioni e storia culturale dell’uomo. Si tende ad una visione globale della cultura e dell’essenza stessa dello spirito della nostra specie, fin da quando i nostri antenati sono definiti Homo sapiens ed hanno cominciato a produrre arte. 50.000 anni di storia dell’umanità prendono una nuova dimensione grazie a questa sinergia innovativa ed alle sintesi che ne derivano... Il 1° Simposio di Valcamonica del 1968, segnò la presenza dell’arte rupestre camuna nella cultura mondiale, aprì la strada che condusse al riconoscimento dell’arte rupestre della Valcamonica come primo titolo italiano nella lista del Patrimonio mondiale dell’Unesco. Ma anche e soprattutto si concepirono allora, in un comune impegno, le linee e gli orizzonti della ricerca sulle origini dell’arte e dell’intelletto umano. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti. La dimensione intellettuale della ricerca archeologica nel settore dell’arte preistorica e tribale, il concorso che tale ricerca offre ad altre discipline, il ruolo che viene a ricoprire tra le scienze dell’uomo, hanno raggiunto uno sviluppo che ben pochi avevano previsto e che taluni ancora forse non realizzano pienamente. Le scienze umane sono ad una svolta storica. Nei simposi passati abbiamo coniugato archeologia e antropologia, con estetica e storia dell’arte, abbiamo trovato comuni denominatori tra arte preistorica e storia delle religioni, abbiamo studiato le tracce dei miti e dello sciamanismo nell’arte preistorica, analizzato la logica e le funzioni cognitive rivelate dall’arte, definito paradigmi di semiotica di grafismo. Abbiamo cercato di ampliare gli orizzonti dell’archeologia e della paleontologia. Ogni Simposio è stato una sfida e finora le sfide sono state vinte. Ci auguriamo che ciò avvenga anche per questo XXI Simposio. La sfida oggi è quella di ampliare la sinergia ed il coinvolgimento di varie discipline per la comprensione dell’uomo, della sua epopea... ovvero, della nostra epopea. Dobbiamo approfondire, confrontare e raffinare le nostre nozioni. Il progresso della ricerca è inarrestabile, ma non vi sono soluzioni definitive... L’arte preistorica rivela brani eccezionali della storia dell’umanità. I dati si accumulano. Migliaia di anni di preistoria si stanno trasformando in storia, aprendo nuovi orizzonti alla conoscenza del passato, dell’identità dell’uomo e delle sue culture. L’arte esprime la fame e la sazietà, momenti di vita sedentaria ed episodi di nomadismo, influenze culturali e migrazioni, ci rivela origini dei popoli e del popolamento di vasti territori. Ci dice quando vi fu guerra e pace e quando non esisteva la parola pace perché non c’era guerra. Alcuni popoli cacciatori, ancora oggi, non hanno il termine pace nel loro vocabolario perché non ne hanno bisogno. L’arte preistorica mostra periodi di tranquilla coesistenza e periodi di violenze, svelando anche la dinamica delle relazioni sociali la struttura sociale da periodo a periodo, da popolo a popolo. L’arte preistorica rivela le vicende del pensiero, i sentimenti e le sensazioni e spesso permette anche di giungere alle cause della condizione umana. Ma rivela ben altro; ogni opera d’arte preistorica racconta un brano di vita, un pensiero, un’emozione che ci perviene dal lontano passato. Sta a noi di saperne leggere i messaggi. È il più grande archivio esistente dell’epopea umana: milioni di immagini, in migliaia di siti, in oltre 160 Paesi del Pianeta. L’arte è un comune denominatore di tutta l’umanità. Si è dato inizio all’impresa di memorizzare, alla ricerca di contenuti, di paradigmi e di concetti, questo immenso archivio che ci restituisce 50.000 anni di storia. Il progetto Wara è in atto ed avremo, modo di parlarne. È un’impresa di grande impegno intellettuale, alla quale già alcuni di voi stanno partecipando. Questo XXI Simposio avviene in un momento particolare. Commemoriamo 40 anni da quel giorno del 1964 in cui fu fondato il Centro camuno di Studi preistorici. Commemoriamo anche i 100 anni, approssimativi, dalla prima comunicazione, orale o scritta o riferita, ma che comunque vi fu, sull’arte rupestre della Valcamonica. Ma il momento particolare non viene tanto dalla scadenza delle date quanto dalla realtà in cui viviamo, un mondo che ha urgente e grande bisogno del calore della cultura e dell’emozione della ricerca per colmare temibili vuoti, un mondo che si trova a disagio, pervaso da violenza, rischi di catastrofi ecologiche ed etniche, mentre la tendenza a risolvere i piccoli problemi senza pensare a quelli grandi è un segno di instabilità. Quale funzione possono avere le scienze umane in questo contesto? Quale deterrente può esservi contro la violenza? Quale richiamo può esservi per la saggezza e per i valori dell’intelletto umano? A fronte di tale stato di incertezza, le attività per la cultura e per la ricerca scientifica promuovono tendenze benefiche alla cooperazione, alla comprensione, all’impegno verso temi edificanti che concernono lo spirito e l’essenza dell’intelletto. Eppure la cultura, l’incentivazione della ricerca, lo stimolo a portare i giovani verso interessi sani e costruttivi, sono una concreta via per costruire il futuro, per superare le angosce del presente... Tra le manifestazioni di questo simposio ve ne sono alcune che hanno il senso dell’iniziazione, come il concerto di musica con strumenti preistorici di Walter Maioli e del suo gruppo, o la presentazione di Martin Gray dei luoghi sacri del suo mondo mistico. Altre hanno il senso della rivelazione, come quelle degli psicoanalisti che esamineranno la psiche dell’uomo dall’arte preistorica o quelle che analizzeranno il profondo significato religioso e concettuale, della relazione tra l’arte e gli spazi che questa occupa. Questi eventi offrono la cornice nella quale la nostra settimana ci mostrerà la dinamica e lo spirito creativo del mondo scientifico e culturale, nella prospettiva multidisciplinare e multinazionale che esso propone in questa sede, per una migliore comprensione dell’umana avventura... Possiamo dunque sperare in un futuro più cosciente, più ricco di cultura che, in sintesi, significa un migliore livello di vita, una più serena prospettiva per la società umana. I mali, per essere risolti, richiedono volontà, propizio stato d’animo, e richiedono anche una visione della strada che l’uomo sta seguendo e del bivio al quale egli sta ormai giungendo. Portare coscienza e conoscenza, capire il fenomeno uomo, serve a capire chi siamo, da dove veniamo e dove ci stiamo dirigendo. Serve a capire le ragioni e le vie del malessere e del benessere e quindi a capire un po’ meglio come siamo fatti, e capire è il passaggio obbligato per andare oltre.