Psichiatria: Sirchia, investire su strutture di prossimità
(ANSA) - ROMA, 19.6.03
''Sui temi legati alla riforma della legge 180 si scatena una battaglia ideologica che fa perdere di vista l'oggettivita'. Bisogna investire sulle strutture di prossimita'''. E' quanto dichiarato dal ministro Sirchia in occasione del convegno su leggi e regolamenti psichiatrici tenutosi oggi a Roma. Sirchia ha detto che c'e' bisogno di altro personale e altri medici. ''Ci sono delle difficolta', ma ragionare insieme e' il primo passo da fare''. Il ministro ha inoltre parlato di quanto prevede per la psichiatria il nuovo Piano sanitario nazionale 2003-2005, spiegando che ''sono stati puntualizzati alcuni elementi che erano fortemente richiesti da parte degli specialisti, senza cambiare l'impianto che gia' abbiamo, ma cercando di migliorarlo. Inoltre c'e' una campagna d'informazione per la lotta allo stigma che e' stata lanciata dall'Unione Europea dalla presidenza greca che abbiamo ripreso e che abbiamo messo tra il programma da fare. Ci sono poi i servizi di prossimita' che sono la parte forse piu' importante che con le regioni abbiamo definito di attivare per quanto possibile''. L'incontro organizzato dall'Arap (Associazione riforma assistenza psichiatrica), aveva come obiettivo quello di promuovere un confronto tra la legislazione italiana vigente e quelle di alcuni Stati dell'Unione Europea. Al convegno e' intervenuta anche Maria Burani Procaccini, membro della Commissione Affari Sociali della Camera e firmataria della proposta di legge riforma della 180. ''La proposta di legge ha passato numerosi vagli'', ha dichiarato Burani Procaccini e molte sono state le modifiche apportate in base alle critiche che sono state mosse. Il deputato sottolinea il bisogno dei finanziamenti per attuare la riforma e di tempo perche' ''questa legge e' molto delicata, su cui dobbiamo lavorare con molta attenzione, non possiamo sbagliare''. Giorgio Conti, di Alleanza Nazionale, ammette che la nuova stesura contiene molte modifiche, alcune delle quali proposte da lui stesso, ''qualcosa ancora da cambiare ancora c'e', ma niente di grave''. ''La legge 180 - ha dichiarato Luisa Zardini, presidente dell'Arap - ha chiuso i manicomi, ma non ha dato istruzioni su cosa fare dopo. Noi vogliamo piu' dettagli, strutture per accogliere i malati dopo l'ospedale. Molto dipende anche dal personale che deve essere aggiornato. C'e' poi bisogno di un'assistenza sociale e dell'assistenza alle famiglie, che devono essere anch'esse seguite dai medici''. ''Quando si dice - afferma Tonino Cantelmi, presidente dell'Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici - che la 180 non e' stata applicata in Italia si dice una falsita'. Tutti gli indici strutturali sono stati raggiunti. Se qualcosa non funziona non e' dovuto al fatto che non e' stata applicata la legge, ma a tutti i cambiamenti avvenuti in 25 anni. Abbiamo farmaci, tecniche e sistemi di riferimento nuovi che devono guidare l'adeguamento dell'organizzazione dei servizi. Se questo non succede, avvengono i fatti che allarmano l'opinione pubblica. Per questo e' necessario un nuovo passaggio legislativo che sottolinei il cambiamento che c'e' nella psichiatria''.
(ANSA).
il Messaggero 20.6.03
Il Piano sanitario 2003-2005 presentato a Ciampi
Sirchia: «Nuovi fondi o si tagliano i servizi»
(...)
C’è bisogno di altro personale e di altri medici per assistere i malati psichiatrici, ha assicurato il ministro durante un incontro organizzato dall’Arap (Associazione riforma assistenza psichiatrica). Nel Piano 2003-2005 è prevista una campagna d’informazione per la lotta allo stigma che è stata lanciata dall’Unione Europea dalla presidenza greca. «Ci sono poi i servizi di prossimità - annuncia il ministro - che sono la parte forse più importante che con le le regioni abbiamo definito di attivare per quanto possibile». Pronta la risposta delle famiglie dei malati: «La legge 180 - ha detto Luisa Zardini, presidente dell’Arap - ha chiuso i manicomi, ma non ha dato istruzioni su cosa fare dopo. Noi vogliamo più dettagli, strutture per accogliere i pazienti dopo l’ospedale».
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
venerdì 20 giugno 2003
Marco Bellocchio
Roma, venerdì 20.6.03 (dal Messaggero e da Repubblica)
Arcipelago. Prende il via il festival dedicato ai corti con le opere di Marco Bellocchio, Peter Mullan, Pappi Corsicato. Cinema Intrastevere, vicolo Moroni 3a, tel 0639387246.
Arcipelago. Prende il via il festival dedicato ai corti con le opere di Marco Bellocchio, Peter Mullan, Pappi Corsicato. Cinema Intrastevere, vicolo Moroni 3a, tel 0639387246.
una lettera
La Repubblica 20.6.03
Panico e psicoterapia
storia di sanità pubblica
Roberto Marani, Bologna
mel16423@iperbole.bologna.it
Sono da molti anni sofferente di depressione e attacchi di panico. Da alcuni mesi sono visto periodicamente da una dottoressa di un centro di igiene mentale di Bologna, la mia città. Dopo aver dovuto interrompere per una serie di motivi una psicoterapia già avviata, l'altro giorno mi sono sentito dire che è opportuno che trovi un lavoro più remunerativo per potermi pagare una psicoterapia privata. Bel consiglio, da parte di un servizio pubblico. Non so se sia opportuno fare paralleli tra la politica e questo caso di "deontologia privatistica". Per quanto mi riguarda, non ho, fuor di metafora, più parole.
Panico e psicoterapia
storia di sanità pubblica
Roberto Marani, Bologna
mel16423@iperbole.bologna.it
Sono da molti anni sofferente di depressione e attacchi di panico. Da alcuni mesi sono visto periodicamente da una dottoressa di un centro di igiene mentale di Bologna, la mia città. Dopo aver dovuto interrompere per una serie di motivi una psicoterapia già avviata, l'altro giorno mi sono sentito dire che è opportuno che trovi un lavoro più remunerativo per potermi pagare una psicoterapia privata. Bel consiglio, da parte di un servizio pubblico. Non so se sia opportuno fare paralleli tra la politica e questo caso di "deontologia privatistica". Per quanto mi riguarda, non ho, fuor di metafora, più parole.
sogni in workshop contro il burn-out, a Roma
Galileo 20.6.03
Il Sudbury Neutrinos Observatory
Formazione sanitaria
Sognando s'impara
di Giuliana Brunetti
Medici, psicologi e infermieri si trovano spesso di fronte a momenti importanti di vita e morte dei pazienti: situazioni che mettono a dura prova l'equilibrio psicologico degli operatori sanitari. E che nei casi più drammatici possono portare al burn out, la sindrome di esaurimento emozionale per cui ci si sente sopraffatti dalle richieste emozionali imposte dagli altri e incapaci di farvi fronte. Una formazione professionale in questo senso è dunque un'esigenza sempre più avvertita tra chi lavora nei reparti ospedalieri, e di recente anche da noi si sta facendo qualcosa. Si tratta di iniziative pionieristiche per il nostro paese, come per esempio l'utilizzo del "social dreaming" per imparare a gestire le emozioni nella relazione medico-paziente. Il metodo, elaborato una ventina di anni fa da Gordon Lawrence, è stato presentato nei giorni scorsi a Roma in un workshop organizzato dall'International Institute for Psychoanalytic Research and Training of Healt Professionals (Iiprthp) in collaborazione con il Centro ricerche oncologiche Giovanni XXIII dell'Università Cattolica.
Imparare a gestire le proprie emozioni attraverso l'elaborazione collettiva dei propri sogni: è questo il senso del "social dreaming", tecnica di derivazione psicoanalitica ispirata alla libera associazione di immagini di freudiana memoria e alla "amplificazione" formulata da Carl Gustav Jung. Semplificando, la cosa funziona così: un gruppo omogeneo di persone si riunisce e, a turno, ciascuno racconta il proprio sogno, lasciando poi spazio alle osservazioni degli altri che, con la guida di esperti, individuano collegamenti tra le varie narrazioni. Rispetto alla formulazione originaria, a Roma si è introdotta una variante: "Abbiamo aggiunto il cinema al social dreaming", spiega Domenico Nesci, psichiatra dell'Università Cattolica di Roma e membro dell'Iiprthp.
L'iniziativa romana si è svolta in due momenti: la prima sera i partecipanti hanno assistito alla proiezione di un film sul tema , il giorno dopo è avvenuto un nuovo incontro durante il quale sono stati raccontati ed elaborati i sogni suscitati dal film. Per il workshop romano, dedicato alla vita prenatale nell'immaginario e rivolto agli operatori di reparti di ostetricia e ginecologia, è stato scelto il film "Pinocchio" di Luigi Comencini, nel quale, secondo gli esperti, è possibile seguire le metamorfosi delle origini della vita simbolizzate dai passaggi del protagonista da pezzo di legno (vita vegetativa) a somarello (vita animale) fino all'ultima trasformazione in un bambino vero dopo il parto-nascita, rappresentato dall'uscita dal ventre della balena-mostro. "Il momento di condivisione dei sogni", spiega lo psichiatra romano, "avviene alla presenza di un gruppo di analisti molto esperti, che permettono la creazione di una catena associativa tra le situazioni vissute in ospedale, che vengono in mente ai partecipanti in relazione al film, e le scene sognate. Noi lavoriamo in tre: i professori Tommaso Poliseno e Dominique Scarfone, psicoanalista dell'Università di Montreal, e il sottoscritto".
Il metodo sviluppato all'Iiprthp è da qualche giorno protagonista di un programma televisivo a puntate dal titolo "Doppio sogno" e trasmesso su Rai-Sat canale cinema. "La realizzazione della versione televisiva", conclude Nesci, "è più complessa rispetto agli incontri appena descritti, infatti, complessivamente, si assiste a due film. Il primo è, come negli incontri avvenuti a Roma, quello scelto dagli esperti a seconda del tema che si desidera trattare. Il secondo viene montato, invece, mettendo insieme delle immagini che richiamano le scene dei sogni raccontate dai partecipanti".
Magazine, 27 giugno 2003 © Galileo
Il Sudbury Neutrinos Observatory
Formazione sanitaria
Sognando s'impara
di Giuliana Brunetti
Medici, psicologi e infermieri si trovano spesso di fronte a momenti importanti di vita e morte dei pazienti: situazioni che mettono a dura prova l'equilibrio psicologico degli operatori sanitari. E che nei casi più drammatici possono portare al burn out, la sindrome di esaurimento emozionale per cui ci si sente sopraffatti dalle richieste emozionali imposte dagli altri e incapaci di farvi fronte. Una formazione professionale in questo senso è dunque un'esigenza sempre più avvertita tra chi lavora nei reparti ospedalieri, e di recente anche da noi si sta facendo qualcosa. Si tratta di iniziative pionieristiche per il nostro paese, come per esempio l'utilizzo del "social dreaming" per imparare a gestire le emozioni nella relazione medico-paziente. Il metodo, elaborato una ventina di anni fa da Gordon Lawrence, è stato presentato nei giorni scorsi a Roma in un workshop organizzato dall'International Institute for Psychoanalytic Research and Training of Healt Professionals (Iiprthp) in collaborazione con il Centro ricerche oncologiche Giovanni XXIII dell'Università Cattolica.
Imparare a gestire le proprie emozioni attraverso l'elaborazione collettiva dei propri sogni: è questo il senso del "social dreaming", tecnica di derivazione psicoanalitica ispirata alla libera associazione di immagini di freudiana memoria e alla "amplificazione" formulata da Carl Gustav Jung. Semplificando, la cosa funziona così: un gruppo omogeneo di persone si riunisce e, a turno, ciascuno racconta il proprio sogno, lasciando poi spazio alle osservazioni degli altri che, con la guida di esperti, individuano collegamenti tra le varie narrazioni. Rispetto alla formulazione originaria, a Roma si è introdotta una variante: "Abbiamo aggiunto il cinema al social dreaming", spiega Domenico Nesci, psichiatra dell'Università Cattolica di Roma e membro dell'Iiprthp.
L'iniziativa romana si è svolta in due momenti: la prima sera i partecipanti hanno assistito alla proiezione di un film sul tema , il giorno dopo è avvenuto un nuovo incontro durante il quale sono stati raccontati ed elaborati i sogni suscitati dal film. Per il workshop romano, dedicato alla vita prenatale nell'immaginario e rivolto agli operatori di reparti di ostetricia e ginecologia, è stato scelto il film "Pinocchio" di Luigi Comencini, nel quale, secondo gli esperti, è possibile seguire le metamorfosi delle origini della vita simbolizzate dai passaggi del protagonista da pezzo di legno (vita vegetativa) a somarello (vita animale) fino all'ultima trasformazione in un bambino vero dopo il parto-nascita, rappresentato dall'uscita dal ventre della balena-mostro. "Il momento di condivisione dei sogni", spiega lo psichiatra romano, "avviene alla presenza di un gruppo di analisti molto esperti, che permettono la creazione di una catena associativa tra le situazioni vissute in ospedale, che vengono in mente ai partecipanti in relazione al film, e le scene sognate. Noi lavoriamo in tre: i professori Tommaso Poliseno e Dominique Scarfone, psicoanalista dell'Università di Montreal, e il sottoscritto".
Il metodo sviluppato all'Iiprthp è da qualche giorno protagonista di un programma televisivo a puntate dal titolo "Doppio sogno" e trasmesso su Rai-Sat canale cinema. "La realizzazione della versione televisiva", conclude Nesci, "è più complessa rispetto agli incontri appena descritti, infatti, complessivamente, si assiste a due film. Il primo è, come negli incontri avvenuti a Roma, quello scelto dagli esperti a seconda del tema che si desidera trattare. Il secondo viene montato, invece, mettendo insieme delle immagini che richiamano le scene dei sogni raccontate dai partecipanti".
Magazine, 27 giugno 2003 © Galileo
ancora sull'elettroshock a Napoli (2)
Il Mattino di Napoli 20.6.03
Scariche elettriche per guarire un paziente, esplode la polemica
di Bruno Buonanno
La sorpresa di molti psichiatri è stata subito accompagnata da polemiche di numerosi addetti ai lavori e studenti contro il Policlinico federiciano che, proprio in questi giorni, ha cominciato a curare un paziente ricoverato presso il Dipartimento di psichiatria con l’elettroshock. Scariche elettriche usate da medici della struttura universitaria per curare un giovane affetto da crisi di angoscia e manifestazioni «simil catartiche» che bloccherebbero il ricoverato, gli impediscono di parlare, di muoversi, di reagire agli stimoli esterni.
Sembrava una pratica superata e dimenticata da tempo. Un tecnica messa al bando anche per i malati di mente dai tempi della legge Basaglia, quando si decise di chiudere i manicomi e di curare i malati di mente in maniera meno traumatica di quanto avveniva con l’elettroshock. Medicina Democratica e Psichiatria Democratica sono scese immediatamente in campo contro il Policlinico federiciano e la riattivazione in città dell’elettroshock in una struttura sanitaria pubblica: «In relazione alla notizia di voler ripristinare presso la clinica psichiatrica del Policlinico federiciano l’uso dell’elettroshock, ribadiamo con forza la nostra opposizione alla reintroduzione di questa violenta, pericolosa e ingiustificata pratica. Tale grave proposta terapeutica sottende - spiegano le due organizzazioni psichiatrice - quel mito dell’incurabilità e dell’abbandono senza speranza, sconfitto e sconfessato dai significativi risultati ottenuti dalle mille e mille pratiche di salute mentale prodotte, dal 1978 in poi, nel nostro Paese».
All’indignazione dei cittadini si unisce quella degli specialisti alla sola idea che, cominciando da un solo paziente, l’uso dell’elettroshock possa ridiventare una prassi sanitaria. «Recependo l’indignazione di tanti operatori - chiarisce il documento - Medicina Democratica e Psichiatria Democratica lanciano un appello alla vigilanza per bloccare e far arretrare i tanti tentativi di restaurazione e di attacco alla sanità pubblica, cui assistiamo negli ultimi anni e per mettere in campo iniziative unitarie che rilancino la centralità dei diritti e la dignità della persona».
Acquistata nel ’99 dall’allora direttore generale del Policlinico, l’apparecchiatura per l’elettroshock non è mai stata utilizzata in questi anni. E stavolta prima di autorizzare il professore Muscettola a dare il via libero alla terapia elettrica, sia il direttore generale, Giovanni Persico, che quello sanitario, Luigi Quagliata, hanno avuto scambi di lettere con il direttore del Dipartimento di psichiatria. E hanno allertato sul problema gli uffici tecnici per un controllo costante dell’efficienza dell’apparecchiatura, che, fra l’altro, è molto costosa.
Un fiume di nuove polemiche s’abbatte sul Policlinico Federiciano mentre il paziente e i suoi familiari hanno sottoscritto il consenso informato non solo per la delicatissima terapia ma anche per la sedazione cui viene sottoposto il ricoverato prima di essere sottoposto a elettroshock.
Il movimento che contesta il metodo
«È la fine della terapia del dialogo»
Enrico De Notaris, lei fa parte con Sergio Piro del movimento «Oes» che contesta l’uso dell’elettroshock. Perché?
«È un passo indietro. Così si vanificano le leggi di riforma della psichiatria e anni di studi sulla casistica. È una pratica desueta che, provocando una crisi epilettica e una sospensione di coscienza nel paziente, mina definitivamente la possibilità di una relazione di comunicazione con il medico, divenuta basilare nello svolgimento di una moderna terapia integrata, farmacologica e psicanalitica o psicoterapica insieme».
Quindi dialogo alla ricerca delle cause del disturbo?
«È preferibile ma faticoso condurre il paziente verso la consapevolezza di sè, scavando soprattutto nelle ragioni della malattia. Chi manifesta una forte crisi di agitazione psicomotoria, può essere calmato subito con una siringa o in otto ore di terapia basata su modalità di rapporto umano e sulla ricerca di un canale di comunicazione. Indurre l'oblio dell’ammalato tramite terapia con l’elettroshock è decisamente improduttivo».
Allora i fenomeni di alterazione della memoria sono effetti collaterali provati?
«Sono gli unici danni accertati nella letteratura medica e scientifica come conseguenza di un elettroshock, soprattutto perché i test di valutazione dei parametri cognitivi del paziente sono centrati solo sulla memoria verbale e non rendono conto degli effetti emotivi e affettivi o di alterazione della personalità». (ra. sc.)
Il Prof che ha reintrodotto la cura
«Critiche emotive, non è una tortura»
Professore Muscettola, perché ha reintrodotto l’elettroshock al Policlinico?
«È un’apparecchiatura acquistata nel ’99 dalla direzione generale ed è la prima volta che ci è sembrato necessario utilizzarla. Garantisce un monitoraggio continuo elettroencefalografico e cardiologico del paziente. La utilizziamo per la prima volta: questo macchinario permette di essere sicuri che ci sia la cosiddetta convulsione, controllando eventuali disturbi del ritmo cardiaco».
Molti suoi colleghi sono contrari.
«È un tipo di pratica che viene vista come terapia aggressiva. Ma è autorizzata dal ministero della Salute: l’ex ministro Bindi chiarì che non c’erano motivi per sospendere l’uso dell’elettroshock che ha particolari indicazioni».
Quali, professore Muscettola?
«Ha un ruolo salvavita per rischio di suicidio e per il cosiddetto stupore catatonico: quando cioé il paziente, all’interno di un quadro schizofrenico, è bloccato, immobile e non reagisce. Si può usare quando non c’è risposta alla terapia farmacologica o il paziente ha dato in precedenza risposte favorevoli all’eletroshock o quando l’ammalato è favorevole alla terapia».
Però siete sotto accusa
«Considero le critiche giustificabili sul piano emotivo da parte di chi non conosce tale terapia. Dal punto di vista psichiatrico poi non è un ritorno all’indietro: viene eseguita, infatti, anche al San Raffaele di Milano e in altre strutture sanitarie. Il nostro paziente è in grado di capire l’importanza del consenso informato. Siamo docenti universitari, non scarichiamo la corrente come i poliziotti di Pinochet». (b.b.)
Corrente a 120 volt
ecco come funziona
La terapia con elettroshock su pazienti psichiatrici viene effettuata con corrente alternata di sessanta cicli al secondo, utilizzando corrente a 120 volt. L’intervento elettrico deve determinare quella che in gergo viene chiamata la «convulsione» del paziente che si ottiene dosando l’amperaggio del macchinario: l’elettroshock arriva fino a 220 ampere, dosati da 0,5 a uno al secondo. L’apparecchiatura del Policlinico effettua un monitoraggio costante elettroencefalografico e cardiografico del paziente.
Scariche elettriche per guarire un paziente, esplode la polemica
di Bruno Buonanno
La sorpresa di molti psichiatri è stata subito accompagnata da polemiche di numerosi addetti ai lavori e studenti contro il Policlinico federiciano che, proprio in questi giorni, ha cominciato a curare un paziente ricoverato presso il Dipartimento di psichiatria con l’elettroshock. Scariche elettriche usate da medici della struttura universitaria per curare un giovane affetto da crisi di angoscia e manifestazioni «simil catartiche» che bloccherebbero il ricoverato, gli impediscono di parlare, di muoversi, di reagire agli stimoli esterni.
Sembrava una pratica superata e dimenticata da tempo. Un tecnica messa al bando anche per i malati di mente dai tempi della legge Basaglia, quando si decise di chiudere i manicomi e di curare i malati di mente in maniera meno traumatica di quanto avveniva con l’elettroshock. Medicina Democratica e Psichiatria Democratica sono scese immediatamente in campo contro il Policlinico federiciano e la riattivazione in città dell’elettroshock in una struttura sanitaria pubblica: «In relazione alla notizia di voler ripristinare presso la clinica psichiatrica del Policlinico federiciano l’uso dell’elettroshock, ribadiamo con forza la nostra opposizione alla reintroduzione di questa violenta, pericolosa e ingiustificata pratica. Tale grave proposta terapeutica sottende - spiegano le due organizzazioni psichiatrice - quel mito dell’incurabilità e dell’abbandono senza speranza, sconfitto e sconfessato dai significativi risultati ottenuti dalle mille e mille pratiche di salute mentale prodotte, dal 1978 in poi, nel nostro Paese».
All’indignazione dei cittadini si unisce quella degli specialisti alla sola idea che, cominciando da un solo paziente, l’uso dell’elettroshock possa ridiventare una prassi sanitaria. «Recependo l’indignazione di tanti operatori - chiarisce il documento - Medicina Democratica e Psichiatria Democratica lanciano un appello alla vigilanza per bloccare e far arretrare i tanti tentativi di restaurazione e di attacco alla sanità pubblica, cui assistiamo negli ultimi anni e per mettere in campo iniziative unitarie che rilancino la centralità dei diritti e la dignità della persona».
Acquistata nel ’99 dall’allora direttore generale del Policlinico, l’apparecchiatura per l’elettroshock non è mai stata utilizzata in questi anni. E stavolta prima di autorizzare il professore Muscettola a dare il via libero alla terapia elettrica, sia il direttore generale, Giovanni Persico, che quello sanitario, Luigi Quagliata, hanno avuto scambi di lettere con il direttore del Dipartimento di psichiatria. E hanno allertato sul problema gli uffici tecnici per un controllo costante dell’efficienza dell’apparecchiatura, che, fra l’altro, è molto costosa.
Un fiume di nuove polemiche s’abbatte sul Policlinico Federiciano mentre il paziente e i suoi familiari hanno sottoscritto il consenso informato non solo per la delicatissima terapia ma anche per la sedazione cui viene sottoposto il ricoverato prima di essere sottoposto a elettroshock.
Il movimento che contesta il metodo
«È la fine della terapia del dialogo»
Enrico De Notaris, lei fa parte con Sergio Piro del movimento «Oes» che contesta l’uso dell’elettroshock. Perché?
«È un passo indietro. Così si vanificano le leggi di riforma della psichiatria e anni di studi sulla casistica. È una pratica desueta che, provocando una crisi epilettica e una sospensione di coscienza nel paziente, mina definitivamente la possibilità di una relazione di comunicazione con il medico, divenuta basilare nello svolgimento di una moderna terapia integrata, farmacologica e psicanalitica o psicoterapica insieme».
Quindi dialogo alla ricerca delle cause del disturbo?
«È preferibile ma faticoso condurre il paziente verso la consapevolezza di sè, scavando soprattutto nelle ragioni della malattia. Chi manifesta una forte crisi di agitazione psicomotoria, può essere calmato subito con una siringa o in otto ore di terapia basata su modalità di rapporto umano e sulla ricerca di un canale di comunicazione. Indurre l'oblio dell’ammalato tramite terapia con l’elettroshock è decisamente improduttivo».
Allora i fenomeni di alterazione della memoria sono effetti collaterali provati?
«Sono gli unici danni accertati nella letteratura medica e scientifica come conseguenza di un elettroshock, soprattutto perché i test di valutazione dei parametri cognitivi del paziente sono centrati solo sulla memoria verbale e non rendono conto degli effetti emotivi e affettivi o di alterazione della personalità». (ra. sc.)
Il Prof che ha reintrodotto la cura
«Critiche emotive, non è una tortura»
Professore Muscettola, perché ha reintrodotto l’elettroshock al Policlinico?
«È un’apparecchiatura acquistata nel ’99 dalla direzione generale ed è la prima volta che ci è sembrato necessario utilizzarla. Garantisce un monitoraggio continuo elettroencefalografico e cardiologico del paziente. La utilizziamo per la prima volta: questo macchinario permette di essere sicuri che ci sia la cosiddetta convulsione, controllando eventuali disturbi del ritmo cardiaco».
Molti suoi colleghi sono contrari.
«È un tipo di pratica che viene vista come terapia aggressiva. Ma è autorizzata dal ministero della Salute: l’ex ministro Bindi chiarì che non c’erano motivi per sospendere l’uso dell’elettroshock che ha particolari indicazioni».
Quali, professore Muscettola?
«Ha un ruolo salvavita per rischio di suicidio e per il cosiddetto stupore catatonico: quando cioé il paziente, all’interno di un quadro schizofrenico, è bloccato, immobile e non reagisce. Si può usare quando non c’è risposta alla terapia farmacologica o il paziente ha dato in precedenza risposte favorevoli all’eletroshock o quando l’ammalato è favorevole alla terapia».
Però siete sotto accusa
«Considero le critiche giustificabili sul piano emotivo da parte di chi non conosce tale terapia. Dal punto di vista psichiatrico poi non è un ritorno all’indietro: viene eseguita, infatti, anche al San Raffaele di Milano e in altre strutture sanitarie. Il nostro paziente è in grado di capire l’importanza del consenso informato. Siamo docenti universitari, non scarichiamo la corrente come i poliziotti di Pinochet». (b.b.)
Corrente a 120 volt
ecco come funziona
La terapia con elettroshock su pazienti psichiatrici viene effettuata con corrente alternata di sessanta cicli al secondo, utilizzando corrente a 120 volt. L’intervento elettrico deve determinare quella che in gergo viene chiamata la «convulsione» del paziente che si ottiene dosando l’amperaggio del macchinario: l’elettroshock arriva fino a 220 ampere, dosati da 0,5 a uno al secondo. L’apparecchiatura del Policlinico effettua un monitoraggio costante elettroencefalografico e cardiografico del paziente.
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