Repubblica 15.6.04
STORIA DEI LIBRI IN FIAMME
Intervista/ Lucien X. Polastron racconta tremila anni di roghi
"Si distrugge il volume per colpire chi l´ha scritto ed è accaduto spesso"
"Lavoro a questo progetto dal ´92 dopo l´incendio della biblioteca di Sarajevo"
"Hitler distruggeva le opere degli ebrei però ne fece raccogliere tre milioni a Francoforte"
di FABIO GAMBARO
PARIGI. Dal saccheggio della biblioteca di Tebe, nel 1358 avanti Cristo, a quella di Bagdad, nel 2003. Più di tremila anni di roghi e distruzioni. Una lunga storia di offese al libro e alla cultura che finora non era mai stata raccontata nella sua globalità. Lucien X. Polastron, studioso francese, già autore di un apprezzato libro sulla carta, Le papier, 2000 ans d´histoire, ha provato a colmare questa lacuna. Nelle librerie francesi è giunto così Livres en feu (Deno l, pagg.430), un volume molto documentato che ricostruisce la «storia infinita della distruzione delle biblioteche», mostrando «i molti volti della barbarie» che, fin dalla più lontana antichità, ha preso di mira le pagine scritte e i luoghi in cui queste vengono custodite. «Ho iniziato a lavorare a questo libro nel 1992», racconta Polastron, «subito dopo l´incendio della biblioteca di Sarajevo. Gli autori di quell´atto criminale colpirono intenzionalmente la biblioteca per cancellare il carattere multiculturale del paese, di cui essa era il simbolo. Ripetevano così i gesti che i passato erano stati dei nazisti e di tutti coloro che, in ogni epoca e ad ogni latitudine, avevano preso di mira la cultura scritta.
Nel suo libro gli esempi non mancano...
«E´ una storia molto più ricca di quanto non si creda. Gli uomini infatti non appena si mettono a costruire le biblioteche, quasi contemporaneamente iniziano a distruggerle. Per Borges, la biblioteca nasce da un processo che non si conclude mai. Una biblioteca infatti non è mai finita. Allo stesso modo, anche la storia delle catastrofi che colpiscono le biblioteche è una storia infinita. Cambiano solo le modalità. Più le biblioteche sono grandi e più i rischi diventano importanti. Naturalmente ci sono le catastrofi naturali o gli errori umani, ma molto spesso la distruzione del patrimonio scritto è un atto deliberato.
Quali sono le motivazioni più frequenti?
«Il libro contiene una memoria e una cultura di cui ci si vuole sbarazzare. Colpendo i libri, si colpiscono le persone che li hanno scritti e letti. E´ successo molte volte nella storia e continua a succedere ancora oggi. Recentemente, a Poona, in India, nel rogo di una biblioteca sono andati persi 30.000 volumi. Un gruppo d´indù voleva purificare i luoghi, solo perché un ricercatore americano vi aveva lavorato, formulando alcuni dubbi sulla parentela di un re a loro sacro. Per gli indù quel re era una divinità e quindi il dubbio sulle sue origini è stato considerato un atto di blasfemia. La profanazione era quindi da punire col fuoco. Nel rogo sono andati persi molti libri rari della tradizione indù, ma probabilmente gli incendiari non si sono neppure resi conto del danno che stavano facendo alla loro cultura.
Quando avvennero le prime distruzione di biblioteche?
«Nell´antico Egitto. Akhenaton distrusse la biblioteca di Tebe nel 1358 avanti Cristo. Aveva introdotto il monoteismo e, siccome pensava di detenere la verità, pensò di fare tavola rasa delle tradizioni religiose che lo avevano preceduto. I testi scritti dai sacerdoti di Tebe, che menzionavano altri dei, vennero distrutti. Akhenaton fece anche costruire una nuova biblioteca, che però, alla sua morte, venne incendiata dai sacerdoti per vendetta. All´origine degli attacchi alle biblioteche c´è sempre un odio politico-religioso, un odio nei confronti degli uomini che viene trasferito sulle opere scritte. Il sociologo Leo Löwenthal, poco prima di morire, ne ha persino tratto una riflessione psicanalitica, che però è rimasta solamente abbozzata.
Tutti conoscono il rogo della biblioteca di Alessandria. Che può dirne?
«Ad Alessandria, dove per la prima volta venne distrutta una biblioteca universale, sono nati contemporaneamente il mito della biblioteca e quello della sua distruzione. Molto probabilmente la biblioteca fu distrutta più volte, in parte o completamente, anche se poi il mito ha tramandato solo il rogo del 48 avanti Cristo. Quel primo incendio fu un danno collaterale della guerra. Cesare infatti non aveva alcuna intenzione di distruggere la biblioteca, più realisticamente pensava di rubarne le opere per portarle a Roma. Purtroppo, durante le guerre, le biblioteche rischiano sempre il saccheggio. Quando l´esercito dei vincitori occupa il territorio nemico sente il bisogno di colpire la tradizione intellettuale degli sconfitti. In particolare quella depositata nei libri. Lo hanno fatto i Mongoli, nel 1258, quando hanno raso al suolo le trentasei biblioteche di Bagdad. E meno di un secolo prima, Saladino, che voleva cancellare ogni traccia degli sciiti, mise a sacco la famosa biblioteca fatimida del Cairo, vendendone tutti i libri per pagare i suoi soldati.
Durante le crociate vennero distrutte delle biblioteche?
«Sì, ad esempio a Tripoli e a Costantinopoli. I cavalieri cristiani saccheggiavano per spirito di rapina, ma quando il bottino non sembra loro interessante, allora bruciavano tutto. Anche gli uomini della chiesa hanno molto contribuito a quest´opera di distruzione, nel tentativo di far scomparire la religione islamica. Più tardi l´accanimento nei confronti dei libri diventerà più sistematico. Quando?
«Nella Spagna del XVI e XVII secolo, dove le biblioteche hanno tremendamente sofferto. L´inquisizione, animata anche da un forte razzismo nei confronti di arabi ed ebrei, ha organizzato molti roghi di libri. Non a caso, gli spagnoli hanno reso tristemente celebre la parola portoghese autodafè. Torquemada, Cisneros e molti altri vescovi hanno mostrato una furia senza pari nei confronti della pagina scritta. Inoltre, nel Nuovo Mondo gli spagnoli hanno cancellato tutte le tracce scritte delle civiltà anteriori. Il patrimonio scritto dei Maya e degli Atzechi era considerato opera del diavolo e come tale andava bruciato.
Talvolta, i biblioclasti sono al contempo bibliofili...
«E´ vero. L´imperatore cinese Qin Shi Huangdi, nel 213 avanti Cristo, unifica la scrittura e costruisce un´importante biblioteca, ma al contempo fa bruciare tutte le raccolte di testi del passato. Papa Leone X, colui che nel 1515 mise all´indice i libri considerati pericolosi, fu un bibliofilo appassionato che riunì nella sua biblioteca privata testi rarissimi provenienti dalle biblioteche di tutta Europa.
La pratica di arricchire le biblioteche con testi derubati altrove è molto diffusa?
«Moltissimo. Le Bibliothéque Nationale de France e la British Library contengono una gran quantità di opere rubate. Si pensi a tutti libri razziati da Napoleone in Italia, in Spagna o in Egitto. Anche la colonizzazione dell´Oriente ha permesso di portare in Europa migliaia di testi. La Cina, ad esempio, oggi reclama la restituzione di numerose opere che appartengono al suo passato, ma i francesi e gli inglesi per il momento non vogliono restituirli. Durante la seconda guerra mondiale, i nazisti si servirono senza scrupoli nelle biblioteche dei paesi occupati.
A proposito dei nazisti, lei ha messo in luce un episodio poco conosciuto...
«Come tutti sanno, a partire dal 1933, i nazisti organizzarono l´autodafè delle opere di autori ebrei e comunisti. Ma qualche anno dopo, per ordine diretto di Hitler, iniziarono a costituire un´importante biblioteca di testi della tradizione ebraica. Diversi specialisti furono sguinzagliati nelle biblioteche di tutta Europa, per saccheggiare le sezioni Judaica ed Hebraica. Riuscirono a raccogliere così tre milioni di volumi che furono trasportati a Francoforte. Nessun´altra biblioteca ebraica aveva mai raggiunto una tale dimensione. Lo scopo di tale operazione era lo studio del segreto degli ebrei. Naturalmente era un fantasma di Hitler, ma in quel modo molti libri preziosissimi furono salvati dalla distruzione. Alla fine della guerra la biblioteca è stata dispersa. Molte opere sono state restituite ai legittimi proprietari, come ad esempio i volumi delle sei biblioteche parigine della famiglia Rothschild. I libri rimasti senza proprietari sono finiti negli Stati Uniti, alla Library of Congress. Vennero razziate anche le biblioteche italiane?
«C´è un episodio noto. A Roma, due giorni prima della famosa retata del 16 ottobre 1943, i nazisti entrarono nella sinagoga del ghetto e portarono via due vagoni pieni di volumi rari. Il poeta Heinrich Heine - in una pièce dedicata ad Almanzor, colui che nel 980 a Cordoba fece bruciare la biblioteca dei califfi - ha scritto che, quando gli uomini cominciano a bruciare i libri, prima o poi finiscono per bruciare gli uomini. Mai profezia fu così tristemente vera».
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
martedì 15 giugno 2004
una intellettuale algerina
Il Mattino 15.6.04
INCONTRO CON L’INTELLETTUALE ALGERINA
Wassyla Tamzali
paladina dell’Islam democratico e laico
di Donatella Trotta
Il volto moderno, democratico e laico dell’Islam è quello di una bella donna algerina dai corti capelli brizzolati che incorniciano uno sguardo diretto e deciso. Si chiama Wassyla Tamzali: da quasi trent’anni anni si batte per i diritti delle sue compaesane di sesso e a favore della libertà di coscienza nel mondo di cultura arabo-islamica. «Un mondo ancora oggi enigmatico per l’opinione pubblica mondiale - spiega - e passato, nell’area mediterranea, dalle lotte di liberazione dal colonialismo alla battaglia per la libertà». Nodo, quest’ultimo, molto difficile da sciogliere, aggiunge, «in società arabo-musulmane prefreudiane, dove i cittadini si devono confrontare con la doppia malattia dell’identità e del nazionalismo, restii tra l’altro ai valori dell’emancipazione femminile, dell’uguaglianza e delle pari opportunità tra i sessi».
Avvocato, femminista, scrittrice, già funzionario dell’Unesco a Parigi - dove per vent’anni è stata direttrice del diritto delle donne -, membro dell’Afem (Association Femmes de la Mediterranée) e responsabile del comitato Maghreb Egalité ad Algeri - città natìa dove è tornata a vivere -, in questi giorni Wassyla Tamzali è a Napoli, ospite della Fondazione Laboratorio Mediterraneo dove sabato interverrà nella sede di via Depretis 130 a un convegno internazionale di studi di genere (in programma con una mostra di editoria femminile, da venerdì a domenica) dopo aver partecipato, venerdì scorso, a un seminario a più voci (femminili) sulle ambiguità e i limiti del dialogo interculturale: «Tema che è diventato un concetto politico nell’attuale scenario internazionale, con la sua ambizione di prendere in carico la diversità storico-culturale, ma con dei necessari distinguo», sottolinea Tamzali, che si definisce «una donna antica colonizzata e malgrado ciò anche in rapporto con la mia comunità e il suo contesto culturale, pur essendo una ”diversa”» che rivendica dunque per sé un’identità «complessa».
Il primo distinguo? È una provocazione: «Quando si parla di dialogo culturale - dice Tamzali - basato sul metodo della tolleranza, che presuppone il sacrificio di una parte delle proprie convinzioni profonde per accettarne altre che magari si considerano sbagliate, è indispensabile saper distinguere l’intolleranza dall’intollerabile: questione non astratta per le donne, anzi al cuore del dibattito contemporaneo». Un esempio? «La questione del velo: le femministe francesi che arrivano a difenderlo, in nome di una sedicente apertura antirazzista ai segni mitizzati della diversità culturale, mettono di fatto l’Islam fuori del pensiero occidentale avallando un’intollerabile pratica di sottomissione: simbolica e reale. Non dimentichiamo che persino all’interno della chiesa cattolica sono state fatte battaglie in contrasto con la religione, come le lotte per l’aborto e per il divorzio, a dimostrazione che esistono altri àmbiti oltre quello religioso. E non vedo perché l’Islam debba essere l’impensato del pensiero occidentale».
Già, ma il problema con l’Islam è che diventa difficile non essere condizionati dall’uso politico strumentale della religione, che ha portato, nell’immaginario collettivo, allo stereotipo dello scontro di civiltà e al dilagare del terrorismo globale... «Il problema vero non è un eccesso di Islam, ma una sua mancanza che ha portato a questi stravolgimenti», replica Tamzali. In che senso? «L’Islam come religione, nel deserto arabo del VII secolo, dava diritti eccezionali alle donne. È la logica delle tribù che l’ha distrutto e seppellito, deviando la sua evouzione e causando uno scacco terribile che non è avvenuto invece in Occidente, dove le radici cristiane dell’Europa hanno generato movimenti di civilizzazione contro la barbarie che hanno trasformato e liberato le coscienze, con conquiste fondamentali per i diritti dell’umanità».
Non a caso, Tamzali ha di recente lanciato un audace Manifesto per la libertà di coscienza in Islam da lei promosso (dall’interno) con altri uomini e donne intellettuali di cultura musulmana (credenti, agnostici e anche atei): pubblicato in Francia e in Marocco su «Libération», il documento ha raccolto centinaia di firme e scatenato un putiferio di polemiche per il suo atto d’accusa articolato su tre grandi temi: la libertà di coscienza; la lotta contro l’islamofobia e la sfida ai bubboni che allignano in certe periferie europee affollate di giovani e sbandati immigrati musulmani «che esercitano la loro aggressività e violenza contro tre bersagli principali: le donne, gli ebrei e gli omosessuali», spiega Tamzali. Che mette in guardia contro un ”nemico” invisibile molto più pericoloso, a suo avviso, dei kamikaze antioccidentali: «L’Islam passivo, che si insinua in Europa con il suo bagaglio di misoginia, antisemitismo e omofobia usando gli strumenti della cultura per attentare ai valori di libertà, uguaglianza, fraternità dell’Occidente da difendere ad ogni costo, per raggiungere un orizzonte comune di umanità davvero solidale».
INCONTRO CON L’INTELLETTUALE ALGERINA
Wassyla Tamzali
paladina dell’Islam democratico e laico
di Donatella Trotta
Il volto moderno, democratico e laico dell’Islam è quello di una bella donna algerina dai corti capelli brizzolati che incorniciano uno sguardo diretto e deciso. Si chiama Wassyla Tamzali: da quasi trent’anni anni si batte per i diritti delle sue compaesane di sesso e a favore della libertà di coscienza nel mondo di cultura arabo-islamica. «Un mondo ancora oggi enigmatico per l’opinione pubblica mondiale - spiega - e passato, nell’area mediterranea, dalle lotte di liberazione dal colonialismo alla battaglia per la libertà». Nodo, quest’ultimo, molto difficile da sciogliere, aggiunge, «in società arabo-musulmane prefreudiane, dove i cittadini si devono confrontare con la doppia malattia dell’identità e del nazionalismo, restii tra l’altro ai valori dell’emancipazione femminile, dell’uguaglianza e delle pari opportunità tra i sessi».
Avvocato, femminista, scrittrice, già funzionario dell’Unesco a Parigi - dove per vent’anni è stata direttrice del diritto delle donne -, membro dell’Afem (Association Femmes de la Mediterranée) e responsabile del comitato Maghreb Egalité ad Algeri - città natìa dove è tornata a vivere -, in questi giorni Wassyla Tamzali è a Napoli, ospite della Fondazione Laboratorio Mediterraneo dove sabato interverrà nella sede di via Depretis 130 a un convegno internazionale di studi di genere (in programma con una mostra di editoria femminile, da venerdì a domenica) dopo aver partecipato, venerdì scorso, a un seminario a più voci (femminili) sulle ambiguità e i limiti del dialogo interculturale: «Tema che è diventato un concetto politico nell’attuale scenario internazionale, con la sua ambizione di prendere in carico la diversità storico-culturale, ma con dei necessari distinguo», sottolinea Tamzali, che si definisce «una donna antica colonizzata e malgrado ciò anche in rapporto con la mia comunità e il suo contesto culturale, pur essendo una ”diversa”» che rivendica dunque per sé un’identità «complessa».
Il primo distinguo? È una provocazione: «Quando si parla di dialogo culturale - dice Tamzali - basato sul metodo della tolleranza, che presuppone il sacrificio di una parte delle proprie convinzioni profonde per accettarne altre che magari si considerano sbagliate, è indispensabile saper distinguere l’intolleranza dall’intollerabile: questione non astratta per le donne, anzi al cuore del dibattito contemporaneo». Un esempio? «La questione del velo: le femministe francesi che arrivano a difenderlo, in nome di una sedicente apertura antirazzista ai segni mitizzati della diversità culturale, mettono di fatto l’Islam fuori del pensiero occidentale avallando un’intollerabile pratica di sottomissione: simbolica e reale. Non dimentichiamo che persino all’interno della chiesa cattolica sono state fatte battaglie in contrasto con la religione, come le lotte per l’aborto e per il divorzio, a dimostrazione che esistono altri àmbiti oltre quello religioso. E non vedo perché l’Islam debba essere l’impensato del pensiero occidentale».
Già, ma il problema con l’Islam è che diventa difficile non essere condizionati dall’uso politico strumentale della religione, che ha portato, nell’immaginario collettivo, allo stereotipo dello scontro di civiltà e al dilagare del terrorismo globale... «Il problema vero non è un eccesso di Islam, ma una sua mancanza che ha portato a questi stravolgimenti», replica Tamzali. In che senso? «L’Islam come religione, nel deserto arabo del VII secolo, dava diritti eccezionali alle donne. È la logica delle tribù che l’ha distrutto e seppellito, deviando la sua evouzione e causando uno scacco terribile che non è avvenuto invece in Occidente, dove le radici cristiane dell’Europa hanno generato movimenti di civilizzazione contro la barbarie che hanno trasformato e liberato le coscienze, con conquiste fondamentali per i diritti dell’umanità».
Non a caso, Tamzali ha di recente lanciato un audace Manifesto per la libertà di coscienza in Islam da lei promosso (dall’interno) con altri uomini e donne intellettuali di cultura musulmana (credenti, agnostici e anche atei): pubblicato in Francia e in Marocco su «Libération», il documento ha raccolto centinaia di firme e scatenato un putiferio di polemiche per il suo atto d’accusa articolato su tre grandi temi: la libertà di coscienza; la lotta contro l’islamofobia e la sfida ai bubboni che allignano in certe periferie europee affollate di giovani e sbandati immigrati musulmani «che esercitano la loro aggressività e violenza contro tre bersagli principali: le donne, gli ebrei e gli omosessuali», spiega Tamzali. Che mette in guardia contro un ”nemico” invisibile molto più pericoloso, a suo avviso, dei kamikaze antioccidentali: «L’Islam passivo, che si insinua in Europa con il suo bagaglio di misoginia, antisemitismo e omofobia usando gli strumenti della cultura per attentare ai valori di libertà, uguaglianza, fraternità dell’Occidente da difendere ad ogni costo, per raggiungere un orizzonte comune di umanità davvero solidale».
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