Il Giornale di Vicenza 18 giugno 2004
Cacciari e la ricerca della "cosa ultima" che va oltre la realtà
di Paolo Lanaro
È difficile non riconoscere a Massimo Cacciari una qualità intellettuale abbastanza rara: lo spirito d'avventura.
Fin dai tempi di Angelus novus, la rivista veneziana fondata a diciott'anni con Cesare De Michelis, passando per i Quaderni rossi, Contropiano, Il Centauro, il marxismo, il pensiero della crisi, la riflessione teologica border-line, Cacciari ha sempre violato le convenzioni e i confini disciplinari della ricerca filosofica. Per non dire della politica, pensata e vissuta come militanza attiva, come prassi, come innovazione continua e come vero sigillo morale dell'esistenza.
Il volume che esce in questi giorni da Adelphi ("Della cosa ultima", euro 45) conferma questa immagine, sollevando altre domande sul percorso di Cacciari e sul significato delle sue inquietudini intellettuali.
Qui ci troviamo di fronte, come già in "Dell'inizio" (1990), davanti al problema del fondamento.
La concretezza delle cose e della realtà non è sufficiente a costituire l'ambito del pensiero. Secondo Cacciari c'è un al di là, inteso come traccia o questione, a cui la realtà deve poter chiedere la ragione del suo divenire. George Steiner in un libro bellissimo ("Grammatiche della creazione", Garzanti) ha affrontato lo stesso tema, circoscrivendolo al territorio dell'arte, cercando di identificare il dato che precede e presuppone la molteplicità e la mobilità dell'esperienza estetica. Steiner dice in sostanza che le forme simboliche, sia quelle artistiche che speculative, sono un'elaborazione della dottrina eucaristica, dell'idea che lo spirito possa farsi corpo. Il punto di convergenza con le ipotesi di Cacciari forse è proprio qui, nel ritenere che vi sia un
mysterium, ignorato dalla tradizione greca e da quella giudaica, che funziona come linea di trapasso dal profano dell'esistenza all'imperscrutabilità vertiginosa del sacro.
C'è qualcosa che resta nascosto e che anzi la parola contribuisce a respingere in una profondità inaccessibile. Wittgenstein diceva: se potessi dedicherei questo libro a Dio. Si riferiva alle sue "Ricerche filosofiche" e intendeva così affermare l'umiltà e la legittima piccolezza dei nostri discorsi di fronte a ciò che è indicibile e da cui pure si irradiano le energie e i riflessi del Senso.
Cacciari nel suo libro si affaccia su questo paesaggio impervio in cui tempo e cose sembrano disperdersi come folate di vento. O meglio, Cacciari ripropone la ricerca ontologica come via d'uscita dalla crisi della razionalità strumentale e del soggetto gnoseologico e di quell'armamentario linguistico e teoretico che non è più in grado di giustificare e significare l'esperienza vissuta.
Eppure Cacciari non è un pensatore propriamente religioso, se religioso vuol dire collocare con sicurezza la fonte dei valori in un luogo esterno e sovrumano. La figura chiave della metafisica di Cacciari non è né di stampo platonico né di stampo aristotelico né di stampo cristiano. Assomiglia piuttosto a un Logos marchiato dalla vicissitudine, dalla domanda, dalla contraddizione, un Logos passato negli anni per le dita ruvide di Marx e Nietzsche, per gli esplosivi silenzi di Wittgenstein, per le invocazioni della Patristica, per le allusioni potenti di Heidegger. È dunque un Logos che invece di trascendere discende, un po' come in Agostino, a sollecitare le nostre intenzioni, a delineare un orizzonte di possibilità piuttosto che di certezze, a muovere la nostra partecipazione a qualcosa che puntualmente la scoraggia.
Cacciari, al limite delle sue ipotesi, intravede nell' idea dell'Uno, dell'Essere, di Dio insomma, un mare di discrepanze e di paradossalità che le definizioni della teologia non possono prosciugare. E allora? A nostra disposizione c'è soltanto il travaglio della ricerca filosofica, il demone della dialettica. Non possiamo agire per decreti ingiuntivi, ma per richieste e congetture. Che è l'unico modo per procedere in una
ingens sylva di immagini fantasmagoriche.
Impossibile sapere se la direzione è giusta o sbagliata, ma almeno il dramma del cammino, quello, suggerisce Cacciari, è terribilmente autentico.